VENERDI’ SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

VENERDI SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle domeniche e delle feste; trad. A. Castelli – Tip. Ferroni, – FIRENZE, 1869]

La Chiesa celebra oggi, nel duolo e nelle lacrime, il più grande degli avvenimenti: quello della morte di Dio Salvatore per la redenzione di tutti gli uomini. Questo ineffabil mistero, predetto tante volte e così chiaramente nei secoli che lo precedettero, è il completo trionfo della divina giustizia, e l’opera più gloriosa della infinita misericordia. Fu operato dalla immensa carità del Verbo incarnato, che secondo i divini decreti volle fin dall’eternità annichilarsi, soffrire e morir nella pienezza dei tempi, per riconciliare col sacrifizio di un Uomo Dio, che si offriva qual vittima, il cielo alla terra. – Figli della Chiesa nata sul Calvario, meditiamo con lei, ma più col cuore che con la mente, la passione del Dio Salvatore, assistendo ai santi ufizi, le cui commoventi cerimonie ritrarranno alla nostra fede lo spettacolo così consolante come terribile, che all’ultimo anelito di Gesù Cristo sulla croce, fece eclissare l’astro del giorno, tremar la terra, resuscitare i morti, e squarciare il velo dell’antico tempio, ove il Dio d’Israele non voleva più essere adorato. Uniamoci quindi ai voti che essa offre a Dio per la salute dei suoi figli in tutti gli stati, pregando con lei per i suoi “veri” Pontefici e i suoi “veri” Sacerdoti, per i capi e i popoli dei vari governi, per i peccatori d’ogni età, per la conversione degli eretici, degl’idolatri e dei Giudei deicidi.

Adoriamo in questo giorno l’immagine della croce: baciamo con un cuore contrito lei che ci ricorda le piaghe di Gesù Cristo, i cui piedi e le mani furono sovr’essa inchiodate, per liberarci dalla schiavitù del peccato, del quale non avremmo potuto giammai spezzar da per noi le eterne catene. Come abbiamo detto, non si celebra oggi la santa Messa; ma noi adoreremo Gesù Cristo realmente presente nell’ostia già consacrata, che la Chiesa deve offrire qual nostro omaggio, nel sacro culto che ella rende in questo giorno al suo divino Sposo, che l’ha lavata nel suo sangue, l’ha fatta depositaria dei suoi infiniti meriti, per assicurare a tutti i suoi veri figli la vita eterna.

L’ufizio d’oggi si divide in tre parti. La prima parte si compone di due lezioni della Scrittura intramezzate da responsi e da versetti analoghi all’uopo sulla passione. La Chiesa ha procurato di conservare nell’odierno ufizio tutta la nostra bella antichità, che vi spira da ogni parola, da ogni pagina, da ogni cerimonia. – Così l’ufizio comincia da due lezioni, perché una volta tutte le Messe cominciavano con le lezioni, ossia con la lettura dei libri santi. Le lezioni del venerdì santo non hanno titolo, perché Gesù Cristo, che è il nostro capo, la luce che ci rischiara, come il titolo rischiara il libro e la lezione, ci è stato tolto. Mosè nella prima descrive la cerimonia dell’agnello pasquale, immolato e mangiato con pane senza lievito e con lattughe amare dal popolo di Dio, pronto ad uscire dall’Egitto, succinta la veste, calzati i piedi ed il bastone in mano, e in tutta fretta, perché questa doveva essere la pasqua, cioè il transito del Signore. L’agnello pasquale era la figura di Gesù Cristo, e questa lezione, che ci rimanda a tremila cinquecento anni d’antichità, richiama alla nostra memoria che il Cristo era come oggi, la fede e la speranza del genere umano, e che la Chiesa Cattolica abbraccia tutti i tempi.

La seconda lezione è del Profeta Isaia: ci pone setto gli occhi il divino esemplare, la vittima cattolica di cui l’agnello pasquale non era che l’ombra. Egli, dice il Profeta, spunterà dinanzi a lui qual virgulto, e quasi tallo da sua radice in arida terra: non ha vaghezza, né splendore, e noi l’abbiamo veduto e non era bello a vedersi, e noi non avemmo inclinazione per lui; dispregiato e l’infimo degli uomini, uomo di dolori, e che conosce il patire. Ed era quasi ascoso il suo volto, ed egli era vilipeso, onde noi non ne facemmo alcun conto. Veramente i nostri languori egli ha presi sopra di sé, ed ha portali i nostri dolori; e noi lo abbiamo riputato come un lebbroso, e come flagellato da Dio ed umiliato. Ma egli è stato piagato a motivo delle nostre iniquità, è stato spezzato per le nostre scelleratezze. Il gastigo cagione di nostra pace cadde sopra di lui, e per le lividure di lui siamo noi risanati. Tutti noi siamo stati come pecore erranti, ciascheduno per la strada sua deviò: e il Signore pose addosso a lui le iniquità di tutti noi. E stato offerto, perché Egli ha voluto, e non ha aperta la sua bocca: come pecorella sarà condotto ad essere ucciso, ecome un agnello muto si sta dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca. (Cap. XLVIII).

Non senza un perché la Chiesa ha scelte queste duelezioni da Mosè e da Isaia: essa ha voluto mostrarci che la legge e i profeti rendono testimonianza al suo divino sposo, e che egli è realmente l’oggetto degli oracoli e dei desiderj di tutto il mondo antico.

Dopo le profezie, si canta la passione del nostro Signore secondo s. Giovanni.

LA PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

Secondo s. Giovanni, Cap. XVIII, e XIX.

In quel tempo Gesù uscì co’ suoi discepoli di là dal torrente Cedron, dove era un orto, in cui entrò egli, e i suoi discepoli. Or questo luogo era cognito anche a Giuda, il quale lo tradiva: perché frequentemente si era colà portato Gesù coi suoi discepoli. Giuda pertanto avuta una coorte, e dei ministri dai principi dei Sacerdoti e dai Farisei, andò colà con lanterne, e fiaccole ed armi. Ma Gesù che sapeva tutto quello che doveva cadere sopra di lui, si fece avanti e disse loro: Di chi cercate voi? Gli risposero: di Gesù Nazareno. Disse loro Gesù: Son io. Ed era con essi anche Giuda, il quale lo tradiva. Appena però ebbe detto loro: Son io; dettero indietro, e stramazzarono per terra. Di nuovo adunque domandò loro: di chi cercate? E quelli dissero: di Gesù Nazareno. Rispose Gesù: Vi ho detto che son io: se adunque cercate di me, lasciate che questi se ne vadano. Affinché si adempisse la parola detta da lui: Di quelli che hai dati a me, nessuno ne ho perduto. Ma Simon Pietro che aveva la spada, la sfoderò: e ferì un servitore del sommo Pontefice, e gli tagliò 1’orecchia destra. Questo servitore chiamavasi Malco. Gesù però disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero: non berrò io il calice datomi dal Padre? La coorte pertanto, e il tribuno, e i ministri dei Giudei afferrarono Gesù, e lo legarono: e lo menarono in là primieramente ad Anna: perché era suocero di Caifa,  il quale era Pontefice in quell’anno. Caifa poi era quello che aveva dato per consiglio ai Giudei, essere spediente che un sol uomo morisse per il popolo. Teneva dietro a Gesù Simon Pietro, e un altro discepolo. E quest’altro discepolo era conosciuto dal Pontefice, ed entrò con Gesù nel cortile del Pontefice. Pietro poi restò di fuori alla porta. Ma uscì quell’altro discepolo, che era conosciuto dal Pontefice, e parlò alla portinaia, e fece entrar Pietro. Disse però a Pietro la serva portinaia: sei forse anche tu dei discepoli di quest’uomo? Ei rispose: Non sono. Stavano i servi e i ministri al fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano: e Pietro se ne stava con essi e si scaldava. Or il Pontefice interrogò Gesù circa i suoi discepoli, e circa la sua dottrina. Gesù gli rispose: Io ho parlato alla gente in pubblico: io ho sempre insegnato nella Sinagoga, e nel Tempio, dove si radunano tutti i Giudei, e non ho fatto parola in segreto. Perché interroghi me? Domanda a coloro, che hanno udito quello che io abbia loro detto: questi sanno quali cose io abbia detto. Appena ebbe egli così parlato, uno dei ministri quivi presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: Così rispondi al Pontefice ? Rispose Gesù: Se ho parlato male dammi accusa di questo male: se bene, perché mi percuoti? Lo aveva adunque mandato Anna, legato al sommo Pontefice Caifa. Ed eravi Simon Pietro, che si stava scaldando. A lui dunque dissero: Sei forse anche tu de’ suoi discepoli? Egli negò, dicendo: Non sono. Dissegli uno de’ servi del sommo Pontefice, parente di quello cui Pietro avea tagliata l’orecchia: Non ti ho io veduto nell’orto con lui? Ma Pietro negò di nuovo: e subito cantò il gallo. Condussero adunque Gesù dalla casa di Caifa al pretorio. Ed era di mattino; ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, affine di mangiar la pasqua. Uscì adunque fuora Pilato da essi, e disse: Che accusa presentate voi contro quest’uomo? Gli risposero, e dissero: se non fosse costui un malfattore, non l’avremmo rimesso nelle tue mani. Disse adunque loro Pilato: prendetelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. Ma i Giudei gli dissero: non è lecito a noi di dar morte ad alcuno. Affinché si adempisse la parola detta da Gesù, per significare di qual morte doveva morire. Entrò adunque di nuovo Pilato nel Pretorio, e chiamò Gesù, e gli disse: se’ tu il re de’ Giudei? Gli rispose Gesù: Dici tu questo da te stesso, ovvero altri te lo hanno detto di me? Rispose Pilato: son io forse Giudeo? la tua nazione, e i Pontefici ti hanno messo nelle mie mani: che hai tu fatto? Rispose Gesù: il regno mio non è di questo mondo: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri certamente si adoprerebbero, perché non fossi dato in potere de’ Giudei: ora poi il regno mio non è di qua. Gli disse però Pilato: Tu dunque sei re? Rispose Gesù: Tu dici, che io sono re. Io a questo fine son nato, e a questo fine son venuto nel mondo, di render testimonianza alla verità: chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce. Dissegli Pilato: Che cosa è la verità? E detto questo uscì di nuovo a trovare i Giudei, e disse loro: Io non trovo in lui nessun delitto. Or voi avete per uso, che io vi rilasci libero un uomo nella pasqua: volete adunque, che vi metta in libertà il Re de’ Giudei? Ma gridarono replicatamente tutti dicendo: Non costui, ma Barabba. Or Barabba era un assassino. Allora adunque Pilato prese Gesù e lo flagellò. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sulla testa: e lo coprirono con una veste di porpora. E si accostavano a lui, e dicevano: Dio ti salvi, Re de’ Giudei; e davangli degli schiaffi. Uscì adunque di nuovo fuori Pilato, e disse loro: Ecco che io ve lo meno fuori, affinché intendiate che non trovo in lui reato alcuno. E uscì fuora Gesù portando la corona di spine, e la veste di porpora. E disse loro Pilato : Ecco l’uomo. Ma visto che l’ebbero i Pontefici e i ministri, alzarono le mani, dicendo: Crocifiggilo, crocifiggilo. Disse loro Pilato: prendetelo voi, e crocifiggetelo: imperocché io non trovo in lui reato. Gli risposero i Giudei: noi abbiamo la legge, e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figliuolo di Dio. Quando udì Pilato queste parole s’intimidì maggiormente. Ed entrò nuovamente nel pretorio e disse a Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede risposta. Dissegli perciò Pilato: Non parli con me? non sai, che sta nelle mie mani il crocifiggerti, e sta nelle mie mani il liberarti? Gli rispose Gesù: non avresti potere alcuno sopra di me, se non ti fosse stato dato di sopra. Per questo colui, che mi ti ha dato nelle mani, è reo di più gran peccato. Da indi in poi cercava Pilato di liberarlo, ma i Giudei alzavano le strida dicendo: se liberi costui, non sei amico di Cesare, poiché chiunque si fa re, fa contro a Cesare. Pilato adunque, sentito questo discorso, menò fuori Gesù: e si pose a sedere sul tribunale nel luogo detto Lithostrotos, e in ebreo Gabbatha. (Ed era la Parasceve della pasqua, e circa la sesta ora). E disse ai Giudei: Ecco il vostro Re. Ma essi gridavano: Togli, togli, crocifiggilo. Disse allora Pilato: Crocifiggerò io il vostro re? Gli risposero i Pontefici: non abbiamo altro re fuori di Cesare. Allora adunque lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso. Presero pertanto Gesù, e lo menarono via. Ed Egli portando la sua croce, s’incamminò verso il luogo detto del cranio, in ebraico Golgota. Dove crocifissero lui, e con lui due altri, uno di qua, e uno di là, e Gesù nel mezzo. E scrisse di più Pilato un cartello, e lo pose sopra la croce. Ed eravi scritto: Gesù Nazareno re de’ Giudei. Or questo cartello lo lessero molti Giudei, perché era vicino alla città il luogo, dove Gesù fu crocifisso. Ed era scritto in ebraico, in greco e in latino. Dicevan però a Pilato i Pontefici de’ Giudei: Non scrivere re de’ Giudei: ma che costui ha detto: Sono re de’ Giudei. Rispose Pilato: Quel ho scritto, ho scritto. I soldati, crocifisso che ebbero Gesù presero le sue vesti (e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato), e la tonaca. Or la tonaca era senza cucitura, tessuta tutta dalla parte superiore in giù. Dissero perciò tra loro: non la dividiamo, ma tiriamola a sorte a chi abbia a toccare. Affinché si adempisse la Scrittura che dice: si divisero tra loro le mie vestimenta, e tirarono in sorte la mia veste. Tali cose adunque fecero i soldati. Ma vicino alla croce di Gesù stavano la sua Madre, e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa, e Maria Maddalena. Gesù adunque avendo veduto la Madre, e il discepolo di lui amato, che era dappresso, disse alla Madre sua: Donna, ecco il tuo Figliuolo. Di poi disse al discepolo: Ecco la Madre tua. E da quel punto il discepolo la prese seco. Dopo di ciò conoscendo Gesù, che tutto era adempito, affinché si adempisse la Scrittura, disse: Ho sete. Era stato quivi posto un vaso pieno d’aceto. Onde quelli inzuppata una spugna nell’aceto, e avvoltala attorno all’issopo, la presentarono alla sua bocca. Gesù adunque preso che ebbe l’aceto, disse: È compito. E chinato il capo rese lo spirito. (Qui cessa il canto, si fa un gran silenzio in chiesa, e non si sente altro che il muoversi dei Fedeli che si prostrano a baciar la terra, che il Salvatore ha inzuppata del suo sangue). Ma i Giudei, affinché non restassero sulla croce i corpi nel sabato, giacché era la Parasceve (poiché era grande quel giorno di sabato), pregarono Pilato che fossero ad essi rotte le gambe, e fossero tolti via. Andarono pertanto i soldati: e ruppero le gambe al primo, e all’altro che era stato crocifisso con lui. Ma quando furono a Gesù, allorché videro che era già morto, non gli ruppero le gambe. Ma uno dei soldati aprì il fianco di lui con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi lo vide lo ha attestato: ed è vera la sua testimonianza. Ed egli sa, che dice il vero, affinché voi pure crediate. Imperocché tali se sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: non romperete nessuna delle sue ossa. E parimente un’altra scrittura dice: Volgeran gli sguardi a colui, che hanno trafitto. Dopo di ciò Giuseppe da Arimatea (discepolo di Gesù, ma occulto per timore de’ Giudei), pregò Pilato per prendersi il corpo di Gesù. E Pilato glielo permise. Andò adunque, e prese il corpo di Gesù. Venne anche Nicodemo (quegli che la prima volta andò da Gesù di notte), portando di una mistura di mirra e di aloe, quasi cento libbre. Preser dunque il corpo di Gesù, e lo avvolsero in lenzuoli di lino, ponendovi gli aromi, come dagli Ebrei si costuma nelle sepolture. Era nel luogo ove egli fu crocifisso, un orto: e nell’orto un monumento nuovo, nel quale non era mai stato posto nessuno. Quivi adunque a motivo della Parasceve de’ Giudei, perché il monumento era vicino, deposero Gesù.

