SALMO 118 (7): “Iniquos odio habui, et legem”
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 118 (7)
SAMECH.
[113] Iniquos odio habui,
et legem tuam dilexi.
[114] Adjutor et susceptor meus es tu, et in verbum tuum supersperavi.
[115] Declinate a me, maligni, et scrutabor mandata Dei mei.
[116] Suscipe me secundum eloquium tuum, et vivam, et non confundas me ab exspectatione mea.
[117] Adjuva me, et salvus ero, et meditabor in justificationibus tuis semper.
[118] Sprevisti omnes discedentes a judiciis tuis, quia injusta cogitatio eorum.
[119] Prævaricantes reputavi omnes peccatores terrae; ideo dilexi testimonia tua. [120] Confige timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui.
AIN.
[121] Feci judicium et justitiam, non tradas me calumniantibus me.
[122] Suscipe servum tuum in bonum: non calumnientur me superbi.
[123] Oculi mei defecerunt in salutare tuum, et in eloquium justitiæ tuæ.
[124] Fac cum servo tuo secundum misericordiam tuam, et justificationes tuas doce me.
[125] Servus tuus sum ego, da mihi intellectum, ut sciam testimonia tua.
[126] Tempus faciendi, Domine; dissipaverunt legem tuam.
[127] Ideo dilexi mandata tua super aurum et topazion.
[128] Propterea ad omnia mandata tua dirigebar; omnem viam iniquam odio habui.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXVIII (7).
SAMECH.
113. Ho odiato gl’iniqui, ed ho amato la tua legge.
114. Tu se’ mio aiuto e mia difesa, e nella tua parola ho grandemente sperato.
115. Ritiratevi da me, voi maligni; e io dierò attentamente i comandamenti del mio Dio.
116. Sostentami secondo la tua parola, e fa ch’io viva; e non permettere che nella mia aspettazione io resti deluso.
117. Aiutami, e sarò salvo; e mediterò sempre le tue giustificazioni.
118. Tu hai disprezzati tutti coloro che declinano da’ tuoi giudizi, perché ingiusto è il loro pensiero.
119. Prevaricatori riputai tutti i peccatori della terra, perché amai i tuoi giudizi.
120. Inchioda col tuo timore le carni mie; perocché ho temuti i tuoi giudizi.
AIN.
121. Ho esercitata la rettitudine e la giustizia: non darmi in potere de’ miei calunniatori.
122. Aiuta al bene il tuo servo; non mi opprimano colle calunnie i superbi.
123. Gli occhi miei si sono stancati nella espettazione della tua salute, e nelle parole di tua giustizia.
124. Tratta il tuo servo secondo la tua misericordia; e insegnami le tue giustificazioni.
125. Tuo servo son io; dammi intelletto affinché intenda i tuoi precetti.
126. Egli è tempo di operare, o Signore; eglino han rovinata la tua legge.
127. Per questo io ho. amati i tuoi comandamenti più che l’oro e i topazi.
128. Per questo io m’incamminai all’osservanza di tutti i tuoi comandamenti, ed ebbi in odio tutto le vie d’iniquità.
Sommario analitico
VII SEZIONE
113-128.
Alla vista dei numerosi nemici che minacciano di attaccarlo in campo aperto, il Re- Profeta grida verso Dio perché venga in suo soccorso, e si dichiari suo alleato nel combattimento, e perciò gli espone due ragioni per le quali merita di essere esaudito e soccorso:
I Motivo. – L’odio e la profonda lontananza che ha dai suoi nemici, che sono pure i nemici di Dio:
I° Egli dichiara apertamente il suo odio contro i malvagi, odio che ha a causa del suo amore per la legge di Dio (113); e questo odio, così come il suo amore, non lo attribuisce a se stesso, ma al soccorso della grazia divina (114);
2° allontana da sé i malvagi e fugge la loro associazione:
a) per penetrare più facilmente con la purezza del cuore nell’intelligenza dei comandamenti di Dio (115);
b) per vivere della vita soprannaturale, non per se stesso, ma per la grazia di Dio;
c) per non essere frustrato nella sua aspettativa (116);
d) per meditare, con l’aiuto della grazia, le giustificazioni divine (117);
e) per associarsi a Dio nel disprezzo e nella giusta avversione che ha per i malvagi (118).
