[Sac. Dott. Emilio Campana,
Pro-delegato vescovile della diocesi e Professore di Teologia dogmatica del seminario di Lugano
MARIA NEL DOGMA CATTOLICO –
Torino, P. MARIETTI ed., 1909]
Libro I, parte III, Maria nel Vangelo:
CAPO III.
L’annunciazione dell’Angelo.
Sommario. —
I . Si racconta colle parole stesse dell’Evangelo il fatto della annunciazione, che teologicamente è la base di tutta la grandezza di Maria, ma che noi dobbiamo esaminare con criteri storici. — II. Maria ricevette la visita dell’Angelo, prima del suo matrimonio, quando era solo fidanzata con Giuseppe. — III. Il celeste messaggero è Gabriele; suoi rapporti coll’Incarnazione; forma e luogo in cui apparve. — IV. Perché l’annunciazione. — V. Perché il messaggio di un Angelo. VI. — Autenticità del colloquio passato tra Maria e l’Angelo. — Conazione della critica razionalista. — Logico concatenamento delle cose dette dall’Angelo. — VII. La psicologia di Maria nel grande dramma dell’Annunciazione: sua prudenza, sua umiltà, suo amore alla verginità, tua fede, sua obbedienza, sua ardente carità.
I. — L’Evangelo che ha taciuto della nascita e dell’adolescenza di Maria, d’un tratto ci parla di lei per dirci che un Angelo, l’arcangelo Gabriele, le apparve ad annunziarle che sarebbe diventata Madre di Dio. È il primo avvenimento che della vita di Maria conosciamo dai libri ispirati. Ce lo narra Luca nei termini seguenti: Il sesto mese (dacché Elisabetta aveva concepito Giovanni Battista) fu mandato l’Angelo Gabriele da Dio in una città di Galilea chiamata Nazareth, ad una vergine sposata ad un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe, e la vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei l’Angelo disse: Salute, o piena di grazia: il Signore è con te. Benedetta tu fra le donne. — Ciò udendo ella sbigottì alle sue parole e pensava che specie di saluto fosse quello. E l’Angelo aggiunse: Non temere, Maria: che hai trovato grazia avanti a Dio; ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrainome Gesù. Questo sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore gli darà il trono di David, suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. — Allora Maria disse all’Angelo: Come avverrà questo mentre io non conosco uomo? — E l’Angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo t’adombrerà. Per ciò, quel che n’è generato santo, sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia; ed è questo per lei il sesto mese, detta sterile: che niente è impossibile avanti a Dio. — E Maria disse: Ecco l’ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola. — E l’Angelo si partì da lei „ (S. Luca I, 26 seg.). Questo breve tratto dell’Evangelo contiene in germe tutta la teologia mariana. Tutto quello che di sublime si può e si deve dire di Maria, va attinto, come alla sua fonte inesauribile, al racconto dell’annunciazione che ci fa S. Luca. Perché fu subito dopo il colloquio con l’Angelo che Maria divenne Madre di Dio: fu per il modo con cui accettò di diventar Madre del Salvatore, che si trovò associata a Lui nell’opera della redenzione, e meritò il titolo di nostra Madre e Corredentrice. La chiave che dogmaticamente ci introduce nell’imponente edificio della dignità di Maria, sta nei suoi rapporti cristologici. Ebbene, questi rapporti si rannodano tutti al fatto dell’annunciazione. Ma quel che si può teologicamente cavare da questo fatto, già lo vedemmo altrove. Ora. noi dobbiamo esaminarlo con criteri storici.
II. — Dal punto di vista storico, importa anzitutto far rilevare che l’Angelo apparve a Maria prima che ella fosse definitivamente congiunta in matrimonio con Giuseppe, quando cioè era semplice fidanzata di lui. Questo risulta anzitutto dal significato ovvio, naturale e spontaneo della parola latina dessposatae della greca “imnesteumenen” ,a cui quella fedelmente corrisponde. Ma soprattutto ci risulta evidente confrontando quel che di Maria dice S. Luca, con quel che ce ne fa sapere S. Matteo! Dalla narrazione dell’annunciazione, e soprattutto della visita a S. Elisabetta che si legge in S. Luca, è fuor di dubbio che Maria divenne Madre di Dio subito dopo ch’ella disse all’Angelo: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola.„ Ora S. Matteo ci dice a proposito: “La nascita di Gesù Cristo poi avvenne così: Maria, sua madre, sposata a Giuseppe, prima che fossero insieme, si trovò incinta di Spirito Santo. — Christi autem generatio sic erat; cum esset desponsata mater ejus Maria Joseph, antequam convenirent, inventa est in utero habens de Spirita Sancto „ Matth. I, 18. Quel antequam convenirent, getta troppa luce sul significato del desponsata, perché ci possa essere ancor dubbio. Maria dunque portava già in sé il Salvatore prima che coabitasse con S. Giuseppe; poiché tale è il significato della frase antequam convenirent. La parola convenire qui non può significare l’uso del coniugio, per il quale l’Evangelista usa il verbo cognoscere, ma indica semplicemente la coabitazione. Tale è pure il significato della frase originale greca (“pris e suneltein aghios”). Essa dice letteralmente prima di unirsi a coabitare, prima di venire nella stessa casa. E che qui si debba ritenere il significato letterale, è confermato dall’avviso che l’Angelo, secondo S. Matteo, diede a Giuseppe, angustiato per lo stato in cui si trovava Maria, e che egli non sapeva spiegare. L’Angelo disse a lui: “Giuseppe, non esitare a prendere Maria in tua consorte. — Joseph, noli timere accipere Mariam conjugem tuam. „ Nel greco per accipere ci sta “paraladein”, che vuol dire letteralmente condurre a casa tua, cioè prendere in moglie, per consorte. – È dunque evidente che quando Maria concepì il Figlio di Dio, e quando fu visitata da Gabriele, che le dava un tanto annuncio, ella non stava ancora nella di Giuseppe. Abitava con lui nello stesso paese, ma in casa distinta. Che avesse ancora i suoi genitori?… Che fosse presso qualche prossimo parente che le faceva le veci dei genitori morti?