SALMO 114: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS”
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 114
Alleluja.
[1] Dilexi, quoniam exaudiet Dominus
vocem orationis meæ.
[2] Quia inclinavit aurem suam mihi, et in diebus meis invocabo.
[3] Circumdederunt me dolores mortis; et pericula inferni invenerunt me. Tribulationem et dolorem inveni,
[4] et nomen Domini invocavi: o Domine, libera animam meam.
[5] Misericors Dominus et justus, et Deus noster miseretur.
[6] Custodiens parvulos Dominus; humiliatus sum, et liberavit me.
[7] Convertere, anima mea, in requiem tuam, quia Dominus benefecit tibi;
[8] quia eripuit animam meam de morte, oculos meos a lacrimis, pedes meos a lapsu.
[9] Placebo Domino in regione vivorum.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXIV.
Preghiera dell’uomo, che geme sotto le tentazioni ed i pericoli, e sospira la vita eterna.
Alleluja: Lodate Dio.
1. Ho amato, perché esaudirà il Signore la voce della mia orazione.
2. Perocché egli le sue orecchie inchinò a udirmi; ed io nei miei giorni lo invocherò.
3. Mi circondarono dolori di morte: pericoli di inferno m’investirono.
4. Trovai tribolazione e affanno; e il nome del Signore invocai.
5. Libera, o Signore, l’anima mia; il Signore è misericordioso e giusto, e il nostro è benigno.
6. Il Signore custodisce i piccolini; fui umiliato, ed egli mi liberò.
7. Torna, o anima mia, nella tua requie perocché il Signore ti ha fatto del bene.
8. Imperocché egli ha sottratta l’anima alla morte, gli occhi miei alle lacrime, i piedi alle cadute.
9. Sarò accetto al Signore nella regione dei viventi.
Sommario analitico
Questo salmo è un cantico di azioni di grazie che sembra appartenere agli ultimi tempi della cattività, quando cominciava a delinearsi l’aurora della liberazione. Questa cantico è più ancora il cantico dell’anima fedele dell’umanità intera che esce interamente sia dai legami del peccato per il primo avvento del Salvatore, sia soprattutto dall’esilio di questa vita per il secondo avvento. [Questo salmo è in ebraico il CXVI; ma siccome nella Vulgata è diviso in due, i numeri non differiscono che per metà, a partire dal versetto che forma la divisione (10, “credidi…”)].
Il Salmista esprime:
I. – La costanza del suo amore per Dio:
1° perché spera che Dio esaudisca la sua preghiera (1),
2° Perché è certo che dio lo ha esaudito sovente per il passato (2);
3° Perché ha il desiderio e l’intenzione di pregare frequentemente per l’avvenire (2).
II. –La grandezza della sua afflizione:
1° Intorno a sé vede i suoi nemici che gli fanno vedere la morte in faccia (3);
2° Dentro di sé a) vede degli abissi minacciosi (3); b) prova un profondo sentimento di tristezza e di dolore (4);
3° Sopra di sé mette la sua fiducia in Dio che egli invoca e che è a) misericordioso (3), b) giusto (5), c) guardiano e protettore dei piccoli (6), d) salvatore di coloro che sono umiliati.
III.- La sicurezza del riposo a venire:
1° L’anima si riposerà a) ricca di doni di Dio (7), b) affrancata dalla morte, dalle lacrime e da ogni caduta (8);
2° L’uomo tutto intero sarà gradito a Dio nella eterna regione dei viventi (9).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1-2.