3° Egli professa adunque un profondo disprezzo per i malvagi, disprezzo fondato:
a) sul suo amore per la legge di Dio (119);
b) sul timore dei suoi giudizi, timore necessario ai giusti come ai peccatori. (120).
II motivo. – La sua fedeltà nel praticare le virtù morali e teologali:
I° Egli ha praticato la giustizia, e chiede come ricompensa di non essere esposto alle calunnie dei superbi (121, 122);
2° ha praticato le virtù teologali:
a) della speranza, aspettando da Dio solo la sua salvezza, in parte dalla giustizia di Dio a causa delle sue promesse, in parte dalla sua misericordia (123, 124);
b) della fede, professando apertamente di essere il servitore di Dio, chiedendogli a questo titolo l’intelligenza della sua legge, e pressandolo ad accordargli al più presto questa grazia, visto che i suoi nemici hanno dissipato la sua legge (125, 126);
c) della carità, amando la legge di Dio ai di sopra di ogni cosa (127); non contentandosi di amarla, ma come conseguenza necessaria, odiando tutto ciò che gli è opposto, seguendo il cammino della virtù e rifuggendo tutte le vie ingiuste (128).
Spiegazioni e Considerazioni
VII SEZIONE — 113-128.
I. – 113-120.
ff. 113, 114. – « Io ho odiato gli uomini di iniquità, ed ho amato la vostra legge. » Il Profeta non dice: io ho odiato gli uomini di iniquità ed ho amato i giusti; né io odio l’iniquità ed ho amato la vostra legge, ma dopo aver detto: « io ho odiato gli uomini di iniquità, » spiega i motivi del suo odio, aggiungendo: Ed ho amato la vostra legge, » per dimostrare che, negli uomini di iniquità, egli non odiava la natura che li ha fatto uomini, ma l’iniquità che li ha fatti nemici della Legge che egli ama (S. Agost.). – Il Profeta non si mette affatto in contraddizione con il precetto del Vangelo che ci comanda di amare i nostri nemici, perché egli non dice: io ho odiati i miei nemici, ma: io ho odiato gli uomini di iniquità, cioè i trasgressori della Legge (S. Hil.), « ed io ho amato la vostra Legge. » In effetti se noi amiamo la legge di Dio, noi dobbiamo odiare i nemici della Legge che attaccano con le opere le prescrizioni della Legge (S. Ambr.). – « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore » Mio aiuto, perché io faccio il bene; mio protettore perché evito il male (S. Agost.). – Voi siete il mio aiuto con la Legge, il mio protettore con il Vangelo. Coloro che Dio ha aiutato con la Legge, li ha presi in protezione prendendo la loro carne … la parola latina “supersperavi” che non può tradursi alla lettera se non con “supersperato”, si dice di colui la cui speranza non cessa di accrescersi, e si eleva ad una perfezione sempre più grande. – « Io ho riposto tutta la mia speranza nelle vostre parole, » cioè io non ho sperato né nei Profeti, né nella Legge, ma « io ho sperato nella vostra parola, » cioè nella vostra venuta; io ho sperato che voi veniste a soccorrere i peccatori, rimettere i loro peccati, e prendere sulle vostre spalle, come il buon pastore, la pecora errante e stanza (S. Ambr.).