… Sono domande a cui sarebbe inutile tentar di dare una risposta, perché sarebbe sempre arbitraria. L’Evangelo non ci ha voluto dare informazioni su questo punto, ed a noi altro non resta che reprimere insoddisfatta la nostra curiosità. Ci preme però di mettere il lettore in guardia perché non pensi che il fidanzamento, lo sposalizio, presso gli Ebrei avesse quel medesimo valore che ha presso di noi. No!, presso gli Ebrei il vincolo che ne nasceva era molto più intimo, i diritti più. ampii. Il fidanzamento degli Ebrei aveva il valore del matrimonio rato presso i Cristiani. Gli sposi non coabitavano ancora, ma potevano trattarsi come marito e moglie. Se la sposa avesse mancato di fedeltà era dalla legge trattata come adultera, e viceversa se avesse avuto dei figli dal suo fidanzato questi non erano considerati come illegittimi. Il celebre rabbino Maimonide, del quarto secolo, che ben conosceva gli usi ebraici, scrive a proposito: Si sponsa in domo patris sui ex sponso concepisset, infans ut legitimus habebatur (De prohib. congr., cap. xv, n. 17). Per questo, lo stesso Maimonide dice che alla fidanzata ebrea si poteva con verità dare anche il titolo di moglie: Desponsata, tametsi nondum maritata, nec in domum viri introducta, illìus tamen est uxor (nel libro Ascetk, ossia La Donna). Il fidanzamento durava un anno, e passava in matrimonio coll’introduzione della sposa nella casa dello sposo; la quale introduzione ora si faceva solennemente, coll’invito cioè di molti amici, ai quali non si lasciava mancare lieta e copiosa mensa, ed ora si faceva tacitamente, senza fasto né esteriori dimostrazioni. – Ammesso che Maria, quando fu salutata dall’Angelo, fosse semplice fidanzata di Giuseppe nel senso testé spiegato, si comprendono chiaramente tante cose, che a prima vista sembrano oscure. Si spiega, anzitutto, come Maria abbia potuto subito dopo lasciare Nazareth ed andare da Elisabetta senza essere accompagnata da Giuseppe. Che Giuseppe non sia andato da Elisabetta è fuor di dubbio. Lo dimostra il turbamento che provò quando si accorse della gravidanza di Maria, che non poteva in niuna maniera spiegare. Questa scoperta la fece certamente al ritorno di Maria in Nazareth. Se fosse andato anche lui dalla madre di Giovanni Battista, avrebbe inteso il saluto di lei a Maria, avrebbe inteso il Magnificat, avrebbe partecipato alle confidenze di Maria alla sua vecchia parente; per dir tutto in breve, lo stato della sua sposa non sarebbe più stato per lui ricoperto dall’impenetrabile velo del mistero. Giuseppe dunque non fu con Maria nelle regioni montuose, in montana; il che si comprende benissimo supposto che Maria ancora non coabitasse con lui. Si spiega ancora come la gravidanza di Maria non abbia suscitato in pubblico nessuna meraviglia, come il suo onore non ne fosse stato menomamente compromesso. Ella era legalmente fidanzata: dunque non c’era più nulla da obbiettare contro le condizioni in cui si trovava. In tutti doveva naturalmente formarsi la convinzione, che il frutto aspettato era il legittimo rampollo dello sposo Giuseppe. Questi però che sapeva di non aver mai usato i suoi diritti coniugali, ne restava meravigliato e turbato. Ma era il solo che poteva provare una simile impressione. In altri termini, il lettore si ricorda certamente quali siano state le ragioni per cui Dio volle la Vergine Maria, non
ostante il voto di verginità, unita in matrimonio con Giuseppe. Ebbene, quelle ragioni cominciavano ad avere tutto il loro valore dal giorno del fidanzamento di Maria.
III. — L’Angelo apparso a Maria fu Gabriele. Il suo nome etimologicamente vuoi dire forza di Dio, eroe di Dio. Non era questa, secondo la Scrittura, la prima apparizione da lui fatta ai mortali. Dal libro di Daniele risulta che si manifestò più volte a quel profeta, sotto forma di uomo alato, per istruirlo su varii punti, e, fra altro, per spiegargli il vero senso delle settanta settimane che dovevano trascorrere prima della venuta del Messia. S. Luca, nel capo medesimo in cui narra l’annunciazione a Maria, ci fa sapere che Gabriele era già prima apparso a Zaccaria, per annunciargli- che sarebbe diventato il padre del Precursore. Con Zaccaria si manifestò in questi termini: “Io sono Gabriele che sto in presenza di Dio„ (Luc. I, 19). Egli è dunque come Raffaele, del quale è detto nel libro di Tobia: “che è uno dèi sette spiriti che stanno davanti al trono di Dio„ (Tob. XII, 15). Stanno davanti al trono di Dio, s’intende, per ricevere e mandare ad esecuzione i suoi ordini. Per questo Gabriele si connumera tra gli arcangeli. S. Tommaso pensa che Gabriele non sia dell’ordine più sublime tra gli spiriti celesti, ma che sia sufficiente l’ammettere che ha il primo posto nell’ordine degli arcangeli, il cui officio è quello di annunciare agli uomini le cose di maggior importanza: Ad quartum dicendum, quod quidam dicunt Gabrielem fuisse de supremo ordine angelorum: propter quod Gregorius dicit: “Summum angelum venire dignum fuerat, qui summum omnium nuntìabat. „ Sed ex hc non habetur quod fxerit summus inter omnes ordines, sed respectu angelorum: fuit enim de ordine archangelorum: unde et Ecclesia eum archangelum nominat: et Gregorius ipse dicit in hom. de centum ovibus) quod “archangeli dicuntur qui summa annutiant „ satis est ergo credibile., quod sii summus in ordine archangelorum (III p., q. xxx, art. 2). Per la parte da lui avuta nell’annunciare i misteri riguardanti l’Uomo-Dio, Gabriele vien chiamato anche “l’Angelo dell’Incarnazione, „ ed è fuor di dubbio, come opportunamente fa osservare S. Gregorio, che il suo nome conveniva molto bene agli offici da lui compiuti. La Redenzione è certamente opera di potenza: è la manifestazione più bella dell’illimitato potere di Dio; era ben giusto quindi che il portare la novella di un tanto mistero fosse affidato all’angelo che si chiama la forza di Dio. Hoc nomen officio suo congruit. Gabriel enim Dei fortitudo nominatur. Per Dei ergo fortitudinem nuntiandus erat, qui virtutum Dominus, et potens in prœlio ad debellandas potestates aereas venlebat (S. Tho.). Gabriele apparve a Maria in forme d’uomo: questo è fuor di dubbio: altrimenti non si capirebbe più come sia “entrato _ da lei, come abbia materialmente “parlato „ con lei, come da lei si sia partito. „ Quale però sia stato precisamente l’aspetto assunto dall’Angelo, l’Evangelo propriamente non lo dice: a Daniele apparve alato; ma nel caso della Vergine si ritiene che non sia apparso in quest’atteggiamento. Il suo entrare e partire da Maria, è descritto da S. Luca con parole che fanno supporre nell’Angelo forme umane comuni. L’Arcangelo entrò dalla Vergine. Questo vuol dire che la salutò, e le annunciò il mistero dell’Incarnazione mentre Maria si trovava in casa: è troppo naturale il supporre che in quel momento fosse immersa nell’orazione e nella contemplazione dei divini misteri. Certo era sola. Di qui svanisce la leggenda diffusa presso gli Orientali, che Gabriele sia apparso a Maria mentre si trovava alla fontana per attingere acqua. Ciò urta col testo di S. Luca. Più strana ed infondata ancora è l’opinione di alcuni, che, per conciliare ogni cosa, ammettono una duplice apparizione: la prima alla fontana, la seconda in casa. E evidentemente contro la narrazione dell’Evangelo il duplicare l’annuncio dell’Angelo.
