SALMO 102:“BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … et omnia”
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME DEUXIÈME.
PARIS
LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 102
Ipsi David.
[1] Benedic, anima mea, Domino, et omnia
quæ intra me sunt nomini sancto ejus.
[2] Benedic, anima mea, Domino, et noli oblivisci omnes retributiones ejus;
[3] qui propitiatur omnibus iniquitatibus tuis, qui sanat omnes infirmitates tuas;
[4] qui redimit de interitu vitam tuam, qui coronat te in misericordia et miserationibus;
[5] qui replet in bonis desiderium tuum: renovabitur ut aquilæ juventus tua.
[6] Faciens misericordias Dominus, et judicium omnibus injuriam patientibus.
[7] Notas fecit vias suas Moysi, filiis Israel voluntates suas.
[8] Miserator et misericors Dominus, longanimis, et multum misericors.
[9] Non in perpetuum irascetur, neque in aeternum comminabitur.
[10] Non secundum peccata nostra fecit nobis, neque secundum iniquitates nostras retribuit nobis.
[11] Quoniam secundum altitudinem cœli a terra, corroboravit misericordiam suam super timentes se;
[12] quantum distat ortus ab occidente, longe fecit a nobis iniquitates nostras.
[13] Quomodo miseretur pater filiorum, misertus est Dominus timentibus se.
[14] Quoniam ipse cognovit figmentum nostrum; recordatus est quoniam pulvis sumus.
[15] Homo, sicut fænum dies ejus; tamquam flos agri, sic efflorebit:
[16] quoniam spiritus pertransibit in illo, et non subsistet: et non cognoscet amplius locum suum.
[17] Misericordia autem Domini ab œterno, et usque in aeternum super timentes eum. Et justitia illius in filios filiorum,
[18] his qui servant testamentum ejus, et memores sunt mandatorum ipsius ad faciendum ea.
[19] Dominus in cælo paravit sedem suam, et regnum ipsius omnibus dominabitur.
[20] Benedicite Domino, omnes angeli ejus, potentes virtute, facientes verbum illius, ad audiendam vocem sermonum ejus.
[21] Benedicite Domino, omnes virtutes ejus, ministri ejus, qui facitis voluntatem ejus.
[22] Benedicite Domino, omnia opera ejus, in omni loco dominationis ejus. Benedic, anima mea, Domino.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CII.
Gli ineffabili beneficii di Dio (opera di sua misericordia) con quei che lo temono; beneficii che qui cominciano, e in cielo si compiono. Impotente il profeta a ringraziarne Dio, invita a lodarlo e ringraziarlo gli angioli e le creature tutte.
Dello stesso David.
1.Benedici, o anima mia, il Signore, e tutte le mie interiora (benedicano) il nome santo di lui; e non volere scordarti di alcuno de’ suoi benefizi.
3. Egli che perdona tutte le tue iniquità, che tutte sana le tue infermità.
4. Che riscatta la tua vita da morte ; e di misericordia ti circonda e di grazie.
5. Che sazia co’ beni suoi il tuo desiderio: si rinnovellerà come aquila la tua giovinezza. (1)
6. Il Signore fa misericordia, e fa ragione a tutti que’ che soffrono ingiuria;
7. Fe’ conoscere le sue vie a Mosè, le sue volontadi ai figliuoli d’Israele.
8. Il Signore misericordioso e benigno; paziente e misericordioso grandemente.
9. Non sarà irato per sempre, e non minaccerà eternamente.
10. Non ha fatto a noi secondo i nostri peccati, ne ci ha dato retribuzione secondo le nostre iniquità.
11. Imperocché, quanto è alto il cielo dalla terra, tanto egli ha fatta grande la sua misericordia verso di quei che lo temono.
12.Quanto è lontano l’Oriente dall’Occidente, tanto egli ha rimosso da noi i nostri peccati.