ff. 1, 2. – Nel salmo precedente, Davide ha trattato dell’esperienza dei figli di Israele e di tutti coloro che temono Dio (v. 17), speranza eccitata dai numerosi benefici di Dio. Nel salmo seguente ci sarà la questione della fede « … io ho creduto, etc. » Questo salmo ha come oggetto la carità, che egli pone al centro come una regina che tutta in una volta è nutrita e sostenuta dalla speranza della fede, e nello stesso tempo proietta su queste due virtù un nuovo splendore. Tuttavia S. Agostino ed altri interpreti trovano le tre virtù teologali in questo salmo. La carità, di cui è fatta espressa menzione: « io, ho amato »; la speranza, di cui i parla chiaramente: « Dio esaudirà la mia preghiera; » infine, la fede, alla quale vien fatta allusione in maniera più oscura; « perché Egli ha abbassato il suo orecchio verso di me. » Come potete voi sapere, o anima umana, chiede S. Agostino, che Dio ha abbassato l’orecchio verso di voi, se non dite dapprima « io ho creduto? » Queste tre virtù restano dunque: la fede, la speranza e la carità. « Perché voi avete creduto, avete sperato; poiché avete sperato, avete amato. » Il salmista non dice: io amerò, ma « io ho amato. » Egli non promette di obbedire a questo precetto dell’amore di Dio, ma dichiara, attesta che egli lo ha già compiuto (S. Gerolamo). Un’anima infervorata di un amore ardente per Dio, dice semplicemente che essa ha amato, senza esprimere che essa ama. – Io ho amato, dice il salmista; io non credo si possa fraintendere l’oggetto del suo amore: è Dio solo, , senza che sia necessario nominarlo. Quanta verità, forza e dolcezza in questo sentimento! (Berthier). – « L’amore di Dio non si insegna. » Non si apprende a godere della luce, a desiderare la vita, ad amare i genitori; a maggior ragione l’amore di Dio è radicato nell’anima nostra; non si tratta che di svilupparlo con lo studio dei divini comandamenti (S. Basil. Reg. fus. tract.). – Ma chi è colui, mi direte, il cui cuore non si apra all’affezione quando è esaudito? La maggior parte degli uomini del mondo. Essi non vogliono intendere parlare di ciò che è loro utile e vantaggioso, essi chiedono delle cose che non possono che essere loro nocive, e se i loro voti non sono subito esauditi, essi sono nella tristezza e nello sconforto. Non è da tutti quindi indifferentemente rallegrarsi quando Dio li esaudisce accordando ciò che debba essere utile. C’è un gran numero di uomini che desiderano dei beni inutili di cui si compiacciono. La condotta del Profeta, è invece opposta: egli ama, perché Dio lo aveva esaudito accordandogli dei beni di una utilità incontestabile. (S. Chrys.). – La carità considera Dio in se stesso, essa ama per se stessa; tuttavia essa è aiutata, sostenuta dai suoi benefici come dalle tante vie che la conducono fino a Dio. Essa risale fino alla fonte dai ruscelli; è con i suoi raggi che il sole ci fa vedere che ci riscalda. – È per la ragione del nostro amore per il Signore che Egli ascolterà la voce della nostra preghiera? Non l’amiamo piuttosto perché Egli ci ha già ascoltato? Che significano dunque queste parole: « Io ho amato il Signore, perché mi ascolterà? Non sarebbe perché per la speranza che infiamma d’ordinario l’amore, che il Profeta avrebbe detto che egli ha amato il Signore, perché era pieno della speranza che il Signore ascoltasse la voce della sua preghiera? (S. Agost.). – Questi giorni, sono i giorni di quaggiù, brevi e malvagi (Gen. XLVII, 9), giorni pieni di dolori e di angosce, in cui l’uomo è lordato da parecchi peccati, impegnato da numerose passioni, agitato da mille timori, afflitto da mille cure, condotto qua e là dalla curiosità, sedotto da una folla di chimere, circondato da errori, oberato di lavori, travolto dalle tentazioni, indebolito dalle delizie, tormenta dalla povertà (Imit. De J.-C., 1, IV, c. XLVIII). – « Invocherò il Signore durante i miei giorni. » E non differisce nel tempo della morte, nei tempi della vecchiaia; egli non dice: quando avrò regolato questo o quell’affare, quando avrò provveduto a stabilizzare la mia famiglia, quando mi sarò liberato da tutti i nemici che mi perseguitano, allora io consacrerò ciò che resta dei miei giorni al servizio del Signore; egli dice: « Io lo invocherò durante i miei giorni » C’è un tempo nella vita che non sia del numero dei nostri giorni, o piuttosto che non componga i nostri giorni? (Berthier). – Invocare Dio in certi giorni e non tutti i giorni della vita, è il segno di un’anima dominata dalla tiepidezza e non dalla speranza. Ricevete ogni giorno, invocate tutti i giorni (S. Ambr.).