IV. — Perché Dio volle che il mistero dell’Incarnazione fosse prima annunciato che compiuto; e, di più, perché farlo annunciare da un Angelo? A queste due domanda risponde molto bene S. Tommaso nella terza parte della Summa Theologica, alla questione trentesima. Non si trattava certo di necessità assoluta. Iddio, padrone assoluto di ogni cosa, avrebbe potuto rendere Maria madre del suo Figlio anche senza inviarle nessun previo messaggio, anche senza aspettare il di lei consenso. Ma fu conveniente che Maria venisse prima edotta di ciò che stava per compiersi in lei, per quattro ragioni. La prima si fu per dar campo a Maria di prepararsi a ricevere degnamente in s’è il Verbo divino. Prima di concepire in sé materialmente il Figlio di Dio, era conveniente che lo concepisse spiritualmente, concentrando su di Lui in uno sforzo supremo tutti i suoi affetti, e tutti i suoi pensieri. Al Re dell’universo che entrava nel mondo, per quanto volesse da principio conservare l’incognito, era però troppo giusto che almeno la Madre sua facesse festa e rendesse grazie per tanta degnazione. Congruum fuit, dice S. Tommaso, B. Virgini annuntiari quod esset Christum conceptura. Primo quidem ut, servaretur congruus ordo conjunctionis Filli Dei ad Virginem: ut scilicet priusmens ejus de ipso’ instrueretur, quam carne enm conciperet (l. c.). Poi, facendo questa rivelazione, Dio pensava a noi: Egli volle che Maria ne fosse diligentemente istruita, affinché ella poi, alla sua volta, fosse in grado di rendere davanti all’umanità una testimonianza inoppugnabile di questo mistero. In realtà, le informazioni che S. Luca ci dà sul modo con cui Dio s’incarnò, le ebbe appunto da Maria. Secundo, è sempre l’Angelico che parla, ut posset (Maria) esse certior testis hujus sacramenti, quando super hoc divinitus erat instructa. L’annunciazione fu conveniente anche, perché, come diremo tosto, fornì a Maria l’occasione di esercitare le più mirabili virtù. Tertio, ut voluntaria sui obsequii munera Deo offerret a quod se promptam obtulit, dicens: Ecce ancilla Domini. Infine, tenendo questa condotta, Dio ha mostrato una volta di più, come Egli ami trattare agni cosa secondo la sua natura, e come abbia sempre un delicato rispetto verso l’umano libero arbitrio. Ad un essere libero, l’amicizia, l’alleanza non, s’impone, ma convenienza vuole che si offra e si lasci alla libera accettazione. Coll’incarnazione Dio entrava in più intimi rapporti coll’umanità; era un indissolubile connubio che contraeva con lei. Ci voleva dunque la libera accettazione anche da parte dell’umanità. Questo libero consenso, in nome di noi tutti, lo diede Maria, rispondendo all’Angelo. Un’altra donna, col suo libero consenso all’angelo malvagio, ci aveva rovinati, Maria ci restituisce liberamente all’amicizia di Dio rispondendo a Gabriele. Quarto, ut ostenderetur esse quoddam spirituale matrimonium inter Filium Dei et humanam naturam. Et ideo per annuntiationem expectabatur consensus Virginis loco totius humanæ naturæ? (l. c., art. 1).
