[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]
XXV. NEL MERCOLEDÌ DOPO LA QUARTA DOMENICA
“Responderunt parentes ejus, et dixerunt: scìmus quìa ille est filius noster, et quia cæcus natus est; quomodo autem nunc videat, nescimus; aut quis ejus aperuit oculos, nos nescimus.”
Jo. IX, 20 et 21.
I. Scusi pur di voi chiunque vuole i due genitori di questo cieco evangelico, io non gli scuso. Dichiararsi di non sapere come un loro figliuolo abbia aperti gli occhi? Scimus quia cæcus natus est; quomodo autem nunc videat, nos nescimus. Tale dunque è la cura che di lui tengono? Tale la provvidenza? tale il pensiero? Ma finalmente questo cieco evangelico fu felice, perché chi aperse gli occhi a lui fu Gesù, che non poté però aprirglieli fuorché al bene. Il mal è, che a molti quel che apre gli occhi è il diavolo. Eppur chi è che vi pensi egualmente, che vi provveda? I padri lasciano che i figliuoli loro divengano spesso accorti più del dovere, iniqui, ingannevoli; e poi non temono di scusarsi con dire, che non san come abbiano mai fatto ad apprendere la malizia. Quis ejus aperuit oculos, nos nescimus. Ah che questa è scusa frivola, scusa folle; perché qual è il loro debito, se non questo, procurar che i loro figliuoli piuttosto se ne rimangano sempre ciechi, com’essi nacquero, ch’è quanto dire, in santa semplicità, in santa stoltezza; che non che aprano gli occhi per altra mano, che per quella onde apersegli il cieco d’oggi? – Ma quanto pochi sono coloro che apprendano questo debito, o che l’adempiano! I più non pongono in altro Io studio loro, che in aver prole. Qui impiegano i loro prieghi, qui indirizzano i loro pellegrinaggi; e poi, conseguita che l’hanno, non se ne pigliano sollecitudine alcuna, quasi che non averla non fosse male di gran lunga minore, che averla reproba. Sappiamo che alberi sterilissimi ancora hanno tanta gloria; ch’essi oggidì sono le delizie de’ gran giardini reali. Anzi nella scelta di varie piante, che fecero anticamente gli Dei profani, furono a bello studio anteposte le men fruttifere allo più fruttuose; e così Giove elesse la quercia. Apollo l’alloro, Nettuno il pino, Osiri l’ellera, Giunone il ginepro, Venere il mirto. Ma un albero che produca frutti cattivi, oh questo sì che da nessuno è voluto nel terren suo; né solamente non v’è Dio che lo prezzi, ma né anche v’è rustico che lo curi. – Intendano dunque tutti questa mattina quanto grand’obbligo sia l’avere un figliuolo. Io certamente non terrò male impiegata questa mia qualunque fatica, se giungerò a dimostrare un tal obbligo a chi nol crede, ovvero non lo considera, e però cade in quegli abusi ch’io poi vi soggiungerò, non perché tra voi li supponga, ma perché non allignino ancor tra voi. Dunque uditemi attentamente.
II. E per cominciare dalla grandezza dell’obbligo, il quale più vivamente fa campeggiare la deformità degli abusi, io so benissimo che molti altri saranno ancora tenuti rendere stretto conto per l’anima di qualunque vostro figliuolo: e sono appunto i maestri, i quali gli esercitano nelle lettere; gli aii, i quali gl’indirizzano nei costumi; i confessori, i quali li regolano nella coscienza; i predicatori, i quali gli esortano alla pietà; ed i principi anch’essi, tanto secolari quanto ecclesiastici, i quali con le pubbliche leggi devon provvedere, forse più che ad ogn’altro, alla piccola gioventù, non altrimenti che i giardinieri alle piante più tenerelle. Ma se considererete intimamente, vedrete che molto più siete tenuti a procurare il loro bene voi soli, che gli altri tutti. E la ragione fondamentale si è, perché tutti gli altri sono tenuti a ciò per obbligazione introdotta dalla politica; ma voi per obbligazione inserita dalla natura. – E chi di voi non sa che è quella cagione, la quale ha generato un effetto, a quella parimente appartiensi il perfezionarlo, quanto ella può? Perocché ascoltate, giacché qui cade in acconcio una leggiadra dottrina di san Tommaso nel suo prodigioso volume contra i Gentili (1. 3. c. 122, etc.). Due sorte di effetti noi possiamo considerare: alcuni, i quali, tosto che nascono, portan seco tutta quella perfezione, della quale sono capaci; altri, che non la portano seco tutta, ma debbono andarla acquistando in progresso di tempo, ed a poco a poco. Della prima schiatta son tutti gl’inanimati; e però la loro cagione, ch’è come la loro madre, dopo averli già partoriti, non li ritiene con amore materno presso di sé, non gli alleva, non gli accarezza, ma incontanente lasciali in abbandono. Diamone gli esempj in due cose a tutti notissime, quali son l’acqua e il fuoco. Vedete voi la sorgente quando ha partorita l’acqua? vedete la selce quando ha partorito il fuoco? Nessuna di loro due ritiene punto il suo parto presso di sé; ma l’una lascia che l’acqua subito scorra, e ne vada al rivo, e l’altra lascia che il fuoco subito voli, e si appicchi all’esca: mercecchè né la selce, né la sorgente, con ritenere presso di sé le lor proli, potrebbero maggiormente perfezionarle. Ma negli effetti di qualunque modo animati avviene il contrario. Nascono questi tutti imperfetti, e però lunga stagione rimangono sotto la cura, e, per dir così, tra le braccia della lor madre, per venir da essa nutriti amorosamente e perfezionati. Vedesi