ff. 115 – 118. – Allontanatevi da me, malvagi, ed io scruterò i comandamenti del mio Dio. » Così dunque, per studiare con cura e conoscere perfettamente i comandamenti del mio Dio, occorre che i malvagi si allontanino da lui, ed egli li allontana violentemente; in effetti sono i malvagi che ci esercitano a praticare i comandamenti e, al contrario, ci impediscono di approfondirli, non solo quando ci perseguitano e cercano di sollevare qualche dibattito contro di noi, ma anche quando ci trattano con onore ed ossequio, e ci inducono tuttavia ad aiutarli nei loro affari e nei loro cattivi desideri consacrare loro il nostro tempo … Quando ci rifiutiamo di assecondare i loro desideri, essi non si ritirano, né si allontanano da noi, al contrario persistono, pressano, pregano, si agitano con rumore, e ci costringono a occuparci di essi per le cose che amano, piuttosto che occuparci dello studio dei comandamenti di Dio che noi amiamo. Ora, quale disgusto per le folle tumultuose, quale desiderio della parola divina in questo grido del Profeta: … ritiratevi da me, malvagi, ed i scruterò i comandamenti del mio Dio. » (S. Agost.). – « Guardatevi dai cani, dice S. Paolo, guardatevi dai cattivi operai. » (Fil., III, 2). Chi sono costoro? Gli uomini di questo secolo che non seguono le trace di Gesù-Cristo! Ditemi, vi prego, cosa possono essi insegnare? La castità che non hanno mai praticato? La dottrina che non seguono? Perché la sola cosa alla quale sono fedeli, è la saggezza diabolica di questo mondo (S. Ambr., Tract. de Virg.). – Dopo aver scacciato come dagli occhi del suo cuore, queste mosche che lo assediavano, il Profeta ritorna a Colui al quale diceva. « Voi siete mio aiuto e mio protettore, » e proseguendo la sua preghiera aggiunge: « Prendetemi sotto la vostra protezione, secondo la vostra parola, ed io vivrò, non resto confuso nella mia attesa. » Colui che ha già detto: « Voi siete il mio protettore, » chiede sempre più di prenderlo sotto la sua protezione e di condurlo al fine per il quale sopporta delle cose penose; perché ha la fiducia di trovare là una vera vita, tutt’altro che i vani sogni delle cose umane: « … ed io vivrò, » come se non vivesse in questo corpo di morte, « perché il corpo è morto a causa del peccato. » (Rom. VIII, 10). E nell’attesa della redenzione del nostro corpo noi siamo stati salvati nella speranza, e se speriamo ciò che non vediamo ancora, noi l’attendiamo con pazienza (Ibid. 23-25). Ma la speranza non delude, se la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Rom. V, 5). Ed è per ricevere più abbondantemente lo Spirito Santo che egli grida al Padre: « Non confondetemi nella mia attesa. » (S. Agost.). – Se il povero Lazzaro gode di una vita eterna nel seno di Abramo, quanto più colui che il Cristo riceve sotto la sua protezione! E come la vita eterna non sarebbe la porzione della ricompensa di colui che riceve ed accoglie la vita eterna, che il Cristo ha preso e si è unito interamente, che appartiene interamente al Verbo, e la cui vita è nascosta in Gesù-Cristo? Ma questo sarebbe un atto di presunzione colpevole il dire a Dio: prendetemi sotto la vostra protezione, se non aggiungesse: « secondo la vostra parola. » Siete voi che ci date questa assicurazione; noi ci presentiamo con il vostro impegno nella mano. Noi abbiamo sottoscritto una obbligazione di morte, voi l’avete sostituita con un’obbligazione di vita (S. Ambr.). – Il Profeta spera ed attende, ma a Dio non piace che queste siano le cose passeggere del tempo. Vi sono molti che combattono questa speranza della nostra fede e se ne ridono dicendo: a che servono i vostri digiuni, la vostra continenza, la vostra castità, la perdita del vostro patrimonio? Dov’è la vostra speranza, o Cristiani? La morte domina ugualmente su tutti gli uomini; il suo impero si estende su tutti i corpi. Cosa dico? Noi gioiamo di tutti i beni di questo