V. — Una volta decretato di manifestare a Maria il mistero dell’Incarnazione, prima di mettervi mano, nessuna maniera era più congrua o delicata per annunciarlo, che quella di incaricare di ciò un Angelo. Certo, Dio avrebbe potuto manifestarlo Lui direttamente; avrebbe anche potuto mandare a Maria un profeta. Ma questo secondo partito, l’intromissione cioè di un uomo, forse non sarebbe stata troppo decorosa, data la superiorità di Maria a tutto il restante dell’uman genere. Fu molto conveniente che di questo divino messaggio venisse incaricato un angelo, specialmente, secondo S. Tommaso, per tre ragioni. Anzitutto perché è la via ordinariamente seguita dalla divina Provvidenza, quella cioè di manifestare i suoi sovrannaturali disegni agli uomini per mezzo degli Angeli. E non vi sarebbe stato nessun motivo di fare un’eccezione per Maria. Ella, è vero, per un lato è superiore agli Angeli: è superiore a loro per dignità e santità; ma da un altro è inferiore ad essi: lo è per natura, e, mentre viveva quaggiù, lo era anche per condizione di viatrice. Anche Gesù Cristo, per la sua condizione di uomo e di viatore, fu per poco inferiore agli Angeli. Sentiamo S. Tommaso: Respondeo, dice nell’articolo secondo della questione citata, quod conveniens fuit Matri Dei annuntiari per Angelum divinæ incarnationis mysterium propter trio. Primo quidem ut in hoc etiam servaretur divina ordinatio, secundum quam mediantibus angelis divina ad homines perveniunt. E nella risposta ad primum soggiunge: Ad primurn ergo dicendum, quod Mater Dei superior erat angelis quantum ad dignitatem, ad quam divinitm eligebatur; sed quantum ad statum præsentis vitæ inferior erat angelis, quia et ipse Christus ratione passibilis vita, modico ab angelis minoratus est. – Di più, un angelo delle tenebre aveva col suo intervento iniziato l’opera della nostra caduta; era ben dunque conveniente che un altro angelo, un Angelo di luce, trattasse con un’altra donna per il nostro riscatto. Secundo, continua il santo Dottore, hoc fuit conveniensreparationi humanæ quæ futura erat per Christum; unde Beda dicit: Aptum humanai restauraiionis principium, ut angelus a Deo mitteretur ad Virginem partii consecrandam divino, quìa prima perditionis humanai fuit causa, cum serpens a diabolo mittebatur ad mulierem spiritu superbice decipiendam. „ Da ultimo un tal messaggero celeste era il meglio indicatoper presentarsi a colei che, diventando madre, non avrebbe cessatodi essere vergine. Vi hanno legami strettissimi tra la purezza angelica e la purezza verginale: vivete nel mondo conservandosempre illibato il candore verginale, e, più che umanadeve dirsi vita angelica. Tertio, così conchiude l’Angelico, quia hoc congruebat virginitati Matris Dei; unde Hieronymus dicit in sermone Assumptionis (è il discorso falsamente attribuito a lui): ” Bene angelus ad virginem mittitur quia semper est angelis cognata virginitas. Profecto, in carne, præter carnem vivere, non terrena vita est, sed cœlestis „ (l. c.).
VI. Alla critica razionalistica il racconto che S. Luca ci dà dell’annunciazione dell’Angelo, riesce troppo molesto, preso così com’è, e si è data quindi la briga di rifarlo a suo piacimento. Non parliamo di quelli che più radicali, ma certamente più coerenti, sopprimono addirittura i due primi capi di S. Luca, il così detto Vangelo dell’infanzia. Abbiamo in vista solo coloro, che più pudibondi, ma d’un pudore illogico, e non privo di sapore comico, ammettono sì i racconti dell’infanzia, ma vogliono far sparire l’affermazione della verginità di Maria. Questo insigne privilegio della Madre di Dio brilla di luce meridiana nel colloquio che Ella ebbe con l’Angelo; ed è appunto contro questa luce che si fa ribelle la critica razionalista, e precisamente quella che vorrebbe passar per più moderata, e dare ai propri argomenti l’aureola di scientifici. Ecco come procedono: Il Kattenbusch propone di eliminare dal colloquio quattro parole che l’Evangelista mette in bocca a Maria, « Epei andra u ghinosko — poiché non conosco uomo]. Solo quattro parole!… – Harnack non si accontenta di così poco, che pur sarebbe già un arbitrio intollerabile. Per meglio e più sicuramente eliminare l’idea del concepimento virgineo di Gesù, sostiene che debbansi riguardare come interpolati i versicoli 34, 35. come pure l’appellativo di vergine dato a Maria in principio del racconto. Nel testo primitivo, dunque, secondo Harnack, non si leggevano queste parole: 34. Allora Maria disse all’Angelo: come avverrà questo, mentre io non conosco uomo? 35. E l’Angelo rispose: lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Per ciò quel che ne è generato santo sarà chiamato Figlio di Dio. Quali sono le ragioni che hanno indotto il Professore di Berlino, il quale del resto è meritamente celebrato per la sua erudizione, e che ragiona egregiamente solo quando il pregiudizio non gli fa ombra, quali sono, domandiamo, le ragioni su cui appoggia quest’asserita interpolazione? Se si trattasse di noi cattolici che volessimo sopprimere qualche testo molesto, ci si richiamerebbe agli antichi codici, e ci si imporrebbe per essi un sacro rispetto. E la cosa sarebbe giusta. Ma appunto perché questo criterio è giusto, va rispettato sempre. La questione dunque dell’interpolazione bisognerebbe giudicarla in base ai documenti, e non con semplici supposizioni speculative. Ma quelli che si vantano di essere i monopolizzatori del sapere positivo, questa volta trovano troppo volgare il piegarsi davanti ai codici. Preferiscono ragionare a priori; e del resto non possono far altro, perché neppure uno dei codici è dalla loro parte. Tutti riferiscono, come è al presente, il fatto dell’annunciazione. Quali sono dunque gli argomenti di Harnack? Egli li espose nel 1901 [in Luk]e li deduce tutti dall’esame dei versetti 34 e 35 in relazione col contesto, e si riducono ai seguenti: 1° Anzitutto vi sono in questo brano delle parole e precisamente delle particelle, che tradiscono la mano dell’ interpolatore. Vi è per esempio la particella “epei”,poiché, che non si trova in nessun’altra parte degli scritti di S. Luca; non nell’Evangelo, non negli Atti degli Apostoli. Vi è ancora un’altra particella “Sto”, perciò, che si trova più volte negli Atti degli Apostoli, ma nell’Evangelo solo un’altra volta, al capo VII, al versicolo 7, il quale del resto manca in alcuni codici, per esempio nel codice D e nei codici dell’Itala. Queste particelle dunque accusano dei ritocchi posteriori. Ma perché mai? Se questo criterio valesse qualche cosa, allora non resterebbe più nulla, si può dire, dell’Evangelo di S. Luca, poiché l’uso di parole e di espressioni singolari non s’incontra solo in questi due versetti, ma nel terzo Evangelo è frequente, e proprio in quei passi, dei quali è fuor di dubbio, anche a giudizio dell’ Harnack, l’autenticità. Fermiamoci per esempio al prologo, di cui Harnack difese l’autenticità nell’anno 1899, in una conferenza tenuta all’Accademia reale prussiana di scienze. — Nel brevissimo tratto dunque che costituisce il prologo — è un solo periodo — troviamo delle parole, che invano si cercherebbero in seguito nello stesso Evangelo. La stessa prima parola “epeidepes”-poiché, non si riscontra più in questa forma. Solo ricorre negli Atti, c. xv, v. 24, ma nella forma più breve “epeide”. Né questo ricorrere di singolari parole in S. Luca ci deve sorprendere, poiché egli, come lo attesta nel prologo, ha fatto uso di altri scritti, e può essere che qualche volta li riporti integralmente. E si sa che riportando passi altrui, uno scrittore si mette con ciò nell’occasione di usare parole che, del resto, non sono familiari nel suo stile personale. Questa prima obbiezione cade dunque da sé.