prima ciò chiarissimamente ne’ pomi, ne’ fiori, nelle spighe nell’uve, ed in qualsivoglia altro frutto. Nascono questi piccoli, rozzi, scoloriti, agrestini, e così bisognosi di grandissima nutritura. Però mirate quanto tempo rimangono e i pomi attaccati al suo ramo, e i fiori alla sua cipolla, e le spighe al suo cesto, e l’uve al suo tralcio, ed ogni altro frutto in grembo della sua madre. Onde se mai vi ci sarete provati, avrete scorto ricercarsi molto più di violenza a strappar con la mano dalla sua pianta il pomo acerbo, che non il pomo maturo; quasi che malvolentieri il figliuolo partasi dalla madre, e malvolentieri la madre lasci il figliuolo, prima che abbisi finito questo di ricevere tutta la sua perfezione, e quella di dargliene. Ma meglio ciò si scorge ne’ bruti, i quali nascono imperfettissimi anch’essi. Tra questi del solo struzzolo si racconta, che abbandona dispettosamente i suoi parti dopo averli condotti a luce. Derelinquit, come abbiamo in Giobbe (39. 14), derelinquit ova sua in terra: che però quivi egli vien proposto da Dio per esempio e di stolidezza e di spietatezza, dicendosi orribilmente di questo uccello che duratur ad filios suos, quasi non sui; privavit enim eam Deus sapientia, nec dedit illi intelligentiam(Ibid. 16 et 17). Ma tutti gli altri bruti vedrete che mai non mancasi di una pietosissima educazione; questa unica differenza, avvertita tuttavia dal medesimo san Tommaso, ed è che alcuni animali vengono educati dalla madre sola, altri e dalla madre insieme e dal padre. Dalla madre sovvengono educati i cani, i cavalli, gli agnellini, i vitelli, ed altri animali lattonzoli. A provvedere questi di allevamento basta la madre con le sue poppe; e però il padre, come 1oro non necessario, per lo più non li cura e non li conosce. Il contrario avvien tra gli uccelli. Non è stato verun di loro dalla natura provveduto di latte, né di’ mammelle; e la ragione si fu, perché dovend’eglino esser agili al volo, sarebbe loro stato un tal peso di notabile impedimento. Devon però vivere, per dir così, di rapina; ed in questa parte ed in quella procacciare il sostentamento non sol per sé, ma ancora per le loro tenere famigliuole, le quali non sogliono essere meno ingorde che numerose. Ma come potrebbe supplire a tanto una debole femminella? Però al nutricamento delle colombe, delle tortorelle, delle pernici, e di altri simili uccelli, specialmente meno feroci, assiste anche il padre. Né solamente tutti i bruti provveggono i loro pargoletti di cibo, finché questi non possono procacciarselo da sé stessi; ma li sovvengono anche di ajuto, d’indirizzo e di documento, conforme i varj mestieri ch’hanno ad imprendere. Così lo sparviere ammaestra i suoi figlioletti alla caccia, così il delfino al nuoto, così la leonessa alla preda, così la gallina alla ruspa, e così l’aquila ai voli anche più sublimi: provocans ad volandum pullos suos (Deut. XXXII, 11). Eppure gli animali bruti non isperano comunemente dai loro parti veruna ricognizione né di opera, né di affetto; anzi terminati i dì necessarj all’educazione, né il generante riconosce più il generato, né il generato riconosce più il generante, ma si disgiungono, e ciascuno va dove più gli torna in profitto. Or se, non ostante ciò, allorché questi di fresco hanno partorito, assistono a’ loro parti con tanta sollecitudine, gli allattano, li provveggono, li difendono, e prestano loro tutti gli uffìzj di servitù più pietosa, chi non vede che questa legge di perfezionare, quanto maggiormente si possa, la propria prole, non è legge inventata solamente da instituzione politica o da reggimento civile, ma è legge entro a tutti i petti stampata dalla natura, e però dee dirsi che la natura parimente sia quella che no riecheggia l’osservanza dagli uomini? Anzi assai più la richied’ella dagli uomini, che da’ bruti. Perocché gli uomini da una parte nascono nel loro genere men perfetti (come Plinio considerò); nascendo i bruti vestiti, e gli uomini ignudi; i bruti calzali, e gli uomini scalzi; i bruti armati e gli uomini inermi. E d’altra parte nascon capaci di assai maggiori perfezioni; le quali perfezioni perché non si possono conseguir se non assai lentamente, però l’educazione degli uomini non si termina in pochi giorni, come quella de’ bruti, ma stendesi a molti lustri; anzi, secondo il dire di san Tommaso, a tutta la vita, per lunga ch’ella si sia; e così rende di sua natura insolubile il matrimonio. – Or deduciamo dalla dottrina bellissima di questo santo Dottore, angelico veramente più che mortale, deduciam, dico, come da premesse infallibili, la nostra principal conseguenza, e diciam così: se l’obbligo, che hanno i padri, di educare i loro figliuoli, è obbligo non positivo, ma naturale; non iscritto, ma innato; non umano, ma divino; chi non vede dunque che molto più strettamente siete tenuti a procurare il profitto loro voi stessi, di quel che a ciò sien tenuti i principi ed i prelati, i maestri ed i confessori, e gli aii e i predicatori, e qualunque altro direttor, che si trovi, de’ lor costumi, o sia egli ecclesiastico o secolare; perciocché questi sono tenuti a ciò per legge civile, la quale è meno strigliente; ma voi per istituzion naturale, la quale è di gran lunga più rigorosa?