  La seconda parte dell’ufizio si compone delle orazioni solenni o sacerdotali, che non si recitano pubblicamente se non il venerdì santo, e son dieci.

La terza parte dell’ufizio, è

l’adorazione della croce.

(I cattolici non adorano la croce, ma Dio morto su quella).

Quando sono finite le orazioni sacerdotali, i leviti e i diaconi a due a due, i sacerdoti in cappa nera, vanno a prender la croce in fondo alla chiesa; tutti a pie’ nudi. Due diaconi portano il sacro legno sulle braccia, e si avanzano a lenti passi verso l’altare. Questa cerimonia rappresenta in vivissima scena il Salvatore, che va per la strada dolorosa, e s’avanza verso il Calvario. Perché nulla manchi a questa doppia rassomiglianza, due diaconi o due sacerdoti cantano, nell’andare verso il santuario, le parole che sono l’espressione dell’ineffabile amore ond’era animato Gesù, mentre saliva al luogo del suo supplizio. Queste parole chiamansi improperi, e voglion dire qui teneri rimproveri, che il cuore di Gesù dirigeva ai Giudei, i quali lo conducevano a morte. E son questi: 0 popolo mio! che ti ho io fatto? in che ti ho io contristato? 0 popolo mio! rispondi a me. Confusa da tanta malizia da una parte, e da tanta bontà dall’altra, la Chiesa intenerita, oppressa dal suo dolore si lascia sfuggire, come un profondo sospiro, questo atto di adorazione e di amore: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi. Queste parole si cantano in greco e in latino. La Chiesa ci mostra la sua cattolicità: essa vuole che tutti i popoli e tutte le lingue adorino, amino con lei; e le par poco una lingua sola per esprimere il suo dolore e per esclamar verso Dio. Giunti all’entrata del coro, i due diaconi ripigliano: Perché ti ho io guidato nel deserto per quarant’anni e ti ho nutrito di manna, e ti ho introdotto in una fertilissima terra, tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!

E il coro risponde : 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi!

In mezzo al coro, i diaconi si pongono in ginocchio di nuovo, e continuano:

Che poteva io fare di più per te, e non l’ho fatto? Non sei forse tu stata la vigna che io piantai e che io ho custodita sotto la mia protezione; e tu non mi hai dato che frutti amari; e quando ho avuto sete mi hai dato a bere dell’aceto, e con la lancia hai trafitto il fianco al tuo Salvatore!

E il coro risponde come sopra: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale, abbiate pietà di noi.

I sacerdoti e i diaconi, che per tre volte cadono in ginocchio nel portare la croce, ci rammentano il Salvatore che cadde anch’esso tre volte sotto il grave strumento del suo supplizio. In questa parte dell’ufizio, tutto è pittura, tutto parla ai sensi; si esce quasi fuori di sé, e in quelle angosce, quelle parole così semplici che ritornano ad ogni momento: Popolo mio, che ti ho io dunque mai fatto? commuoverebbero un cuore di bronzo.

La croce è all’altare, la gran vittima è alla sommità del Calvario. Non rimane che mostrarla al popolo, ed ecco il sacerdote, scoprendo un braccio dell’albero della salvezza, esclama: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Il coro risponde: In quo salus mundi pependit etc. Onde pendè appeso il Salvatore del mondo ; venite, adoriamo.

Poi avanzandosi dalla parte destra dell’altare, e scoprendo l’altro braccio della croce, il sacerdote dice ancora: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Edi nuovo il coro ripete: Onde pendè appeso il Salvalore del mondo; venite, adoriamo.

Finalmente una terza volta il sacerdote dice dal mezzo dell’altare alzando di più la voce: ECCE LIGNUM CRUCIS: ecco il legno della croce.

E la croce allora è tutta intera scoperta e mostrata al popolo cristiano, che da molti giorni non ha veduto il crocifisso se non velato, e che in questo momento lo contempla con la fronte coronata di spine, con le mani ed i piedi forati dai chiodi, col costato aperto dal ferro della lancia: e i re, i pontefici, i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i vecchi del santuario, i cantori, i fedeli, i ricchi, i poveri, a piedi scalzi vengono ad adorare il legno redentore. Si direbbe allora che i figli lacrimosi per la morte di un padre, sono ammessi nella stanza mortuaria, ove il capo di famiglia è esposto sopra un letto funebre, e vengono con reverenza e dolore a baciare la sua veneranda salma.

Andando ad adorare la croce, come non desteremo in noi l’idea, che camminiamo per la via dolorosa tinta del suo sangue dal Salvatore? Apriamo le orecchie del nostro cuore a quei teneri rimproveri che si dirigono ai Cristiani, molto più che ai Giudei, e ognuno di noi se gli appropri: Popolo mio, che ti ho io dunque fatto 0 in che ti ho io contristato? Rispondi a me. Anima cristiana, figlia mia, mia carissima, io ti ho liberata dalla schiavitù, ti ho nutrita con la manna, e tu hai preparato una croce al tuo Salvatore !!! Io ti ho custodita sotto la mia protezione, come la pupilla dei miei occhi; che doveva io fare di più per te? E tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!!!

E noi avremo dispiacere ed affetto nel cuore, lacrime agli occhi, e se possiamo parlare, tenere parole sulle labbra. E noi ritorneremo dal Calvario, come il centurione, percotendoci il petto, detestando la nostra ingratitudine e risoluti di morire anzi che più contristare un sì buon padre.

Terminata l’adorazione, si va a riprendere, e si riporta in lugubre silenzio, l’ostia consacrata: il sacerdote si comunica; quindi si cantano i Vespri con un tono grave e luttuoso, e così l’ufizio della mattina è compito.

Sulle tre dopo mezzogiorno, non bisogna lasciare di recarci ad adorare il Salvatore. In alcuni paesi il popolo si porta in folla alla Chiesa verso quest’ora solenne: ognuno prega, ognuno domanda perdono per sé, e per i suoi fratelli, e quando l’orologio batte le tre, tutta la moltitudine silenziosa e commossa si prostra e bacia il pavimento del tempio. Allora un utile esercizio è quello di meditare le sette parole di Gesù Cristo sulla croce. Eccole:

1°. Padre, perdona loro, poiché ignorano ciò che fanno;

2.° Al buon ladrone: Oggi sarai meco in Paradiso;

3.° A Maria:  Donna, ecco il tuo Figlio, ed a s. Giovanni: Ecco la tua Madre;

4.° Ho sete;

5.° Dio mio, Dio mio, perché m’hai abbandonato?

6.° Tutto è consumato;

7.° Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio.

All’ufizio della sera, chiamato Tenebre, continua il lutto. La lugubre voce di Geremia, il gemito delle sante donne, risuonano sotto la volta del tempio; allora la Chiesa è una vedova che piange sulla tomba del suo sposo.

Aspirazione. Oh! quanto sei bella, o croce del mio Salvatore, nobilitata dal suo sangue e dalla sua morte! Tu sei più brillante delle stelle del cielo, più preziosa dell’oro purissimo. O amabil croce! Tu sola hai meritata di portare la salute del mondo, la sorgente della grazia e il prezzo della gloria; così tu sei il mio conforto e l’oggetto della mia fiducia: da te viene la mia salvezza; tu sei il principio della mia fede, e sarai quind’innanzi la mia speranza. Tócco di riconoscenza, io fisso gli occhi su te, e in te contemplo il mio Redentore morente per me; io vengo a raccogliere i suoi sospiri, e a lavarmi nel sangue che egli ha versato per me.