mondo, ed in cosa ci siete superiori per l’attesa della vostra speranza? È dunque di questa attesa che il Profeta chiede a Dio di non arrossire. Benché abbia la vita in Lui, egli sa che non la possiede ancora nella pienezza, perché: « La nostra vita quaggiù è nascosta in Gesù-Cristo. » (Colos. III. 3). È per questo che egli dice: « Prendetemi sotto la vostra protezione ed io vivrò » di questa vita vera ed immortale; perché ciò che egli spera, è l’eternità, è il regno dei cieli, è il regno di Dio, sono le benedizioni spirituali che ci sono state promesse in cielo in Gesù-Cristo. (S. Hil.).- Come se fosse stato risposto al Profeta nel silenzio del cuore: volete non essere confuso nella vostra attesa? Non cessate mai di meditare le mie giuste prescrizioni. Ma sicome egli sente che molto spesso i languori dell’anima fanno ostacolo a questa meditazione, egli esclama: « Aiutatemi ed io sarò salvo, e mediterò senza lena le vostre giuste prescrizioni. » (S. Agost.). – Colui che spera confida di essere soccorso, ed il soccorso di Dio è un pegno certo di salvezza. Il Profeta ha detto a Dio precedentemente: « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore. » Egli domanda qui di nuovo il soccorso: « Non cessate di venire in mio aiuto. » Non è molto la preghiera che ho fatto, io vi supplico di nuovo di salvarmi. Quaggiù non c’è salvezza completa, vera; io non sarò veramente salvo se non quando sarò in Paradiso, quando comincerò a vivere in mezzo ai vostri santi Angeli, e sarò sfuggito a tutte le insidie, a tutti i pericoli di questa terra. – « Voi avete disprezzato tutti coloro che si separano dalle vostre giuste prescrizioni. » (S. Ambrog.). Perché se ne allontanano? « perché il loro pensiero è ingiusto » Con il pensiero ci si avvicina, con il pensiero ci si allontana. Tutte le azioni buone o cattive procedono dal pensiero. Nel pensiero si trova l’innocenza, nel pensiero si trova il crimine. Ecco perché è scritto: « La santità del pensiero vi custodirà » (Prov. II. 11); ed allora: « L’empio sarà interrogato sui suoi pensieri. » (Sap. I, 9). L’Apostolo dice ugualmente: « I pensieri accusano o difendono. » (Rom. II, 15). Allora come potrà essere felice colui che è infelice nel pensiero, colui che Dio ricopre con il suo disprezzo? (S. Agost.). – Il Profeta non ha detto: « Voi avete disprezzato tutti i peccatori, » perché allora disprezzerebbe tutti gli uomini, perché nessuno è senza peccato; ma Egli disprezza coloro che si allontanano da Lui, coloro che noi chiamiamo apostati. L’allontanamento e la separazione da Dio, differiscono dal peccato, per il fatto che al peccato è riservato il perdono, se il peccatore fa penitenza, mentre l’allontanamento volontario da Dio danna, perché porta con sé l’allontanamento dalla penitenza, allontanamento che viene da una evidente ingiustizia di pensiero e di volontà. (S. Hilar.).
ff. 119, 120. – « Io ho considerate come prevaricatori tutti i peccatori della terra. » Noi chiamiamo prevaricatori coloro che abbandonano la fede e la conoscenza di Dio che essi hanno recepito, e che agiscono contrariamente agli impegni che hanno assunto. Ma qui il Profeta estende quella denominazione a tutti i peccatori della terra, e non ne eccettua nessuno. (S. Hilar.). – Tutti i peccatori della terra, senza eccezione, sono dunque dei prevaricatori, perché violano tutti la legge di Dio o la legge naturale incisa nella nostra anima e della quale l’Apostolo ha detto: « i Gentili che non hanno la fede, fanno naturalmente ciò che è prescritto dalla Legge; non avendo la Legge, son legge a se stessi. » (Rom. II, 14): o la Legge scritta e data ai Giudei da Mosè … tutti i peccatori della terra, senza eccezione alcuna, sono dunque a buon diritto, considerati prevaricatori; « perché tutti gli uomini hanno peccato, ed hanno tutti bisogno della gloria di Dio. » (Rom. III, 13). La grazia del Salvatore trova dunque