II. — 3-6.
ff. 3, 4. – Il salmista spiega ora quel che costituisce la materia della sua preghiera: le tentazioni ed i pericoli della salvezza eterna, sole tribolazioni sensibili per un’anima che ama veramente il Signore. – Maledetti che siamo, sorte deplorevole la nostra, il peccato non cessa di cercarci! Ora, se il peccato ci insegue sempre, cerchiamo di fuggirlo e di evitarlo. Ecco in cosa i dolori della morte differiscono dai pericoli dell’inferno: i dolori della morte circondano l’anima quando pensa al male e desidera commetterlo, questi sono i dolori del parto; quando essa partorisce il peccato, è vicina ai dolori della morte. (S. Girol.). – In questa vita, i dolori della morte ci circondano, ma i pericoli dell’inferno ci trovano solamente, senza circondarci, perché non abbiamo mezzi di sfuggirvi. Quando essi circondano realmente un peccatore, non è più possibile evitarli; è un labirinto inesplicabile, perché non c’è redenzione negli inferi. – « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Questo è qualcosa di nuovo. Il Profeta non dice: Io ho trovato il riposo, ho trovato la soddisfazione, l’appagamento dei miei desideri; egli non dice qui: « la tribolazione, il dolore mi hanno trovato, » ma « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Egli l’ha trovato come oggetto delle sue ricerche, perché si trova ordinariamente ciò che si cerca. I santi non cercano quaggiù il riposo, ma la tribolazione; perché essi sanno che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza. E la speranza non confonde (S. Girol.) – « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Dopo aver fatto prova di coraggio e di fermezza perseverante contro gli attacchi del tentatore, volendo mostrare la grandezza del suo amore per Dio, io ho aggiunto afflizione all’afflizione, dolore a dolore, ma io ho potuto superare queste prove non con le mie forze, ma perché ho riposto la mia fiducia nel nome del Signore che ho invocato. È ciò che diceva l’Apostolo: « Tra tutti questi mali, trionfiamo per virtù di Colui che ci ha amati. » (Rom. VIII, 37). Colui che non è abbattuto dalle prove ordinarie della vita, resta vincitore di queste prove; ma egli è ben più vincitore se affronta volontariamente i dolori per mostrare fin dove si spinge la sua pazienza ed il suo coraggio: egli si leva al di sopra di essi, come glorioso trionfatore (S. Basil. In Psalm. CXIV). – « Io ho trovato il dolore e l’afflizione, ed ho invocato il nome di dio. » Badate a questo modo di parlare: « Io ho trovato l’afflizione ed il dolore, » infine io l’ho trovato questa afflizione fruttuosa, questo dolore medicinale della penitenza. Lo stesso salmista ha detto in un altro salmo che « le pene e le angosce, hanno saputo trovarlo. » In effetti, mille dolori, mille afflizioni ci perseguitano senza sosta e, come dice il salmista, le angosce ci trovano facilmente. Ma ora, dice questo santo profeta, ho trovato infine il dolore che ben meritava che io lo cercassi. È il dolore di un cuore contrito e di un’anima afflitta dai suoi peccati; io l’ho trovato questo dolore, ed ho invocato il nome di Dio. Io mi sono afflitto per i miei crimini, e mi sono convertito a Colui che li cancella; i miei segreti hanno fatto la mia felicità, ed i rimorsi della mia coscienza mi hanno dato la pace. (Bossuet, Sur l’amour des plais.). – Noi dobbiamo cercare la tribolazione: 1° perché ci libera dai dolori della morte; 2° perché allontana da noi i pericoli dell’inferno; 3° perché dà alla nostra anima una forza della quale la prosperità la spoglia sovente; 4° perché essa è come uno scudo che ricaccia da tutti i colpi del nemico. Gesù-Cristo non ci dà la sua croce da portare se non per proteggerci; (S. BERN., Serm. I de S. Andr.) 5° perché essa spegne in noi i vizi, o