2° Ma Harnack insiste, e trova che se fossero genuini i versicoli 34 e 35, l’Angelo avrebbe parlato molto inabilmente: avrebbe commesso delle inutili ripetizioni, anzi sarebbe caduto in aperte contraddizioni, adir poco, e nel suo filo di ragionamento non avrebbe tenuto troppo calcolo del senso comune. Infatti, così ragiona Harnack:
a) Il buon ordine logico esige che il versicolo 36 venga subito dopo il pensiero espresso nei versicoli 31, 32, 33. In essi l‘Angelo promette aMaria che concepirà un figlio di cui dà i connotati: ecco,concepirai nel seno, ecc. Poi nel versicolo 36 usa la medesima espressione: ed ecco Elisabetta tua parente ha concepito, ecc. Lo stesso giro delle due frasi esige che si succedano immediatamente; e quindi i versicoli 34 e 35 sono ingombranti; separano troppo violentemente le due frasi; furono dunque interpolati e perciò debbono scomparire. Ma questa è davvero una fantasia bella e buona. Da quando mai le frasi identiche debbonsi succedere immediatamente? Del resto il versicolo 36 non è posto per spiegare i versicoli 31, 32, 33, ma per rispondere alla domanda di Maria, che chiedeva come mai potesse Ella diventare madre, mentre era in condizione di non poter moralmente violare la propria verginità.
b) Ma l‘Harnack insiste: ilcontenuto del verso 35 è una ripetizione dei versi 31 e 32.
31, 32. E d ecco tu concepirai epartorirai un figlio… Egli sarà grandee Figlio dell’Altissimo sarà chiamato;e il Signore Iddio gli darà il tronodi David suo padre.
35. Lo Spirito Santo verrà in tee la potenza dell’Altissimo ti adombrerà.Per ciò quel che vi è generatosanto, sarà chiamato Figlio di Dio.
Anzi, più che una semplice ripetizione, ci sarebbe in questi versi una reale opposizione, poiché, mentre nei versi 31, 32 il promesso è un figliuolo di Davide, che sarà nominato Figlio dell’Altissimo, nel versicolo 35 il promesso sarà invece nominato Figlio di Dio, perché generato da Dio. – Ma questa osservazione pure è priva di fondamento. Per quanto il versicolo 35 si presenti simile agli altri due 31, 32. in realtà contiene qualche idea di più: non è dunque una mera ripetizione, una biasimevole tattologia, ma una vera spiegazione data da un crescendo. Il chiamare che fa l’Angelo, nel versicolo 35, il promesso nascituro “Figlio di Dio, „ mentre prima 1’aveva qualificato per “figlio di Davide, „ non è una contraddizione, ma un vero crescendo. In realtà il promesso Messia, nella sua qualità di Uomo-Dio, era ad un tempo figlio di Davide, generato da Davide, e figlio di Dio, generato da Dio. Solo una sistematica ed aprioristica opposizione al mistero, può rendere oscuri questi concetti per loro natura così limpidi. c) Continua l’illustre opponente. Se non si sopprimono i versicoli 34, 35, l’argomento portato dall’Angelo nei versicoli 36, 37 diventa inefficace allo scopo. Le parole: « 36. Ed ecco Elisabetta la tua parente ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia, e questo è il sesto mese per lei detta sterile;
37. perché niente è impossibile avanti a Dio, »
sono, secondo Harnack, bastantiad accertare che il figlio ch’ella concepirà naturalmente, saràil Messia. Ma allora devono venire immediatamente dopo ilversicolo 33, e si deve leggere: 33. e regnerà in eterno sulla casa di David ed il suo regno non avrà fine. 36. Ed ecco Elisabetta la tua parente, essa pure, ecc. Ma, posto dopo i versicoli 34, 35, ilversicolo 36 farebbe servire l’esempio di Elisabetta a dimostrarela possibilità del concepimento verginale. Il che sarebbeillogico, perché non è con un fatto minore che si deve provarela possibilità di un fatto più grande.
Rispondiamo: L’Angelo vuol illustrare la potenza divina; ne adduce come esempio un fatto già in corso, di carattere miracoloso. Questo fatto non è della grandezza dell’altro che sta per compiersi in Maria: ma tra tutti, è uno di quelli che più gli si avvicinano. Che offesa ne riceve di qui la logica? L’Angelo non ha inteso con ciò di dare un argomento apodittico: ha voluto semplicemente dare un’idea dell’onnipotenza divina, arrecando in mezzo un altro fatto miracoloso. Harnack, e nessun altro al mondo, avrebbe potuto fare diversamente.