tutti gli uomini nello stato di prevaricazione; tuttavia chi più e chi meno. Resta dunque da attendere, per tutti gli uomini, non il soccorso della propria giustizia, ma il soccorso della giustizia di Dio … ed in questo senso il Profeta aggiunge: « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze; » come se dicesse: « La legge data nel paradiso, o naturalmente incisa nel nostro cuore, o promulgata nei libri santi, ha reso prevaricatori tutti i peccatori della terra; « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze » inserite nella vostra Legge, al soggetto della vostra grazia, affinché la vostra giustizia, e non la mia, sia in me. In effetti, l’utilità della legge è di condurre alla grazia (S. Agost.). – Colui che ama le testimonianze del Signore trafigge con chiodi la sua carne, perché sa che il vecchio uomo che è in lui è stato attaccato alla croce per distruggere le passioni della carne e frenare gli ardori indomiti … Trapassate allora la vostra carne con i chiodi, distruggete i focolai del peccato; fate morire nella vostra carne, tutto ciò che attrae, ogni fascino del peccato; negate al piacere delle voluttà ogni libertà di agire, inchiodandolo sulla croce. Prendete il chiodo spirituale per attaccare la vostra carne al patibolo della croce del Signore. L’anima spirituale ha pur essa le sue carni, così come il corpo; le carni dell’anima sono i pensieri carnali. È al timore del Signore e dei suoi giudizi che si inchiodano le carni e si riducono alla servitù (S. Ambr.). – Che significano queste parole: « Crocifiggete con il vostro timore, perché io temo? » Se già aveva temuto, e se temeva, perché ancora prega Dio di trafiggere le proprie carni con il suo timore? Voleva che questo timore aumentasse in lui, al punto che la violenza di questo timore fosse sufficiente a crocifiggere le sue carni, cioè le sue passioni e le sue delizie carnali? … In queste parole c’è un senso più elevato che bisogna trarre con la grazia di Dio, con l’aiuto di un esame serio dei più profondi contenuti delle pieghe del testo. « Trapassate di chiodi le mie carni con il vostro timore, perché io ho temuto, », vale a dire: che i miei desideri carnali siano compressi dal vostro casto timore, che vive nei secoli dei secoli. (Ps. XVIII, 10); perché io ho temuto i vostri giudizi, quando la legge, che non poteva darmi la giustizia, e mi minacciava di castigo. Ma questo timore mi terrorizza con il castigo, che la perfetta carità mette fuori (I Giov., IV, 18), perché esso ci libera, non dal timore del castigo, ma per la felicità della giustizia; perché questo timore non produce l’amore della giustizia, ma lo spavento del castigo è quello dello schiavo, perché esso è carnale; ecco perché non crocifigge la carne … Datemi dunque il timore casto, che io sono stato costretto a chiedervi, condotto come da un maestro, cioè dal timore della Legge che non mi ha fatto temere i vostri giudizi (S. Agost.).
II. — 121-128.
ff. 121, 122. – « Io ho praticato la rettitudine e la giustizia. » Davide non parla quasi mai di rettitudine, sia di Dio nei riguardi dell’uomo, sia degli uomini nei riguardi di loro stessi, senza aggiungervi la giustizia come condizione essenziale ed inseparabile. Del resto, se volete sapere qual differenza dobbiamo porre tra la giustizia e il giudizio, eccola, risponde Sant’Ambrogio: il giudizio, secondo il linguaggio comune, è propriamente l’atto di giudicare, mentre la giustizia è l’abitudine stessa, o infusa o acquisita, che ci porta a ben giudicare; cioè è questa santa disposizione del cuore che ci fa rendere a ciascuno ciò che gli appartiene, e ci libera nei nostri giudizi da ogni affezione e da ogni passione. Davide voleva che mai queste due cose fossero separate; ed ecco la regola di condotta che proponeva: Signore – egli diceva – io ho pronunziato dei giudizi, ma questi giudizi sono stati accompagnati da una giustizia