[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ. TORINO, S. E. I. – 1920]
DISCORSO XXIX
Il Sacro Cuore di Gesù e il Papa.
(1) Di questo discorso stampatosi a
parte nel 1892, per mezzo dell’Eminentissimo
Card. Rampolla Segretario di Stato, fu
umiliata copia dall’autore
a S. S. LeoneXIII; e n’ebbe in risposta
questa consolante lettera:
Bev. mo Signore,
Con molto piacere ho rassegnato al S.
Padre uno dei recontissimi
esemplari del discorso, al quale si
riferisce la lettera da Lei indirizzatami
l i 2 del corrente mese.
Sua Santità si è degnata accoglierlo con
espressioni di particolare
gradimento e nel commettermi di
ringraziarla nell’Augusto Suo nome Le
ha con affetto impartita l’Apostolica
Benedizione.
Mentre mi affretto ad eseguire i l
venerato incarico, L a ringrazio ben
di cuore anche in mio nome
dell’esemplare, che gentilmente mi ha E l la
favorito, di esso discorso, e con sensi
di distinta stima mi dichiaro
Di V. S.
Soma, 7 Luglio 1892.
Bev. D. ALBINO
CARMAGNOLA Aff. mo nel
Signore M. Card. Sacerdote Salesiano
Boma.
RAMPOLLA.
Aff. mo nel Signore
M. Card.
Nel corso di questo mese gettando lo
sguardo sopra le opere del Cuore Sacratissimo di Gesù, non ne trovammo
certamente alcuna, che non si mostrasse ammirabile, non ci parlasse della sua
bontà e della sua misericordia infinita per noi. Ammirabile Vedemmo la sua
Chiesa, ammirabili i suoi Sacramenti, ammirabile la sua dottrina, ammirabili i
suoi esempi, ammirabili le sue promesse e le sue grazie, e tutto, grazie, promesse,
esempi, dottrina, Sacramenti e Chiesa ci hanno fatto esclamare con gratitudine:
Oh quanto è buono il Cuore di Gesù con noi! quanto è grande il suo amore, la
sua misericordia! Eppure o miei cari, fra tante opere ammirabili del Cuore di
Gesù Cristo io ne scorgo ancor una non meno ammirabile delle altre, che anzi
più ancor dì ogni altra mi manifesta la sua bontà e la sua misericordia; e
voglio dire il Papa. Sì, il Papa! e per poco che consideriate anche voi
quest’opera, non penerete a convincervi della verità di questa mia asserzione.
Ed invero, donde mai la Chiesa ritrae la essenza di sua unità, la beneficenza dei
suoi Sacramenti, l’integrità di sua dottrina, la sicurezza della parola e degli
esempi di G. Cristo? … Dal Papa. È il Papa, che in un cuor solo ed in
un’anima sola unisce tutti i popoli a Cristo. È il Papa, che ci comunica la
grazia per mezzo dei Vescovi e dei Sacerdoti. È il Papa, che custodisce
inviolato il deposito del Santo Vangelo. È il Papa, che ci assicura degli
insegnamenti di Gesù Cristo. È il Papa insomma quella fonte prodigiosa, che lo
stesso Gesù Cristo ha stabilito nella Chiesa per farci gustare perpetuo il benefizio
della sua redenzione, per tramandare in eterno l’abbondanza della sua
misericordia. Ben ho ragione di asserire che il Papa è un’opera delle
più ammirabili uscite dal Cuore ferito di Gesù Cristo, e che con
quest’opera il Cuore di Gesù ha fatto alla sua Chiesa uno dei più
segnalati benefizi. Ben ho ragione, additandovi il Papa, d’invitarvi
con tutte le forze dell’animo mio a benedire questo Cuore Santissimo ed a
confessare il suo amore e la sua bontà infinita per noi! Questo per l’appunto è
lo scopo del discorso di oggi, questo giorno in cui celebriamo la festa del
primo Papa, di S. Pietro, mettervi in qualche luce questo sì grande benefizio,
affinché da tale considerazione se ne tragga la natural conseguenza di
ricambiare il Cuore di Gesù della conveniente gratitudine.
I . — Ogni famiglia, ogni Stato, ogni
società abbisognano di un capo. L’anarchia a cui tanti evviva s’innalzano ai
giorni nostri non è che il più stupido degli assurdi: imperciocché anche gli
anarchici costituiti in partito, come sono oggidì, obbediscono essi pure agli
ordini di un capo o per lo meno si lasciano spingere da’ suoi iniqui
incitamenti. Se pertanto a non sovvertire l’idea istessa di famiglia, di stato
e di società assolutamente si appalesa la necessità di un rispettivo capo, ognuno
vede a primo aspetto, che a porre ben salde le fondamenta di quell’ammirabile
società, che il Cuore amoroso di Cristo venne a stabilire in sulla terra, era
affatto necessario che le donasse un capo; un capo che con rettitudine la
governasse, un capo che l’ammaestrasse con sapienza; un capo che per ogni verso
la guidasse con sicurezza alla meta sublime, che
Cristo le assegnava. Senza di un capo,
supremo nella sua autorità, infallibile nel suo magistero, la Chiesa,
quest’opera divina uscita dal Cuore squarciato di Cristo, sarebbe andata priva
del principio di sua unità e di sua perfezione ed in breve divisa e moltiplicata
nel governo, varia e confusa nella dottrina, sarebbe riuscita a quello
scompiglio, di cui in ogni tempo l’eresia ha dato al mondo sì triste
spettacolo. Ma grazie, infinite grazie sieno rese al Cuore Sacratissimo di Gesù
Cristo! Ripieno per la sua Chiesa di un amore infinito e divino, Egli allontana
da Lei un tale pericolo, e pur rimanendo Egli stesso a suo capo invisibile sino
alla consumazione dei secoli, le dona un capo visibile nel Romano Pontefice, il
cui supremo potere, corrisposto dall’universale sommessione, costituirà sino
alla fine del mondo il principio della vita, dello sviluppo e del perfezionamento
della Chiesa istessa. Ecco il Divin Redentore a Cesarea di Filippo. Circondato da’
suoi discepoli, a questo modo li interroga: « Chi dicono gli uomini che io sia?
» E i discepoli rispondono: « Gli uni dicono che voi siete Giovanni Battista,
altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti. » — « Ma voi, soggiunse il
Salvatore, voi chi dite ch’io sia? » A questa domanda Simon Pietro, pigliando
la parola a nome suo e degli altri Apostoli, esclama: « Tu sei il Cristo,
Figliuolo di Dio vivo. » Allora il Salvatore ripiglia: « Beato te, o Simone,
figliuolo di Giovanni, perché non è né la carne, né il sangue che ti ha rivelato
ciò che tu dici, ma il Padre mio, che è ne’ cieli. Ed io dico a te che tu sei
Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa e le potenze d’inferno
non prevarranno contro di essa giammai. A te io darò le chiavi dei regno de’
cieli e tutto ciò che avrai legato sopra la terra sarà legato anche ne’ cieli,
e tutto ciò che in sulla terra avrai sciolto, sarà sciolto anche nei cieli. » Udiste?
Con parole del tutto esplicite Gesù Cristo promette a Pietro di lasciare in lui
un capo alla sua Chiesa con autorità suprema di comando. Ed invero, dopo di
averlo detto beato per aver parlato conforme l’illustrazione avuta dal Padre
celeste, gli cambia il nome di Simone in quello di Pietro o Pietra e soggiunge:
« Sopra di questa pietra fonderò la mia Chiesa; » come dicesse: Tu, o Pietro,
sei destinato a far nella mia Chiesa quello, che fa il fondamento in una casa.
Il fondamento è la parte principale e indispensabile in un edilizio. E tu sarai
nella mia Chiesa l’autorità affatto necessaria. E come nella casa le parti che
non posano sul fondamento cadono e vanno in rovina, così nella mia Chiesa
chiunque si dividerà da te, non ubbidirà a te, non seguirà te, fondamento della
mia Chiesa, non apparterrà alla medesima e cadrà nell’eterna rovina. Inoltre
Gesù Cristo disse ancora a Pietro: « A te darò le chiavi del regno de’ cieli. »
Ma le chiavi non sono per eccellenza il simbolo della padronanza e del potere?
Quando il venditore di una casa porge le chiavi al compratore di essa, non
intende forse con questo atto mostrargli che gliene dà pieno ed assoluto
possesso? Parimenti quando ad un re sono presentate le chiavi di una città, non
si vuole forse con tal omaggio significare che quella città lo riconosce per
sovrano? Per simile guisa le chiavi spirituali del regno dei cieli, cioè della
Chiesa, che Gesù Cristo promette a Pietro, indicano chiaramente che Egli è
destinato ad essere signore, principe e reggitore della nuova Chiesa. Laonde
Gesù soggiunge allo stesso: « Tutto quello che legherai sulla terra, sarà
altresì legato in cielo e tutto quello che scioglierai in terra, sarà pure
sciolto in cielo; » vale a dire: Tu avrai l’autorità suprema di obbligare e
sciogliere la coscienza degli uomini con decreti e con leggi riguardanti il
loro bene spirituale ed eterno. — Né si dica che anche gli altri Apostoli sono
stati fatti capi della Chiesa, perché anche a loro Gesù Cristo diede la facoltà
di sciogliere e di legare, che tale facoltà Gesù Cristo la diede loro in comune
e dopoché già erano state rivolte a Pietro le parole soppradette, affinché
capissero che la loro autorità doveva essere sotto ordinata a quella di S.
Pietro, divenuto loro capo e principe, incaricato di conservare l’unità del
governo e della dottrina. Ma alla promessa tien dietro il fatto. Dopo la
risurrezione Gesù Cristo, avendo mangiato co’ suo discepoli per assicurarli vie
meglio della realtà del suo risorgimento, si rivolge a Simon Pietro e gli
domanda per tre volte: « Simone, mi ami tu più di questi? » Pietro che dopo il
fallo della negazione di Cristo è divenuto più modesto, si contenta di rispondere:
« Signore, voi sapete che io vi amo. » E due volte il Signore gli dice: « Pasci
i miei agnelli. » Ed una terza volta: « Pasci le mie pecorelle. » Per siffatta
guisa il Cuore amoroso di Cristo costituiva S. Pietro Principe degli Apostoli,
Pastore universale di tutta la Chiesa; conferendogli di fatto il primato di
onore e di giurisdizione, ossia quel potere supremo che dapprima avevagli
promesso, e non sola sopra i semplici fedeli raffigurati negli agnelli, ma eziandio
sopra i sacerdoti e sopra gli stessi vescovi raffigurati nelle pecorelle. Ma il
Divin Redentore promettendo e donando a Pietro il supremo potere su tutta la Chiesa,
cogli stessi termini gli prometteva egli donava l’infallibilità di magistero.
Difatti era possibile che egli dicesse a Pietro: « Tu sei Pietro e sopra di
questa Pietra innalzerò la mia Chiesa, e le potenze dell’inferno non prevarranno
giammai contro di Essa; — Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli: tutto ciò
che avrai legato o sciolto su questa terra, sarà legato o sciolto in cielo; —
Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle; » — e poi permettesse che Pietro
avesse a sbagliare, e tutt’altro che essere agli altri fondamento della Fede,
crollasse egli stesso nella medesima; tutt’altro che aprire agli uomini le
porte del cielo colle chiavi di esso, li trascinasse alle porte dell’inferno;
tutt’altro che pascere della verità e i pastori e gli agnelli, li avesse talora
a pascere dell’errore? Ciò non era assolutamente possibile. D’altronde anche
per questo riguardo Gesù Cristo ha parlato nei termini più chiari e precisi.