III. Ma s’è così (oh Dio!), che timore non dovreste aver dunque voi quando trascuriate una simile educazione? Perocché se tanto conto dovrà rendere il principe, se tanto il prelato, e se tanto qualsivoglia altri, per cui colpa succeda l’eterna perdizion del vostro figliuolo; qual ne dovrete render dunque voi, padri, quale voi, madri, se succeda per colpa vostra? Potrete voi punto sperar di discolpa, se quelli tanto riceveran di rimproveri? potrete voi punto impetrar di pietà, se con quei tanto si userà di rigore? E però san Giovanni Crisostomo (1. 3 contra vitup. vilse mon.), il quale intendea benissimo questo punto, si protestava a tutti i padri così: patres, educate fìlios vestros in disciplina, et in correptione Domini, come vi dice l’Apostolo (ad Eph. VI, 4). Si enim nos ipsi quoque vigilare jubemur, tamquam prò animabus illorum rationem reddituri, quanto magis ergo pater, qui genuit? Intendete, padri cristiani? quanto magis, ergo pater, qui genuit? – Voi avete dato lor l’essere; adunque voi molto più parimente siete tenuti a dar loro la perfezione, educandoli in disciplina, ch’è indurli al bene; et in correptione, ch’è ritirarli dal male; ovvero, giustar interpretazion più spedita di san Tommaso, in disciplina verberum, et in correptione verborum. Senza che, dare lor questa perfezione è a voi molto anche più facile, che ad ogni altro: conciossiachè essendo natural di tutti i figliuoli portare, più che ad ogni altro, a’ lor padri una gran riverenza ed un grande amore, venite per conseguente ad avere sopra di essi maggiore l’autorità. E chi non sa che con un consiglio opportuno, con una riprensione aggiustata, anzi con una parola mozza talvolta, con un cenno, con un gesto, con un’occhiata potete ottener da loro quei ch’altri non otterrebbe con lunghe prediche, e con iterati clamori? Non udiste mai di quel celebre Andrea Corsini? Era egli ne’ suoi primi bollori della gioventù libero, sregolato, disciolto; e però in vano si erano adoperati religiosi zelanti ed uomini pii affine di raffrenarlo. Ma che? quello che nemmeno poterono le parole sacerdotali, potò la voce materna. Pellegrina la madre, con un solo acconcio rimprovero, il rendé santo, e convertillo di un lupo di sfrenatezza in un agnellino di sommissione. Come dunque voi non dovrete rendere a Dio ragione assai rigorosa, se non verrete a valervi di autorità così rilevante? Aggiungete, che da voi dipendono essi nel vitto, da voi nel vestito, da voi nello spendere, da voi nell’ereditaro; onde con quanta facilità potete voi governarli a vostro talento, animandoli o rimunerandoli buoni, minacciandoli e gastigandoli scostumati! – Se dunque voi, non facendolo, mancherete al debito vostro, che scusa avrete? Eppur vi è di più: perché dovete considerare che voi avete i figliuoli vostri in custodia, quasi uccellini di nido, fin da’ primi anni, quando i loro animi sono appunto a guisa d’una creta pastosa, capace d’ogni figura; o di una cera molle, disposta a qualunque impronta. Se però essi, educati prima male da voi, non saranno in età maggiore più abili a ricevere i salutevoli insegnamenti de’ loro direttori più alti (dì chi sarà la colpa più principale, non sarà vostra? Vostra sarà, signori sì, sarà vostra. Pater enim, cum teverum acceperit filium, primque ac solus omnem ejusce instruendi facultatem nactus sìt, et bellissime illum, et facillime imbuere poterit, et moderavi; coi san Giovanni Crisóstomo favellò (l. 3 tra vitup. vitæ mon.). Adunque, se voi farete, a voi verrà attribuita la ma: colpa delle loro non correggibili inclinazioni. Anzi in vano tutti gli altri faticheranno per loro profitto, se voi punto manchiate al vostro dovere. Perciocché, a che vale che il principe tenga per allevamento de’ vostri giovani provveduto il suo stato di accademie insigni, di Convitti nobili, di collegj famosi, se voi li tenete quindi lontani? Ed i maestri come potranno affezionarli allo studio, se voi non ne mostrate premura? E gli aii come gli potranno addirizzar ne’ costumi, se voi non date lor braccio? Ed i confessori e predicatori ancor essi come potranno ottenere il loro profitto spirituale, questi con esortazioni pubblici quegli con ammonizioni private, se voi non ricercate giammai da’ vostri figliuoli consieno assidui alle prediche o come sieno frequenti alla confessione? – Vedesi adunque, per così dire, che tutte le obbligazioni, le quali in altri sono diramate e disperse, vengono ad unire in voi tutta la loro piena. E pertanto a voi si appartiene di tener su’ vostri figliuoli aperti più occhi, che non se ne finsero in Argo, quel provvidissimo re del Peloponneso; a voi tocca di avvertire ogni loro parola, a voi di moderare ogni loro gesto, a voi di certificarvi d’ogni lor moto: diligenze che, almeno tutte, non toccano a verun altra. Né basta che diate lor solamente la direzione, ma bisogna che ne ricerchiate ancora la pratica; e ciò non in un luogo solo, ma in tutti: in città, di fuori, in pubblico, in segreto, in comune, in particolare. Dovete osservar dove vadano, con chi trattino, diche gustino, a che inclinino; e giacché come disse il Savio, ex studiis suis intelligitur puer (Prov. 20. 11), dovete, se sia possibile, dovete, dico, procurare ancor di spiare quello a che pensino. Né crediate dirsi ciò per soverchia amplificazione; – anzi sappiate che questo appunto era quello ond’era sempre sollecito il santo Giobbe nel governo de’ suoi figliuoli: non sapere quali affetti pullulassero ne’ loro cuori, o qual pensieri covasse la loro mente. Quindi si racconta ch’egli bene spesso rizzavasi di buon’ora, diluculo, per offerire a Dio suppliche e sacrifizj a purgamento de’ loro interni difetti. Dicebat cnim: ne forte peccaverint filli mei, et maledixerint Deo in cordibus suis (Job 1. 5). Guardate sollecitudine! non dice labiis suis, non dice lingua sua, no; in cordibus suis; tanto tremava di qualunque lor colpa, non sol palese, ma occulta; non sol pubblica, ma segreta; non sol sicura, ma dubbia.