esatta; non mi abbandonate dunque, o mio Dio alla malignità dei miei calunniatori (Bourd. Jug. témér.). – E da parte del Re-Profeta, non è un atto di vanagloria o di presunzione temeraria; egli era troppo versato nella legge per non ricordarsi che è dalla bocca degli altri e non dalla nostra che debba uscire la nostra lode. Egli non vanta dunque affatto le sue virtù, ma afferma, restando nei limiti del diritto, l’innocenza della sua vita, nel timore di non essere abbandonato da Dio per i suoi crimini e consegnato al potere dei suoi nemici … Davanti ad un tribunale, se un accusato si limita, per difendere la sua innocenza, a dichiarare ciò che ha fatto, nessuno di sogna di considerarlo come un atto di arroganza che non oltrepassi i limiti della giusta difesa. Non bisogna confondere colui che si proclami degno di ricompensa con colui che dichiari semplicemente che non merita di essere punito (S. Ambr.). – « Non mi esponete a coloro che mi calunniano; » cioè non mi consegnate a coloro che mi perseguitano, perché io ho praticato il giudizio e la giustizia … Chiedendo al Signore di non essere consegnato ai suoi nemici, qual preghiera fa il Profeta se non quella che noi stessi facciamo quando diciamo: « Non ci indurre in tentazione? » (Matth. VI, 13). In effetti, il nemico, è colui del quale l’Apostolo ha detto: « Per paura che colui che tenta non venga a tentarvi » (1° Thes, III, 5). Dio gli consegna chi lo abbandona. In effetti, il tentatore non saprebbe sedurre l’uomo che non abbandona Colui che per sua volontà, dà gloria alla virtù dell’uomo … Di conseguenza, chiunque ha la carne crocifissa dal casto timore di Dio, e pratica, senza lasciarsi corrompere da alcuna seduzione carnale, il giudizio e le opere di giustizia, deve domandare di non essere consegnato ai suoi nemici, cioè di non cedere, per timore delle sofferenze, a coloro che lo perseguitano per fargli del male. (S. Agost.). – « Stabilite il vostro servitore nel bene. » Nello stato di coscienza in cui si trova, di aver praticato il giudizio e la giustizia, il Profeta va più lontano e non teme di proclamarsi il servo del Signore: perché un servo del Signore non deve niente agli estranei. Preziosa servitù questa, che consiste interamente nel praticare delle virtù. Ora, perché teme di essere esposto ai suoi nemici? Egli lo dice apertamente: perché questi sono dei calunniatori che odiano la verità ed attaccano l’innocenza, perché sono pieni di orgoglio; perché qual orgoglio non affettano nei riguardi degli umili servitori di Dio coloro che osano elevarsi contro Dio stesso? (S. Ambr.).
ff 123-128. – « I miei occhi sono fiaccati nell’attesa della vostra salvezza. » Quali sono questi occhi che si indeboliscono, che si stancano nell’attesa della venuta del Cristo? Sono gli occhi dell’anima, che è fissata interamente su questo divino oggetto con gli sguardi della fede; perché i nostri occhi si fissano interamente su ciò che amiamo, senza che nessun’altra cosa ci sia più gradevole. Ma per tenere questo linguaggio con il Profeta, bisogna avere staccata l’anima da tutte le sollecitudini del secolo e da tutti i piaceri della terra, e avere detto a Dio, come lui: « distogliete il mio sguardo perché non veda la vanità. » Quali sono questi occhi che si consumano nell’attesa della parola di Dio? Sono gli occhi dell’uomo interiore, questi sguardi spirituali dell’anima che si applicano a vedere il Verbo di Dio (S. Ambr.). Davide, nei versetti che precedono, ha come aperto la strada alle nuove domande che ha fatto a Dio. Egli prega di non consegnarlo nelle mani dei nemici, poi di confermarlo nel bene, poi di non essere esposto alle calunnie degli orgogliosi, come se dicesse a Dio: io non declino il giudizio, ma le calunnie dei malvagi; perché essi non sanno giudicare, e non sanno che calunniare. Io mi rifugio dunque presso di Voi che sapete giudicare con giustizia … In questo