almeno li comprime e li riduce all’impotenza; 6° perché essa dà alle virtù tutto il loro splendore: « La virtù è perfezionata nella infermità » (II Cor. XII, 9); 7° perché essa ci conduce ad andare verso Dio: « Io li attirerò con i lacci che catturano gli uomini » (Osea, XI, 4); cioè con i dolori e le afflizioni che sono i doni del mio amore per gli uomini (S. Chrys.., in Ps. IX); 8° perché la tribolazione ci merita e ci ottiene la corona di gloria: Egli ti circonderà di tribolazioni » (Isai. XXII, 18); cosa che faceva dire a San Paolo: « io mi glorificherò volentieri delle mie infermità » (II. Cor. XII, 9), « perché le tribolazioni sono il dono più prezioso che Dio possa fare ai suoi amici, sono pietre preziose che Egli dà a coloro che hanno lasciato tutto per amor suo: « potete voi bere il calice che Io berrò? » dice ai suoi discepoli diletti (Marc. X, 29). – « Signore, liberate la mia anima. » Vedete la saggezza del Re-Profeta come sacrifica tutti gli interessi di questa vita per non chiedere che una sola cosa, che la sua anima non commetta alcun peccato, alcun danno che possa divenire mortale. In effetti, se la nostra anima va bene, saremo necessariamente felici in tutte le nostra azioni; ma se essa soffre, non speriamo nulla dalla prosperità che può circondarci (S. Chrys.). – Preghiera poco familiare agli uomini di poca fede: essi chiedono di essere liberati dalle loro malattie, dalle loro disgrazie domestiche, dalla persecuzione dei loro nemici, ma le miserie della propria anima li interessano poco. « Essi vogliono, dice S. Agostino, che tutto ciò che appartiene loro, sia buono, e si inquietano poco che la loro anima sia cattiva. Cosa ha fatto dunque quest’anima per essere esentata dal desiderio generale che le porte a non legarsi che a ciò che è buono? Come non arrossire di essere la sola cattiva in mezzo a tante buone cose che essi possiedono? » (Berthier).
ff. 5. – « Il Signore è misericordioso e giusto, » vedete come il Profeta ci insegna a tenerci ugualmente lontani dal disperare e dal rilassamento. Non disperate, ci dice, perché Dio è misericordioso; guardatevi da ogni negligenza, perché Egli è giusto (S. Chrys.). – Aprite le orecchie, peccatori: « Il Signore è misericordioso, ma guardatevi da ogni negligenza, perché il salmista aggiunge: « ma Egli è giusto … » Ma direte voi, se vengo a soppesare i miei peccati, posso sperare tanti bene come quelli che fo ha da tenere di male? I miei peccati sono per me un fardello pesante, ma la misericordia di Dio ne trionfa. Così il salmista non dice che una volta: il Signore è giusto, mentre dice per due volte: ed il Signore è portato a far grazia (S. Gerol.). – La compassione è un sentimento che proviamo per coloro che sono caduti in un infortunio estremo. Così noi abbiamo pietà per colui che, dopo aver posseduto grandi ricchezze, è ridotto ad una indigenza assoluta; tutti compassioniamo colui che, ad una salute florida e perfetta, si vede succedere uno stato costante di malattia e di infermità; noi abbiamo compassione per che era di una bellezza e di una eleganza rimarchevole, e che malattie devastanti hanno completamente sfigurato. Così, Dio ha pietà di noi, quando compara ciò che eravamo e ciò che siamo divenuti: noi eravamo nel paradiso, di una bellezza eclatante, e dopo la nostra caduta nel peccato, noi offriamo lo spettacolo di una triste e vergognosa deformazione. È questo sentimento di compassione che Dio esprimeva quando chiamava Adamo con queste parole: « Adamo, dove sei? » Egli non cercava di sapere ciò che gli era perfettamente noto, ma gli voleva far comprendere in quale stato fosse caduto. « Dove sei? » da quale altezza sublime sei caduto, in quel profondo abisso sei precipitato (S. Basil.). – Dio è stato dall’inizio misericordioso, perché ha inclinato il suo orecchio fino a me; poi è giusto, perché Egli castiga, e di nuovo concede misericordia perché accoglie; perché Egli castiga tutti i figli che accoglie, e deve essere per me l’amar meno essere castigato che non essere dolce nell’essere accolto.