Imperocché nell’ultima Cena, rivolto a Pietro, gli dice : « Simone, io ho
pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta ravveduto,
conferma i tuoi fratelli. » (Luc. XXII) Ora, o bisogna dire che la preghiera di
Gesù Cristo non fu esaudita, il che sarebbe una bestemmia, o fa d’uopo
ammettere che il suo Cuore amoroso, mediante la sua preghiera, assicurò a
Pietro una particolare assistenza, affinché come Maestro universale non avesse
mai a venir meno nella fede, epperò con labbro infallibile insegnasse mai
sempre la verità in tutto ciò riguarda la fede e la morale cristiana. – Ma qui,
o miei cari, procuriamo di farci una idea esatta di questa infallibilità che
Gesù Cristo prometteva e donava a Pietro. Perciocché vi hanno di coloro che non
possono credere che, per quanto si tratti di un uomo posto alla testa di tutta
la cristianità, non possa peccare come tutti gli altri uomini, non possono
credere che bisogna aggiustar fede ad ogni parola, ad ogni giudizio che egli
esprima, e su qualsiasi soggetto; non possono credere che Gesù Cristo abbia
posto nella Chiesa un privilegio tirannico che inceppa la libertà dello spirito
umano nelle sue ricerche scientifiche. Ma stolti ed ignoranti che sono! Se fosse
questo l’infallibilità! … Ma è così forse? No, assolutamente. L’infallibilità
non è affatto l’impeccabilità, perché Pietro in quanto è nomo potrà anch’egli peccare
e dovrà perciò anch’egli gettarsi ai piedi di un altro ministro del Signore per
implorare il perdono delle sue colpe. L’infallibilità non è legata ad ogni sua
parola e ad ogni suo giudizio, che anch’egli come persona privata esprimendo il
suo parere o sopra la storia, o sopra la scienza, o sopra la filosofia, o sopra
la teologia potrà fallire. L’infallibilità non è un potere tirannico che
inceppi la libertà della mente, è anzi un privilegio che l’affranca e la protegge
dall’errore. L’infallibilità è quella prerogativa per cui Pietro, come Capo
della Chiesa, in virtù della promessa di Gesù Cristo, giudicando e definendo
dall’alto della sua suprema cattedra cose riguardanti la fede ed i costumi, non
può cadere in errore, né quindi ingannare se stesso o gli altri. Ecco, o miei
cari, che cosa è l’infallibilità. Ed una tale infallibilità non era del tutto necessaria
alla Chiesa per raggiungere quaggiù il suo fine, la salvezza delle anime, mercé
l’insegnamento della dottrina e della pura dottrina insegnata da Gesù Cristo? –
Il divin Redentore adunque ha dato a S. Pietro quel potere supremo e quell’infallibile
magistero, che come a Principe degli Apostoli e capo di tutta la Chiesa gli
erano necessari. E S. Pietro riconobbe d’aver ricevuto tali prerogative, e
senz’altro in lui le ammisero e le riverirono gli altri Apostoli e i primitivi
fedeli. Difatti, appena salito al Cielo Gesù Cristo, Pietro nel cenacolo piglia
il primo posto, parla pel primo e propone egli l’elezione di un altro apostolo
in luogo di Giuda, il traditore. Nel dì della Pentecoste è egli che pel primo
predica la fede di Gesù Cristo e la conferma coi miracoli. In seguito è ancor
egli che pel primo avendo convertiti i Giudei, va pel primo a battezzare i
Gentili. Così è egli, Pietro, che stabilisce i primi punti di disciplina e
compone qualsiasi dissidio che insorga, tanto che tutta la Chiesa, pastori e
fedeli a lui si affidano, lui seguono, lui obbediscono; e lo stesso grande S.
Paolo, benché fatto apostolo direttamente da Gesù Cristo non è pago fino a che
non ha fatto confermare da Pietro il suo ministero. – Se non che, o miei cari,
quelle prerogative che Gesù Cristo donava a Pietro, erano a lui donate come a
privato individuo, sicché colla sua morte avessero a perire? No assolutamente. E
come poteva ancora sussistere la Chiesa, se per la morte di Pietro veniva a
mancarle il fondamento? Come poteva rimanere unito e ordinato il gregge di Gesù
Cristo, se per la morte di Pietro perdeva il pastore supremo? Come potevano i Vescovi
e i fedeli essere ancora confermati nella fede se per la morte di Pietro veniva
a mancare il Maestro infallibile di tutta la Chiesa? Il primato di Pietro
adunque non è un privilegio personale, che abbia a perire colla sua morte; è un
privilegio che raccoglierà ogni suo successore, un privilegio che rimarrà in
tutti quelli che continueranno il suo pontificato sino alla consumazione dei
secoli, ascendendo quella stessa cattedra romana, sulla quale per divina
ispirazione egli andò ad assidersi e ad esercitare il suo supremo potere ed
infallibile magistero; poiché Gesù Cristo colla durata perpetua della Chiesa
volendo sino alla consumazione dei secoli trasmettere agli uomini il beneficio
della sua redenzione, vuole altresì che sino alla consumazione dei secoli abbia
a durare il primato di Pietro. Oh! consumi pur dunque il principe degli Apostoli
in un sacrificio di amore il suo governo e magistero glorioso, cada pure ancor
esso sotto i colpi di quella morte, che tutti miete implacabile senza eccezioni
di sorta; non per questo andrà priva la Chiesa di un capo che la governi, di un
dottore che l’ammaestri; le chiavi di S. Pietro passeranno nelle mani di S.
Lino in quelle di San Cleto e per una trasmissione non. mai interrotta nel
corso di diciannove secoli arriveranno alle mani del glorioso Pontefice regnante,
dinnanzi al quale tutto il popolo cristiano prostrato, come dinnanzi a Pietro
primo capo visibile della Chiesa, col cuore riboccante di amore e di entusiasmo
ripeterà le parole di Cristo: Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo
Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam.
– Così da diciannove secoli ha sempre creduto la Chiesa, e così ha sempre
riconosciuto col fatto. Tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Santi, tutti i
Concili furono sempre di accordo nel credere e proclamare altamente che il
Papa, il pontefice romano è il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro
e il reggitore della Chiesa universale e il suo infallibile Maestro. Ed ogni
qualvolta i reggitori e maestri delle Chiese particolari, i Vescovi, si
trovarono nel dubbio o nell’incertezza, o nel timore, o nella controversia per
riguardo a qualche pratica religiosa, o a qualche punto di dottrina, fu sempre
al Papa che si rivolsero siccome all’autorità suprema e al supremo maestro, per
essere da lui consigliati, illuminati, rassicurati, e fu sempre alla sua
decisione, al suo giudizio, alla sua sentenza, che si affidarono come
all’oracolo divino; tanto che quando S. Ambrogio asseriva che dove è Pietro,
ossia il Papa, ivi è la Chiesa con tutti i suoi poteri e tutte le sue
prerogative; quando S. Agostino tagliava netto sentenziando: Roma ha parlato, la
causa è finita; quando S. Girolamo volgendosi a S. Damaso Papa del suo tempo
dicevagli: Ohi non è con voi, è contro Gesù Cristo: chi con voi non raccoglie,
disperde; non erano altro che la voce di tutta la Chiesa, la quale in tutti i
secoli, e negli anteriori a loro e nei posteriori, ha sempre creduto che Pietro
rimane e vive in quelli che continuano nel suo pontificato: Perseverat
Petrus et vivit in sucessoribus suis. (S. LEO. Serm.
II). Sia adunque benedetto Gesù Cristo, che a mantenere incrollabile
l’edifizio della sua Chiesa ci ha dato il Papa; quel Papa, che nella persona di
Pietro fu stabilito della Chiesa medesima il saldo fondamento, che nella persona
di Pietro ricevette le chiavi del supremo potere, che nella persona di Pietro
ricevette l’incarico di addottrinare nella fede e pastori e fedeli, che nella
persona di Pietro fu dichiarato infallibile nel supremo esercizio del suo
ministero, quel Papa insomma che nella persona di Pietro fu costituito
Luogotenente di Dio nel governo spirituale del mondo.
II. — Ma
l’empietà, o miei cari, riconoscendo al par di noi che il Papa è veramente la
base della Chiesa Cattolica, il centro di sua unità e la sorgente della sua
vita e delle sue grandezze, contro il Papa mosse ognora i suoi più furiosi
assalti, follemente sperando di abbattere il suo trono, e col trono del Papa la
Chiesa istessa. Ma qui per l’appunto è dove che il Cuore amoroso di Gesù Cristo
ci dà un’altra prova luminosa del suo infinito amore per noi, nel conservare
cioè il Papa in tutto il corso dei secoli contro tutti gli assalti che gli
furon mossi. Gettate uno sguardo sulle pagine della storia. Nel corso di
diciannove secoli le più nobili e potenti dinastie dei regnanti si cangiarono e
morirono; ma la dinastia del Papa persistette e persiste tuttora invariabile ed
immortale. – La Chiesa, questa figlia di Dio, vagiva ancora in fasce, e i
tiranni di Roma si armarono per ispegnerla. La rabbia dei persecutori si
scatena più furente contro di coloro che i cristiani riconoscono e venerano per
loro augustissimi capi. S. Pietro da Nerone, ventinove altri Pontefici in
seguito da altri imperatori son fatti morire e della morte più spietata; gli uni
son crocifissi, gli altri sono lapidati, gli altri precipitati nei fiumi,
gettati altri in pasto alle fiere. « E si è mai veduto, domanda qui l’illustre
Bougaud, una dinastia che cominci con trenta condannati a morte? » E si è mai
veduta, soggiungo io, una dinastia che abbia resistito per lo spazio di tre
secoli ad un assalto così formidabile? Eppure vi ha resistito il Papato.
All’indomani di quel giorno, in cui credevasi di avere spenta colla vita del
Papa la cristiana religione, nell’oscurità delle catacombe sorgeva un Papa
novello, nelle cui braccia gettavasi fidente la Chiesa perseguitata a sangue. [Da
allora nulla è cambiato, come allora anche oggi gli empi usurpanti servi di
lucifero, hanno creduto di abbattere la Chiesa impedendone il Papato, ma
esattamente come allora, nella Chiesa – tra l’oscurità delle catacombe, dell’eclissi
prodotta dalla sinagoga di satana, e tra la persecuzione delle anime a forza di
malefiche eresie e culti diabolici – è sorto il Papa novello a guidare la
navicella di Pietro – n.d.r.]. Ed intanto, che più restava delle
famiglie di Nerone, di Massimiano, di Diocleziano, di Giuliano l’Apostata?