13. Come un padre ha compassione de’ figliuoli, cosi il Signore ha avuto compassione di quei che lo temono, perché egli conosce di che siamo formati.
14. Si è ricordato che noi siam polvere; i giorni dell’uomo son come l’erba; egli sboccerà come il fiore del campo.
15. Imperocché lo spirito sarà in lui di passaggio, ed ei più non sarà; e non discernerà più il luogo dov’era.
16. Ma la misericordia del Signore ab eterno, e fino in eterno sopra coloro che lo temono.
17. E la giustizia di lui sopra i figliuoli de’ figliuoli di quelli che mantengono la sua alleanza.
18. E dei comandamenti di lui si ricordano per adempirli.
19. Il Signore ha preparato in cielo il suo trono, e al regno di lui tutti saranno soggetti.
20. Benedite il Signore voi tutti, o Angeli di lui, possenti in virtù, esecutori di sua parola, obbedienti alla voce de’ suoi comandi.
21. Benedite il Signore, voi schiere di lui tutte quante; ministri di lui, che fate la sua volontà.
22. Voi opere di Dio, quante siete in qualunque luogo del suo impero, benedite il Signore; benedici il Signore, o anima mia.
(1). La giovinezza del popolo è il tempo della sua uscita dall’Egitto; al ritorno della seconda cattività, esso riprenderà forza e vigore come all’uscita dalla prima. – Con giustezza lo stato di natura nel quale l’uomo è privato della grazia soprannaturale, è comparato ai tempi della muta dell’aquila; così come lo stato soprannaturale dell’uomo rigenerato, è paragonato ai tempi in cui l’aquila riprende le sue piume, (Isai. XL, 31); e ci si esprime alla stessa maniera: con coloro che sperano in Jehovah, ringiovaniscono le loro risorse, rinnovano le loro piume come l’aquila (D’Alliom.).
Sommario analitico
Questo salmo, uno dei più belli, è per eccellenza il cantico delle misericordie del Signore. Esso svolge un’unzione deliziosa che ritempra l’anima della sua virtù e la rinnova con la sua gioia. Il Profeta, mettendo in luce le due grandi grazie della giustificazione e della glorificazione dei peccatori, si eccita alla lode, a ringraziare Dio per un sì grande beneficio (La composizione di questo salmo, secondo i moderni esegeti, deve essere ricondotta ai tempi che seguirono il ritorno dall’esilio; essi ne danno come indicazione e come prova i numerosi caldeismi (vv. 3, 4, 5), e le locuzioni che appartengono evidentemente ad uno stile più moderno. Soltanto – essi dicono – questo salmo è stato composto ad imitazione di quelli di Davide, di cui contengono numerosi frammenti – vv. 8, 10. È in tal senso che occorre spiegare l’iscrizione ebraica che l’attribuisce a Davide.
I. – Il salmista invita la sua anima a benedire il Signore, dal quale derivano, come dalla loro sorgente, queste due grazie; occorre far appello a tutte le potenze della propria anima, ed in particolare alla memoria, perché essi non dimentichino mai i benefici di Dio (1, 2)
II. – Egli, per eccitare maggiormente la sua riconoscenza, espone la grandezza dei beni ricevuti:
1° nella giustificazione: – a) il perdono di tutti i propri peccati; – b) la guarigione di tutte le proprie infermità (3); – c) la grazia della perseveranza, che gli impedisce di ripiombare nel peccato e nella morte (4);
2° nella glorificazione, di cui enumera i tre principali effetti: – a) la corona eterna che dà il giusto Giudice, ma che dobbiamo alle grazie che ci attira la sua misericordia; – b) il compimento di tutti i miei desideri; – c) le qualità gloriose che rinnoveranno i nostri corpi (5).