(S. Agost.). – I piccoli che Dio riguarda, sono coloro che lo sono ai suoi occhi; è l’ordine di Dio umiliare coloro che Egli destina a qualche cosa di grande e di straordinario, affinché la loro umiltà sia come un fondamento solido che esce senza scalfire il peso della dignità o della santità alla quale Egli ha come disegno di elevarli. (Duguet). – Il salmista non dice: Egli mi ha preservato dal pericolo, ma me ne ha liberato perché vi ero caduto … non cercate dunque una vita al riparo da ogni pericolo, non sarebbe un bene per voi. Una tale vita non era vantaggiosa per il Profeta, e lo sarebbe molto meno per voi. « È bene che mi abbiate umiliato, dice il salmista (Ps. CXVIII, 71), affinché io apprezzi i vostri ordini pieni di giustizia. » (S. Chrys.).
III. — 7-9
ff. 7- 8. – « Rientra, o anima mia, nel tuo riposo. » La sua anima godeva quindi in precedenza di un riposo che ha perduto, perché nessuno rientra se non tornando nel luogo ove era in precedenza. Dio ci ha creati buoni, e ci ha lasciato tra le mani del nostro libero arbitrio, ci ha posto tutti con Adamo nel Paradiso. Ma noi caduti volontariamente da questa felicità, siamo stati esiliati in questa valle di lacrime, ecco perché il giusto esorta la sua anima a rientrare nel riposo che ha perduto. Questa terra è un luogo di tribolazione, terra di combattimento; è un soggiorno di lacrime ove non possiamo camminare con sicurezza. Ovunque andiamo, siamo in presenza di qualche pericolo. – E dove rientrerai, anima mia? … nel Paradiso, non perché tu ne sia degna, ma per effetto della bontà di Dio; « Perché il Signore ti ha fatto misericordia. » Tu sei uscito dal Paradiso per colpa tua, vi puoi rientrare solo per misericordia del Signore (S. Gerol.). – Il Profeta descrive la dolcezza del riposo del quale gode, comparandola con le amarezze della vita presente. Qui i dolori della morte mi hanno circondato, là Dio ha liberato la mia anima dalla morte; qui i miei occhi, versano lacrime che fanno fluire abbondantemente le afflizioni di questa vita, là le lacrime non oscurano i nostri occhi rapiti dalla contemplazione dell’ineffabile bellezza di Dio: « Il Signore asciugherà le lacrime di tutti coloro che piangono. » (Isai. XXV, 8). – Quaggiù noi siamo sempre nel gran pericolo di cadere, cosa che faceva dire a San Paolo « Colui che crede di essere fermo, badi di non cadere. » (I Cor, X, 12). Là i nostri piedi saranno fermi, la nostra vita non sarà soggetta alla mutabilità; non ci sarà più il pericolo di cadere in peccato. (S. Basil.). Finché siamo trattenuti in questa dimora mortale, viviamo assoggettati ai cambiamenti, perché questa è la legge del paese che abitiamo, e non possediamo alcun bene, anche nell’ordine della grazia che non possiamo perdere nel momento successivo, per la mutevolezza naturale dei nostri desideri; ma non appena cessiamo di contare le ore e misurare la nostra vita con i giorni e con gli anni, usciti da figure che passano e da ombre che spariscono, arriviamo al regno della verità, ove siamo affrancati dalla legge dei cambiamenti. Così la nostra anima non è più in pericolo, le nostre risoluzioni non vacillano più; la morte, o piuttosto la grazia della perseveranza finale, ha la forza di fissarle (BOSSUET, Or. fun. de la Duch. d’Or.). – Tutti gli uomini cercano il riposo, non si ingannano che nei mezzi per giungervi. I corpi tendono al riposo con la diminuzione dei loro movimenti, e gli uomini vi tendono con l’agitazione. “Quando vi riposerete ?” si può