Colla ignominiosa lor morte avrebbesi voluto por fine, non che alla loro discendenza,
alla loro stessa memoria. Dopo i persecutori vennero gli Eretici. Il loro
assalto contro del Romano Pontefice fu tanto più accanito quanto più astuto e
fraudolento. Nel quinto secolo dapprima, e dopo più di mille anni nel secolo
decimo quinto e decimo sesto quegli uomini infernali suscitati dall’odio
diabolico contro di quella pietra che Gesù Cristo poneva a base della sua
Chiesa, lanciaronsi contro di lei con un furore frenetico. E tanto fu
l’apparato della forza, tanti gli artifici dell’inganno, tanto il fervore delle
passioni, che come dapprima il mondo cristiano pareva essersi staccato dal Romano
Pontefice per gettarsi nelle braccia di Ario, così dappoi parve staccarsi dal Romano
Pontefice per gettarsi nelle braccia di Lutero, di quel Lutero che
nell’ebbrezza del suo immaginario trionfo osava gridare: Pestis eram
vivus, mortuus tua mors ero, Papa. Ma gli eretici non furono più
forti contro del Papa di quello che furono i tiranni, e mentre Ario e Lutero
con tutta la loro sequela finivano di orribile morte la loro vita, il Papato
vincitore dell’eresia restava fermo sul suo trono fatto rutilante di luce più
viva. Dopo l’eresia e di conserva alla stessa, a combattere il Romano Pontefice
sorgono i governanti della terra. Dapprima gli imperatori del basso impero di
Costantinopoli, dappoi quelli di Germania con una prepotenza incredibile
pretendere di adunare concilii, di dettar articoli di fede, di manipolar i preti
a lor capriccio, di conferire essi stessi ai vescovi l’autorità e nel dare loro
in mano il pastorale e l’anello, che giurino di dipendere da loro e di servire
ciecamente alle loro voglie, e soprattutto che il Papa, il Vicario di Cristo,
il successore di Pietro ceda a queste loro pretese, acconsenta alle lor matte proposte,
soscriva alle erronee lor formole e ai loro patti iniqui. Oh chi sa dire a che
dure prove, a che aspri cimenti, a che gravosi patimenti furono assoggettati i
Pontefici nell’una e nell’altra epoca ? Nella prima un Giovanni è gettato in
carcere dove soccombe per i cattivi trattamenti; un Agapito è mandato in
esilio; un Silverio, spogliato de’ suoi abiti pontificali e raso il capo, vien
deportato i n un’isola ov’è lasciato morir di fame; un Vigilio, preso pei
capelli e per la barba, è strappato dall’altare che aveva abbracciato ed è
fatto perire in esilio; un Martino è tolto da Roma e carico di catene è gettato
a languire nel Chersoneso. Nell’altra epoca, sotto gli imperatori di Germania,
altri fra i Pontefici sono assediati in Roma, altri rinchiusi in prigione e
fatti morir di fame e di miseria, altri avvelenati, altri cacciati in bando
dove muoiono esclamando: « Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò
muoio in esilio. » E chi mai nell’imperversare di sì furiose tempeste non
avrebbe creduto che il Romano Pontificato avesse a perire? Eppure no! Perirono
l’un dopo l’altro tutti i suoi assalitori, trascinando nel sepolcro la lor
discendenza, ma i Papi restarono ed alla morte dell’uno un altro sempre ne
successe a governare, ad ammaestrare quella Chiesa, di cui Iddio lo eleggeva a
capo. E ai tempi dei nostri avi e dei nostri padri l’empietà lasciava forse alcun
che d’intentato contro dei Romani Pontefici? La rivoluzione, al cui apparecchio
avevano lavorato orgogliosi filosofi, dopo aver bandita la croce al
Cristianesimo, scannati a decine e a centinaia i Vescovi più venerandi e i sacerdoti
più eletti, abbattute nelle chiese le sacre immagini e surrogatavi in lor vece
la sozzura vivente della Dea Ragione, finì per gettare le mani sulla veneranda
canizie del sesto Pio, strapparlo violentemente dalla sede di Pietro e
trascinarlo nella terra d’esilio ed ivi con serie infinita di vessazioni e di
dolori procurargli la morte. Più tardi un soldato felice insuperbito dei suoi
trionfi, rinnovava le stesse sevizie su Pio settimo, gettandolo a gemere diviso
dai suoi più cari in penosissima cattività, dove oltre al privarlo del pane
necessario al sostentamento, negavagli persino il conforto della penna. Oh mio
Dio! Tutto è pianto per la Sposa di Cristo; più non regna che la ragion del più
forte, e quanti non hanno fede credono che a Savona debba alfin morire l’ultimo
dei Papi. Ma viva Dio! Un bel giorno, mentre il rombo delle empie e sconsigliate
guerre odesi ancora echeggiare per tutta Europa, gli eserciti dell’irrequieto
conquistatore sono rotti e dispersi, lo snaturato tiranno vinto e soggiogato è
mandato a languire sopra un arido scoglio dell’oceano, mentre il mite e
travagliato Pontefice liberato dalla sua prigione e come portato sugli omeri di
tutto il popolo cristiano ritorna trionfante nella santa città. Ma l’empietà, o
miei cari, si ostina a non profittare delle toccate sconfitte ed anche ai dì
nostri ritenta la prova e si getta rabbiosa a cozzare col Papato. Né si è
ristretta a dimostrazioni di lingua e di penna. Armi si sono impugnate, atroci
violenze si sono commesse, e il Capo Venerabile della Chiesa. Io qui mi
arresto…. I fatti ai quali accenno sono accaduti ed accadono tuttora davanti ai
vostri occhi, né avete bisogno che io ve li esponga. Vi chiederò piuttosto: Vi
ha da temerne? …. Potrà temere colui che non crede o non conosce l’amore di
Gesù Cristo per la sua Chiesa. Ma chi getta lo sguardo su quel Cuore tutto i n
fiamme, chi porge ascolto ai suoi rinfrancanti detti: Ecce vobiscum sum
usque ad consummationem sæculi; allo sforzo degli empi
sorride, perché si assicura che, come il Cuore amoroso di Cristo non abbandonò
mai il Papa, nel corso dei passati secoli, così non l’abbandonerà neppure nei secoli
venturi e conservandolo in mezzo ad ogni sorta di assalti, lo circonderà di
universale amore e gli preparerà uno splendido trionfo. Viva, viva adunque il
Cuore Santissimo di Gesù che ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura, ed
affetto!
III. — Ma altra
prova di amore, non meno splendida delle antecedenti, ci ha dato il Cuore Sacratissimo
di Gesù nel glorificare il Papa. Conoscendo Egli a perfezione il cuore umano, che
tanto facilmente sì lascia attrarre dalle cose sensibili, volle eziandio per la
via delle cose sensibili trarre gli uomini all’amore ed alla venerazione del
Papa; epperò non pago di conferirgli un’autorità spirituale, in tutto il corso
dei secoli, lo circonda ognora di fulgidissima gloria ispirandogli ed
aiutandolo a compiere opere, che niun’altra dinastia del mondo potrà mai vantare
sì numerose e sì perfette. Ed in vero, o miei cari, a chi la gloria di
atterrare i delubri del paganesimo, di raddolcire i costumi, di spezzare le catene
della schiavitù, di far risplendere il sole della cristiana civiltà? Al papa! O
santi pontefici de’ tre primi secoli, io mi prostro riverente dinanzi alla
vostra veneranda persona. La vostra vita non passò che nell’oscurità delle
catacombe, ma dal fondo di quei sotterranei il suono della vostra voce uscì per
tutta la terra a portare dovunque la serenità e la pace! — A chi la gloria di
evangelizzare il inondo, di spargere dappertutto il regno di Cristo, di
inalberare per ogni dove lo stendardo della croce, di radunare i popoli in un
sol cuore, in un’anima sola? Al Papa! Io vi saluto, o Gregorio Magno, o Nicolò
I, o Zaccaria, o Gregorio II e III, o Giovanni XIII, o Gregorio IV; è per opera
vostra, pel vostro soffio che sono successivamente evangelizzate l’Italia non
solo, ma le Gallie, la Spagna, la gran Bretagna, la Svezia, l’Olanda, la
Germania, la Polonia, la Russia, le immense contrade del nord. È per opera
vostra, pel vostro soffio, o Sommi Pontefici, che a tutti i popoli del
settentrione e del mezzodì, dell’oriente e dell’occidente, dell’antico e del
nuovo mondo la fede rifulge, il vero Dio si adora, Cristo è amato. — A chi la
gloria di liberarci dalla dominazione dei barbari e dei mussulmani, d’impedire che
ricadessimo nella primiera barbarie? Al Papa! O magno Leone! io vi veggo,
rivestito del vostro papale ammanto, in trepido, farvi innanzi a chi si noma
flagello di Dio, ammansar quella belva e allontanarla d’Italia. Io vi veggo, o
S. Leone IV, respingere ad Ostia colle vostre milizie i Saraceni, che vi
sbarcarono già sicuri della vittoria. Io vi veggo, o S. Leone IX, combattere, a
Civitella per l’indipendenza delle terre italiane e cadendo prigioniero restar
tuttavia vincitore. Io veggo voi, o grande Ildebrando, farvi l’energico
difensore dell’Italia contro l’influenza straniera ed umiliare a Canossa la
prepotenza di un imperatore Germanico. Io veggo voi, o Alessandro III, farvi
capo di una lega per allontanare dalle nostre terre il Barbarossa e felicemente
riuscirvi, e voi, o Gregorio IX, tentare risolutamente la stessa cosa contro
Federico II. Io vi veggo o grande Pio V, destare l’Europa col suono della
vostra voce, radunarne i principi, benedire i loro eserciti, spedirli contro le
falangi musulmane, e colle vostre preghiere ottener loro la più splendida
vittoria. — Ancora. A chi la gloria di vedere suoi figliuoli gli stessi re ed
imperatori del mondo, di essere il consigliere nelle loro imprese, l’arbitro
nelle loro questioni, il pacificatore nelle loro contese? A chi la gloria di
intimare ai prepotenti il dovere e la giustizia, di resistere ai loro capricci,
di difendere l’innocenza ed il diritto contro il loro despotismo? Al Papa.