d) L’ultimo argomento il critico-razionalista lo desume dalle parole di Maria: Come mai avverrà questo, poiché non conosco uomo? Egli osserva: 1° è strana questa meraviglia in una donna sposata; 2° queste parole di lei dimostrano incertezza e dubbio di fronte alle parole dell’Angelo, mentre in realtà credette, e della sua fede ne ebbe lode da Elisabetta; 3° questa risposta di Maria all’Angelo contraddice alla di lei indole taciturna, quale risulta dall’Evangelo. – Cominciamo da quest’ultima osservazione: Maria, secondo l’Evangelo, non deve poi ritenersi taciturna, come la vorrebbe far credere Harnack. Certo non era garrulamente loquace. Ma quanto sapesse sapientemente ed eloquentemente parlare a tempo debito, lo dimostra, se non altro, il Magnificat. E vero. l’Harnack attribuisce questo cantico inarrivabile ad Elisabetta e non a Maria; ma con qual fondamento lo vedremo in seguito. Le parole di Maria all’Angelo non sono indice di incredulità, ma manifestazione di sapiente prudenza. Ella si sentiva legata dal voto di verginità. Ora le si annunzia che diventerà madre. La cosa è troppo delicata perché Maria si accontenti senz’altra spiegazione. A lei importa di sapere come potrà, in seguito a quest’annunzio, rimaner fedele al voto con cui s’è legata a Dio. – Questo voto: ecco la vera causa che fa meravigliare Maria, quantunque sposata a Giuseppe, quando ella sente che dovrà diventar madre. Gli argomenti di Harnack dunque non hanno maggior consistenza della statua di Nabucco: basta un sassolino per mandarli in frantumi. Una mente ben più acuta ed assuefatta al maneggio della logica, di quello che lo possa essere qualsiasi razionalista, S. Tommaso d’Aquino, ha esaminato precisamente sotto l’aspetto della correttezza logica il colloquio avuto dall’Angelo con Maria, e lo ha trovato inappuntabile. Nessuno avrebbe mai potuto parlare con maggior ordine, e con un procedimento più razionale: tale è il giudizio che ne dà il S. Dottore. Di fatti, secondo S. Tommaso, si debbono distinguere nel discorso dell’Angelo tre punti, marcatamente differenti. Egli vuole anzitutto attirare a sé tutta l’attenzione della Vergine, la vuol istruire sul mistero che le annuncia, vuole avere da lei il consenso definitivo. Quanto al primo atto, per attirare cioè l’attenzione di Maria, l’Angelo la saluta in termini cosi elogiosi, che non potevano a meno di fare la più grande impressione su Maria tanto umile e sommamente schiva di pensare grandi cose di sé.Egli la saluta piena di grazia, e con ciò riconosce in Lei la disposizione a diventar Madre di Dio; le soggiunge che il Signore è con Lei, vale a dire che si compiace in Lei in una maniera tutta speciale, che l’assiste con una provvidenza singolarissima; termina il saluto preannunciando l’onore che a lei deriverà da questo singolare favore che gode presso Dio: Ella sarà benedetta fra tutte, cioè sopra tutte le donne. Per l’umiltà e la modestia verginale di Maria, c’era più che a sufficienza per rimanerne sbalordita: e l’Angelo opportunamente si ferma a rassicurarla. Insiste nel dirle che il favore di cui Ella gode non è fallace, perché è presso Dio; e per meglio dissipare i di lei timori stavolta la chiama col suo nome Maria (Beda, Curs. Script. Sac. del Migne). Guadagnata così 1’attenzione e la confidenza di Maria, l’Angelo passa ad esporle l’oggetto della sua ambasciata. Procede con quest’ordine: annuncia anzitutto a Maria che diventerà madre: Ecco concepirai nel seno, e partorirai unfiglio, cui porrai nome Gesù. — Poscia descrive i pregi e la dignità di questo figlio: Questo sarà grande, e sarà chiamato figlio dell’Altissimo, ed il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine. Prese in sé, queste parole indicano abbastanza chiaramente che il futuro figlio di Maria era il Messia. Ma l’umiltà di Maria non le permetteva di credersi, così senza ulteriori spiegazioni, la vergine predetta dal profeta Isaia, e oppone all’Angelo con mirabile candore il proprio voto di verginità. Ciò dà occasione all’Angelo di spiegare meglio il proprio concetto, e parla quindi del modo con cui Ella concepirà: concepirai di Spirito Santo, per la virtù dell’Altissimo, e così manifesta in maniera evidentissima che il di lei Figlio sarà il Figlio di Dio. Lo Spirito Santo scenderà in te, e la potenza dell’Altissimo t’adombrerà. Per ciò quel che n’è generato santo, sarà chiamato Figlio di Dio. – ‘Angelo prima di partire deve avere il consenso della Vergine; e perché questo consenso sia più pieno e spontaneo, appoggia tutte le grandi cose, a cui Maria deve acconsentire sulla onnipotenza divina, la quale ha già operato un gran prodigio in Elisabetta, che è sul punto di diventar madre, non ostante la sua sterilità. Ma quello non è che una pallida figura (S. Tommaso dice quoddam figurale exemplum, ad III) di quanto sta per operare in Maria. Maria non può resistere alla volontà divina, e dà il suo consenso: Si faccia di me secondo la tua parola; e cosi la missione dell’Angelo ha un esito felice. – Il colloquio dunque succede col miglior ordine desiderabile e non c’è da far stralcio di nessun versicolo.
VII. — Ed ora s’impone un rapido sguardo alla psicologia di Maria, nell’atto di diventar madre di Dio, quale appare dal suo atteggiamento di fronte all’Angelo e dalle risposte a lui date. L’Evangelo ha cura di dirci che Maria, sentendosi salutata dall’Angelo, si sentì turbata: turbata est. Perché questo timore? Stando al testo della Volgata latina, si dovrebbe dire che rimase turbata soltanto al saluto dell’Angelo: le sue parole e non la sua presenza originarono questo turbamento. Di fatto il testo latino dice: Quæ cum audisset, turbata est in sermone ejus, et cogitabat qualis esset ista salutatio. Quindi è che molti spiegano che Maria non sia rimasta turbata dalla presenza dell’Angelo, adducendo per ragione che era assuefatta a quelle visite: “E ponete ben mente, scrive il P. Curci, essa si turbò alla parola, “epì, to logo”, in sermone, e ripensava che cosa volesse dire quel saluto: ma qui non si dice che si turbasse all’aspetto dell’Angelo, come era avvenuto a Zaccaria, e come vi dissi, destarsi comune e naturale lo sbigottimento nell’ uomo alla presenza di esseri così