III. – Il Profeta indica le due sorgenti di questi benefici:
1° L’una che viene da Dio, cioè la sua misericordia, – a) che protegge i giusti nell’afflizione (6); – b) li illumina e li guida sulla via della salvezza, come ha guidato Mosè conducendo gli Israeliti nella terra promessa (7); – c) si esercita non una volta soltanto, ma in ogni circostanza, con una grande pazienza ed una grande longanimità (8); – d) appaga la giusta ira eccitata dai nostri peccati (9); e) che anche quando punisce, lo fa con bontà molto maggiore di quanto non meritino i nostri peccati;
2° L’altra che viene da noi, cioè il timore di Dio, e che è la seconda sorgente delle grazie divine: – a) all’inizio della conversione, essa rischiara i peccatori con una luce celeste e mette in fuga le tenebre del peccato (11, 12); – b) proseguendo la conversione, Dio preserva con la sua misericordia paterna da ogni ricaduta i peccatori convertiti che ne temono; misericordia questa, loro necessaria: 1° a causa della natura dei nostri corpi composti di fango (13); 2) perché questo corpo che si corrompe, appesantisce l’anima (14, 15). – c) Alla fine Dio sostiene con la sua misericordia coloro che lo temono, per renderli eternamente felici (16), così come i loro discendenti se restano fedeli osservanti della sua legge (17, 18).
IV – Il Profeta, considerandosi incapace di rendere a Dio delle degne azioni di grazie, invita tutte le creature a supplire ciò che a lui manca:
1° Egli ammira e riverisce il Signore come un re la cui opera è al di sopra di ogni altra opera (19).
2° Invita gli Angeli a lodarlo, a benedirlo, a) a causa della potenza di cui li ha rivestiti (20), b) perché sono suoi ambasciatori e ministri (21);
3° Eccita tutte le creature ad associarsi alle sue lodi (22).
Spiegazioni e Considerazioni
ff. 1, 2. – Quante verità sono racchiuse in questi due primi versetti! Noi dobbiamo benedire e lodare Dio, perché è il nostro Signore e sovrano Padrone, ed a causa della sua santità. È la nostre anima che deve compiere questo dovere, e noi dobbiamo applicarci con tutte le nostre facoltà: l’intelligenza, la volontà, la memoria senza dimenticare mai alcuno dei suoi benefici. – « Dio è spirito, e coloro che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. » (Giov. IV, 23). – Il Profeta non si rivolge a ciò che è dentro il nostro corpo; io non penso che egli inviti le parti interne della nostra carne a fare udire la propria voce per benedire il Signore … i suoni della voce esteriore non si rivolgono che alle orecchie degli uomini. Dio ha delle orecchie ed il nostro cuore la sua voce. L’uomo si rivolge alle potenze interne del suo cuore perché benedicano il Signore, e dice loro: « Tutto ciò che è dentro di me, benedica il suo santo Nome. » Chiedetevi cosa c’è dentro di voi? È la vostra anima. Ciò che ha detto il Profeta: « O anima mia, benedici il Signore », è dunque la stessa cosa di quanto segue: « e che tutto ciò che è dentro di me benedica il suo santo Nome. » Il verbo benedire è sottinteso nel testo. Fate dunque sentire la vostra voce, se è un uomo che vi ascolta; quanto alla parola della vostra anima, essa non può mai mancare di essere ascoltata. Così mentre parole di benedizione escono dalla nostra bocca, noi cantiamo questo versetto del salmo: « Anima mia, benedici il Signore, e ciò che è in me benedica il suo santo Nome. » Noi abbiamo cantato anche per tutto il tempo conveniente e abbiamo taciuto; dopo questo momento l’interno della nostra anima ha dovuto tacere e cessare di lodare il Signore? Che la nostra voce taccia o canti alternativamente secondo i momenti, ma che la parola della nostra anima non sia mai interrotta. Quando vi riunite nella chiesa per cantarvi degli inni, la vostra