Siete voi, o Innocenzo III, che obbligate Filippo Augusto di Francia a ripigliare
la sua legittima sposa; voi, o Pio VI, e Pio VII, che forti per coscienza
resistete alla volontà degli iniqui; voi, o Gregorio XVI, e Pio IX, che agli imperatori
delle Russie ordinate di trattar meglio i Cattolici, — E finalmente, a chi la
gloria d’aver protetto le lettere, le scienze, le arti? A chi?. Al Papa, sempre
al Papa. È il Papa che nel buio del medio evo, apre scuole a spargervi la luce delle
lettere e delle scienze: il Papa, che favorisce e promuove le università, il
Papa che raccoglie biblioteche, il Papa che si circonda di dotti, il Papa che chiama
ed accoglie onorevolmente nella sua Roma i più celebri artisti. È Giulio II, è
Paolo III, èSisto V, è Leone X, èPio VI, èPio VII,
è Pio IX, è il glorioso Leone XIII, la
cui splendida munificenza verso le scienze, le lettere e le arti va del pari
colla sua altissima sapienza. E dinanzi a tanto splendore, dovrebbesi ancora far
conto di quel po’ di nebbia che parvero gettare sul Papato alcuni pochi
Pontefici? Io non nego che vi sia stato fra di loro qualcuno di ua vita non
dicevole alla sublime dignità. Ma che per questo? Se come persone private
fallirono, come Pontefici vennero forse meno al loro gravissimo ufficio? Lo
stesso Alessandro VI, di cui tanti scrittori farisaici inorridiscono, dato pure
che l a sua vita privata non sia stata sempre buona, non compié in qualità di
Pontefice delle grandi cose? Non fu egli, come scrive lo stesso Boterò, che
allo scoprimento di tante terre fatte dagli Spagnuoli e dai Portoghesi si
adoperò presso i loro re, perché in quelle terre si attendesse anzitutto alla
conversione dei popoli? Non fu egli che chiamato arbitro da questi due sovrani
nella questione dei confini dell’America pose fine ai loro litigi, con la
famosa linea di partizione da lui tracciata sulla carta geografica e che
accolta di buon animo prova manifestamente che come Papa era avuto in altissima
stima dai principi e dai popoli? E per non dire più di altro, non attese forse
come Papa col massimo zelo al bene della Chiesa? Chi vuole adunque giudicare
dirittamente dei Papi, distingua bene ciò che in essi vi è di umano e di persona
privata, ed allora vedrà, se non vuole esser cieco, che come non vi ha dinastia
di una potenza intima più grande, così non vi ha dinastia alcuna di una gloria
più splendida e più pura. D’altronde, pur riconoscendo che sulla cattedra di Pietro
insieme col supremo potere e col magistero infallibile si è assiso qualche Papa
malvagio, il vero Cristiano non rinnoverà mai il delitto di Cham, ma chiudendo
gli occhi come Sem e Jafet, si farà invece a coprire le colpe di questi padri
col manto della pietà filiale. Benedizione adunque, benedizione eterna al Cuore
di Gesù, che non solo ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura ed affetto,
ma lo circonda ancora di tanta gloria a radicare ognor più nei cuori nostri la
venerazione e l’amore per lui, a costringere alla sua ammirazione tutti gli
uomini del mondo. Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù nel darci il Papa, nel
conservarlo e glorificarlo ci ha fatto il più segnalato benefizio e ci ha data
una gran prova di amore, nostro dovere per conseguenza è quello di corrispondere
a tanto benefizio colla più sincera gratitudine. E il modo migliore di
manifestare al Cuore di Gesù la nostra gratitudine in questo caso è quello per
l’appunto di obbedire, rispettare ed amare il Papa. Allor quando nel battesimo
di Cristo lo Spirito Santo erasi posato sopra il suo capo nella sembianza di
colomba, dalle altezze dei cieli era pur scesa la voce dell’Eterno Padre
dicendo: « Questo è il mio Figliuolo prediletto, nel quale ho riposto le mie
compiacenze; lui ascoltate.» Ebbene, o miei cari, qui avviene un fatto
somigliante. Il Cuore Santissimo di Gesù posandosi sulla persona del Papa
rivolge a tutti i suoi figli la sua voce e grida: Questi è il mio Vicario: ascoltatelo,
rispettatelo, amatelo. Chi ascolta lui, ascolta me: chi disprezza lui, disprezza
ine; chi non ama il Papa, non ama neppure me stesso. E vi sarà tra di noi chi
si rifiuti a questo comando di Gesù ? Ahimè! se io getto lo sguardo nel mondo,
vedo pur troppo di coloro che non ascoltano il Papa, che non lo rispettano, che
l’odiano anzi e sino al furore; che vorrebbero, se loro fosse possibile,
schiantarne l’ultimo vestigio dalla faccia della terra, e in fondo in fondo non
per altra ragione, se non perché il Papa a nome di Dio impone loro una legge,
ch’essi non vogliono praticare; perché il Papa svela le loro nequizie e le loro
ipocrisie, condanna la loro superbia e la loro corruzione; perché il Papa mette
in guardia il mondo dalle loro diaboliche arti; perché infine il Papa pel libero
esercizio di quella autorità che ha ricevuto da Dio reclama quel temporale
dominio, che la Divina Provvidenza gli ha a tal fine accordato. Sì, per questo,
per questo solo tante bocche impure si aprono a bestemmiarlo, tante penne
sataniche schizzano veleno a maledirlo, tante sozze caricature s’inventano a coprirlo
di fango. Oh infelice Pontefice! Curvo sotto il peso di una responsabilità così
grande, qual è quella che emana dalla sua autorità, egli deve per soprappiù gemere
sotto il peso della moderna empietà e corruzione, che gli muove una guerra
cotanto aspra. Ah deh! per quella gratitudine che ci lega al Cuore Sacratissimo
di Gesù, che i suoi gemiti trovino un’eco pietosa nel cuore de’ suoi veri
figli. Che noi almeno col rispetto e coll’obbedienza alla sua autorità, in tutto
quello che egli ci prescrive per il vero nostro bene ci studiamo di porgere un
po’ di conforto alle sue afflizioni. Che da noi almeno non mai si sparli del
Papa, non mai si censurino i suoi pensamenti e le sue operazioni, non mai anche
solo per rispetto umano si sorrida a chi lo deride: che da noi, da noi almeno
si porti sempre alta la bandiera su cui sta scritto: Cattolici e Cattolici col
Papa. E quando il Papa nella piena del suo dolore a noi si volge additandoci il
cuore che gli sanguina, sempre abbia da noi tale una risposta… Miei cari
amici! Allorché nel secolo passato, una grande imperatrice d’Austria, Maria Teresa,
viste invase dalle potenze straniere le sue terre, confidata nell’amore dei
suoi popoli, ancor sofferente di fresca malattia, presentossi alla dieta e
svelate le sue pene chiese protezione per se e pel suo bambino, udì tosto con
entusiasmo ripetere: Moriamur prò rege nostro Maria Theresia! Ealle
parole s’aggiunsero i fatti: gli abili alle armi si fecero soldati e formossene
un numeroso esercito: non mai dalla fertile Ungheria uscirono tante provvigioni:
non mai con la violenza si riscossero tanti tributi, quanti allora spontanei, e
l’ardore non fe’ mai sì belle prove. Ecco la risposta che dobbiamo dar noi
all’appello del Papa: balzare risoluti al cospetto delle sue sofferenze,
gettarci ginocchioni a’ suoi piedi, protestando di amarlo e di difenderlo;
brandire coraggiosi le armi dell’azione e della preghiera, cooperare per quanto
sta in noi e colle parole, e cogli scritti e colla stampa e coll’obolo della
nostra carità, a mantenergli la gloria e lo splendore che gli si addice; con
gemiti incessanti supplicare il Cuore di Gesù che lo renda libero, che lo
conservi, lo vivifichi; lo faccia beato in terra e non lo lasci cadere nelle
mani de’ suoi nemici; e piuttosto che vili cedere quest’armi in faccia ai
nemici del Papa: Moriamur prò Papa nostro Leone! siamo
pronti a soffrir qualsiasi iattura, anche la morte istessa se .le circostante
lo richiedessero. Morir per il Papa saria lo stesso che morir per Cristo:
perché il Papa è il Vicario di Cristo: e di miglior gratitudine non potremmo
ripagare il Cuore di Cristo, né miglior testimonianza potremmo rendere alla sua
bontà e misericordia nell’averci dato il Papa. E voi, o Cuore Sacratissimo di
Gesù, che con l’istituzione del Papa avete dato alla vostra Chiesa il più saldo
fondamento, fate che adesso noi siamo mai sempre uniti di mente e di cuore,
sicché coll’amore, col rispetto, coll’obbedienza al Papa, Capo visibile della
vostra Chiesa, noi siamo pur sempre muti a Voi, che ne siete il Capo
invisibile, adesso e nell’eternità. [Oggi più che mai rinnoviamo questo grido
di gioia e di fedeltà: Moriamur prò Papa nostro Gregorio!
DISCORSO XXVIII.
Il Sacro Cuore
di Gesù e la sua Chiesa.
Nella grand’opera della creazione del
mondo cosa senza dubbio assai degna di ammirazione si è che Iddio avendo creato
gli animali maschio e femmina per mezzo della stessa parola e nel medesimo
tempo, non fece così riguardo alla creazione dell’uomo e della donna.
Perciocché prima creò l’uomo e poscia addormentatolo in un sonno misterioso,
trattagli una costa dal suo fianco ne formò la donna. E quale poté mai essere la
ragione di una creazione cotanto singolare? S. Tommaso, quel gran genio che si
è certi sempre d’incontrare sulla via, quando si ricerca la ragione di qualche
mistero del Cristianesimo, ha detto che l’uomo fu creato prima della donna e la
donna fu tratta dall’uomo, perché fosse conservata la dignità dell’uomo
coll’essere egli il principio dell’universo. In secondo luogo, che la donna non
venne creata dalla testa dell’uomo, perché si conosca che essa non deve essere
al di sopra dell’uomo né fargli da padrona; che neppure fu creata dai piedi
dell’uomo, perché si sappia non dover essere dall’uomo disprezzata come una
misera schiava, ma che venne tratta dal fianco dell’uomo, vale a dire da vicino
al suo cuore, perché apparisse manifesto che l’uomo deve amarla, siccome
l’oggetto che più gli appartiene, siccome una parte la più intima di se stesso.
– Ma oltre a queste ragioni di ordine storico e naturale, lo stesso dottore,
seguendo S. Paolo e S. Agostino, asserisce esservene un’altra di ordine
profetico e sacramentale. Il primo Adamo era la figura del secondo Adamo, che è
Gesù Cristo. Epperò il suo sonno appiè di un albero e la formazione dal suo
fianco della donna doveva essere una stupenda figura del sonno di morte, a cui
sarebbesi dato Gesù Cristo sull’albero della croce e della formazione della
vera Eva, la Chiesa, che sarebbe uscita dal suo Sacratissimo Cuore trafitto.
Sì, o miei cari, come Eva fu tratta dal fianco di Adamo, così la Chiesa, mistica
sposa, ma pur vera sposa di Gesù Cristo, nacque dall’apertura del suo divin
Cuore: Ex Corde scisso Ecclesia Christo iugata nascitur. Il
che vuol dire in altri termini che la Chiesa fu anche essa
per eccellenza un’opera del Cuore di Gesù Cristo, una delle più
grandi prove del suo amore per noi. Ed invero. Gesù Cristo volendo
applicare davvero agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo l’efficacia della
redenzione, affine di operare sempre e dappertutto la loro salute, ha
propriamente nella sua carità infinita creata la sua Chiesa. Ed ecco la bella e
grande verità che considereremo oggi.