versetto, egli chiede a Dio di usare misericordia verso di lui, e di insegnargli le sue giustizie. In un altro salmo egli prega Dio di non entrare in giudizio con il suo servo (Ps. CXLII, 2). E in effetti noi, che la testimonianza della nostra coscienza accusa di tante colpe, noi dobbiamo piuttosto implorare la misericordia di Dio più che rivolgerci alla sua giustizia: la misericordia ci dà il perdono, la giustizia esamina e discute i nostri crimini. Quale speranza di poter trionfare presso Colui al quale nulla è nascosto, e al Quale non possono sfuggire i nostri peccati … Trattate dunque il vostro servo secondo la vostra misericordia, perché anche quando avrò potuto fare qualche cosa di buono, io vi debbo molto di più come vostro servo … Un servo è degno di ricompensa per aver fatto solo ciò che gli viene comandato? Dunque, quando noi abbiamo fatto ciò che ci viene comandato, noi non dobbiamo subito levarci, ma piuttosto umiliarci, perché siamo lontani dall’aver compiuto tutti i doveri della nostra condizione. (S. Ambr.). – « Io sono vostro servitore, datemi l’intelligenza. » L’intelligenza è un dono spirituale; bisogna dunque chiedere a Dio ciò che viene direttamente da Dio. Colui che si riconosce servo non chiede come un estraneo: « Io sono vostro servitore. » Il servitore fa la volontà del suo padrone: il servo cerca di guadagnare il salario col suo impiego e ne spera la ricompensa (S. Ambr.). – Cosa fa dunque di così grande il Profeta, dichiarandosi il servo di Dio, ciò che nessuno uomo oserebbe negare? Egli si dichiara il servitore di Dio, ma in modo tutto differente dagli altri: gli altri si riconoscono servi solo a parole: lui lo è in realtà, e lo prova con le sue opere. (S. Hilar.). – « Io sono il vostro servo. » Male me ne è venuto quando ho voluto appartenermi ed essere libero, invece di essere con Voi e servirvi. « Datemi intelligenza, ed io conoscerò le vostre testimonianze. » Non bisogna mai cessare di far questa domanda; perché non è sufficiente aver ricevuto l’intelligenza ed aver appreso a conoscere le testimonianze di Dio, se non la si riceve costantemente, e se in qualche modo non si beve costantemente alla sorgente della eterna luce. Quanto alle testimonianze di Dio, nella misura che si acquista l’intelligenza, la si conosce di meglio in meglio. (S. Agost.). – « È tempo di agire, Signore, essi hanno rivoltato la vostra legge. » Ah! ha ragione il Re-Profeta nel dire a Dio che è tempo di agire. « In effetti c’è un tempo per fare ed un tempo di parlare. » (Eccles. III, 7). Ora, il tempo di parlare è venuto, e queste parole sono l’annuncio dell’avvento del Signore; perché essendo la legge universalmente trasgredita, bisogna che venga Colui che è il fine, la consumazione e la pienezza della Legge, Nostro Signore Gesù-Cristo, che perdonerà agli uomini tutti i crimini, e che, distruggendo l’obbligazione scritta dai debitori, verrà a liberare tutti i peccatori. « È tempo d agire. » Così quando una malattia si aggrava, voi correte a cercare il medico perché venga al più presto, per paura che tardando le sue cure diventino inutili. Il Profeta dunque vede in spirito le prevaricazioni del suo popolo, la dissolutezza, le brutali voluttà, la vita sensuale, i furti, le frodi, l’avarizia, l’intemperanza, e rendendosi nostro intercessore, ricorre a Gesù-Cristo, il solo che egli sapeva potesse portare rimedio a sì grandi crimini; egli lo spinge a venire, senza soffre il minimo ritardo. « È tempo di agire, Signore; » cioè, è tempo di salire per noi sulla croce e soffrire la morte. Il mondo si precipita con impetuosità verso la sua ultima rovina; venite per cancellare il peccato dal mondo. La vita venga in soccorso dei morenti, la resurrezione venga in aiuto di coloro che sono seppelliti. Soccorreteci con i vostri atti, poiché i vostri precetti sono impotenti … non è più il tempo di comandare, è il tempo di