Preghiera. O mio Dio! che siete tutto amore, vi ringrazio di aver rilasciato alla morte il vostro unico Figliuolo per riscattarmi; non permettete che io renda inutile a me il frutto della sua passione. Io risolvo di amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo mio come me stesso per amor di Dio; e in attestato di quest’amore, reciterò tutti i venerdì cinque Pater ed Ave, in onore delle cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo.

Sentimenti di penitenza a pie della Croce.

Anima peccatrice, anima penitente, tu sei oppressa dal peso delle tue colpe, tu piangi alla vista delle tue sregolatezze e de’ tuoi eccessi; la giustizia divina sembra per tutto minacciarti e perseguitarti, per sacrificarti e dare a te il castigo; non vi è nel mondo per te che un asilo. Vieni e gettati ai piedi della croce; vieni ad espandere il tuo afflitto cuore; vieni a mostrar le tue piaghe, e a domandarne la guarigione al caritativo medico che ne vede tutta la profondità. Ivi prostesa e penetrata da giusto dolore, digli con un santo penitente, vero modello di penitenza:

Peccavi: ho peccato; sì, mio Dio, ho peccato, e gravemente peccato; ho peccato per molti e molti anni; io lo riconosco, ne piango: vorrei morirne di dispiacere. Finalmente rischiarata dal vostro divin lume, tocco dalle attrattive delle vostre grazie, ritorno a Voi, vengo al implorare la vostra infinita misericordia: Miserere mei. Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Abbiate pietà di me, o Dio, secondo la grande vostra misericordia.

Colui al quale ho dato la morte è il solo che deve resuscitarmi. Et secundum multitudinem miserationem tuarum, abbiate pietà di me secondo la molta vostra misericordia. Io non saprei conoscere tutta la gravezza e l’enormità delle mie colpe, ma ne conosco tanto da comprendere che ho meritato mille volte l’inferno: iniquitatem, meam ego cognosco. Il mio peccato è sempre presente ai miei sguardi per istraziare il mio cuore: Peccatum meum contra me est semper. Ho peccato, e per il mio peccato ho offeso Voi, Voi che solo dovevo servire ed amare in questo mondo! Tibi soli peccavi. Davanti a voi, alla vostra presenza, e nel tempo medesimo che mi ricolmavate delle vostre grazie, io vi ho oltraggiato: Et malum coram te feci.

O Dio sofferente e agonizzante, voi per me, per i miei peccati soffrite e morite; il vostro cuore trafitto da una lancia, trafigga il mio del più amaro dolore; non rigettate un cuore contrito ed umiliato. Se non è tale, fatelo Voi in me, rendete il mio cuore degno di Voi: Cor contritum ét humiliatum, Deus, non despicies. Dio Santo, Dio Salvatore, voi troverete in me l’enormezza di tutti i peccati riuniti insieme; riunite insieme in prò mio i tesori di tutte le grazie; glorificate la vostra potenza, fate trionfare la vostra misericordia, e mostrate in un uomo infinitamente peccatore, che cosa è un Dio infinitamente buono. Se il sacrifizio della mia vita potesse soddisfare la vostra giustizia, con quanta gioia non vi offrirei il sacrifizio di questa vita, che sì colposamente ho passata! Si voluisses sacrificium, dedissem utique.

Anima penitente, consacra i tuoi sentimenti ai piedi della croce: trattienti col tuo Dio, che muore per darti una nuova vita. Digli: Signore, io sono afflitta alla vista dei vostri patimenti e delle mie offese; ma ciò che più mi dà pena, si è che il mio cuore è troppo debole per odiarle e piangerle: vorrei avere il cuore di tutti gli uomini e le lagrime di tutti i santi penitenti per consacrarle a Voi. Signore, Dio mio, create in me un cuor nuovo per sodisfarvi ed amarvi. Oh! chi mi darà una fontana di lagrime che non mai venga meno? Quanto sarei felice se vedessi scaturire da’ miei occhi un torrente di lagrime, per unirle al torrente di sangue che voi versate! Qual vita è stata la mia! e se le vostre misericordie non fossero infinite, che mi resterebbe altro se non la disperazione? Ma ormai, o mio Dio, le piaghe son fatte; io non posso altro che mostrarvele, e scongiurarvi a guarirle; so che tutto ciò che può esser pianto, può esser perdonato. Finché io viva, piangerò, gemerò; né vivrò più che per piangere e gemere a pie’ della croce. Me felice se potessi ivi morir di dolore! Fate, o mio Dio! che la vita non sia più per me che un continuo gemito, la terra una valle di lagrime: se l’ho contaminata co’ miei delitti, oh perché non posso io innaffiarla col sangue mio! Ma no, è il sangue vostro che deve purificar tutto: lavatemi, purificatemi, santificatemi, questo è il più gran prodigio della vostra misericordia. Io lo narrerò a tutti i peccatori; il mio esempio gli commuoverà, e dirà loro ciò che essi possono e debbono sperare dalla vostra ineffabile bontà; tutti unanimi loderemo, benediremo per sempre la grandezza delle vostre misericordie, sempre superiore alla grandezza delle nostre colpe. Diremo dunque col profeta penitente: Domine, propitiaberis peccato meo, multum est enim; Signore, voi avrete pietà di me, perché i miei peccati sono grandi; sì, la gravezza stessa dei miei peccati sarà il motivo che vi obbligherà a concedermene il perdono: motivo ben degno di Voi, perché più i miei peccati sono grandi, e più faranno risplendere la vostra misericordia, più che mai ammirare la vostra onnipotenza, e più trionfare la vostra grazia.

O croce del mio Dio, del mio adorabile Salvatore! a’ tuoi piedi io voglio vivere; nelle tue braccia spero di morire: sii, tutto il tempo di mia vita, il mio modello e il mio sostegno; ma specialmente all’ora della morte, sii tu il mio rifugio e la speranza mia.

O crux, ave, spes unica:

Hoc passionis tempore,

Piis adauge gratiam

Reisque dele crimina. Amen.

Ti salutiamo, o croce, unica nostra speranza! Gesù, che a lei foste sospeso, fate che in questo santo tempo, in cui solennizziamo la vostra passione, i giusti crescano nella pietà, e i peccatori ottengano il perdono delle loro colpe. Così sia.

Consideriamo ciò che un Dio soffre, come e per chi lo soffre. Portiamo per tutto la ricordanza della croce, delle sue grazie e de’ nostri peccati: domandiamo a Dio la grazia di pensarvi e di piangerli tutto il tempo di nostra vita. Forse fra breve dovremo comparire al tribunale della divina giustizia; siamo stati peccatori, disponiamoci a comparirvi da penitenti. Pensiamoci; non ci contentiamo solo di pensarci; profittiamo della grazia che ci è offerta per produrre in noi dei frutti di salute.

La Santissima Vergine a pie della Croce.

Stabat Mater dolorosa Juxta crucem lacrymosa, Dum pendebat Filius.

[Dritta a pie della croce, a cui era sospeso il suo Figliuolo, la Madre dal dolore piangeva].

Cujus animam gementem, Contristatam et dolentem, Pertransivit gladius.

[La sua anima abbattuta, gemente e desolata, fu trafitta dalla spada del dolore.]

0 quam tristis et afflictaFuit illa benedicta Mater Unigeniti!

[Oh! come fu triste ed afflitta questa benedetta Madre del Figliuolo unico di Dio!]

Quæ mœrebat et dolebat, Pia Mater, dum videbat Nati pœnas inclyti.

[Gemeva la pia Madre, e sospirava alla vista delle angosce del suo divin Figliuolo].

Quis est homo qui non fleret, Matrem Christi si videret In tanto supplicio?

[Chi mai potrebbe trattener le lagrime, nel vedere la Madre di Gesù Cristo in un sì vivo dolore?]

Quis non posset contristari,Christi Matrem contemplariDolentem cum Filio?

[Chi potrebbe contemplare senza profondamente attristarsi questa tenera Madre soffrir col suo Figlio?]

Pro peccatis suæ gentis Vidit Jesum in tormentis, Et flagellis subditum.

[Ella vide Gesù nei tormenti e squarciato dai colpi per i peccati di sua nazione.]

Vidit suum dulcem natum Moriendo desolatum, Dum emisit spiritum.

[Vide l’amato Figlio morente nell’abbandono fino all’ultimo anelito.]

Eja, Mater, fons amoris, Me sentire vim doloris Fac, ut tecum lugeam.

[0 Madre piena d’amore, fate che io provi la forza del vostro dolore, che io pianga con voi.]

Fac ut ardeat cor meum In amando Christum Deum, Ut sibi complaceam.

[Fate che il mio cuore arda d’amore per Gesù Cristo, e non pensi che a piacere a lui.]

Sancta Mater istud agas, Crucifixi fige plagas Cordi meo valide.

0 Santa Madre, imprimete profondamente nel mio cuore le piaghe di Gesù crocifisso.

Tui nati vulnerati, Tam dignati prò me pati, Pœnas mecum divide.

[Dividete con me i tormenti, che il Figliuolo vostro per me si è degnato di patire.]

Fac me tecum pie flere Crucifixo condolere, Donec ego vixero. ‘

[Fate che io piango pietosamente con voi, e compatisca tutti i giorni di mia vita, i patimenti del vostro Figlio crocifìsso].

Juxta crucem tecum stare, Et me tibi sodare In planctu desidero.

[D’or innanzi io voglio stare con voi a pie’della croce, ed associarmi ai vostri dolori].

Virgo virginum præclara, Mihi jam non sis amara; Fac me tecum plangere.

[O Vergine, la più pura delle vergini, non rigettate la mia preghiera; fate che io pianga con voi].

Fac ut portem Christi mortem, passionis fac consortem et plagas recolere

[Fate che io porti scolpita in me la morte di Gesù Cristo, il peso e la memoria delle sue piaghe.]

Fac me plagis vulnerari, fac me cruce inebriari, et cruore Filii.

[Fate che ferito dalle sue ferite, io m’innamori di questa croce e del sangue del vostro Figliuolo].

Flammis ne urar succensus, per te Virgo sim defensus, in die judicii.

[Vergine potente, difendetemi nel dì del giudizio, affinché non sia preda dell’eterne fiamme.]

Christe, cum sit hinc exire Da per Matrem me venire Ad palmam victoriæ.

[O Cristo Gesù, quando passerò da questo mondo, fate per intercessione della Madre vostra, che io ottenga la palma della vittoria.]

Quando corpus morietur Fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen.

[Quando il mio corpo morrà, ottenete all’anima mia la gloria del Paradiso.

Così sia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/04/19/le-omelie-del-curato-dars-venerdi-santo/

SALMI BIBLICI: “PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATIS” (CXVIII – 10)

SALMO 118 (10): PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATISr

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (10)

SIN

[161]. Principes persecuti sunt me gratis,

et a verbis tuis formidavit cor meum.

[162] Lætabor ego super eloquia tua, sicut qui invenit spolia multa.

[163] Iniquitatem odio habui, et abominatus sum, legem autem tuam dilexi.

[164] Septies in die laudem dixi tibi, super judicia justitiæ tuæ.

[165] Pax multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum.

[166] Exspectabam salutare tuum, Domine, et mandata tua dilexi.

[167] Custodivit anima mea testimonia tua, et dilexit ea vehementer.

[168] Servavi mandata tua et testimonia tua, quia omnes viæ meæ in conspectu tuo.

TAU.

[169] Appropinquet deprecatio mea in conspectu tuo, Domine; juxta eloquium tuum da mihi intellectum.

[170] Intret postulatio mea in conspectu tuo; secundum eloquium tuum eripe me.

[171] Eructabunt labia mea hymnum, cum docueris me justificationes tuas.

[172] Pronuntiabit lingua mea eloquium tuum, quia omnia mandata tua æquitas.

[173] Fiat manus tua ut salvet me, quoniam mandata tua elegi.

[174] Concupivi salutare tuum, Domine, et lex tua meditatio mea est.

[175] Vivet anima mea, et laudabit te, et judicia tua adjuvabunt me.

[176] Erravi sicut ovis quæ periit; quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (10).

SIN.