dire al commerciante, al cortigiano, all’uomo di studio, e infine a tutti coloro che non cessano di tormentarsi in questo mondo con i diversi oggetti che condividono le condizioni della vita. A questa domanda, nessuno risponderà che non riposerà mai, e al contrario, tutti si riprometteranno il riposo, perché quando saranno giunti alla meta che si erano proposti, si imbarcheranno in nuovi imbarazzi, e dopo questi, altri si succederanno ancora, di modo che ci sarà un’agitazione senza fine ed un movimento che non cesserà che alla morte. Ma domandate al vero servo di Dio, a colui che non sospira se non il riposo dell’eternità, perché si dà a tutto il movimento che riempie i suoi giorni. Egli non dirà che tenderà al riposo in questa vita: egli sa che il riposo non è un frutto che si raccoglie in questa terra d’esilio, in questa regione di lacrime; egli dirà che tutti i suoi lavori tendono al godimento della vera pace, che è solo nel cielo. Tuttavia, siccome la sua speranza è indistruttibile e sa, come l’Apostolo, che Colui che gli ha promesso questo felice riposo è fedele alle sue promesse, egli già pregusta questo stato infinitamente desiderabile. La sua anima è nel riposo, per quanto possibile a chi non possiede ancora il sovrano Bene, cioè l’essere esente da turbamenti ed inquietudini. Dio lo ha ritirato dalla morte del peccato; gli lascia ancora le lacrime della compunzione, ma esse sono piene di dolcezza; egli veglia su se stesso per preservarsi dalle cadute, ma si appoggia sulle braccia dell’Onnipotente, che lo sostiene e lo solleva. Quest’uomo lavora molto, ma tutte le sue pene danno frutto per l’eternità. (Berthier). – Una doppia ragione deve portarci a fare tutti i nostri sforzi per entrare nel nostro riposo. L’una è tratta dal punto di partenza di questa conversione, vale a dire dal mondo e dalle sue attrattive seduttrici, dalle quali dobbiamo separarci; l’altra, dal termine verso cui tende questa conversione, cioè il cielo.
ff. 9. – Egli non dice: io sono gradito, ma: « io sarò gradito al Signore; perché nella vita presente, nessun uomo può arrivare alla perfezione della giustizia. Egli fa vedere da questo che non ancora sia gradito agli occhi del Signore, per questa parte di se stesso che è nella regione dei morti, cioè nella carne mortale. – Queste parole del Profeta: « Egli ha preservato i miei occhi dalle lacrime, ed i miei piedi da ogni caduta, » benché sembrino celebrare un fatto compiuto, non sono tuttavia ancora che parole di speranza … Noi attendiamo ancora la redenzione dei nostri corpi (Rom. VIII, 2-3), ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, quando ciò che è corruttibile in noi sarà rivestiti da incorruttibilità, e ciò che è mortale da immortalità (I Cor. XV, 53, 54) non ci saranno più lacrime, perché non ci saranno più cadute; non ci saranno più cadute perché non c’è più corruzione (S. Agost.). – In questa vita, che è la dimora, la terra dei morenti, quantunque possiamo essere santi, abbiamo sempre qualche imperfezione da combattere, la crudele guerra della concupiscenza da sostenere, è difficile che non riceviamo qualche ferita, perché non poche delle nostre opere sono miste a qualche difetto. Noi non saremo dunque veramente graditi al Signore che nel cielo, che è la vera terra dei viventi (Duguet). Si, questa regione è veramente la regione dei viventi, ove non ci sono notti, non più sonno, immagine della morte, non più bere e mangiare, non più alimenti, deboli sostentamenti della nostra infermità, non più malattie, dolore, non più arte del guarire, non più commercio e negozio, fonte di traffici ingiusti, non più cause di guerra, non più radici di inimicizia. È veramente la regione dei viventi, di coloro che vivono della vera vita in Gesù-Cristo (S. Basil).