IV. Òr che dite voi dunque? Fate così? Adempite ancora voi con premura così gran parti? Siete egualmente solleciti ancora voi dell’integrità de’ vostri figliuoli, della loro innocenza, del loro profitto? Ahimè che voi ad ogni altra cosa pensate forse, che a questa, dice il Crisostomo. E perciò che fate? Attendete solo a rendere i vostri figliuoli più ricchi, più temuti, più nobili, più potenti; ma a rendergli parimente più virtuosi non attendete. Àlii militiam filiis suis provident, alti honores, alii dignitates, alii divitias; et nemo(oh deplorabilissima cecità!), et nemo filiis suis providet Deum (Hom. 55 in Matth.). Eppure di questo solo vi sarà chiesta ragione, o signori miei. Non vi sarà domandato quanto voi gli avrete lasciati più grassi di rendite, o quanto più illustri di cariche, o quanto più rispettati di parentele; ma quanto più riguardevoli di virtù. Di questo vorrà Dio venir soddisfatto in quel suo formidabilissimo tribunale. E voi che saprete rispondergli, mentre pure talora giungete a segno che, – per avanzar loro un vil danaruzzo, non vi curate di avventurare la loro eterna salute? E quante volte, se voi voleste spendere un poco più, potreste lor provvedere di custode più virtuoso, di disciplina più scelta, di direzione più profittevole; e voi nondimeno, per risparmiar quell’entrata, fate loro quel pregiudizio! Oh vergogna! Esclama san Giovanni Grisostomo (pigliato da me volentieri questa mattina per maestro in questa materia, da lui trattata, fra tutte le altre, a stupore), oh vergogna! Non si perdona a danaro per rendere il campo più fertile, l’abitazione più comoda, la cucina più lauta, la stalla più popolata, il cocchio più splendido; e per rendere un figliuolo più costumato si conta tanto a minuto! Anzi poco saria questo, cred’io, se non si giungesse anco a peggio; perocché per questa avarizia medesima spesso accade che se voi di due servitori ne avrete uno accorto e fedele, ed un altro scimunito e vizioso, darete al migliore la cura de’ vostri poderi, ed al peggior la custodia de’ vostri parti. E potrete voi scusarvi di tanta trascuratezza? Come scusarvi? Voi dunque non ardireste di consegnare il vostro cavallo ad un mozzo inetto, o la vostra greggia ad un pastorello infedele, o i vostri buoi a un bifolco disapplicato; e non temerete di porre un figliuol vostro medesimo nelle mani di un servitore vizioso, o di un pedagogo ignorante? Non ha scusa, o Cristiani miei, questo eccesso; no, non ha scusa: perché se l’interesse è quel che vi spinge ad antepor la roba alla prole, che si può dir di più empio, di più stolido, di più insano? – Io per me certo, se mi credessi questa essere la principale cagione del mal governo usato verso dei giovani, tosto avrei desiderio con quell’antico filosofo di montare su la torre più alta della città, ed indi vorrei tonare, tempestare, e ripetere più d’una volta a gran voce: Quo tenditis, homines, quo tenditis, qui rei faciundae omne impenditis studium, filiis instituendis, quibus opes vestras relinquetis, exiguum, ac piane nullum? (Plut.de educai liberor.) Dove andate, olà, cittadini, olà, dove andate? vorrei dir io.Chi a procuratori per liti, chi a banchieri per cambj, chi a principi per favori, chia mercati per compere, chi ad uffìzj per interessi. E dove son rimasti frattanto i vostri figliuoli? se in mano di custodi veramente fedeli, benissimo; andate pure. Ma s’essi frattanto ritrovansi o in un ridotto di gioventù ad apprendere i vizj, odin una bisca di giuoco a trattare i dadi, o in un teatro d’oscenità a provare la parte, o in una contrada d’infamia a disfarsi in vagheggiamenti, o, se non altro in una villa di ozio a perdere inutilmente gran parte danno; se si trovano in tali luoghi, tornate indietro, vorrei dire, tornate, padri inumani; provvedete prima a’ figliuoli, e poi penserete alla roba. E non procurate cotesta roba per loro? Adunque qual insania maggiore, pensare alla roba, che dee servire a’ figliuoli, e non pensare a’ figliuoli, cui dee servire la roba? Così vorrei, credo, gridare, ad imitazion di quel filosofo di cui ragiona Plutarco (lbid); – Né mancherebbemi anche a questo proposito l’autorità del Boccadoro medesimo, il quale mi attesta che ciò sarebbe far come un folle ortolano, il quale solamente mirasse a raccor grand’acqua, onde alimentare le piante; ma non mirasse se quelle piante, che si hanno ad alimentare, sien belle o disformate, sien buoni o degeneranti. Questa ragione dunque degli altri vostri interessi, quantunque onesti, ai quali attendete, non potrà discolparvi presso di Dio, perché niun interesse dovreste avere più rilevante, che la perfetta educazion della prole da lui donatavi. E s’è così, qual altra discolpa dunque voi gli addurrete? Non sarete inescusabìlmente convinti di fellonia, di perfidia, di tradimento? – Che sarebbe di voi, se rimaneste convinti di non aver voi voluto dare a’ giovani vostri o poppa che gli allattasse bambini, o cibo che sostentasse gli adulti, o veste che coprisse gli ignudi, o letto che ricettasseli sonnacchiosi? Non rimarreste senza dubbio in tal caso mutolissimi alle difese? Eppure in tal caso avreste solo lasciato di provvedere alla parte più ignobile, qual è il corpo. Or che sarà lasciando di provvedere alla più signorile, qual è lo spirito? Che sarà se non li provvediate, potendo, di maestro buono, di servitore fedele, di confessore accreditato, di libri utili, d’indirizzi opportuni, di amicizie innocenti, di esempj, di consigli, di stimoli, di freni, di guide, e di tutti gli altri ajuti più necessarj al vivere cristiano? Filii tibi sunt? grida l’Ecclesiastico (VII. 25), erudi illos. Non dice, dita illos, evehe illos, extolle illos, no, erudi illos: perché questo è ciò che soprattutto ha da premervi, farli buoni.