161. I principi mi han perseguitato senza ragione; ma il mio cuore temette le tue parole.

162. Mi goderò io sopra le tue parole, come chi abbia fatto acquisto di molta preda.

163. Ho avuta in odio e in abbominazione l’iniquità, ed ho amata la tua legge.

164. Sette volte al giorno ho a te dato laudi sopra i giudizi di tua giustizia.

165. Pace molta per quelli che amano la tua legge; e inciampo per essi non è.

166. Io aspettava, o Signore, la salute, che vien da te; e amai i tuoi comandamenti.

167. L’anima mia ha osservati i tuoi precetti, e gli ha amati ardentemente.

168. Ho osservato i tuoi comandamenti e le tue testimonianze; perché tutti i miei andamenti sono sotto degli occhi tuoi.

TAU.

109. Abbia accesso al tuo cospetto la mia preghiera, o Signore, secondo la tua parola dammi intelligenza.

170. Penetrino le mie suppliche al tuo cospetto: liberami, secondo la tua parola.

171. Canteranno le labbra mie inno di laude, quando mi avrai tu insegnate le tue giustificazioni.

172. La mia lingua annunzierà la tua parola; perocché tutti i tuoi precetti sono equii.

173. Stendasi la tua mano a salvarmi; perocché io preelessi i tuoi comandamenti.

174. L’anima mia, o Signore, ha desiderata la salute, che vien da te; e mia meditazione ell’è la tua legge.

175. Viverà l’anima mia e te loderà; e i tuoi giudizi saranno mio aiuto.

176. Andai errando qual pecora traviata cerca il tuo servo, perché io non mi sono scordato dei tuoi comandamenti.

Sommario analitico

Xa SEZIONE

161-176

In questa ultima parte, Davide considera Dio come il supremo remuneratore del combattimento che ricompensa e corona il vincitore.

I. Il Profeta si felicita nel vedere i suoi nemici vinti [161] e fa conoscere di quali armi si sia servito contro di essi:

1° il timore di Dio (161,

2° la gioia nella speranza della ricompensa (162),

3° l’odio dell’iniquità e l’amore della legge di Dio (163),

4° la lode continua di Dio, perché i suoi giudizi sono giusti, e le sue leggi richiudono la giustizia sovrana (164).

II. Dopo la guerra, egli spera:

1° una pace profonda e piena di dolcezza (165);

2° la salvezza eterna, che egli ha meritato:

a) per la sua viva speranza,

b) con il suo amore per la legge di Dio (166),

c) con l’osservanza fedele di questa legge (167),

d) per la considerazione della presenza di Dio in tutte le sue azioni (168).

III. – Benché egli giunga al porto, e sia sul punto di ottenere la corona, nel timore di far naufragio nel porto stesso, si rivolge a Dio e:

1° gli domanda:

a) che la sua preghiera penetri nella presenza di Dio,

b) che gli dia l’intelligenza (169),

c) che gli accordi la salvezza (170);

2° gli promette di essere riconoscente per tutta l’eternità per una sì grande grazia, lodando Dio,

a) a causa della sua giustizia, per cui ha le ricompense promesse (171),

b) a causa della sovrana equità della sua legge (172);

3° Egli domanda a Dio di tendergli una mano misericordiosa, per attirarlo e salvarlo con la grazia della perseveranza finale, e prova come non sia indegno di questa grazia:

a) perché ha preferito i comandamenti di Dio a tutte le cose della terra (173),

b) perché ha desiderato vivamente la grazia della salvezza,

c) perché ha meditato tutto il giorno la legge di Dio (174);

4° Grazie a questo soccorso potente che egli spera contro i nemici della salvezza:

a) la sua anima vivrà eternamente;

b) la sua bocca non cesserà di lodarlo (175),

c) e non temerà più di smarrirsi, come per il passato, perché conserva perpetuamente il ricordo della legge di Dio (176).

Spiegazioni e Considerazioni

X SEZIONE — 161-176

I. – 161-164

« I principi mi hanno perseguitato senza motivo, ed il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » In effetti in cosa i Cristiani nuocevano ai regni della terra, quando il loro Re aveva loro promesso il regno dei cieli? Il loro Re certo non proibiva ai suoi soldati di rendere ai re della terra il servizio che era loro dovuto! Non ha forse Egli detto ai Giudei che cercavano di calunniarlo su questo punto: « Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio? » (Matth. XXII, 27). Non aveva pagato Egli stesso il tributo estratto dalla bocca di un pesce? E ai suoi persecutori, rispondendo ai soldati di un regno terrestre che gli domandavano cosa dovessero fare per ottenere la salvezza eterna, invece di dire: “separatevi dai vostri centurioni, gettate via le vostre armi ed abbandonate il vostro re, per poter combattere per il Signore”, non ha loro detto: « Non usate violenza né frode verso nessuno, e contentatevi della vostra paga? » (Luc. III, 14). E ad uno dei suoi soldati ed uno dei più cari compagni non ha detto a coloro che combattevano con lui: « Ciascuno sia sottoposto alle autorità costituite; » (Rom. XIII, 1) ed un po’ più oltre: « … rendete ad ognuno ciò che è loro dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi l’onore, l’onore) » (Ibid. 17, 18).  Lo stesso Apostolo non ha ordinato che la Chiesa pregasse per gli stessi re? (1 Tim. II, 1, 2). In cosa dunque i Cristiani li hanno offesi? Cosa, non è stato reso di ciò che era dovuto,? In cosa i Cristiani hanno mancato nell’obbedire ai re? I re della terra hanno dunque perseguitato senza motivo i Cristiani. Ma vediamo cosa aggiunge il Profeta: « Il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » Senza dubbio i re hanno preferito delle parole minacciose: io vi esilierò, vi proscriverò, vi metterò a morte, vi lacererò con unghie di ferro, vi farò perire nelle fiamme, vi esporrò alle fiere, vi farò strappare le membra; ma più che tutte queste minacce, io sono stato colpito dalle vostre parole: « Non temete coloro che uccidono il corpo e non possono farvi più alcun male; temete piuttosto colui che può perdere sia il corpo che l’anima all’inferno. » (Matth. X, 28), (S. Agost.). – Ma ci sono altri persecutori: questi sono i princîpi di questo mondo, come li chiama S. Paolo, le potenze delle tenebre, che cercano di opprimere la vostra anima, che rinnovano dal di dentro tutto ciò che le persecuzioni hanno avuto di più crudele, promettendovi anche la potenza, gli onori, le ricchezze, se la vostra anima è debole nel cedere, per obbedire ai loro ordini. Questi principi vi perseguitano senza motivo, senza ragione. Essi perseguitano senza motivo colui che trovano non appartenere loro, e cercano di asservirlo al loro impero; ma essi non perseguitano senza motivo colui che si è votato interamente al loro potere, che è interamente sotto la potenza del secolo; perché essi esercitano un legittimo impero su coloro che dichiarano di appartener loro, e chiedono la ricompensa della loro iniquità … Quando mi perseguitano in questo modo, io ho un solo timore, che un giorno Gesù-Cristo non venga a rinnegarmi, che non mi escluda, che non mi respinga dall’assemblea dei sacerdoti, non mi giudichi indegno di questo augusto collegio. Che mi veda tremante davanti alle persecuzioni esteriori, purché io tema molto di più i giudizi della sua giustizia. (S. Ambr.). –  « Io gioirò delle vostre parole, come colui che ha trovato un ricco bottino. » Il timore che ha delle parole di Dio è buono, poiché produce in lui il trasporto della gioia. Colui dunque che conserva nella sua dimora, cioè nel suo cuore, le parole di Dio, ne escluda le parole dei principi, e trova la sua gioia nelle parole di vita uscite dalla bocca del Signore … « Io sono trasportato dalla gioia come colui che ha trovato un ricco bottino. » Io ho trovato, senza lavoro, ciò che non possedevo: io ho trovato i primi sette libri dell’Antico Testamento, ho trovato i libri dei Re, ho trovato i Salmi, ho trovato i Proverbi, ho trovato il Cantico dei cantici, ho trovato questo mirabile consigliere, Gesù-Cristo … Qual ricco bottino possiede colui che ha in se stesso il Verbo di Dio! Egli ha la certezza della resurrezione, ha la giustizia, la forza, la saggezza. Ha tutte le cose, perché tutte le cose sussistono in lui. Gli Ebrei hanno spogliato gli Egiziani ed hanno preso le loro ricchezze. I Cristiani possiedono oggi le spoglie dei Giudei, e noi abbiamo tutte queste ricchezze di cui essi non sapevano di esserne in possesso. Essi hanno asportato per noi come un bottino, l’oro e l’argento; e noi abbiamo ricevuto l’oro spirituale dell’anima, abbiamo acquistato l’argento della parola celeste. (S. Ambr.). –  « Io ho odiato l’ingiustizia e l’ho avuta in abominio. »  È a giusto titolo che colui che è rivestito delle armi della giustizia odi l’iniquità .. ma nessuno può odiare e fuggire l’iniquità se non colui che ama l’equità; così il Profeta aggiunge: « Io ho amato la vostra legge. » (Idem). –Il timore che gli avevano ispirato le parole di Dio non ne aveva generato l’odio, ma al contrario, aveva mantenuto il lui la carità nella sua integrità. In effetti, la Legge di Dio non è altro che le parole di Dio. Lungi dunque dal pensare che il timore distrugga l’amore, quando il timore è casto. (S. Agost.). – L’odio dell’iniquità è la misura dell’amore di Dio, poiché non si può amare nulla quando non si odia il suo contrario. – « Io vi ho lodato sette volte al giorno, a causa dei giudizi della vostra giustizia. » Questo numero di solito indica la totalità, perché Dio, dopo aver lavorato sei giorni, si è riposato nel settimo, e tutto il corso dei tempi si svolge lungo periodi di sette giorni che scorrono continuamente. (S. Agost.). – I giudizi della giustizia di Dio forniscono un’ampia ed eccellente materia di lode di Dio. – Non è mirabile, dice San Crisostomo, vedere le condizioni del mondo più esposte a questo preteso decadimento delle cure (di cui si fa obiezione nel mondo), essere quelle a cui Dio ha preso piacere di far apparire uomini più occupati della loro salvezza e più legati al suo culto? Davide era Re, ed un re guerriero: qual esempio non abbiamo nella sua persona? Trascurando di occuparsi di Dio per pensare al suo stato, e trascurando il suo stato per non occuparsi che di Dio? Egli conciliava l’uno e l’altro perfettamente. Nell’impegno degli affari pubblici, egli trovava dei momenti per ritirarsi e pregare sette volte al giorno; e nel mezzo della notte, egli usciva dal suo giaciglio reale per meditare la legge del Signore, tuttavia egli adempiva degnamente ai suoi doveri di re: sosteneva le guerre, metteva armate in piedi, rendeva giustizia al suo popolo, prendeva conoscenza di tutti, e mai la Giudea fu, come sotto di lui, un regno più felice e perfetto. (BOURD. Eloign. et fuite du monde.)