voce fa sentire le voci di Dio; voi li avete celebrati secondo il vostro potere, e vi siete ritirati; che la vostra anima faccia risuonare le lodi di Dio. Voi vi occupate di qualche affare, che la vostra anima lodi il Signore, voi prendete i vostri pasti, ascoltate ciò che dice l’Apostolo: « sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto a gloria del Signore » (I Cor. X, 31). Io oso dirlo: quando dormite, che la vostra anima benedica il Signore. Non siate risvegliati al pensiero del male; non siate risvegliati da qualche patto di corruzione. La vostra innocenza, anche quando dormite, è la voce della vostra anima. – « La mia anima benedica il Signore, e tutto ciò che è in me, benedica il suo santo Nome » . Chi è colui che può così comandare alle sue facoltà interiori di benedire il Nome del Signore, se non colui che comanda da padrone ai pensieri che escono dall’intimo del suo spirito? Tra questi pensieri, gli uni sono cattivi, gli altri sono buoni. Colui dunque le cui facoltà interiori sono prossime a benedire il santo Nome di Dio, può in tutta confidenza invitare la sua anima a rendere a Dio le sue azioni di grazie. (S. BAS., in Is. proph., cap. XXVI.). – Per benedire sempre il Signore, non dimenticate tutto ciò che vi ha reso. Se voi lo dimenticate, resterete silenzioso davanti a Lui. Ma voi non potete avere davanti agli occhi tutto ciò che il Signore vi ha reso quando vi fossero anche dei peccati. Non abbiate quindi davanti agli occhi il piacere che vi ha procurato il vostro peccato passato, bensì la condanna meritata a causa di questo peccato. La condanna viene da voi, la remissione viene da Dio. « Non dimenticate mai, dice il Profeta, tutto ciò che vi ha reso », non dato, ma “ reso”. Ogni altra cosa vi era dovuta ed il Signore vi ha reso ciò che non vi era dovuto. Ecco perché il Profeta dice: « Cosa renderò al Signore per tutto ciò che mi ha reso ? » (Ps. CXV, 12). Egli non dice « per ciò che mi ha dato , ma « per ciò che mi ha reso ». Voi gli avete reso il male per il bene; egli vi ha reso il bene per il male (S. Agost.).
II. — 3-5.
ff. 3, 4. – « È Lui che guarisce tutti i vostri languori. » Dopo la remissione dei vostri peccati, ecco un corpo portate pieno di infermità; è inevitabile che i desideri della carne che si levano in voi, ed i piaceri illeciti che vi suggeriscono vengono dal vostro stato di languore. Perché in voi si trascina ancora la debolezza della carne; la morte non è ancora assorbita nella vittoria; ciò che c’è in voi di corruttibile non è stato ancora rivestita di incorruttibilità (I Cor. XV, 53, 54). La vostra anima stessa, dopo che il peccato è stato rimesso, è ancora agitata da certe turbe; essa è ancora circondata dai pericoli delle tentazioni; ci sono ancora suggestioni dalle quali essa è attratta come ve ne sono delle altre che sono per essa senza attrazione, e talvolta dà il consenso a qualche suggestione che gli piace e si lascia sorprendere,. È là lo stato di languore, ma « … Dio guarisce tutti i languori. » Quando tutti i languori saranno guariti, siate senza timore. Essi sono grandi, voi direte; ma il Medico è più grande di esse. Per un Medico onnipotente, non ci sono languori incurabili; lasciate voi solo guarire, non respingete la mano del Medico; Egli sa cosa deve fare. Non vi rallegrate solo quando vi parla dolcemente, ma sopportatelo quando opera con il ferro in mano, sopportate il dolore del rimedio pensando alla salute che vi renderà. Vedete, fratelli, quali dolori sopportano gli uomini nelle malattie del corpo, per prolungare la loro vita di qualche giorno e poi morire, ed ancora questi pochi giorni sono incerti? … voi almeno, non soffrite per un incerto risultato: Colui che vi ha promesso la