I . — Gesù Cristo era venuto in questa terra per compiere la grand’opera della redenzione degli uomini e realmente l’aveva compiuta, soprattutto con la sua amarissima passione e morte di croce. Per i meriti infiniti che Egli vi aveva acquistato, Egli aveva guadagnato altresì infinite grazie per gli uomini e il diritto a ciascuno di essi di poter conseguire l’eterna beatitudine. Ma perché tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo potessero godere di sì gran benefizio era assolutamente necessario che la grazia guadagnata da Gesù Cristo fosse di mano in mano a .ciascuno degli uomini in particolare applicata. Inoltre Gesù Cristo venuto pure su questa terra per illuminare ogni uomo sulle verità, che si devono conoscere e credere e sulle opere che si hanno a praticare per salvarsi, aveva predicato la sua celeste dottrina pel corso di tre anni nei paesi della Giudea. Ma poiché la luce di questa dottrina doveva spandersi sopra gli uomini di tutti i secoli e di tutte le nazioni, bisognava perciò che anche dopo il ritorno di Gesù Cristo al suo Eterno Padre, fosse predicata a tutte le creature. Gesù Cristo ancora aveva istituito per gli uomini i Sacramenti come altrettanti fonti visibili della sua grazia invisibile, ma perché questi sacramenti ridondassero di vantaggio a tutti gli uomini per sempre, si conveniva che a tutti gli uomini per sempre potessero essere amministrati. E finalmente durante la sua vita Gesù Cristo era stato il buon Pastore che conosce le sue pecorelle e che le guida per i pascoli sani della verità e della giustizia, era necessario che questa guida visibile non venisse mai a mancare alle altre pecorelle che sarebbero entrate a far parte del suo gregge, tanto più che il numero sarebbe immensamente cresciuto. Che cosa fece pertanto nostro Signor Gesù Cristo a conseguire tutti questi fini, perché realmente tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi in conformità alla sua volontà vera, avessero ad essere salvi ed a pervenire al conoscimento della verità. Già fin dai tempi antichi i profeti avevano annunziato che a tal fine Gesù Cristo avrebbe creato una società visibile a guisa di un regno potente che si sarebbe esteso sino agli estremi confini della terra; (DAN. II, 44) a guisa di una casa del Signore, che sta sulla vetta dei monti e si solleva sopra tutti i colli ed alla quale sarebbero accorsi in folla tutti i popoli; (Is. II, 2) a guisa di una città santa, nella quale sarebbero entrate le moltitudini delle nazioni ed i popoli gagliardi. (Is. LX) Lo stesso Gesù Cristo poi aveva promesso durante la sua predicazione che per la salvezza universale degli uomini avrebbe edificato la sua chiesa: Edificabo ecelesiam meam, e parlando di essa l’aveva paragonata ad un gregge e ad un ovile, in cui le agnelle si raccolgono sotto la guida di uno stesso pastore; ad un campo, in cui spuntano le buone e le cattive sementi; ad un banchetto, a cui sono chiamate persone di ogni stato; ad una rete gettata nel gran mare dell’umanità e che piglia ogni specie di pesci; ad un granellino di senapa che si converte poscia in un albero immenso, nel quale vanno a ripararsi ogni sorta di uccelli; ad un regno di Dio aperto a tutti i popoli della terra. Inoltre parlando ancora di quest’opera, ch’ei voleva stabilire, dichiarò l’autorità e la missione che intendeva di affidarle, giacché diceva: « Se il tuo fratello ha commesso qualche mancamento contro di te…. dillo alla Chiesa. E se non ascolta la Chiesa, abbilo in conto di gentile o di pubblicano. » E poscia aggiungeva: «Tutto quello che voi legherete sulla terra, sarà legato in cielo, e ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. » E in conformità a queste sue divine promesse ed asserzioni che cosa fa egli! Raccoglie d’intorno a sé alcuni Apostoli, li istruisce, comunica ai medesimi la sua autorità e la sua potenza; dapprima li manda nelle città della Giudea; domanda conto della loro missione, sceglie e stabilisce il loro capo, aggiunge loro alcuni cooperatori, con tenera sollecitudine forma il gruppo tipo e modello della immensa società, nella quale si espanderà, gruppo che chiama al suo principio: pusillus grex, piccolo gregge. Ed ecco la fondazione della Chiesa di Gesù Cristo, Chiesa che, come ognuno facilmente comprende, non è già di ordine interiore ed invisibile, come volle il vecchio protestantesimo, ma di ordine esterno, visibile, visibilissimo. Visibile nei suoi capi e nelle sue membra, cioè nel successore di S. Pietro e degli altri Apostoli e nei’ fedeli che ad essa appartengono, non altrimenti che siano visibili i superiori e gl’inferiori di ogni altra terrena società; visibile nella predicazione e nella professione della dottrina di Gesù Cristo, essendo che secondo il suo comando, la lieta novella della salute deve annunziarsi e sempre si annunzia con la predicazione a tutte le creature di tutti i luoghi e, di tutti i tempi che abbracciandola la professano non solo nell’interno del loro cuore, ma eziandio con le loro parole ed opere esteriori; visibile nel sacrifizio che Gesù Cisto volle perpetuare in questa sua Chiesa e che si celebra con un culto e con riti esteriori; visibile nei Sacramenti che C. Cristo le affidò da amministrare e che sempre si amministrano in modo al tutto sensibile. Porre in dubbio pertanto la visibilità della Chiesa è lo stesso che contraddire non solo alle parole esplicite di Gesù Cristo, ma eziandio alla testimonianza irrefragabile dei sensi e della sana ragione. Per certo sotto altro aspetto la Chiesa è pur invisibile. Come l’uomo è visibile nel suo corpo ed è invisibile nella sua anima, così la Chiesa è invisibile al presente nel suo capo supremo G. Cristo, che è in cielo; invisibile nella verità che illumina le menti; invisibile nella grazia che santifica le anime; invisibile nella vita divina che circola nel gran corpo degli eletti; ma per tutto il resto, torno a dire, visibile, visibilissima. E come potrebbe essere diversamente? Se G. Cristo, capo, al presente invisibile, della Chiesa, venuto su questa terra per la redenzione nostra, l’ha operata tutta in modo visibile del suo corpo; ecco lo Spirito Santo che mandato da G. Cristo, perfeziona l’opera sua; ecco la Chiesa ripiena di vita e di forza. O Chiesa di Gesù Cristo! creazione ammirabile del suo Cuore divino! Benché così piccola come oggi apparisci dentro di quel cenacolo, esci fuori ardimentosa, getta lo sguardo sopra il mondo, e riconoscendo che a te è destinato sfidando i pericoli vola alla sua conquista. Se Cesare nella tempesta diceva al nocchiero che tremava: « Che temi? Porti Cesare! » con più santa alterigia e maggior sicurezza di fronte ad ogni ostacolo tu potrai dire a te stessa sino alla fine del mondo: « IO non temo, perché porto con me lo Spirito Santo, l’anima della mia vita. » No, non meravigliamoci che Gesù Cristo abbia fondata e perfezionata l’opera sua con quella piccola schiera di Apostoli e di discepoli, che stavano raccolti nel cenacolo il dì della Pentecoste! Gesù Cristo senza dubbio nella sua potenza infinita, avrebbe potuto dare fin da principio all’opera sua delle proporzioni più vaste, immensamente più vaste. Ma Gesù Cristo voleva che non ostante gli sforzi che uomini funesti avrebbero fatto per mettere in dubbio l’opera sua, ciò non potesse mai realmente accadere a chi seriamente si fosse fatto a considerare da una parte gli umili suoi inizi e dall’altra gli sfolgoreggianti suoi successi; da una parte dodici uomini rozzi, poveri, senza dottrina e senza umane aderenze, e dall’altra il mondo intero, dall’oriente all’occidente, da bòrea a mezzodì da loro conquistato nel nome di Gesù Cristo. Perciocché, o miei cari, dai tempi nostri calando giù passo passo per mezzo della storia sino ai tempi apostolici noi veniamo a riconoscere che la grande società dei credenti, che ricopre ora la faccia della terra, non è altro che lo svolgimento di quella piccola schiera radunata un dì nel cenacolo già costituente la Chiesa di Gesù Cristo ed avvivata dallo Spirito Santo. Così adunque Gesù Cristo per ottenere la salvezza degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi ha fondata e perfezionata la sua Chiesa, quella Chiesa che oggi come al suo principio, è la società di tutti i fedeli i quali professano tutti la stessa fede di Gesù Cristo, partecipano tutti agli stessi Sacramenti e sono posti tutti sotto l’obbedienza dei Vescovi successori degli Apostoli e specialmente del Romano Pontefice successore di S. Pietro e vicario visibile di G. Cristo invisibile
II. — Se non che, o miei cari, qual è la Chiesa di Gesù Cristo? Ecco la dimanda che siamo costretti di farci, perciocché, nessuno di voi lo ignora, vi sono molte società religiose che pretendono di essere nate dal Cuore del divin Crocifisso e di continuare nel mondo l’opera della sua redenzione. Ma viva Dio! anche qui il Divin Redentore non ci ha lasciati nel pericolo dell’errore, anche qui ci ha manifestata la sua carità. Di quella guisa che Iddio nella creazione del mondo vi ha scolpito per tal modo le sue perfezioni, che per quanto si faccia, non torna possibile disconoscere che il mondo è opera sua, così Gesù Cristo fondando la sua Chiesa l’ha segnata di tali note caratteristiche, per mezzo delle quali non è possibile disconoscere quale sia l’unica e vera Chiesa da Lui fondata. Queste note sono quattro: l’unità, la santità, la cattolicità, l’apostolicità. – Ed anzi tutto Gesù Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una. Nella sublime e commovente preghiera, che rivolgeva al suo Padre celeste prima di separarsi da’ suoi cari, gli diceva: « Padre Santo, Io ti raccomando coloro che mi hai affidato, conservali affinché siano una cosa sola come lo siamo noi. Io non ti prego per essi soltanto, ma per tutti coloro che devono credere in me sulla loro parola… affinché tutti siano una cosa sola in noi… e tutti siano consumati nell’unità. » (Io. XVII, 11, 20, 21, 23) Né Gesù Cristo si è contentato di domandare al suo Padre quest’unità per la sua Chiesa, ma la volle propriamente stabilire, giacché Egli diceva ancora: « Io ho altre pecorelle che non sono di questo ovile, fa di mestieri che quelle pure raccolga. Esse udranno la mia voce e non vi sarà più che un solo ovile ed un solo pastore. » (Io. X, 16) La Chiesa adunque di G. Cristo deve primieramente essere una, vale a dire una nella fede e nell’osservanza di tutta la dottrina, che Gesù Cristo ha insegnato; una nella partecipazione di tutti i Sacramenti che Gesù Cristo ha istituiti; una nella unione e obbedienza a quel Capo supremo che in essa Gesù Cristo ha stabilito, conforme ha dichiarato in quella sua formola, così acconcia e così eloquente, l’Apostolo Paolo: « Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio padre di tutti. » (Eph. IV, 5, 6). – In secondo luogo Gesù Cristo ha voluto che la sua Chiesa portasse l’impronta della sua santità; perciocché dice l’Apostolo: « Gesù Cristo nell’amor suo per la Chiesa si è dato per lei affine di renderla gloriosa, senza macchia e senza ruga, santa ed immacolata. » (Eph. V, 25, 27) Sì, la vera Chiesa deve essere santa come santo è il suo Capo invisibile, santa nella dottrina che guida alla santità, santa nei mezzi capaci di operare la santificazione, santa in molti dei membri che le appartengono. – In terzo luogo Gesù Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse Cattolica, cioè universale, abbracciando i fedeli di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le condizioni e di tutte le età. Ed è ciò che avevano predetto i profeti, quando cantarono di Gesù Cristo « che avrebbe avuto in eredità tutte le genti, che tutti i re della terra lo avrebbero adorato, che tutte le genti lo avrebbero servito, che egli avrebbe dominato da un mare ad un altro, da un fiume sino agli estremi confini della terra. » È ciò ancora che Egli espresse chiaramente ai suoi Apostoli, quando disse loro: « Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. » E finalmente Gesù Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse apostolica, vale a dire credesse ed insegnasse tutto ciò che gli Apostoli hanno creduto ed insegnato e fosse guidata e governata dai loro successori. Perciocché dopo di aver eletto gli Apostoli e dopo aver insegnato loro la sua dottrina, è a loro stessi che impose il precetto di annunziarla dicendo: « Come il Padre ha mandato me, così Io mando voi: chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. » E perché inoltre s’intendesse come il mandato, che loro affidava, doveva passare ai loro successori aggiunse: « Ecco che Io sono con voi sino alla consumazione dei secoli. » (MATT. XXVIII, 21) Unità, santità, cattolicità, apostolicità, ecco adunque le quattro note caratteristiche, di cui Gesù Cristo volle segnata la sua unica e vera Chiesa. Ed ora sarà egli difficile il riconoscerla, non ostante la molteplicità delle società religiose che vi hanno nel mondo, e non ostante ancora che non poche tra di esse si arroghino l’onore di essere proprio quella? No, ciò non è difficile, è anzi facilissimo. L’unità non si trova presso i popoli idolatri, che per quanto siano affini nell’adorare le creature in onta al Creatore, sono tuttavia fra loro divisi in una infima varietà di culti turpissimi, crudeli, superstiziosi ed assurdi. L’unità non si trova presso gli Ebrei, che per quanto sembrino uniti nel credere tutti a Mosè e alla sua legge, sono tuttavia divisi in tante scuole, quante sono le sinagoghe, e ciascuno intende e pratica quella legge a suo modo. L’unità non si trova presso i Maomettani, che per quanto dicano di seguir tutti Maometto ed il suo Corano, sono tuttavia scissi ancor essi in tante sette, quanti sono i capi politici cui obbediscono. L’unità non si trova neppure presso gli Scismatici e gli Eretici, che per quanto si vantino di credere tutti a Gesù Cristo e al suo Vangelo, discordano tuttavia tra di loro nella fede, quante sono nazioni, quanti sono paesi, quante sono famiglie, quanti sono individui, e più ancora quante sono le voglie di uno stesso individuo, che oggi gli piace di credere ad una cosa e domani ad un’altra. Che dire poi della santità? Ed è possibile che vi sia la santità in quelle società religiose, le cui dottrine spingono la vita pratica a conseguenze immorali? Che vi sia la santità, dove il vizio è Dio? dove il furore dei carnali diletti è il premio promesso alla propria credenza? dove s’insegna che basta credere e che poi nulla importa di peccare, e che quanto più si è scellerati ed infami, tanto più Dio largisce la sua grazia? O poveri protestanti, voi soprattutto, che pretendete di essere nella Chiesa di Gesù Cristo, dove avete la santità della dottrina voi, che nella vostra togliendo il libero arbitrio fate dell’uomo una bestia, e rendete Iddio autore dei peccati, che l’uomo commette? Dove avete la santità dei mezzi capaci ad operare la santificazione voi, che avete ripudiato la massima parte dei Sacramenti istituiti da Gesù Cristo, e conservandone qualcuno l’avete ridotto ad una ridicola cena? Dove avete la santità dei membri che vi appartengono? Sono forse i vostri santi un Lutero, monaco apostata, vanitoso, ghiottone, libidinoso? un Calvino prete abortito, pieno di orgoglio e di crudeltà? un Arrigo VIII, re dissoluto e sanguinario? una Elisabetta d’Inghilterra mostro di libidine e di barbarie? E se son questi i Santi della vostra setta, quali sono le opere, che manifestano la loro santità? quali i miracoli che la provano? Ah! che in fatto di miracoli essi non riuscirono neppure, secondo la frase caustica e sprezzante di Erasmo, a guarire un cavallo zoppo! E poiché a queste società religiose manca l’unità e la santità, si può dire forse che siano cattoliche, universali? Senza parlare delle società degli infedeli, le quali troppo chiaro apparisce non essere universali, le società eretiche e scismatiche non sono che ristrette a pochi paesi, dove gli czar pontefici e i patriarchi, avviliti sotto il giogo dei sultani e dei pascià, lavorano di mani e piedi per ritardare l’inevitabile sfacelo, a cui l’errore è destinato. E i protestanti che pur vorrebbero riuscire a questo di ottenere una specie di universalità, inviano perciò i loro ministri carichi di bibbie nei lontani paesi, ma questi ministri, che accompagnati dalla moglie nel loro apostolato non mirano che a far la loro fortuna, a che sono essi riusciti? Essi medesimi lo dovettero confessare: i loro sforzi per diffondere il pane della vita (come essi chiamano la parola della Bibbia da loro falsificata) non ostante alcuni successi ottenuti qua e là, riuscirono perfettamente inutili. E la ragione è chiara: né le sette dei protestanti, né le altre sette eretiche e scismatiche sono apostoliche. Dal momento che con l’eresia e con lo scisma rifiutarono la dottrina degli apostoli e si staccarono dalla catena dei loro legittimi successori, cessarono affatto di possedere l’apostolicità: e se pure vanno pel mondo a predicare una dottrina, oltreché non predicano la dottrina creduta ed insegnata dagli Apostoli, non vi vanno perché mandati da Gesù Cristo, ma perché essi medesimi si sono arrogata questa missione. Qual è adunque, o miei cari, la vera ed unica Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, se non la Chiesa nostra, alla quale abbiamo il singolar bene di appartenere, quella Chiesa che chiamasi anche Romana, perché il suo capo visibile è il Vescovo di Roma, e Roma perciò è il centro della medesima? Sì, è in questa Chiesa che risplende anzi tutto il carattere dell’unità. Per quanto siano diversi per origine, per costumi, per colore, per linguaggio, i popoli che vi appartengono, essi professano tutti lo stesso Credo; essi ricevono tutti e da per tutto gli stessi Sacramenti; essi obbediscono tutti allo stesso governo e si tengono in unione con lo stesso Capo, giacché i fedeli obbediscono ai loro pastori, i pastori ai vescovi, i vescovi al Papa, e tutti col Papa, Pater Patrum, padre dei padri, padre comune di tutti i credenti, si tengono uniti, formando un solo ovile, sotto la scorta di un solo pastore. È in questa Chiesa che risplende in secondo luogo il carattere della santità, giacché è in questa Chiesa, il cui Capo invisibile è tre volte Santo, che vi ha una dottrina che invita, anima e guida non solo a salvarsi, ma a rendersi santi e perfetti nella pratica eroica di ogni più eletta virtù. È in questa Chiesa che abbondano i mezzi per operare la propria santificazione, giacché è in essa che vi hanno i Sacramenti adatti ad ogni età e ad ogni condizione dell’uomo, per mezzo dei quali la grazia di Gesù Cristo discende copiosa sulle anime a sanare le loro infermità e a comunicar loro la forza e il vigore della vita spirituale, e soprattutto il Sacramento del Corpo e del Sangue istesso del Redentore, che viene a trasfondere nei fedeli la sua stessa vita e per conseguenza la sua stessa santità. È in questa Chiesa che si contano a centinaia, a migliaia, a milioni i santi: i santi apostoli, che sfidando ogni pericolo ed ogni disagio, andarono nei paesi più lontani e più selvaggi per illuminare coloro che giacevano nelle tenebre e nelle ombre di morte; i santi martiri, che sacrificarono generosamente la loro vita, fra i più atroci tormenti per professare sino all’ultimo respiro la fede di Gesù Cristo; i santi Pontefici che portarono sul più alto trono del mondo l’umiltà più profonda e governarono la Chiesa con mano salda e sapiente; i santi re e le sante regine, che tra gli splendori della reggia seppero vivere della vita più mortificata, e recare il vero bene ai loro popoli; i santi anacoreti, che popolarono i deserti e vi menarono la vita più penitente; i santi confessori, che anche in mezzo al mondo rinnegando se stessi e prendendo la croce tennero dietro fedelissimamente a Gesù Cristo; i santi e le sante vergini, che rinunziarono alle nozze terrene per unirsi indissolubilmente allo sposo Celeste e per ispandere sulle umane miserie le tenerezze di una casta maternità; i santi di ogni età, di ogni sesso, di ogni condizione che non cessarono e non cesseranno mai sino alla fine del mondo. È in questa Chiesa, che in terzo luogo risplende il carattere della Cattolicità, giacché è essa sola che ha ricevuto da Gesù Cristo il diritto di espandersi da per tutto, essa sola che ne ha l’attitudine e la forza, essa sola che realmente si espande sino ai confini del mondo. Da quel momento che Gesù Cristo ebbe intimato agli Apostoli : « Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le creature; » e gli Apostoli rivestiti di una virtù dall’alto si lanciarono come folgori a portare da per tutto la buona novella, da quel momento l’apostolato non è ristato più mai nelle sue conquiste, immensamente più grandi che non quelle di Cesare e di Alessandro Magno. Per suo mezzo si rende cristiano dapprima il romano impero, e dappoi si rendono tali i barbari. E quando a Vasco di Gama e a Cristoforo Colombo si dischiudono dei nuovi mondi, sono legioni di missionari che si precipitano sulle loro tracce, e l’India, la Cina, il Giappone sono evangelizzati. L’America non ostante i suoi immensi laghi, i suoi immensi fiumi, le sue immense foreste, i suoi immensi pampas è percorsa dalla parola di Dio, sino alla Patagonia ed alla Terra del Fuoco. L’Oceania, questo mondo di isolette sparpagliate nel mare, riceve essa pure la dottrina che ha convertito le più grandi terre. E così sarà sino alla fine del mondo, fino a che non v i sarà più che una tribù di selvaggi da convertire. O secolo del progresso! non pago più del vapore sostituisci l’elettrico, e per suo mezzo fa strisciare i carri sulle vie ferrate e fa volare le navi sul liquido elemento pronte e leggere come il lampo; le tue nuove invenzioni, come le grandi strade per cui erano passate le legioni romane, non serviranno a miglior uso che a rendere sempre più universale la Chiesa di Gesù Cristo. – E finalmente è in questa Chiesa che risplende il carattere della apostolicità, perché è in questa Chiesa che si crede e si insegna, si crederà e si insegnerà mai sempre quello che hanno creduto ed insegnato gli Apostoli; è in questa Chiesa che con una catena non mai interrotta dal Pontefice gloriosamente regnante si va sino a B. Pietro, dai Vescovi che la governano si arriva sino agli altri Apostoli, sicché il Pontefice e i Vescovi, che in essa vi sono e vi saranno sino alla fine del mondo, degli Apostoli sono e saranno sempre i veri e soli successori. Noi fortunati pertanto, che apparteniamo a questa Chiesa, la sola vera che vi sia nel mondo, perché la sola contrassegnata di quelle note caratteristiche, che Gesù Cristo vi ha voluto imprimere, nel suo amore infinito per noi, per far conoscere l’opera sua. Ma infine Gesù Cristo, volendo davvero che il frutto della sua Redenzione