II. — 165-168

f. 165-168. – « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » La pace è il bene sovrano e la somma di tutti i beni. Essa è il fondamento della fede e la base di tutte le virtù. (S. Piet. Crisol.). – Essa è la dimora del Dio delle virtù: « è nella pace che ha fissato la sua dimore. » (Ps. LXXV, 2). Essa è il riposo più dolce dei santi: « Che la pace di Dio, che sorpassa ogni sentimento, regni nei vostri cuori e nelle vostre intelligenze in Gesù-Cristo. » (Filip. IV, 7). – Una delle condizioni essenziali di questa pace, è la carità: « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » Questa carità non si arresta nella contemplazione di Dio, essa abbraccia tutti i comandamenti della legge per metterli in pratica. È con l’osservanza della legge che Dio dà la pace all’anima. La pace, grazie a questo amore, a questa osservanza dei comandamenti, ci dà una tranquillità ed una sicurezza tra le più grandi; « non c’è per essi alcun punto di scandalo. » – Abbiamo detto in precedenza che la carità scaccia il timore; noi diciamo ora che essa lo esclude fino al minimo turbamento, perché colui che ama Dio ha, come sua parte, la profonda tranquillità di un’anima confermata nel bene (S. Ambr.). – Dove trovare la pace del cuore? Nell’assoggettarsi alla legge di Dio. Fuori da questo noi non la speriamo. Sì, mio Dio, è per coloro che amano la vostra Legge che c’è una pace interiore; non è giusto e neanche possibile, che sia per altri come per essi, perché essendo la vostra legge, come lo è, il principio dell’ordine, essa è essenzialmente il principio della pace. Pace incrollabile da parte di Dio, incrollabile da parte del prossimo, ed incrollabile anche da parte nostra (Bourd. Sur la paix chrét.). – Cercate dunque di gioire di questa pace; e la lussuria, la cupidigia, la collera, la voluttà, non facciano della vostra anima il teatro delle loro guerre intestine, e se proprio è necessario che siate attaccato, che l’attacco venga dal di fuori e non dall’interno. Combattete contro coloro che vi perseguitano, benché spesso convenga cedere loro in silenzio, perché è per voi che essi trionfano, la loro potenza è la vostra vittoria; essi sono vinti quando credono di essere i vincitori … Gioite dunque di questa pace abbondante che sorpassa ogni sentimento. Il fine ultimo e sovrano della saggezza, è che la nostra anima sia calma e tranquilla; il fine principale della giustizia, è che l’iniquità non possa turbare l’anima del giusto; la fine del coraggio quaggiù ed anche della forza corporale, è che alle fatiche e ai pericoli della guerra succedano le dolcezze della pace (S. Ambr.). – « … e non c’è per essi scandalo. Il Profeta vuol dire che la legge non è uno scandalo per coloro che la amano, o che non c’è alcuna parte di scandalo per coloro che amano la legge? I due sensi sono egualmente accettabili. In effetti, colui che ama la legge di Dio onora in se stesso ciò che non comprende, e quando gli sembra che essa dica una cosa strana, egli giudica di preferenza che non ci sia intelligenza di questa parola e che essa nasconda qualche mistero; ecco perché per lui la legge di Dio non è per lui oggetto di scandalo. D’altra parte, se non si vuole incontrare alcuno scandalo, non si esaminino gli uomini la cui professione è tutta santa, in modo da far dipendere la fede dai loro costumi, per timore che non vedano cadere qualcuno di cui avevano grande stima, e non sia preso e non perisca egli stesso nella trappola dello scandalo. Bisogna al contrario che egli ami la Legge di Dio in se stessa, e sarà per lui la sorgente di una pace profonda, senza mai causargli scandalo; perché egli amerà in tutta sicurezza una Legge sulla quale, è vero, molti uomini peccano, ma che è essa stessa esente da peccato. (S. Agost.). – Quaggiù vi sono tante cause ed occasioni di scandalo e di turbamento interiore: ora una donna ingannata dalle suggestioni del serpente che si sforza di tormentare lo spirito del marito; ora è un padre che si burla della fede di suo figlio; ora è uno sposo che insulta con i suoi oltraggi la pietà della sua sposa; … è lo spettacolo di un giusto nell’indigenza, di un empio nell’abbondanza; di un santo al quale Dio ha rifiutato dei figli, di un peccatore che ha tutto in abbondanza … figli, onori, dignità, reputazione. ma in tutte queste cose il vero giusto resta vincitore dicendo con l’Apostolo: « Chi ci separerà dalla carità che è in Gesù-Cristo? » (Rom. VIII, 55). Da un altro canto, la croce del Signore Gesù, altre volte scandalo per i Giudei, o follia per i gentili, lo è ancora per i pretesi saggi del mondo … non lasciatevi tentare, né turbare dai loro discorsi, non permettete ai loro pensieri di introdursi nella loro anima. Là dov’è la pace, ed una pace abbondante, la croce è un soggetto non di obbrobrio, ma di salvezza … La croce è un obbrobrio per colui che non ha la fede, ma, per il Cristiano fedele, essa è la grazia, la redenzione, la resurrezione, perché è per noi che il Signore ha sofferto, perché ci ha riscattati con il suo sangue, perché ci ha richiamati in cielo con la sua Resurrezione. Come potrebbe, colui che ha questa fede, essere turbato, allorché gli dà la speranza sì eccelsa del Regno dei cieli? (S. Ambr.). – « Io aspettavo la vostra salvezza Signore, ed ho amato i vostri comandamenti. » Colui che attende la salvezza, spera. La speranza precede dunque la carità, e la salvezza viene in seguito; la speranza precede l’azione, ecco perché colui che attende la salvezza compie i comandamenti di Dio. Così il Signore, nel Vangelo, chiama non più suoi servi, ma suoi amici, coloro che hanno osservato i suoi precetti. In effetti, colui che ama, agisce, e nell’agire merita la ricompensa del suo amore. (S. Ambr.). – Chi attende, desidera; chi desidera, soffre penosamente il ritardo; chi soffre geme, chi geme sente la sua miseria, ed è ben lungi dal ricercare i piaceri ed i divertimenti del mondo. – Aspettiamo il Signore, come un prigioniero aspetta il suo liberatore, un esule il suo richiamo, un malato il suo medico, un figlio suo padre, una sposa il suo sposo, un debitore il suo riscatto, un orfano oppresso il suo protettore e suo sostegno (Duguet). – « La mia anima ha conservato le vostre testimonianze, e le ha amate ardentemente. Amare è molto più che osservare; perché, come detto in precedenza, si osservano spesso i comandamenti per necessità o per timore, ma non appartiene che alla carità l’amarli. Così il salmista, dopo aver detto qui: « io ho osservato, » si affretta ad aggiungere: « Io ho amato, » per mostrare che questa fedeltà di osservare i comandamenti è ispirata dall’amore e non dal timore; colui che ama molto, osserva molto (S. Ambr.). – « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Felice colui che po’ dire: « Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, » e che non cerca di sottrarvi la conoscenza di tutti i suoi pensieri, di tutte le sue azioni. È così che Adamo cercava di nascondere a Dio la sua via, che Eva voleva nascondersi dopo la sua colpa, che Caino voleva nascondere la morte di suo fratello. Noi non possiamo che desiderare il nascondere le nostre vie a Dio, ma senza mai giungervi. Tuttavia, il crimine di colui che vuol sottrarsi ai suoi sguardi non è meno grande, benché possa non riuscire … Dio vede ciò che di più segreto c’è nel nostro cuore; ma Egli è buono, tuttavia, e ciascuno di noi gli apra e gli sveli la propria anima e vada davanti alla sua luce ed al suo calore … Così anche di coloro che dicono con il Profeta, a Gesù-Cristo, che è la via e la verità, coloro che desiderano entrare nella vera via con la loro fede, i loro costumi e tutta la condotta della loro vita: «Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi; » perché nessuna via può essere buona se non vi degnate di illuminarla con la vostra luce (S. Ambr.). – « Io ho dunque osservato i vostri comandamenti, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Il Salmista ha voluto farci intendere che Do ha riguardato le sue vie con occhio propizio ed incoraggiante, come lo domanda in un altro salmo: « Non voltate il vostro volto da me … » (Ps. XXVI, 9). Ogni via che non è sotto lo sguardo del Signore, non potrebbe essere la via della giustizia … Le vie dei giusti sono dunque sotto lo sguardo del Signore, perché Egli dirige i loro passi; perché queste vie sono quelle di cui è stato detto nel libro dei Proverbi: « Ora, il Signore conosce le vie che sono rette, ma quelle che sono a sinistra sono perverse … » (Prov. IV, 7). Ma per farci apprezzare i frutti di questa conoscenza che il Signore ha delle vie che sono rette, cioè le vie dei giusti, il libro dei Proverbi aggiunge: « Perché Egli raddrizzerà i vostri passi e vi condurrà in pace nel vostro cammino. » Ecco perché il Profeta dice anche: « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze. » E siccome noi gli domandiamo come abbia potuto osservarli, egli risponde: «Perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, Signore. » (S. Agost.)