V. Eppure piacesse a Dio che questo fosse l’unico vostro peccato, non procurar loro la salute de’ vostri giovani. Ve n’è un maggiore. E qual è? Procurar la loro rovina! Procurar la loro rovina! Signori sì, signore sì, procurar la loro rovina. Oh questo sì che sarebbe un eccesso sì abbominevole, che voi non potreste fiatare a giustificarvene; ed io, per detestarlo questa mattina come dovrei, vorrei avere un petto di bronzo ed una voce di tuono. Ma che? Non è forse frequente una simile iniquità? Ahimè! sarebbe desiderabile ch’oggi giorno alcuni padri non solamente lasciassero di educare i proprj figliuoli, ma che, appena nati, assettandoli in un cestello, simile a quello in cui fu riposto il bambinello Mosè, gli abbandonassero alla ventura in un lito, in una balza, in un bosco, tanto perverse son le dottrine che loro infondono, tanto scellerati i dettami. Utinam hoc tantum culpa csset (seguo a ragionar tuttavia eoa le autorevoli formule del mio eloquente maestro – Chrysost. 1. 3 centra vitup. vitæ monast.), utinam hoc tantum culpa esset, nihil utile parentes liberis consulere: possit id, quamquam gravissimum sit, aliquatenus tolerari. Nunc vero illos ad ea, quæ saluti suæ sunt adversissima, impellitis, et ac ti dedita opera liberos vestros perdere omni studio curetis, ita universa illos jubetis facere, quæ qui faciunt, salvi esse non possunt. – Volete chiaramente conoscerlo? State a udire. La legge evangelica, che voi dovreste istillar insieme col latte ne’ vostri pargoletti figliuoli, intuona a tutti i ricchi minacce orribili di eterna condannazione. Væ divitibus! (Luc. VI. 24) E voi all’incontro cominciate ad insinuare ne’ lor cuori infin da’ primi anni, che bisogna serbare la roba tenacemente, e che tutta la felicità dell’uomo consiste in aver piene le casse, colmi i granai, ridondanti le grotte. E talora parlando da solo a solo col figliuol vostro, ancor tenerello: mira (gli dite), a tal mercatante, mira il tal canonico, mira il tal cavaliere: perché seppero accumular di molto danaro, vedi tu com’or sono giunti, quegli a fabbricar la tal villa, quegli a conseguire il tal beneficio, quegli a stabilir il tal parentado? Vogliamo credere che tu saprai mai giungere a tanto? E così voi fate formargli un’opinion del danaro tanto sublime, che non cred’esservi altro Dio su la terra maggior dell’oro. Più. – L’Evangelio dice, che bisogna seder nell’ultimo lato: recumbe in novissimo loco (Ib. XIV, 10). E voi a’ vostri giovani persuadete continuamente il contrario, suggerendo loro che non bisogna contentarsi mai dello stato in cui l’uomo nasce; ma che, a guisa de’ fiumi, bisogna sempre nel mondo acquistar paese, avvantaggiarsi, allargarsi. Più. L’Evangelio afferma, che convien condonare le offese fatteci: diligite inimicos vestros (Ib. 6. 27). E voi a’ vostri giovani insinuate perpetuamente l’opposto, dicendo loro che non bisogna dimenticarsi mai di un affronto che l’uom riceva; ma che, ad imitazion de’ molossi, bisogna sempre ad ognuno mostrare i denti, rispondere, ricattarsi. Ed oh quanti sono, che dicono a’ lor figliuoli: la nostra casa è sempre stata riverita e temuta al pari di ogn’altra. Ella ha avuti tanti senatori, tanti cavalieri, tanti capitani, tanti uomini famosi in pace ed in arme. Non sarai degno del casato che porti, se non saprai sempre farti usar tua ragione. Quindi godete che di buon’ora comincino a trattar l’armi, perché i gloriosetti si avvezzino tanti Marti; ed assai più voi fate loro di applauso quando li vedete caricar con man tenera una pistola, che quando li mirate aguzzar la penna. – E quelle buone madri ancor esse con quai dettami sogliono specialmente allevare le loro figliuole? Con quei dettami evangelici, i quali c’insegnano di schivare i lussi superflui e le pompe vane? Nolite solliciti esse corpori vestro quid induamini (Ib. XII. 22). Anzi tutto il contrario. Va, figliuola mia, dicon esse, va, di’ a tuo padre che tu vuoi vestir da tua pari. Digli che tu così ti vergogni di comparire; che cavi fuori del suo scrigno que’ nastri, que’ pendenti, que’ vezzi, quelle smaniglie; a1trimenti non isperare ch’io ti voglia più condur meco neppure a Messa. Quindi abbigliandole or con una sorte di gala, ed