potesse essere applicato sino alle ultime generazioni, diede alla sua Chiesa tale una stabilità nell’esistenza e nella dottrina che non avesse a venir meno, né a mutar per poco giammai. Egli disse chiaro: « Edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa giammai: starò con lei sino alla consumazione dei secoli. » Ed egli che ha così parlato fa ben onore alla sua parola. Ed in vero il tempo che tutto distrugge, anche le più potenti istituzioni, anche gl’imperi più giganteschi, anche le monarchie più salde, non ha prodotto né vecchiezza, né infermità, né decadenza nella Chiesa: la sua giovinezza assai meglio che quella dell’aquila, si rinnovella ogni giorno. Più rabbiose che il tempo si sono scagliate contro di lei le potenze della terra congiurate a’ suoi danni. Tutto ciò che di più crudele, di più vile, di più malizioso si poté inventare dagli uomini, tutto fu messo alla prova per batterle i fianchi e farla smuovere dalla sua fermezza: seduzioni, insulti, calunnie, tradimenti, persecuzioni, prigionie, esili, mannaie, roghi, belve feroci… Ma essa ah! come lo scoglio, che in mezzo all’oceano, sicuro di sua stabilità par che miri con occhio di compassione le onde furenti, che nella loro insensatezza lanciandosi contro di esso si credono di sopraffarlo, e poi disfatte dalla sua durezza gli cadono morte ai piedi; così la Chiesa affidata alla parola di Gesù Cristo stette mai sempre sicura di Sua esistenza, e mirò invece con sentimento di compassione caderle ai fianchi l’un dopo l’altro i suoi mortali nemici. Quando Giuliano l’apostata tribolava la Chiesa con quella persecuzione atroce e volpina che porta il suo nome, uno de’ suoi famigliari, il retore Libanio, imbattutosi in un Cristiano con tutto il sarcasmo, di chi vede atterrato il suo nemico gli domandava : « Che cosa fa il vostro Galileo, il figlio del falegname? » E il Cristiano a lui: « Il figlio del falegname fa una bara. » E non andò molto che la Chiesa vide cader in quella bara il suo persecutore. Quello che vedeva allora è quello che già aveva visto per tre secoli, è quello che vede e vedrà sino alla fine del mondo: Gesù Cristo far delle bare e chiudervi dentro l’an dopo l’altro i nemici di lei. No, la Chiesa non si muove nella stabilità di sua esistenza. Gesù Cristo l’ha giurato, e lì è il gran segreto. – E come non si muove nella stabilità di sua esistenza, così non si muove, né si muoverà mai nella stabilità di sua dottrina. In tutti i secoli i suoi figli snaturati si sono recati da lei per domandarle mutazioni. Hanno bussato alla sua porta, ed ella si è affacciata: Che volete da me? — Che tu ti muti. — Io non muto mai. — Muta almeno il tuo Cristo. — Impossibile. — Muta la sua persona. — Impossibile. — Muta le sue nature. — Impossibile. — Muta la sua carne. — Impossibile. — Muta le sue volontà. — Impossibile. — Muta la sua grazia. — Impossibile. — Muta qualche suo Sacramento. — Impossibile. — Muta l’autorità del suo Vicario. — Impossibile. — Muta l’unità del Matrimonio. —- Impossibile. — Muta… — No, io non muto. — Ma pure, tutto muta, tutto è mutato nel mondo: son mutati i tempi, son mutati i governi, son mutate le scienze, è mutata la filosofia, mutata la storia, mutata la medicina. Ma io non muto. — Ebbene, peggio per te. Noi ci distaccheremo dal tuo fianco. E noi… sai chi siamo noi? Noi siamo l’Oriente. Noi siamo la Russia, Noi siamo la Germania. Noi siamo l’Inghilterra. Noi siamo la Svizzera. — Non importa foste ben anche la metà del mondo, staccatevi pure. Ma intendetelo bene: più che voi vi distacchiate da me, sono Io che vi recido come rami secchi ad essere gettati nel fuoco. Così, o miei cari, la Chiesa Cattolica per la perpetua assistenza che Gesù Cristo le ha promesso e che realmente le usa, non ha mutato mai di un ette il suo Credo, neppure allora che le si domandava questo solo ette, e sebbene madre tenerissima dei suoi figli e sposa la più affezionata a quello sposo, che non le chiede altro che figli, col cuore insanguinato ha patito piuttosto l’inesprimibile dolore di rigettare ella medesima dal suo seno dei popoli interi, anziché patire la rottura dell’integrità della fede. E Gesù Cristo ha consolato allora la sua sposa additandole altri popoli, a cui avrebbe dato la vita. – Ma io so bene che qui i nemici della Chiesa intenti sempre, ma indarno, al tentativo di coglierla in contraddizione, si levano su e gridano: « Come? Immutabile la dottrina della Chiesa? Non è vero! E i nuovi dogmi che ella introduce a credere non sono essi una mutazione? Miei cari, che cosa s’intende per nuovo dogma? forse una verità nuova non mai creduta prima? una verità che contrarii o indebolisca le verità già prima esistenti? Niente affatto: ciò non è possibile. Quelle verità che talora la Chiesa, in apparenza di nuovi dogmi, solennemente definisce doversi credere di fede, non sono che verità antiche come tutte le altre, come tutte le altre contenute nelle Sacre Scritture e nella Tradizione apostolica, come tutte le altre rivelate da Dio, come tutte le altre già credute ed insegnate almeno implicitamente, come tutte le altre appartenenti all’integro corpo della dottrina cristiana; ma verità che furono per così dire lasciate giacere nell’ombra fino a che non essendo dubitate o contraddette non corsero il pericolo di non essere credute dai fedeli, e che allora che corsero questo pericolo, dalla Chiesa sommamente sollecita della salute de’ suoi figli, furono tostamente tratte fuori alla luce e col suo solenne definire essere ancor esse verità rivelate da Dio, epperò da doversi credere come tutte le altre, fatte risplendere come il sole in pien meriggio. La Chiesa adunque, per quanto possa parere a taluno che faccia talora dei mutamenti con l’introdurre nuovi dogmi a credere, non muta nulla giammai; essa non fa altro che svolgere sempre meglio il tesoro preziosissimo di quella verità immutabile che Gesù Cristo le ha affidato, non fa altro che mettere in più bella mostra quelle gemme fulgidissime ed infrangibili che circondano la sua fronte. O Chiesa di Gesù Cristo! come esalti per ogni lato il tuo sposo, il tuo sovrano, il tuo fattore! Come canti per ogni verso la sua gloria divina e il suo amore infinito per noi! Fortunato colui che a te appartiene, che in te si affida, che te ama, che te ascolta, che da te si nutre, che in te vive. Egli vive tra le braccia di una madre, che solo alla morte lo staccherà dal suo seno per gettarlo con gaudio tra le braccia di Dio.
III. — Ma dopo tutto ciò è facile di comprendere da qualsiasi uomo che non abbia perduto il senno, come non possa assolutamente essere libero e indifferente l’entrare o no in questa Chiesa, l’appartenervi o il non appartenervi. Ed è perciò appunto che lo stesso Gesù Cristo ha detto: « Se alcuno non ascolta la Chiesa, abbilo per gentile e pubblicano, » vale a dire chi non istà sotto la mia Chiesa, è un infedele che non potrà salvarsi. È perciò che disse ancora agli Apostoli: Chi non crederà a voi ed ai vostri legittimi successori sarà condannato. È perciò che l’apostolo S. Paolo insegnandoci che Gesù Cristo è il capo invisibile della Chiesa: Christus caput ecclesiæ, e che noi siamo le membra del suo corpo: Membra sumus corporis eius, aggiunge che chi si separa dalla Chiesa per seguire l’errore per suo proprio giudizio è condannato. È perciò che S. Cipriano facendo eco alla voce di Cristo e degli Apostoli asserisce che come non sfuggirono al diluvio quelli che non ripararono nell’arca di Noè, così non sfuggiranno all’eterna perdizione coloro che sono fuori della Chiesa; (De unit. Eccl, VI) che S. Agostino dice chiaro che non può pervenire alla vita chi non ha per capo Gesù Cristo e che nessuno può avere per capo Gesù Cristo se non si trova nel suo corpo, ch’è la Chiesa; (De. unit. Eccl, XIX) che S. Gregorio Magno dichiara che la Santa Chiesa crede e proclama che nessuno può essere salvo fuori del suo grembo, che chi è fuori del suo grembo non può ottenere salute. (Moral. XIV, 2) Egli è certo adunque che la salute eterna è nella Chiesa di Gesù Cristo soltanto e che fuori di essa, non vi può essere. Ma se allora è così come si potrà ancora esaltare cotanto la bontà del Cuore di Gesù, perocché se è vero che durante venti secoli di Cristianesimo la Chiesa di Gesù Cristo ha portato e dilatato mirabilmente le sue tende da una parte all’altra del mondo, non è vero altresì che vi sono stati e vi sono tuttora un numero immenso di uomini, i quali non appartennero e non appartengono a lei? Non vi sono in numero immenso degli eretici, dei protestanti, dei scismatici che si sono staccati da lei e da lei vivono separati? Non vi sono in numero immenso dei pagani, dei feticisti, degli uomini ancor selvaggi che ne sono del tutto lontani? Non vi sono insomma in numero immenso infedeli d’ogni maniera? E dunque tutti costoro per non appartenere alla Chiesa andranno tutti perduti? Certamente si può e si deve ammettere che tra di costoro vi saranno non pochi, i quali avranno potuto e potranno conoscere questa Chiesa, e pur conoscendola avranno ed hanno di loro deliberata volontà rifiutato di entrarvi e di farne parte; costoro ben si comprende che siano colpevoli e meritino di essere dannati; ma gli altri? tutti gli altri, i quali non le appartennero, non vi appartengono per nessuna loro colpa? Dovranno anch’essi inesorabilmente perire? Miei cari, non spaventiamoci e non cadiamo troppo facilmente nell’errore, in cui cadono coloro i quali udendo questa sentenza che fuori della Chiesa non v’è salute, pigliano ben anche argomento per negare la carità di Gesù Cristo, la bontà di Dio. Questa sentenza senza alcun dubbio è esatta, esattissima, né deve essere per nulla modificata. Tuttavia fa d’uopo di ben intendere di qual maniera si sia propriamente fuori della Chiesa. E per ben intender ciò non bisogna ignorare che nella Chiesa non vi è soltanto il corpo, ma vi ha altresì l’anima: il corpo è la società esterna, costituita dall’insieme di tutti i fedeli che sono visibilmente uniti nella professione della fede cristiana cattolica, nella partecipazione dei santi sacramenti che nella Chiesa cattolica si amministrano e nella sommissione alla gerarchia nella stessa Chiesa esistente. L’anima invece è la società invisibile di tutti i giusti che vi sono su tutta la faccia della terra, ai quali Gesù Cristo applicò e va applicando gli effetti della sua redenzione, non solo di quelli a cui li applicò e li applica per i mezzi ordinarli della parola divina e dei Sacramenti, la cui dispensazione affidò alla sua Chiesa, ma eziando di coloro a cui li applicò e li va applicando per mezzi straordinarii, a cui Egli nella sua piena libertà e potenza ricorre. Giacché è verissimo che Dio vuol salvi tutti gli uomini e che tutti vengano al conoscimento della verità: Deus vult omnes homines salvos fieri et ad agnitionem veritatis venire; (I Tim, II, 4) è verissimo che Gesù Cristo ha offerto se stesso per il riscatto di tutti gli uomini: dedit redemptionem semetipsum prò omnibus; (I Tim. II, 6) è verissimo che tutti sono morti per il peccato, ma che Gesù Cristo è morto per tutti: Omnes mortui sunt et prò omnibus mortuus est Christus. (II Cor. v, 14, 15). Epperò è verissimo altresì che Gesù Cristo volendo di volontà vera, e non già platonica soltanto, applicare a tutti gli uomini gli effetti salutari della sua redenzione non lasciò, non lascia e non lascerà