III. — 169-176.

ff. 169-171. — « La mia preghiera, Signore, si sta avvicinando voi. » Una vita santa fa prendere alla preghiera il suo slancio, gli dà delle ali spirituali che elevano fino a Dio le preghiere dei santi. Lo spirito stesso nel quale noi preghiamo solleva la preghiera del giusto, soprattutto se essa esce da un cuore contrito e da un’anima compassionevole. Questa fiducia è il privilegio di un uomo consumato nella virtù. Nei versetti precedenti, il Profeta domandava che la parola di Dio fosse una luce per i suoi passi, per timore che non deviasse nella via che percorreva sulla terra. Ora che è avanzato in questa via, e che è giunto quasi al termine del viaggio, si eleva interamente più in alto. Egli dirige la sua preghiera verso il cielo, la invia in presenza del suo Signore e del suo Salvatore, dandogli, per elevarlo fin là, il soffio della giustizi, la brezza della saggezza, le redini della fede e della pietà, il sostegno dell’innocenza e della purezza. Perché il peccato appesantisce la preghiera e l’allontana da Dio, ed è tanto più appesantita quanto più la vita di colui che prega è maggiormente colpevole; al contrario, la preghiera dell’anima innocente e pura, sale e si eleva a Dio senza ostacoli … Impariamo allora come la nostra preghiera possa avvicinarsi a Dio, e ciò sarà per i nostri atti: se elevate le vostre azioni, voi avete elevato la vostra preghiera. Colui che sa elevare le sue mani dirige la sua preghiera alla presenza di Dio, come dice il Profeta in un altro salmo: « Che la mia preghiera si innalzi come l’incenso in vostra presenza, l’elevazione delle mani è come il sacrificio della sera » (Ps. CXL, 2) … Egli aggiunge: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola. » Considerate ciò che egli domanda: non è l’intelligenza in generale, ma l’intelligenza secondo la parola di Dio, perché c’è un’intelligenza che conduce alla morte, come c’è anche una prudenza che porta l’uomo alla sua perdita: « I figli di questo secolo, dice Gesù-Cristo, sono più scaltri nella condotta dei loro affari dei figli della luce. » (Luc. XVI, 8). Ma questa prudenza del secolo non ha alcuna utilità per la vita eterna; essa è tutta intera applicata nell’ottenere gli onori, ad accumulare i guadagni, le proprie ricchezze, piuttosto che attenta ad acquisire dei meriti per il cielo; essa è più versata nella scienza degli elementi di questo mondo che nella vera saggezza, come ogni filosofia che cerca ciò che è fuori dall’uomo, ignorando quel che interessa di più; essa gli fa scrutare l’immensità del cielo, percorrere la distesa della terra, cose non gli sono di utilità alcuna, e gli lascia ignorare completamente Dio, cioè Colui che dovrebbe essere l’unico oggetto delle sue ricerche. Così un vero saggio ci dice. « Se c’è qualcuno tra voi che si ritiene saggio secondo il secolo, diventi folle per divenire saggio » (I Cor. III, 18, 19) … possa io imitare questa follia che mi sembra saggia; possa io camminare sulle tracce di quest’uomo che dirige ogni sua intenzione verso Dio, che respinge anche gli onori che gli vengono offerti, che si preoccupa poco della filosofia profana, anche quando l’ha studiata, e come precedentemente, la dissimula come se la ignorasse e la dimentichi cessando di studiarla! Egli non cerca i propri interessi, ma l’utilità degli altri, e per se stesso non cerca che il possesso dei beni eterni. Costui può dire: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola, » cioè non secondo i filosofi, secondo gli avvocati, secondo i mercanti di questo secolo, secondo gli architetti dei palazzi, ma secondo la vostra parola, che è il fondamento della vera saggezza e delle buone opere, affinché possa posare su questo fondamento l’oro del suo cuore, l’argento dei suoi discorsi, le pietre preziose delle sue azioni, ed elevi così un edificio che non possa mai crollare, né perire. (S. Ambr.). – « Che la mia supplica penetri fino alla vostra presenza. » Vedete l’ordine che segue il salmista. Egli ha cominciato con il dire: « Che la mia preghiera si avvicini, » poi ha domandato a Dio di dargli intelligenza secondo la sua parola, ed in terzo luogo: « Che la mia supplica – dice – penetri fino alla vostra presenza. » Forse il Signore non ci invita con una certa familiarità, non ci riserva un’accoglienza piena di affetto? Quando desiderate presentarvi ad un uomo potente della terra, non vi avvicinate dapprima alla sua casa, non cercate poi di informarvi, di rendervi edotto sul carattere di colui che l’abita; infine non domandate di entrare, per non essere esposto ad essere rigettato? Bussate dunque alla porta del palazzo celeste; bussate, non con la mano del corpo, ma come con la mano destra della preghiera. Non è soltanto la mano che bussa, ma anche la voce, perché è scritto: « La voce del mio diletto bussa alla porta. » (Cant. V, 2). Bussate alla porta, è Gesù-Cristo che è questa porta, Egli che ha detto: « Se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvato. » (Giov. X, , 9).  Quando avrete così bussato alla porta, vedrete come vi entrerete, per timore che dopo essere entrati non siate ammessi alla presenza del re. Ci sono molti che entrano nei loro palazzi e non sono immediatamente introdotti presso questi re della terra; essi spiano per lungo tempo il momento in cui potranno infine vederli. Essi non si lusingano di ottenere da se stessi questo favore, ma vengono presentati solo dopo un ordine, e cominciano col rivolgere una richiesta onde essere ricevuti con benevolenza, ed hanno cura di evitare tutto ciò che possa infastidire o essere disdicevole. Quanto più noi dobbiamo pregare Dio perché con la nostra preghiera si possa attraversare la porta della sua misericordia! … Ora, qual è l’oggetto di questa preghiera? È l’essere liberato da questo combattimento che si sostiene contro le potenze del male e contro le tentazioni e le prove di questa vita (S. Ambr.). – «  Le mie labbra si apriranno per lodarvi, quando mi avrete insegnato le vostre giustizie. » Costui può aprire legittimamente le proprie labbra per lasciarne uscire le lodi di Dio, colui che può dire: « Noi siamo il buon odore di Gesù-Cristo per Dio » (II Cor. II, 45), che ha cominciato a gustare la soavità dei precetti del Signore. Si, la sua bocca si spande in inni di lode, se comincia a produrre una buona parola (Ps. XLIV, 2). Davide, precedentemente ha prodotto questa buona parola; qui le sue labbra si aprono in inni di lode. In effetti, egli ha gustato questo pane sì pieno di soavità che è disceso dai cieli, e di cui è detto: colui che mangerà di questo pane non morrà in eterno. La parola di Dio ha anche i suoi festini, gli uni più forti, più sostanziali, come la Legge, ed il Vangelo; gli altri più soavi e squisiti, come i Salmi e i Cantici dei cantici. La Chiesa o l’anima pia, faceva risentire questo inno, essa a cui Dio il Verbo diceva: « Il vostro sposo diceva: la vostra voce è giunta alle mie orecchie, perché la vostra voce è dolce, » (Cant. II, 14), ed anche quella a cui lo sposo diceva: « La vostre labbra, mia sposa, sono il raggio che distilla il miele; il miele ed il latte sono nella vostra bocca. » (Ibid. IV, 11). Ma nessuno può elevare i suoi inni di lode, se non ha prima appreso le giustizie di Dio, e se non le ha apprese alla scuola di Dio stesso. Anche Davide chiede in modo speciale che Dio si degni di insegnargli, perché egli aveva appreso per ispirazione dello Spirito che non vi era che un solo Maestro; » (Matth. XXIII, 10); e dappertutto vediamo domandare che Dio voglia ben rendersi suo maestro, ed insegnargli i suoi ordini, pieni di giustizia … Nutriteci dunque Voi stessi delle vivande squisite che racchiudono le sante Scritture, e che questo nutrimento resti per la vita eterna. Qualunque sia il nutrimento di tutti i giorni, prendete questo alimento divino per riempirvi, perché la vostra anima possa espandersi abbondantemente in parole celesti. È così pure che il Profeta voleva essere riempito quando diceva (Ps, LXXVIII, 8): « Che la mia bocca si riempia di lodi, affinché io canti la vostra gloria. » (S. Ambr.).   

ff. 172-176. – « La mia lingua loderà la vostra legge, perché tutti i vostri comandamenti sono peni di equità. » Colui che è stato istruito delle giustizie di Dio, proclama la parola di Dio, e colui la cui bocca si apre per proclamare la parola di Dio non dice parola vana. La parola vana è quella che ha per oggetto le opere degli uomini (Ps. XVI, 4). Ecco perché il santo Profeta domanda a Dio questa grazia che la sua bocca non parli il linguaggio delle opere degli uomini, perché è una parola non solo vana, ma pericolosa e di cui dobbiamo rendere conto al giudizio di Dio (Matth. XII, 36). Non è ad un pericolo ordinario che vi esponete, quando avendo tanti libri santi nell’Anrico e nel Nuovo Testamento, che racchiudono la recita delle opere di Dio, voi li lasciate con negligenza, per non parlare, per non intendere, per non gustare che il linguaggio del secolo (S. Ambr.). – « Stendete la vostra mano per salvarmi, perché io ho scelto i vostri comandamenti. » Il Profeta sembra qui chiedere l’avvento del Signore, perché la mano di Dio, è Gesù-Cristo, che in altro salmo egli chiama la destra di Dio « La destra del Signore ha fatto splendere la sua potenza, la destra del Signore mi ha elevato (Ps. CXVII, 16) … Colui che ha scelto volontariamente e di buon grado i comandamenti di Dio, gli chiede con sicurezza di accordargli il suo soccorso divino, (S. Ambr.). « Io ho desiderato, Signore, la vostra salvezza, e la vostra legge è la mia meditazione. » Gli uni gioiscono nella speranza di vivere lungo tempo e desiderano prolungare questa vita del corpo fino al limite dell’estrema vecchiaia; gli altri sono tormentati dalle infermità della malattia, senza che possano dire con San Paolo: « … è quando sono debole che sono forte. » (II Cor. XII, 10). Essi si stimano felici se godono di una salute inalterabile, essi per i quali l’infermità non sarebbe un’occasione di salvezza. Ora nessuno di essi può dire: « Io ho desiderato la vostra salvezza, Signore, » perché essi cercano piuttosto la salute del loro corpo che la salute di Dio, ed obbediscono piuttosto ai medici che alle Scritture. I precetti della medicina sono nocivi per coloro che si applicano alla conoscenza delle cose divine: essi allontanano dal digiuno, proibiscono le veglie, si oppongono ad ogni idea di meditazione. Colui dunque che si affida ai medici rinuncia ad ogni libertà; colui invece che cerca la salute di Dio, segue Gesù-Cristo, la vera salvezza di Dio; egli cerca non ciò che può lusingare il suo corpo, ma i beni eterni, mentre vive in questo corpo, e si applica interamente, notte e giorno, alla meditazione dei decreti divini (S. Ambr.). –  « La mia anima vivrà e vi loderà, ed i vostri giudizi saranno il mio sostegno. » È la ricompensa della vita futura, e non quella della vita presente, che qui spera il Profeta; perché come chiamare una vita di cui è scritto: « Voi mi ridurrete alla polvere della morte. » (Ps. XXI, 16) … Qual vita quella dell’anima coperta da questo involucro di morte! Qual è questa vita che passa come un’ombra? Noi siamo nella regione dell’ombra di morte; la nostra vita è nascosta, non è libera, non avrà tutta la sua libertà, tutta la sua espansione, che nella regione dei viventi, nella quale il giusto ha la certezza di poter piacere a Dio (Ps. CXIV, 9). È là che la nostra anima vivrà veramente, perché non avrà più questo rivestimento di morte e di infermità, e non avrà da pagare il debito del peccato; è là che essa loderà il Signore, allorché avendo spogliato il suo corpo debole ed infermo, comincerà ad essere simile al corpo glorioso di Gesù-Cristo … Ora, i giudizi di Dio sono veramente l’appoggio dei Santi, quando Dio dà alle loro buone opere la ricompensa della vita eterna. Beato colui che può dire: « E i vostri giudizi, saranno il mio appoggio. » Io sono debole, e la coscienza che ho dei miei peccati mi ispira il timore, il terrore dei giudizi di Dio. Questo pensiero mi turba e mi spaventa, mentre esso è il sostegno e la meditazione dei Santi. Tuttavia questi giudizi, possono essere la forza ed il sostegno del peccatore, benché in altro modo. Il santo vi trova il suo sostegno quando è provato, il peccatore trova pure il suo sostegno quando è umiliato, castigato, quando paga il doppio per i suoi crimini, le suo opere consumate, purché sia salvato, ma come per il fuoco.  (S. Ambr.). – « Ho errato come pecora smarrita; cercate il vostro servo, perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Quanto facile è per l’uomo lo sbandarsi lungo la via larga che lo conduce alla perdizione e alla morte! Quanto stretta è la via che riporta a casa e alla vita! (Matth. VII, 13). Il nostro spirito si smarrisce tutte le volte che pratichiamo il sentiero dell’errore; il nostro cuore erra tutte le volte che si abbandona a desideri colpevoli. Ma se siamo forzati nel dire con il Re- Profeta: « Io mi sono smarrito come la pecora che va a morire, » cerchiamo almeno di aggiungere con lui: « cercate il vostro servo, perché la pecora che si è smarrita deve esser cercata dal pastore, perché in pericolo di morire. Ecco perché il Profeta dice: « io ho errato ». Confessate dunque anche le vostre iniquità al fin di essere giustificati. Questa confessione delle vostre colpe è comune a tutti gli uomini, perché nessuno quaggiù è senza peccato; negare questa verità, è un sacrilegio, perché Dio solo è senza peccato. Fare a Dio la confessione delle proprie colpe, è il solo modo di sfuggire al castigo. « Io ho errato » – egli dice – ma colui che ha sbandato, può rientrare nella via, può essere ricondotto sulla retta via… « Cercate il vostro servo, perché io non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite dunque, Signore Gesù, cercate il vostro servo, cercate questa pecora stanca e affaticata, venite buon Pastore, cercate di nuovo le pecore di Giuseppe. La vostra pecora si è smarrita mentre voi tardavate a venire e percorrevate le montagne. Lasciate dunque le novantanove altre pecore e correte alla ricerca della sola che si è smarrita. Venite senza i cani, senza i cattivi operai, venite senza mercenari, che non possono entrare dalla porta; venite senza assistente, senza messaggero, da tempo attendo la vostra venuta. Io so che dovete venire, « perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite, non con la verga, ma con la carità e lo spirito di dolcezza. Non esitate a lasciare sulle montagne le altre novantanove pecore; perché su queste montagne esse sono al riparo dalle escursioni dei lupi … Venite a me che sono esposto ai loro attacchi; venite a me che, dopo essere stato cacciato dal Paradiso, sono in preda alle suggestioni velenose del serpente, perché mi sono separato dal resto del gregge. Voi mi avete posto nel Paradiso, ma il lupo mi ha fatto uscire dall’ovile durante la notte. Cercatemi, perché anche io vi cerco; degnate di prendere sotto la vostra protezione colui che avete trovato e ponete sulle vostre spalle colui di cui vi dichiarate il protettore. Non disdegnate questo pio fardello, non sia per Voi questo trasporto un carico. Venite, dunque Signore, perché io ho errato, tuttavia « io non ho dimenticato i vostri comandamenti, », ho conservato la speranza della mia guarigione. Venite, Signore, perché soltanto Voi potete richiamare questa pecora sbrancata. E correndo alla mia ricerca Voi non contristerete coloro che lasciate, perché essi stessi gioiranno del ritorno del peccatore. Venite ad operare la salvezza sulla terra e dare al cielo un grande motivo di gioia. Venite dunque e cercate la vostra pecora, non con i mercenari, ma da Voi stesso. Ricevetemi in questa carne decaduta in Adamo … portatemi sulla croce che è la salvezza dei peccatori smarriti, il solo riposo delle anime affaticate, la fonte unica di vita per tutti coloro che son morti. (S. Ambr.).  