or con un’altra, le avvezzano di buon’ora ad indurir contra il freddo ostinatamente le spalle ignude, o fintamente coperte; insinuando che nella foggia del vestire bisogna sempre attenersi all’uso del secolo, e poi lasciare, che i predicatori si sfiatino a lor piacere e che si scatenino. Ecco, o signori miei, quali sono i bei documenti che molti padri, che molte madri oggi danno a’ loro figliuoli. – E così che ne segue? Ne segue che quegli animi ancora molli, ricevuta una tal sementa, comincino a poco a poco a gittare così profonde radici di fasto, di vanità, di ambizione, di audacia, d’interesse, e di ogni altra più sregolata affezione, che quando poi con gli anni acquistano forza, non v’ha più mano mortale che possa svellerne i velenosi rampolli: Adolescens juxta viam suam, ch’è quella via che lo porta più al mal che al bene, etiam cum senuerit non recedet ab ea (Prov. XXII. 6). E vi par che il vostro delitto sia delitto pertanto di leggier peso? Io credo pure che avrete udito ragionar mille volte di quell’Eli, gran sacerdote, il quale un dì divenne a Dio sì discaro, che fu in perpetuo privato e del sacerdozio e del tempio e delle facoltà e della vita e della prosapia, e giudicato con tanta severità, che quantunque sia opinione probabile ch’ei sia salvo per gli altri suoi singolarissimi meriti verso la religione, nondimeno Filone ebreo, san Gregorio Nazianzeno, santo Isidoro pelusiota, san Cirillo alessandrino, san Giovanni Grisostomo, san Pier Damiano, e più altri, inclinano a riputare ch’ei sia dannato; e san Cesario arelatense, e santo Efrem siro lo sentono chiaramente. Or perché incorse egli un giudizio così tremendo? Mi giova che l’udiate di bocca di. Dio medesimo. Eo quod noverat indigne agere filios suos, et non corripuerit eos, idcirco juravi domui Heli, quod non expietur iniquitas domus ejus victimis et muneribus usque in æternum (1 Reg. III. 13 et 14). La soverchia indulgenza ch’Eli mostrò verso i figliuoli viziosi,fu quella che trassegli addosso sì gran gastighi; e solamente per questo Iddio dichiarossegli sì sdegnato, che non sarebbono mai bastati a placarlo né sacrifizj, né vittime, né preghiere, se non quanto alla pena eterna, almeno quanto alla soddisfazione temporale. Sì? Ora udite e tremate, signori miei. Se questo infelice fu giudicato con tanta severità sol per non avere o ripresi con efficacia, o gastigati con rigidezza i figliuoli mentre peccavano, eo quod non corripuerit eos: ahimè!;che non dovranno temer dunque quei padri, i quali non solo non li ritraggon da’ vizj, ma ve gl’incitano con sì perniciosi dettami? Se non punire il peccato dispiacque tanto, che sarà il lodarlo?che sarà il promuoverlo? che sarà il persuaderlo? che sarà il farsene perversissimo autore? Potrà restare a questi infelici speranza di salvazione? Io non lo so; ma domandovi solamente: – se voi deste questi medesimi documenti viziosi, che abbiamo detti, ad un altro giovine, il qual non vi appartenesse per verun capo, ad un Giudeo, ad un Gentile, ad un Turco, quanto severo giudizio verreste nondimeno ad incorrere nel tribunale divino? Depravatori di giovani! depravatori di giovani! Non può mai dirsi quanto a Dio sieno odiosi. Che però dove leggiamo: capite nobis vulpes parvulas, quæ demoliuntur vineas (Cant. II. 15), san Girolamo insegna potersi egualmente leggere in questa forma (in Cant. hom. 4 in fine): Capite nobis vulpes, parvulas quæ demoliuntur vineas; sicché quella voce parvulas non tanto si riferisca alle volpi, quanto alle vigne: non tam et vulpes, quam ad vineas referatur. Perché queste sono le volpi più odiose a Dio, le volpi veterane, le volpi vecchie, le quali tanto più arditamente assaliscono parvulas vineas , la tenera gioventù, la sfiorano, la sterpano, l’assassinano. Queste sono le volpi che il Signore desidera, queste, queste, per farne alfin un macello. Capite nobis vulpes, parvulas quæ demoliuntur vineas. E però conchiudo così. Se tanto conto dovreste rendere a Dio, dando cattivi consigli a qualunque giovane, il qual or cominci a fiorire; che sarà dandoli ad un giovane vostro, ad uno, a cui siete per natura tenuti d’istituzione sì santa, d’istruzione sì salutare? Voi pensateci, ed io mi riposerò.