mai di fare non solo con i mezzi ordinarli posti nella sua Chiesa, ma eziando con mezzi straordinarii tutto ciò a cui lo induce la sua bontà infinita, perché tutti gli uomini per quanto è da lui realmente si salvino. Tanto più poi perché la perdizione degli uomini importa una pena eterna. Perciocché se tale è la pena a cui andranno soggetti coloro che non si salvano, sarà possibile che Gesù Cristo, Egli Salvatore di tutti gli uomini, Bedemptor omnium, vi condanni qualcuno, anche un solo che non l’abbia interamente meritata? Ah! ciò è impossibile. Bisogna che nell’inferno ogni dannato, assolutamente ogni dannato, debba dire: Se mi trovo qui per tutta un’eternità è mia colpa, interamente mia colpa. Se non fosse così, se il dannato potesse in qualche modo anche per la menoma ragione attribuire a Dio la sua dannazione, l’inferno sarebbe un’ingiustizia e Dio non sarebbe più Dio, vale a dire l’Essere perfettamente giusto e buono. Se adunque Dio, Gesù Cristo Uomo-Dio, condanna taluni fra gli uomini all’eterna dannazione, ciò avviene propriamente, perché Egli non ne può fare a meno, ma vi è indotto assolutamente dalla sua stessa perfezione. Ciò vuol dire altresì che Gesù Cristo prima di condannare taluno all’inferno lo giudica e solo allora che lo trova assolutamente meritevole di condanna, solo allora ne pronuncia contro la sentenza. Ed in vero, se negli stessi tribunali di questo mondo i giudici quando si tratta di condannare taluno alla pena di morte od all’ergastolo in vita vanno così a rilento, affine di non condannare a pena sì grave chi non ne fosse del tutto meritevole, che cosa non farà Gesù Cristo? Ma appunto perciò, perché Gesù Cristo possa giustamente condannare taluno alla pena eterna dell’inferno è assolutamente necessario che Egli possa dire a costui: Io ho fatto di tutto per salvarti, e se invece ora sei. meritevole di dannazione eterna ed io te la infliggo, è proprio perché tu, propriamente tu, interamente tu, l’hai meritata ed Io per non venir meno a me stesso debbo infliggertela. Insomma il concetto della dannazione eterna e della giustizia di Dio esigono che Gesù Cristo, Uomo-Dio, non solo sia giusto, ma sia buono, anzi sia talmente amante dell’uomo da avere con lui esaurito tutti i mezzi per salvarlo. Ed ecco perché taluni tra gli stessi Cristiani Cattolici, pur appartenendo al corpo della Chiesa morendo senza appartenere all’anima sua, se ne vanno eternamente dannati. Che cosa non ha fatto, che cosa non va facendo Gesù Cristo per ciascuno di costoro? Non parliamo di quei Cristiani, ai qualiGesù fa sentire ancora tante volte la sua divina parola, di quei Cristiani che tante volte invita alle sue chiese ed a’ suoi Sacramenti, di quei Cristiani, cui mantiene in fondo al cuore la fede, di quei Cristiani che circonda sempre di un ambiente al tutto religioso e che nondimeno datisi in preda a qualche rea passione si abbandonano del continuo alla colpa. Ma parlando anche solo di quegli uomini che hanno interamente rigettata la fede del loro battesimo e si sono dati ad una vita la più empia e libertina, forsechè Iddio di tratto in tratto non li scuote, non li turba, non li commuove? E che cosa sono quelle lagrime della madre, quei gemiti della sposa, quei dolci lamenti d’una cara figliola, quei, crudi rimorsi, quelle improvvise tristezze, quegli amari disinganni, quelle smanie insoffrìbili, che li assalgono, se non colpi di grazia di quel Gesù che vuole salvarli? E quasi ciò non bastasse, non si fa ancora vicino a loro, come dice S. Caterina da Siena, in quell’estremo momento dell’agonia in cui sospesi tra la vita e la morte non sembrano più appartenere alla terra, per tentare una prova estrema, contentandosi anche di un solo sospiro di pentimento, di amore per guadagnarli a sé? Ah! per certo costoro nell’eterna dannazione non potranno giammai incolpare Gesù Cristo e non riconoscere che usò verso di essi un’estrema misericordia. Ma se è vero perciò che vanno dannati taluni tra gli stessi Cristiani Cattolici, non è men vero che Gesù Cristo per chiamare tutti gli uomini a far parte del numero dei suoi redenti, anche quelli che non sono Cristiani Cattolici, adoperi eziandio dei mezzi straordinari, oltre a quelli ordinarli della parola di Dio e dei SS. Sacramenti che ha posto nella sua Chiesa cattolica: non è men vero che senza appartenere al corpo della Chiesa Cattolica v i sono altresì di coloro, i quali appartengono all’anima sua; non è men vero che anche fuori del corpo della Chiesa vi sono, in numero stragrande, di coloro che si salvano, numero, le cui vere proporzioni sono un mistero che Dio solo conosce, ma del quale tuttavia noi possiamo sollevare alquanto il lembo per ammirare sempre più la bontà infinita del Cuore .di Gesù Cristo, E anzi tutto è bensì vero che vi sono in gran numero non solo tra gli acattolici, ma tra gli stessi cattolici dei bambini morti senza battesimo. Costoro senza dubbio non sono ammessi a vedere mai Iddio a faccia a faccia e a godere la felicità di questa contemplazione. Ma ignorando essi il gran bene che hanno perduto, non soffrono per questa privazione e Iddio lascia loro godere in pace di tutti i beni della natura. È adunque solo in questo senso che questi bambini si dicono dannati, in quanto che restano privi per sempre della visione beatifica, alla quale Iddio ha destinato l’uomo sollevandolo allo stato soprannaturale. Ma i bambini, figli degli stessi eretici e scismatici, i quali sono fuori del corpo della Chiesa, rigenerati nel Battesimo e colti dalla morte prima di avere potuto aderire alla ribellione ed all’errore dei loro padri, essi sono certamente salvi, perché furono colti allora che essi appartenevano realmente all’anima della Chiesa. Oltre a questi bambini quanti e quanti altri adulti tra gli eretici e i scismatici vivono con rettitudine e semplicità alla loro credenza, ritenendo in modo invincibile di trovarsi nella verità e nella via del cielo? Costoro, credendo e facendo tutto ciò che la loro buona fede insegna, santificati per mezzo di quei sacramenti che l’errore ha conservato e per le grazie che Dio si compiace di largir loro, non si salveranno essi ancora? E fra gli stessi infedeli, che non hanno conosciuto, che non conoscono per nulla Gesù Cristo, non vi sono di coloro che obbedendo alla legge di giustizia e di rettitudine impressa nella coscienza umana, facendo il bene e fuggendo il male, camminano per la strada della salute? E poiché per salvarsi è sempre necessario il battesimo, avendo detto Gesù Cristo che nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto non potest introire in regnum Dei, che se alcuno non sarà rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo non potrà entrare nel regno di Dio, forsechè Iddio, dice S. Tommaso, non penserà a mandar loro chi li battezzi, come già mandò un giorno l’apostolo Pietro al centurione Cornelio? E quando pure non mandasse loro questo apostolo, affine di salvarli, non li battezzerebbe per mezzo del battesimo di desiderio, che è pure sufficiente alla salute, o per lo meno non lo farebbe loro desiderare implicitamente nel desiderio di tutto ciò che è necessario alla salute istessa? Certamente noi non sappiamo di qual maniera Gesù Cristo vada effettuando queste misteriose giustificazioni,, ma egli è certo, secondo l’insegnamento della teologia cattolica, che esse esistono, e che forse sono in numero immensamente più grande di quello che noi immaginiamo. Vi sono degli uomini, dice S. Agostino, che giacciono nell’eresia e nella superstizione dei gentili, ma anche là il Signore conosce i suoi; poiché nell’ineffabile prescienza di Dio, molti che sembrano fuori della Chiesa, vi sono entro, e quelli che sembrano dentro, ne sono fuori. Egli è di queste anime le quali appartengono alla Chiesa in modo invisibile ed occulto che si forma il giardino chiuso, la fonte suggellata, la sorgente di acqua viva, il paradiso pieno di frutti, di cui parlano le sacre scritture. Ecco perché l’Apostolo S. Giovanni, nelle sue estasi profetiche, vide salva in cielo una turba immensa, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni popolo, d’ogni lingua, e intese milioni e milioni di voci che cantavano le lodi di Gesù Cristo, Agnello divino stato immolato per la salute del mondo. È adunque verissimo che come tra coloro istessi che appartengono al corpo della Chiesa vi sono pur troppo di quelli che si dannano e interamente per loro colpa, avendo fatto Gesù Cristo per ciascuno di essi quanto era da sé per salvarli, così è verissimo che molti e molti vi sono che, anche fuori del corpo della Chiesa, ma appartenenti all’anima sua si salvano; è verissimo che anche a loro Gesù Cristo nella sua carità infinita per tutti gli uomini apporta i frutti salutari della sua redenzione. [Il Carmagnola, con questo lungo giro di parole, presenta confusamente un aspetto dottrinale che la Chiesa Cattolica ha precisato con chiarezza nel suo Magistero, fino all’esplicita e chiara lettera Enciclica di S. S. Pio XII, la Mistyci corporis, e nella risposta che il Santo Ufficio ha dato all’Arcivescovo di Boston (D. S. n. 3868-72) nel 1949, ove è definito in modo infallibile la differenza tra: – 1) coloro che appartengono al Corpo mistico di Cristo (cioè la Chiesa Cattolica) e perciò sono sulla via della salvezza – tra questi coloro che pur volendolo e desiderandolo, purché battezzati almeno di desiderio, conoscenti e praticanti la dottrina cattolica, non lo possono materialmente – e: 2) tra coloro che non appartenendole, come gli eretici, gli scismatici e gli apostati, per i quali non sia possibile invocare l’ignoranza invincibile, sono perciò avviati all’eterna dannazione – n. d. r.]. – Ma intanto, o miei cari, noi che pubblicamente apparteniamo alla società religiosa esterna e visibile fondata da Gesù Cristo, ringraziamolo d’averci dato la parte migliore; perciocché praticamente i beni che vi sono nel Corpo della Chiesa mercé la predicazione della divina parola, la grazia dei Sacramenti e il governo della gerarchia divinamente istituita, sono così grandi che l’essere stati ammessi, senza alcun nostro merito speciale, a farne parte è un beneficio inestimabile, essendoché per tal guisa noi possiamo più facilmente essere certi di appartenere all’anima che ravviva questo corpo. Ma non accontentiamoci, no, di ringraziare di sì gran favore il Cuore di Gesù Cristo, corrispondiamovi ancora debitamente col menare una vita che ci conceda di essere realmente uniti all’anima della Chiesa, e se alcuno di noi per sventura a cagione del peccato privato della divina grazia conoscesse così di non appartenervi, più si affretti quanto è possibile a riacquistare il gran bene che ha perduto, per poter dire con tutta verità: Io appartengo a Gesù Cristo, io sono una pecorella del suo ovile, un abitatore della sua città, un cittadino del suo regno. E voi intanto, o Cuore Sacratissimo di Gesù, fate che noi siamo sempre della Chiesa amorosissimi figli. Ma deh! o Pastore divino, rivolgete altresì uno sguardo di compassione a quelle tante altre pecorelle che sono lontane ancora dal vostro ovile. Con la vostra voce divina chiamatele efficacemente; coll’abbondanza delle vostre grazie fortemente pungetele e spronatele a voler entrar ancor esse a far parte del vostro gregge; sicché si adempia la vostra parola, e non vi sia più che un solo ovile sotto la guida di un solo pastore.