SALMI BIBLICI: “MIRABILIA TESTIMONIA TUA” (CXVIII – 8)

SALMO 118 (8): “Mirabilia testimonia tua”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (8)

PHE.

[129] Mirabilia testimonia tua,

ideo scrutata est ea anima mea.

[130] Declaratio sermonum tuorum illuminat, et intellectum dat parvulis.

[131] Os meum aperui, et attraxi spiritum, quia mandata tua desiderabam.

[132] Aspice in me, et miserere mei, secundum judicium diligentium nomen tuum. [133] Gressus meos dirige secundum eloquium tuum, et non dominetur mei omnis injustitia.

[134] Redime me a calumniis hominum ut custodiam mandata tua.

[135] Faciem tuam illumina super servum tuum, et doce me justificationes tuas.

[136] Exitus aquarum deduxerunt oculi mei, quia non custodierunt legem tuam. SADE.

[137] Justus es, Domine, et rectum judicium tuum.

[138] Mandasti justitiam testimonia tua et veritatem tuam nimis.

[139] Tabescere me fecit zelus meus, quia obliti sunt verba tua inimici mei.

[140] Ignitum eloquium tuum vehementer, et servus tuus dilexit illud.

[141] Adolescentulus sum ego et contemptus; justificationes tuas non sum oblitus.

[142] Justitia tua, justitia in æternum, et lex tua veritas.

[143] Tribulatio et angustia invenerunt me; mandata tua meditatio mea est.

[144] Æquitas testimonia tua in æternum; intellectum da mihi, et vivam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (8).

PHE.

129. Mirabil cosa ell’è la tua legge; per questo ne ha l’alto diligente studio l’anima mia

130. La sposizione di tue parole, illumina, e dà intelletto ai piccoli.

131. Apersi mia bocca, e a me trassi le spirito, perché anelava a’ tuoi comandamenti.

132. Volgi a me gli occhi ed abbi pietà di me, come tu suoli di que’ che amano il nome tuo.

133. Indirizza i miei passi secondo la tua parola, e veruna ingiustizia non regni in me.

134. Liberami dalle calunnie degli uomini, affinché io osservi i tuoi precetti.

135. Fa risplendere sopra il tuo servo la luce della tua faccia, e insegnami le tue giustificazioni.

136. Rivi di lacrime hanno sparso i mici occhi, perché non hanno osservato la tua legge.

SADE.

137. Giusto se’ tu, o Signore, e retti sono i tuoi giudizi.

138. Tu strettamente comandasti la giustizia, o la tua verità ne’ tuoi precetti.

139. Il mio zelo mi consumò, perché i miei nemici si sono scordati di tue parole.

140. La tua parola è grandemente infiammata, e il tuo servo l’amò.

111. Piccolo son io ed abbietto: di tue giustificazioni non mi scordai.

142. La tua giustizia è giustizia eterna, e la tua legge è verità.

143. Mi sorpresero le tribolazioni e gli affanni; i tuoi precetti sono la mia meditazione.

144. Equità eterna sono le tue testimonianze; dammi intelligenza aftinché io abbia vita.

Sommario analitico

VIII SEZIONE

129-144.

Nelle due sezioni precedenti, Davide ha chiesto a Dio dei soccorsi contro le imboscate e gli attacchi aperti dei suoi nemici. Ora, riconoscendosi colpito dai loro dardi, implora la misericordia e la giustizia di Dio.

I. Prima di implorare la misericordia di Dio, fa l’elogio della sua Legge e dichiara:

1° che essa è mirabile, ed è per questo che è l’oggetto della sua meditazione (129);

2° che la spiegazione di questa Legge diffonde nell’anima dei piccoli, delle meravigliose chiarezze (130);

3° Che il desiderio di questa Legge dà all’anima una forza nuova ed un vigore tutto spirituale (131).

II. Dopo questo elogio della Legge di Dio, egli espone l’oggetto della sua domanda e prega Dio:

1° di gettare su di lui uno sguardo di misericordia (132);

2° di dirigerlo nelle sue vie, affinché non sia dominato da alcuna ingiustizia (133);

3° Di liberarlo dalle calunnie degli uomini, affinché possa osservare i comandamenti di Dio (134);

4° di illuminarlo con la sua divina luce e di insegnargli Egli stesso i suoi comandamenti (136).

III. – Egli osa appressarsi al tribunale della giustizia e ricordare a Dio le ragioni che ha per essere esaudito:

1° deplora sia le proprie colpe che le prevaricazioni degli altri (136); 

2° loda Dio: – a) per la giustizia che gli è propria ed inerente, e la rettitudine dei suoi giudizi (137), – b) per l’equità dei suoi giudizi (138);

3° espone a Dio le ragioni che appoggiano la sua preghiera:

a) il suo zelo ed il suo dolore alla vista delle prevaricazioni (139)

b) la cura che ha avuto nell’apprendere e conservare i suoi comandamenti, anche in una età in cui tutto cospira a farli dimenticare (141);

4° domanda a Dio di dargli l’intelligenza per preservarlo da ogni ricaduta e conservare la vita che gli ha reso, e per questo:

a) proclama di nuovo che la legge di Dio, in questo ben diversa dalle leggi umane, è giusta e la giustizia stessa, e non una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna (142);

b) Ricorda l’afflizione e l’angoscia che sono venute a fondersi su di lui, ed il rimedio che ha trovato contro di esse nella meditazione della legge di Dio (143);

c) Riconosce che Dio non punisce sempre in virtù della sua severa giustizia, ma per un effetto della sua equità e della sua bontà, e conclude domandando l’intelligenza che deve dargli la vita (144). 

Spiegazioni e Considerazioni

VIII SEZIONE — 129-144.

I. – 129-131.

ff. 129-131. – « Le vostre testimonianze sono ammirevoli, ecco perché la mia anima le ha scrutate. » Chi potrebbe enumerare, anche in generale, le testimonianze di Dio? Il cielo, le nuvole visibili, le nubi visibili ed invisibili, rendono, in una certa maniera, testimonianza della sua bontà e della sua grandezza; ed il corso abituale e regolare della natura, nella quale si svolge il tempo, porta con sé cose di ogni specie … , se le si considera religiosamente, non rendono testimonianza al Creatore? Quali di queste cose non sono meravigliose, se misuriamo ciascuna di esse non con l’indifferenza che ne dà l’uso, ma con la nostra ragione? E se sappiamo abbracciarle tutte insieme in un solo colpo d’occhio, non avvertiamo ciò che ha fatto il Profeta: « Io ho considerato le vostre opere, e questa vista  mi ha gettato nello spavento? » (Habac. III, 1). – Lo stupore non ha prodotto questo terrore nel Salmista; esso è stato piuttosto la causa dello studio profondo che egli faceva delle sue opere, perché esse sono ammirevoli, come se la difficoltà di questa investigazione non avesse fatto che accrescere la sua curiosità. Inoltre, in effetti, più le cause di una cosa sono misteriose, più questa cosa è ammirevole e stupefacente. (S. Agost.). – « La rivelazione delle vostre parole chiarisce e dà l’intelligenza ai piccoli. » Bisogna essere rischiarati prima in se stessi nella parola di Dio, prima di illuminare gli altri. I piccoli, cioè gli umili, sono i soli che possono ricevere e dare l’intelligenza di questa divina parola: « Io vi rendo gloria o Padre mio, Signore del cielo e della terra, perché avete nascosto queste cose ai saggi ed ai prudenti, e le avete rivelate ai piccoli. »  (Matth. XI, 25). – Che desiderava il salmista, se non praticare i comandamenti di Dio? Ma questo desiderio non era sufficiente, perché debole potesse compiere delle cose forti, e piccolo, delle cose grandi; egli ha dunque aperto la bocca domandando, cercando, bussando (Matth. VII, 7); egli ha aspirato con una sete ardente, allo spirito di ogni bene, alfine di compiere ciò che non poteva fare da se stesso, il comandamento di Dio, santo, giusto e buono. (Rom. VII, 12), (S. Agost.). – Comprendete qual sia questa bocca che bisogna aprire per attirare lo spirito: è la bocca dell’anima, che ha anche le sue membra. Aprite questa bocca, non soltanto a Gesù-Cristo che vi dice: « Aprite la vostra bocca ed io la riempirò, » (Ps. LXXX, 11), ma ancora al discepolo di Gesù-Cristo, che ha aperto la sua bocca a Gesù-Cristo perché la riempia, e che dice con fiducia ai Corinti: « La mia bocca si apre, ed il cuore si dilata verso di voi » (II Cor. VII). Egli ci insegna così ad essere imitatori, come egli lo è di Gesù-Cristo. Colui che è più perfetto apre la sua bocca a Gesù-Cristo, colui che lo è meno, al discepolo di Gesù-Cristo. (S. Ambr.). – Noi apriamo questa bocca in tre maniere per attirare in noi lo spirito: – 1° con il desiderio; questo spirito non entra da se steso nella nostra anima, Egli vuole essere desiderato, attirato e risucchiato, come il bambino succhia il latte dal seno di sua madre; – 2° con la preghiera: « egli aprirà la sua bocca per pregare, ed implorerà il perdono dei suoi peccati, perché se il Signore sovrano lo vuole, lo riempirà dello Spirito di intelligenza, e spanderà come la pioggia le parole di saggezza. » (Eccli. XXXIV, 7) ; » – 3° con la predicazione e le conversazioni spirituali: «Io ho aperto la bocca ed ho attirato lo spirito. » Egli non attirerebbe lo spirito se non aprisse la bocca; vale a dire che se non si applicasse interamente ad insegnare agli altri, non verrebbe a crescere in lui la grazia della dottrina celeste. (S. Greg.). 

II. — 132-136

ff. 132 – 135. – « Gettate gli occhi su di me, ed abbiate pietà di me. » Due sono gli sguardi di Dio, l’uno di giusta collera, l’altro di misericordia; è quest’ultimo che il salmista implora, ed è per questo che aggiunge: « ed abbiate pietà di me. » – « Dirigete i miei passi secondo la vostra parola. » Questi non sono i progressi dell’anima, come vediamo chiaramente in un gran numero di passi della Scrittura. Cosa dice qui il salmista se non: fatemi retto e libero secondo la vostra promessa? Ora, più l’amore di Dio regna in un uomo, e meno in lui domina l’iniquità. Cosa domanda di conseguenza, se non amare Dio se non mediante un dono di Dio stesso? In effetti, amando Dio, egli ama se stesso, alfine di poter amare santamente anche il prossimo come se stesso … Cosa domanda dunque, se non che Dio gli faccia compiere con il suo aiuto i precetti che gli ha imposto con i suoi ordini? (S. Agost.). – Egli domanda al Signore di dirigere i suoi passi non secondo le vie del mondo, non secondo la gloria umana, non secondo le voluttà del corpo, ma secondo la parola di Dio. Se qualche impedimento non viene a fargli da ostacolo, se non è circondato da nemici da ogni lato, egli potrebbe fermare i suoi passi nella via che percorreva; ma esistendo dappertutto delle imboscate, la guerra è dichiarata dappertutto; egli ha dunque bisogno di un soccorso superiore affinché non lo domini alcuna ingiustizia. (S. Hilar.).  « Liberatemi dalle calunnie degli uomini. » Noi non siamo tormentati da un solo genere di afflizioni; ci sono le tentazioni, ci sono le calunnie, ma la calunnia è sempre una tentazione. Ci sono tentazioni che non oltrepassano le forze umane e che possiamo sopportare, ma la calunnia è tanto più travolgente in quanto che non solo ricorre alla menzogna e parla contro la verità, ma snatura le azioni più sante. « Liberatemi, dice il Profeta, dalla calunnia degli uomini, affinché io possa osservare i vostri comandamenti; » perché colui che è oppresso dalla calunnia non può facilmente osservare i suoi comandamenti; egli soccombe necessariamente o alla tristezza, o al timore, e si rattrista o per il timore della calunnia o per il dolore (S. Ambr.). – La calunnia è una delle tentazioni più delicate per i santi: – 1° perché hanno talmente in orrore il vizio, che non possono soffrirne nemmeno l’ombra in se stessi; – 2° perché la malignità degli uomini è così grande, che essi credono facilmente al male che si dice degli altri; – 3° perché, in tante circostanze, è difficile provare la propria innocenza; – 4° perché prima che possano dimostrare la falsità della calunnia, essi sono condannati ed oppressi; – 5° perché la calunnia, anche se combattuta e rifiutata, lascia sempre cadere qualche sospetto; – 6° perché essa è sovente causa od occasione di scandalo. – « Fate brillare sul vostro servo la luce del vostro volto. » Dio illumina i suoi Santi e fa brillare la sua luce nel cuore dei giusti. Quando dunque voi vedete un vero saggio, sappiate che la gloria di Dio discende su di lui, ed ha illuminato il suo spirito con le chiarezze della scienza e della conoscenza di Dio … È al Messia, al Signore Gesù, che Davide fa questa preghiera. Egli desiderava vedere la faccia del Cristo, perché il suo spirito fosse illuminato dai suoi splendori; queste parole possono dunque intendersi per mezzo dell’Incarnazione, nel senso di queste parole del Salvatore (Luc. X, 24):  « Un gran numero di profeti e di giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete. » (S. Ambr.). – Dio fa splendere questa luce del suo volto, quando ci dà il suo Spirito; perché come colui che non ha occhi non può vedere l’oro più brillante né le pietre più splendenti, così colui che non ha lo Spirito di Dio non può vedere questa luce del suo volto, né della sua verità, che brilla da ogni parte nelle Scritture (Ciril. Aless.).