SECONDA PARTE
VI. Tornava il profeta Eliseo dal veder Elia, suo maestro, rapito in cielo sopra cocchio di fuoco: quando, cominciando a salire una collinetta per ire a Betel, ecco una gran turma di piccioli figlioletti, i quali in vederlo cospirarono tutti ad alzar la voce, e a gridare per beffa: su, vecchio calvo; su, vecchio calvo; cammina: ascende, calve: ascende, calve (4 Reg. II. 23). Eliseo, stupito di arroganza sì audace in età sì tenera, non poté contenere lo sdegno in petto rivoltandosi con occhio bieco a mirar quegl’insolentelli: siate (disse lor) maledetti in nome di Dio: maledixit eis in nomire Domini (lb. II. 24). Credereste? Appena egli ebbe parlato, che tosto uscirono dalla vicina boscaglia due terribilissimi orsi, e cacciandosi in mezzo di que’ fanciulli, quasi in un branco di sbigottiti agnellini, cominciarono in essi a lordar le zanne, a spiccar capi, a smembrar cosce, a sbranar busti a spolpar ossa, a squarciar ventri, a disseminare interiora; nè molto andò, che con orribil macello ne lacerarono insino a quarantadue. Egressique sunt duo Ursi de saltu, et laceraverunt ex eis quadraginta duos pueros (Ibid.). Se voi ne interrogate gl’interpreti, o miei signori, vi diranno che questi figliuoli non erano ancor capaci di gran malizia; perciocché afferma la Scrittura di loro, ch’essi eran pargoletti: pueri parvi. Che vuol dir dunque, che furon eglino non pertanto puniti sì atrocemente? Sapete perché? Per castigare in questa forma i lor padri che mal allevamento che andavano lor dando: ut parentes eorum in ipsis punientur, siccome attesta il Lirano, ed altri in gran numero. Cristiani miei, voi allevate ben spesso i figliuoli con poco timor divin: non è così? con libertà, con licenza, per timore che alfin non si scorga in essi più di bacchettonismo, per usare i termini vostri, che di bravura. Qual sarà pertanto il castigo che voi ne riceverete anche in questo mondo? Che un giorno ve li vediate giacere a’ piedi, finiti innanzi al lor tempo di morte anche ignominiosa. De patre impio, queruntur filii, quoniam propter illum sunt in opprobrio (Eccli. XLI. 10). Ma quando ancor vi campassero lungamente, non vi potrebboero recar essi materie non meno gravi di tristezza, di ansietà, di amarezze, di crepacuori? Lacta filium, et paventem te faciet, dice l’Ecclesiastico (XXX, 9); lude cum eo, et contristabit te. Che disgusto fu quello di Agarre, quando per cagion d’Ismaele da lei nutrito con educazion troppo altiera, fu necessitata di andar raminga pe’ boschi! – Che disgusto fu quello di Davide, quando per cagion di Assalonne, da lui governato con verga troppo indulgente, fu costretto a vedersi crollare il trono! Ed il patriarca Giacobbe che disgusti anch’egli non ebbe per la sua Dina? Uditelo, che potrete impararne assai. Era il buon vecchio, pellegrinando, arrivato con tutti i suoi nel paese di Cana; e quivi in una campagna, ch’egli perciò comperossi da’ Sichimiti, piantati avea i padiglioni, ripartita la gente, accomodati gli armenti, per riposare (Gen. XXXIV). Quando ecco Dina, fanciulla di quindici anni, udendo, come afferma Gioseffo, che poco lungi tutte le donne di Salem concorrevano ad una festa, chiede al padre licenza di andare un poco opportunamente a vederle; giacche per altro le rincrescea di marcirsi lungamente prigione fra quelle tende. Quanto poco a Giacob sarebbe costato il raffrenare severo nella figliuola questa donnesca curiosità giovanile! Ma egli, troppo rimesso, non vuole affliggerla; e per non vederla più piangere e più pregare, le dice: va. Dina vada? Ahi povera figliuola! ahi povero padre! In quanto cieco laberinto vi andate ad intrigar da voi stessi, non lo sapendo! Proseguiamo il fatto, che in vero è terribilissimo. Uscì la vergine per vedere altre donne; ma per quanto ella andasse o raccolta o cauta, fu veduta da un uomo, il quale fieramente invaghitosene, la rapì, la disonorò; e siccome egli era per altro signore di gran portata, cioè il principe stesso de’ Sichimiti, chiamato Sichem, così di poi con lusinghe ancora piegolla a restargli in casa, ed a consentire alle sue legittime nozze. Vassi pertanto a Giacobbe (per la nuova del caso oltre modo afflitto), e si esibiscono le soddisfazioni maggiori che dar si possano ad uomini forestieri. Propone il Principe di voler dar egli alla sposa una ricca dote, offerisce regali, promette rendite, s’obbliga ad avere col popolo d’Israele, allora non grande, perpetua corrispondenza; e si contenta di dar loro a goder le sue terre stesse, le sue campagne, i suoi pascoli, i suoi poderi. Mentre si sta sul calor di questi trattati, ecco i figliuoli di Giacobbe ritornano dalla greggia; i quali, udito lo scorno della sorella, tengon prima fra loro un consiglio breve; conchiudono, stabiliscono: e di poi, covando nel cuore un’aspra vendetta, dicono a Sichem di approvare i partiti da lui proposti; ma che a ciò solo si frapponeva un ostacolo, ed era non poter essi tener commercio con uomini incirconcisi. Però accettassero, i Sichimiti d’accordo la loro legge, si circoncidessero tutti; e poi legherebbesi la bramata amistà, e si stringerebbero scambievoli parentadi. Che non può la smania di un animo innamorato? Accetta il Principe la condizione, la stipola, la rafferma; e tornato lieto in città, con varj pretesti la persuade concordemente anche a’ suoi. Ma che? giunto il terzo dì dopo il taglio (ch’è quando appunto il dolor d’ogni ferita suol essere più crudele), ecco due fratelli di Dina, Simone e Levi, se ne vengono armati nella città; e mentre gli uomini addolorati si giacciono tutti a letto, nulla sospettosi d’inganno, nulla abili alla difesa, ne cominciano a fare un orrendo scempio: uccidono fanciulli, uccidono attempati, uccidon decrepiti; siasi chi si vuole, s’è maschio, convien ch’ei muoja: ed indi a volo passati tosto in palazzo, assaltano furibondi l’odiato Principe, lo scannano, lo sfragellano; e tolta Dina, se la riportano a’ padiglioni paterni, prima vedovella che sposa. Né qui terminò tanta rabbia; perciocché di poi ritornati con tutto il grosso di lor famiglia, recarono alla città l’estremo sterminio; saccheggiarono case, spiantaron orti, desolarono torri; fecer tutte schiave le femmine, e le rapirono. Quinci usciti fuori in campagna, miser tutto il paese furiosamente a ferro ed a fuoco: non perdonarono a beltà di giardini, non a ricchezza di armenti, non a splendidezza di possessioni; a segno tale, che divulgatasi ne’ convicini la fama del caso atroce, tutti a rumore si sollevarono i popoli: arma, arma, perseguita i forestieri, ammazzali, ammazzali; ed eccoti Giacobbe in evidente pericolo di perire con tutti i suoi. Conviene precipitare, conviene partirsi; e se Iddio spezialmente nol proteggesse, qual dubbio c’è ch’ei già sarebbe perduto anche tra le grotte? Or avete sentito, o signori miei? Oh che imbarazzi, oh che confusioni, oh che risichi, oh che garbugli! E perché? Per la soverchia indulgenza di un padre tenero verso una figliuola vogliosa. E quante notti credete voi che Giacobbe vegliare ansioso dovesse su questo affare? Non sarebbe stato assai meglio dare a quell’amata fanciulla un disgusto breve, e lasciarla pregare, e lasciarla piagnere, che dover poi per cagion di essa riceverne un sì tremendo?