diversi da lui. Il perché non mi sembra da rigettare ciò che alcune anime pietose meditarono: che cioè, alla designata Regina degli angeli dovesse essere familiare l’apparimento di questo spirito celeste „ Ma, se ben si osserva il testo greco, si deve conchiudere che la presenza dell’Angelo in forma di uomo non fu estranea al turbamento della Vergine. Di fatto nel greco e così pure nel siriaco, al posto di quae, cum, audisset, si legge quæ cum vìdisset. E per questo S. Ambrogio dice espressamente: Ad virilis sexus speciem peregrinam turbatur aspectus Virginia (lib. I Off., c. XVIII). Ed a lui fa eco S. Gerolamo nella lettera settima a Leta, al capo quarto: Imitetur Mariam, quam Gabriel solam in suo cubiculo reperiti et ideo for san timore perterrita est, quia virum, quem non solebat, aspexit. E così possiam ritenere che Maria sia rimasta perplessa anzitutto all’aspetto insolito di un uomo che improvvisamente le apparve, ma soprattutto al sentire le sue parole ed il suo saluto. Pensa S. Bernardo, che al sentire quel linguaggio tanto per lei elogioso, Maria si sia sentita attraversare la mente dall’idea di un inganno diabolico, e che l’angelo delle tenebre volesse indurla in superbia (Serm. 3 super Missus), Questa congettura del Dottor Mellifluo però non garba a tutti. Il Serry, per esempio, la trova non concordante col testo evangelico, il quale dice che Maria pensava bensì qual specie di saluto fosse quello, ma non chi fosse il salutante. Ma l’osservazione del dotto Domenicano non è in realtà di quel peso che egli crede. Quando si dice che Maria era incerta e turbata intorno al saluto, niente vieta che sotto la denominazione di “saluto „ s’intendano tutti gli elementi che lo costituiscono, e, prima d’ogni altra cosa, colui che lo pronuncia. E così Maria, non mostrandosi facile a credere ad ogni spirito, ma volendo prima accertarsi della verità, ha dato un bell’esempio di prudenza. Maria fu con l’Angelo prudente, quanto Eva era stata con un altro angelo imprudente. Ma i dubbi quanto alla natura dell’apparizione non dovettero durar molto. Da tutto l’atteggiamento del suo misterioso interlocutore, dalla riverenza che mostrava pronunciando il nome di Dio, in forza di quel fiuto, di quel divino istinto che hanno le anime sante di distinguere le opere celesti de quelle diaboliche, Maria comprese ben tosto che chi le parlava era un messaggero di Dio. Ma il turbamento perseverava ancora. Non più sostenuto dalla prudenza, era però alimentato dall’umiltà. L’Angelo diceva senza dubbio grandi cose di lei: che era piena di grazia, che possedeva Dio in maniera singolare, che a lei era riservata una benedizione che la distingueva fra tutte le donne. Per Maria, che era assuefatta soltanto a pensare il proprio nulla, al di fuori dei benefizi divini, questo cumulo di lodi è di un peso schiacciante, poiché, come osserva S.Tommaso, non c’è cosa tanto sbalordiente per un animo veramente umile, quanto al sentire l’esaltazione dei propri pregi: animo humili nìhil est mìrabilius, quam audìtus suo? excellentio? ( III p., q. xxx, a. 4 ad 1). Anche qui, qual differenza tra Eva e Maria! Eva, al sentire dall’infernale ingannatore che sarà simile a Dio, messa a parte di ogni segreto, non può più resistere alla lusinga: la vanità e la superbia le fanno sentire dei fatali capogiri. Maria invece, che veramente è il compendio di tutte le divine meraviglie, non può sentire senza una profonda scossa di turbamento il proprio panegirico, che per quanto magnifico, èancora inferiore alla realtà. Ma vari Padri trovano che a suscitare in Maria questo turbamento, ad un sentimento di prudenza e di umiltà, se ne intrecciava un altro, quello del pudor verginale. Questo pudor verginale, che la turbò anzitutto per la semplice presenza dell’Angelo in forma umana, aumentò questa perplessità allorché Maria sentì che ella era benedetta fra le donne. La benedizione di una donna presso gli Ebrei, aveva un senso più determinato e specifico di quello che abbia fra noi. La benedizione di una donna, secondo il modo di giudicare degli Ebrei consisteva soprattutto nel dono della maternità. Quando l’Angelo dunque disse a Maria che sarebbe stata benedetta fra le donne, le faceva capire in termini abbastanza chiari, che avrebbe avuto una maternità straordinaria. Per questo Maria, conscia dei propri propositi di verginità, si mise a riflettere sul senso di questo saluto: cogitabat qualis esset ista salutatio. Le parole dell’Angelo le facevano intravedere, in un presentimento angoscioso, il pericolo di quel che essa aveva di più caro. Cosìpensano fra altri sant’ Agostino, Serm. 2 de Ann., e S. Gregorio Nisseno, Orat. de Christi Nativ. E l’osservazione si presenta da sola piena di giustezza e di ponderazione. Di fatto, quando l’Angelo si spiega meglio, e non lascia dubbio che davvero annuncia a Maria l’onore di un futuro Figlio, straordinario per dignità e grandezza, ella con mirabile semplicità, ma con franchezza premurosa gli oppone: Come avverrà questo, mentre io non conosco uomo? Già altre volte abbiamo avuto occasione di valutare tutta la portata di queste parole. Esse manifestano il grande amore di Maria per il candor verginale; più ancora, esse ci garantiscono che era preceduto in lei un vero e proprio voto di verginità. Di fatti, come ben osserva il P. Curci, perché quella domanda sia vera difficoltà, deve necessariamente importare: non conosco, ne posso conoscere uomo. Senza ciò la richiesta non ha nessun valore, come non l’avrebbe se si dicesse, che la tal fanciulla avrà un figlio cosi e cosi: tutti intenderebbero che lo avrà pel modo ordinario, onde si hanno i figliuoli. Se dunque questa via ordinaria non si poteva supporre in Maria Vergine, neppure nell’imminente e già conchiuso connubio, vuol dire che vi doveva occorrere un impedimento insormontabile. Or questo non poteva essere altro, che il voto di perpetua verginità, fatto da lei da bambina, ed il fatto di conservarla intatta con lo sposo castissimo, anche nel connubio: due punti a noi assicurati dalla Tradizione, e tenuti per fermissimi dal popolo cristiano, ed eziandio da. autori protestanti; ma mi è parso bello averli potuto inferire con facile discorso