ff. 136. — « I miei occhi hanno versato torrenti di lacrime, perché non hanno custodito la vostra legge. » È ricordando il punto di inizio del suo doppio crimine di adulterio e di omicidio, che Davide pronuncia queste parole e fa questa confessione. –  I nostri peccati, sono l’unico legittimo soggetto delle nostre lacrime, e non dovremmo mai  consolarci nell’aver commesso tanti peccati, se non deplorandoli e ripararli. « Che possa io fare scorrere dai miei occhi, giorno e notte, un torrente di lacrime, che non mi dia tregua, e la pupilla dei miei occhi non riposi. » (Lam. de Ger. II, 18). – Davide aveva dei buoni motivi per le lacrime: i crimini commessi in famiglia, la morte tragica dei suoi figli, ma non è questo che egli deplora qui; ciò che fa scorrere le sue lacrime è il fatto che non abbia osservato la legge di Dio (S. Ambr.). – È la vera voce della penitenza che qui si fa intendere, il pregare spandendo delle lacrime, il mescolare i suoi gemiti con le sue lacrime, in modo da poter dire: « il mio giaciglio, tutte le notti, sarà bagnato dalle miei pianti, ed il mio letto irrorato dalle mie lacrime. » (Ps. VI, 6). Ecco quello che ottiene il perdono dei nostri peccati: l’aprire una vera sorgente di lacrime, fino ad esserne coperto ed inondato. (S. Hilar.).

III. —137-144.

ff. 137, 138. –  « Voi siete giusto, Signore, ed il Vostro giudizio è retto. » Ecco un vero giusto: egli versa torrenti di lacrime, è circondato dai dolori, espia i suoi peccati con severi castighi; tuttavia non è né vinto dal nemico, né vinto dal terrore, né stanco per le fatiche, né abbattuto dalla tristezza … Proclamando la giustizia di Dio, egli confessa la propria ingiustizia, ma spera anche il perdono dalla giustizia di Dio … tutti i saggi dicono dunque: « Voi siete giusto, Signore, ed il vostro giudizio è retto; » perché non è mai senza un giudizio particolare di Dio, che noi siamo esposti ai nostri nemici, e cadiamo nella tribolazione. È questo giudizio di Dio che fa la consolazione dei giusti. Come il salmista ha detto più in alto: « Io mi sono ricordato dei vostri giudizi e sono stato consolato. » (S. Ambr.). – Ogni uomo che pecca, deve temere questa giustizia di Dio ed il suo giudizio sempre retto e la sua verità. È questo, in effetti, ciò che fa la condanna divina di tutti coloro che sono riprovati, e nessuno di essi può portare lamentele contro la giustizia di Dio, per la sua condanna. Le lacrime del penitente sono dunque giuste; perché se fosse condannato per la sua impenitenza, egli sarebbe, senza alcun dubbio, condannato molto giustamente. Il Profeta dà dunque, con ragione, il nome di giustizia alle testimonianze di Dio; perché ordinando l’osservanza della giustizia, Dio dimostra la sua giustizia; e la sua giustizia è ancora la verità, di modo che Dio si manifesta con questa duplice testimonianza. (S. Agost.). – « Voi avete comandato che si osservassero i vostri comandi con estrema cura, », o meglio, « Voi avete comandato severamente che si osservassero i vostri comandamenti. » La parola “nimis”, si deve riportare a Dio che comanda che si osservi la sua verità, o alla sua verità che dobbiamo osservare con cura estrema? L’uno e l’altro senso sono degni di Dio; perché era degno della sua misericordia fare un comandamento espresso e severo a delle creature sì negligenti e spesso sì ribelli; ma era pur giusto che raccomandasse agli uomini, tanto disposti alla menzogna, di avere per la sua verità un amore che andasse fino all’eccesso.    

ff. 139-141. – « L’ardore del mio zelo mi consuma, perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » È lo stesso sentimento di zelo dal quale l’anima del grande Apostolo era divorato per i suoi fratelli, quando esclamava: « Io dico la verità nel Cristo, non mento, e la mia coscienza mi rende questa testimonianza con lo Spirito Santo, che una profonda tristezza è in me ed un dolore continuo è nel mio cuore. » (Rom. IX, 1). –  Dunque è in buona parte che bisogna prendere qui lo zelo geloso del Profeta, perché ne indica la causa aggiungendo: « Perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » Essi dunque rendono il male per il bene, poiché il salmista risentiva nei loro riguardi, per la causa di Dio, uno zelo sì violento e sì ardente che ne era disseccato. Quanto ad essi, essi avevano odio contro di lui, perché voleva guadagnare all’amore di Dio coloro che, per amore, seguiva con il suo zelo. (S. Agost.). – Quali erano i suoi nemici? Questi non erano né i Giudei sottomessi al suo impero, né i Gentili che, non conoscendo la legge di Dio, non possono ignorare le sue parole. I nemici di Davide, erano i nemici di Dio .. perché non c’è maggior nemico per l’uomo di coloro che si ribellano al Creatore di tutti gli uomini. (S. Ambr.). – Ad esempio del Re-Profeta, il nostro zelo per la gloria di Dio ci fa disseccare quando noi vediamo che si trasgrediscono le sue volontà. Qual è ad esempio il nostro dolore, quando vediamo uno dei membri del popolo di Dio divenire schiavo del secolo, operaio del demonio, vaso di morte, una vittoria dell’inferno? Noi secchiamo dunque di dolore, quando vediamo i Cristiani darsi alla dissolutezza dei festini in giorno di digiuno; il nostro zelo ci riempie di una santa collera, quando un Cristiano affetta una insolente arroganza riguardo ai suoi fratelli; noi siamo penetrati di dolore per Dio, quando vediamo un corpo che è il  membro consacrato del corpo di Gesù-Cristo piombare in ignominiose voluttà. (S. Hilar.). – « La vostra parola è tutta di fuoco, ed il vostro servo l’ha amata. » È il fuoco divino che Gesù-Cristo è venuto a portare sulla terra. Fuoco veramente salutare che non ha virtù se non di scaldare e che non brucia se non i nostri peccati … fuoco della divina parola che unisce queste tre proprietà di purificare, infiammare, illuminare: esso purifica la nostra anima, secondo le parole del Salvatore: « Voi siete puri a causa della parola che vi ho annunciato., » (Giov. XV, 3); egli ci infiamma come i discepoli di Emmaus, quando dicevano: « Non ardeva il nostro cuore quando ci parlava lungo il cammino e ci spiegava le Scritture? » (Luc. XXIV, 33); egli ci illumina, come lo stesso profeta dice più in alto: « La vostra parola è una fiamma che guida i miei passi, una luce che rischiara i miei sentieri. » (S. Ambr.). – È il fuoco che prova l’oro degli Apostoli, questi fondamenti della Chiesa; il fuoco che purifica l’argento delle nostre opere; il fuoco che estrae la brillantezza delle pietre preziose; il fuoco che consuma il fieno e la paglia. Come Davide, questo buon servitore, non potrebbe amare la parola di fuoco che ispira la carità e che allontana il timore? (Idem). – Io sono giovane e disprezzato, ma non ho dimenticato le leggi della vostra giustizia. » Io non fatto come i miei nemici più anziani che hanno dimenticato le vostre parole. Più giovane d’età, egli non ha dimenticato i giusti ordini di Dio, e sembra rattristarsi sui suoi nemici più anziani che li hanno obliati. Riconosciamo qui i due popoli che lottavano nel seno di Rebecca quando le fu detto: non in ragione delle opere dei miei figli, ma in ragione della volontà di Dio: il più anziano, servirà il più giovane. (Gen. XXV, 22, 23). Ma il più piccolo si dice qui disprezzato, perché egli è divenuto il più grande; perché Dio ha scelto di preferenza ciò che è vile e disprezzabile secondo il mondo, e le cose che non sono, per distruggere le cose che sono. (I Cor. I, 28). (S. Agost.). 

ff. 142-144. – La legge di Dio è ben differente dalle leggi umane. La legge di Dio è non solamente giusta, ma è la giustizia stessa; mentre le leggi umane sono spesso mescolate a molte ingiustizie. La legge di Dio non è solo una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna; le leggi umane durano spesso che per un tempo breve, e la loro utilità è limitata dagli avvenimenti e dalle circostanze. La legge di Dio è la Verità stessa, e le leggi umane sono spesso frammiste a molti errori e a menzogne. – « La tribolazione, e l’angoscia mi hanno trovato. » Le tribolazioni, le afflizioni cercano il giusto; a volte esse lo trovano, a volte non lo trovano. Esse trovano colui al quale è dovuta la corona; esse non trovano colui che non è giudicato pronto per il combattimento. La tribolazione, dunque è una vera grazia di Dio (S. Ambr.). – Che gli uomini sevizino, perseguitino, importante che i comandamenti di Dio non siano abbandonati, e che, secondo questi comandamenti, i persecutori stessi siano amati. (S. Agost. e S Hilar.). – Felice tribolazione, felice angoscia che, lungi dal portare all’oblio dei comandamenti di Dio, ci danno occasione di compierli perfettamente e di farne un soggetto continuo di meditazione! (Dug.). – « Le vostre testimonianze sono la giustizia eterna; datemi l’intelligenza ed io vivrò. » Bisogna giudicare la giustizia dei comandamenti di Dio, non per ciò che sembra a coloro che non giudicano delle cose se non secondo i tempi presenti, mai in rapporto all’eternità. – L’intelligenza dà la vita come lo Spirito, perché l’Intelletto è una grazia spirituale ed un dono dello Spirito Santo; « Ma l’intelligenza non è buona e proficua che per coloro che la mattono in pratica. » (Ps. CX, 10). Il salmista ci insegna con ciò che non è sufficiente giungere all’intelligenza perfetta delle verità che ci hanno insegnato, ma ancora a tradurre nella nostra condotta tutto ciò che comprendiamo. (S. Ambr.). – Il Re-Profeta non si contenta di proclamare la giustizia e l’equità dei comandamenti di Dio per la vita presente, egli spera che l’effetto di questa giustizia sia per l’eternità, ed ottenere, con le tribolazioni e le angosce del tempo, le ricompense immortali. (S. Hil.).  

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