VII. Signori miei, questi successi sono registrati nelle divine Scritture, perché si sappiano; ed io però ve li narro, desiderando che voi vogliate, come si conviene, e apprezzarli, ed approfittarvene. Sì, sì, chiaritevi esser verissimo il detto di Salomone: puer, qui dimittitur voluntati suæ, confundit matrem suam (Prov. XXIX, l5). Ipadri sono i primi a provare i cattivi effetti della libertà conceduta a’ lor figliuoli (ch’è quello ch’io nella seconda parte ho preteso di dimostrarvi); e però accorti incominciate a raffrenarli a buon’ora, da’ primi passi, dalla prima puerizia, ed avvezzatevi presto a dir loro, no; non vi lasciando sì facilmente snervare da’ loro vezzi, quando essi bramano che diate loro sul collo la briglia lunga, fìlius enim remissus, come parlò l’Ecclesiastico (XXX. 8), evadet præceps. E non è certamente una gran vergogna chequesti tosto divengano sì assoluti padroni de’ vostri affetti, che solamente per non veder su’ lor volti una lusinghevole lagrimuzza, condiscendiate che vadano a commedie quantunque oscene, a festini quantunque liberi, a ricreazioni quantunque non costumate? – Voglio ben io che li amiate, signori sì; ma d’amor utile, non di amore dannoso. Quanto cordiale amore portava quella famosa regina Bianca al suo piccolo re Luigi! Eppure: ah Sire (gli ripeteva ogni giorno), prima io vorrei vedervi morire su queste braccia, che vedervi commettere un sol peccato. Or perché dunque non gli amate voi pure di amor sì maschio, giacché non mancano signore ancora private che l’hanno fatto, con albergare però nel cuore ancor elleno un tale all’etto, che non par degno di petto men che reale? Certo almen è che tali erano le parole che pur avea del continuo su la sua bocca una beata Umiliana, detta de’ Cerchi, chiara in Firenze unitamente e per sangue e per santità, qualor vedeva i suoi nobili fanciullini non solamente lontani ancor dal morire, come un Luigi, ma già già prossimi. Io non so piagnere, solea dire, o figliuoli, la vostra sorte; perciocché troppo più volentieri io rimiro ciascun di voi portar la sua stola candida al Paradiso, che restar quaggiù con pericolo di lordarla. Tanto la grazia può giungere a trionfare della natura in un cuore ancora di donna, e donna madre! Ma io m’immagino di avervi ormai tediati bastantemente, e però fìnisco. Solo vorrei che vi partiste di qui con questa persuasione vivissima nella mente intorno a’ giovani vostri, che quasi tutta dalle vostre mani dipende ordinariamente la loro salute, più che la salute de’ piccoli navicelli tra le tempeste non dipende da quella de’ lor nocchieri. – E perciò tolleratemi s’io vi dico, che quali li vorrete, tali saranno; se scorretti, scorretti; se santi, santi; perch’io sono certo di non dirvelo a caso. Sofìa, la madre del gran Clemente ancirano, desiderò che il figliuol suo fosse martire del Signore; e così da fanciulletto invogliandolo di un tal pregio con raccontargli frequentemente i trionfi degli altri famosi martiri, finalmente lo consegui. Moabilia, la madre del grand’Edmondo cantuariense, desiderò che il suo figliuolo mantenesse perpetua verginità; e cosi da fanciulletto animandolo a tal virtù, con avvezzarlo incessantemente a tormentare suo tenero corpjcciuolo, facilmente l’ottenne. Bramò Aleta, la madre di san Bernardo, che tutti e sei quei figliuoli maschi, ch’ell’ebbe, si consagrassero al divino servizio; e però gli andava nutrendo fin principio con cibi non da cavalieri, qual erano, ma da romiti, qual li desiderava; e riportò felicemente l’intento. Così la reina Valfrida desiderò di far santa la sua figliuola Editta, e la fece; così parimente fece il buon padre di sant’Ugone monaco, così la madre di santo Svibberto vescovo, così la madre di san Aicardo abbate, così la madre di santa Luggarda vergine; e finalmente, per quella poca osservazione ch’ho fatta nell’assiduo rivolger de’ fasti sacri, io vi posso affermare con verità, che quasi tutti quei genitori, i quali desideraron di rendere la lor prole non solo salva, ma santa, e con una tale intenzione l’andaron sempre sollevando fin da’ primi anni, quasi tutti lo conseguirono. Adunque perché voi pure non procurate lo stesso, signori e signore mie? che vi ritiene? che vi sturba? che v’impedisce? Erudi fìliuìn tuum, ne desperes, dirò col Savio (Prov. XIX. 18). Deh per Dio che sarebbe provarsi un poco, se ancora a voi riuscisse sì buona sorte? – Oh qual felicità sarebbe la vostra, esser padre, esser madre di un figliuolo santo! Non invidiate alla gran madre de’ Maccabei quei suoi parti di tanta fama? non invidiate ad un’Elcana il suo Samuele? non invidiate ad un’Elcia la sua Susanna? Ma tutti questi se li formarono tali. Così fate voi parimente, né mancherà chi. però porti tra qualch’anno a voi pure una santa invidia.