agire (S. Ambr.). Non è l’ora di parlare, è l’ora di fare, perché tutto è stato distrutto nell’ordine materiale e morale. La prevaricazione è più universale che mai. Non tutti ci siamo rivoltati, dissipando la Legge di Dio in tutte le sue parti: la legge dell’umiltà con il nostro orgoglio, la legge della carità con il nostri odi ed animosità verso i fratelli, la legge della vita con tanti peccati che ogni giorno danno la morte, la legge della fede con le nostre empietà, o con una vita tutta sensuale e con grossolani errori ed imperdonabili ignoranze. « È tempo d agire, Signore, venite e non tardate ancora! » – « Per questo io ho amato i vostri comandamenti più che l’oro ed il topazio. » La Legge predice ed annunzia il Cristo; i precetti della Legge contengono dunque e ci apportano la speranza di beni futuri, gli indici della redenzione, i germi della resurrezione; ecco perché il Profeta dichiara che egli li ama più che l’oro ed il topazio; perché sono più dolci della salvezza, più preziosi della resurrezione! … Ma non tutti possono fare questa professione: non è certo l’avaro disteso sul suo oro, che desidera incessantemente nuove ricchezze, ma colui che può dire: « Io non ho né oro né argento; » (Act. III, 6); io non ricerco l’oro, perché non mi è utile, dal momento che i comandamenti di Dio mi hanno riscattato. (S. Ambr.). Coloro che si sforzano, come i Giudei, di praticare i comandamenti di Dio in vista di una ricompensa terrena e carnale, non ne vengono a capo, perché essi amano altra cosa e non amano affatto questi comandamenti; non è l’opera dell’uomo di buona volontà, ma il fardello di uomini di cattiva volontà. Al contrario, quando si amano i comandamenti più dell’oro e le pietre preziose, ogni ricompensa terrestre è vuota in confronto a questi comandamenti (S. Agost.). – Amiamo la Legge, perché è una legge di amore; amiamo la Legge, perché tanti Santi l’hanno amata; amiamo la Legge, poiché tanti empi e peccatori non l’amano affatto; amiamola per imitare coloro che l’amano, e compensare con un dolore di amore la follia di coloro che non l’amano, (S. Gerol.). – « È per questo che io camminavo dritto nella via di tutti i vostri comandamenti. » A giusto titolo il Profeta camminava dritto nella via dei comandamenti, perché egli li amava. Così egli non si attribuisce questa velocità con la quale corre in questa via, ma a Dio, che lo conduce. Io non camminavo da me stesso – egli dice – ché io ero portato … Io ho odiato ogni via ingiusta. Se colui che ama i precetti della giustizia fa ciò che ama, anche colui che odia l’iniquità si astiene da ciò che sia oggetto del suo odio. È con ragione che il Profeta marciava dritto nella via di tutti i comandamenti, poiché odiava ogni via ingiusta. Assolutamente è necessario che si odi ogni via di iniquità, se si vuol camminare dritto nella via dei comandamenti (S. Ambr.). – Non si tratta di odiare solo qualche via ingiusta, bisogna odiarle tutte. « Bisogna odiare non solo i grandi peccati, ma pure le minime colpe. » Ci sono taluni che si astengono da certi peccati che fanno loro orrore, ma che si concedono senza scrupoli ad altri per i quali il mondo ha più indulgenza. Il vero Cristiano detesta ogni via di iniquità, qualunque essa sia. – « Io ho preso in odio ogni via ingiusta. » È la conseguenza di ciò che ha detto precedentemente: perché se egli avesse amato l’oro e le pietre preziose, egli avrebbe certamente odiato tutto ciò che poteva farlo perdere. Allo stesso modo, poiché amava i comandamenti di Dio, odiava la via dell’iniquità come una spaventosa scogliera contro la quale non si può urtare, in un viaggio in mare, senza perdere queste cose preziose in un inevitabile naufragio. Per evitare questa disgrazia, fa vela lontano colui che naviga sul legno della croce, avendo come carico i comandamenti di Dio (S. Agost.).
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