dalle parole stesse dell’Evangelo „ Maria dunque, parlando coll’Angelo, dimostra insieme ad una rara prudenza, ad una profondissima umiltà, un amore impareggiabile per la verginità. Ma importa qui mettere il lettore in guardia contro un’esagerazione, da cui non sono alieni alcuni brani del Bossuet, che riportammo altrove, ma che il Serry chiama imprudente ed inconsulta, e contro la quale non mancano in genere di protestare i migliori teologi. L’esagerazione consiste nel dire che Maria, messa nel bivio di rinunciare o alla verginità, o alla divina maternità a lei richiesta da Dio, avrebbe, per conservar quella, rifiutato questa. La cosa non è esatta, perché la verginità in urto alla volontà di Dio, cessa di essere virtù: e, benché consacrata prima con voto, questo voto evidentemente cessa allorché Dio manifesta i suoi desideri in contrario. Diremo adunque con più esattezza, che l’amore di Maria per la verginità fu cosi grande, che nemmeno l’idea della divina maternità le dissipava l’amarezza di doverla perdere. Una volta conosciuta la volontà di Dio, ella non avrebbe mancato di ossequiarvi, ma in pari tempo la verginità perduta avrebbe lasciato nel di lei cuore un rammarico incancellabile. Così ha creduto di dover interpretare i sentimenti di Maria S. Bernardo, quando nel Serm. 4 Super Missus, le mise in bocca queste parole: Sì oportuerit me frangere votum (per comando di Dio, s’intende), ut pariam talem filìum, gaudeo de filio, et doleo de proposito. – Infondata e da rigettarsi, benché soffulta dall’autorità di qualche Padre, per esempio di S. Agostino e di S. Proclo, l’idea che le parole di Maria “come avverrà questo, mentre io non conosco uomo, „ esprimano un atto di incredulità simile a quello di cui si rese reo Zaccaria, per cui lo stesso Gabriele lo punì rendendolo muto. In realtà, tra la risposta di Zaccaria e quella di Maria, ci passa una enorme differenza, Zaccaria aveva risposto: “Onde conoscerò io tal cosa? Che io sono vecchio e mia moglie avanzata in età (Luc. I, 18). „ Ognuno capisce subito che qui Zaccaria non si limita ad esporre le proprie difficoltà, ed a domandare il modo con cui saranno superate, ma non senza un petulante ardimento vuol le prove dell’asserzione dell’Angelo, dicendo: “Onde conoscerò io tal cosa? „ Questo linguaggio tradisce troppo chiaramente la non modesta intenzione di volersi erigere a giudice di ciò che l’Angelo gli disse. Le parole di Maria sono invece di persona che crede, ma che con semplicità domanda di essere istruita. Per questo, dice molto acutamente S. Ambrogio: Temperantìor est Mariæ responsio, quam verba sacerdotìs: hæc ait: QUOMODO EI ET ISTUD? Ille respondit: UNDE HOC SCIAM?Negat Me se credere, qui negat se scire: ista se facere profitetur, nec dubitat esse faciendum, quod quomodo fieri possit inquirit – Cfr. da S.TOMMASO (III p, q. xxx, art. 4, ad 2) – E che di fatto Maria abbia creduto, lo afferma lo stesso Evangelo riferendo le parole che a lei ebbe poscia a dire S. Elisabetta: “‘Beata quæ credidisti, quoniam perficientur ea quæ dieta sunt tibi a Domino. — Beata te che hai creduto, perché s’adempiranno le cose dette a te dal Signore „ (Luc. c. I, 45). S. Tommaso chiama quel sapore di dubbio, che a prima vista sembrano contenere le parole di Maria, non incredulità, ma ammirazione, e per questo l’Angelo addusse delle prove della sua affermazione, non per togliere la di lei mancanza di fede, ma semplicemente per dissipare la sua meraviglia: Talis dubitatio magìs est admirationis, quam incredulitatis: et ideo probationem Angelus inducìt, non ad auferendam infidelitatem, sed magìs ad removendam ejus admìratìonem (III p., q. xxx, art. 4 ad 2). Rimossa cosi ogni ammirazione dal suo animo, Maria diede il suo consenso alle richieste dell’Angelo, e lo fece in termini che hanno destato e desteranno ancora la meraviglia dei secoli. Dice: Ecco la serva del Signore, sì faccia di me secondo la tua parola! Queste parole sono di per sé il più eloquente ed impressionante elogio dell’umiltà di Maria e della sua prontezza nel servir Dio. Non ci soffermiamo a commentarle, perché nessun commento raggiungerebbe la loro natural forza e limpidezza. E dietro questa solenne manifestazione di umiltà e di obbedienza, non è difficile intravedere il cuore di Maria ardente di una carità da altri non mai raggiunta. Da principio Maria, per umiltà, non pensò ch’ella fosse la vergine predetta dai profeti. Ora che l’Angelo s’è spiegato meglio, non ha più dubbio che il suo figlio, è il Figlio di Dio, il promesso Messia. E benché il mistero dell’umana redenzione non brillasse ancora davanti a Maria, illuminato in tutte le sue minute circostanze, pure, almeno in confuso, ella perita nelle Scritture, intravedeva che al Figlio da lei nascituro erano riservati grandi patimenti e grandi umiliazioni, a cui Ella pure sarebbe stata associata. Insieme ai futuri patimenti vedeva però anche gli alti onori che le erano riservati; è da supporsi che già in quel momento sapesse quel che pochi giorni dopo disse ad Elisabetta, che tutte le genti l’avrebbero chiamata beata. Ma in quel momento il suo pensiero non si fermò su queste visioni: se le attraversarono la mente, fu un passaggio rapido, che non lasciò traccia nelle parole della Vergine. Tutta la sua attività vitale era concentrata su Dio che veniva al mondo per salvarlo. Due soli oggetti allora fecero battere forte il suo cuore: Dio e la salute del mondo. Quanto a sé non pensò: abituata a dimenticarsi sempre, si dimenticò anche in quell’ora suprema, ed in uno slancio di carità, di cui noi possiamo solo da lontano intravedere la smisurata grandezza, disse la formola, che doveva essere l’esordio del trattato di pace tra il cielo e la terra: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola! „ Queste parole sono il suggello di un amore che è superato solo dall’amor che ha Iddio, ma che non è uguagliato da nessun altro! Noi rinunciamo a descriverlo, perché tenteremmo l’impossibile. L’idea di questo amore lascia l’impressione che si ha quando si affaccia ad un abisso. Per poco che si consideri, si capisce subito, che davanti alla carità di Maria, che dà il consenso all’Angelo, si è sulla soglia dell’infinito.