salute non può ingannarsi. Talvolta il medico si sbaglia, promettendo al malato la salute del corpo. Perché si sbaglia? Perché egli non ha creato questo corpo che cura. Ma Dio ha fatto il vostro corpo, Dio ha fatto la vostra anima: Egli sa come creare di nuovo ciò che ha già creato una volta, Egli sa come rifare ciò che ha fatto. Affidatevi solo alle mani di questo Medico celeste, perché Egli odia colui che respinge il suo soccorso (S. Agost.). – Il peccato produce sei funesti effetti nella nostra anima: 1° ci rende nemici di Dio; 2° indebolisce e debilita tutte le forze della nostra anima; 3° rende l’uomo schiavo del demonio e della morte; 4° priva della corona del cielo; 5° lo spoglia di tutte le virtù e di tutti i beni della grazia; 6° per l’effetto deplorevole di abitudini colpevoli ed inveterate, riduce il peccatore ad una vecchiaia prematura. Ora, Dio, ispirando al peccatore i sentimenti di una vera penitenza, fa sparire tutti questi effetti del peccato: 1° lo riconcilia con Lui e lo reintegra nella sua amicizia; 2° guarisce tutte le sue piaghe, e lo riveste di una forza divina; 3° lo riscatta con il suo sangue dalla tirannia del demonio e dalla schiavitù del peccato e della morte; 4° gli rende i suoi diritti alla corona incorruttibile della gloria dei cieli; 5° gli rende tutte le ricchezze spirituali e fa rivivere tutti i meriti che aveva perso, pegno dei beni eterni che gli riserva; 6° lo trasforma in un uomo nuovo tanto in questa vita che nell’altra. – « … è Lui che guarisce ogni languore ». Quanti peccati abbiamo commesso, tanti languori ed infermità attaccano l’anima (S. Gir.). Quali sono questi languori? Sono le cupidigie malvagie, i desideri carnali, l’attaccamento a tutte le vanità del mondo; questi sono i languori che la misericordia di Dio guarisce in voi facendo di questo corpo di morte un corpo di vita, che Egli corona nelle sue bontà e nella sua misericordia. (S. Prosper). – Non soltanto Dio ci rimette i nostri peccati, ma guarisce anche queste malattie dell’anima, questi mortali e perniciosi languori, queste concupiscenze dell’orgoglio, della carne e degli occhi, che sono restate in noi come la radice del peccato, infermità morali che Dio guarisce successivamente su questa terra, ma che non spariranno mai se non nell’altra vita. (S. Girol., S. Prosper.) – Il medico di tutte queste infermità è Gesù, Medico che ci ama: « Io guarirò le loro ferite, perché Io lo amo di vero amore, » (Osea, XIV, 5); Medico pieno di sollecitudine, che è sceso fino a noi, si è reso infermo per assicurare la nostra guarigione; Medico generoso che non risparmia nessun rimedio utile a guarirci; Medico paziente che sopporta i capricci, le imperfezioni, le infermità dei suoi malati (Isai. LIII, 4); Medico potente: tutto ciò che gli fa pietà lo salva; tutto ciò che si lamenta, lo guarisce: « Guaritemi, Signore, ed io sarò guarito per sempre; liberateci ed io sarò salvato » (Gerem. XVII, 14); Medico prudente e, quando necessario, severo; infine Medico universale. Qual peccato, noi pensiamo, non potrà essere rimesso, dacché il Signore è propizio in tutte le nostre iniquità? Quale languore, quale infermità non potrà Egli guarire, dacché il Signore guarisce tutti i nostri languori? Bisogna quindi rimandare a Caino colui che oserà dire: le mia iniquità è troppo grande perché possa essere rimessa; le mie infermità ed i miei languori troppo forti perché possano essere guariti (S. Fulgenzio, Ep. 7).
ff. 5. – Davide passa dai benefici della grazia a quelli della gloria. È Dio che, con Gesù Cristo, ci ha riscattato dalla morte dell’anima, dal peccato; dalla morte del corpo che è la sequela e la punizione del peccato, per trasportarci con Lui nella vita eterna. – Dio ci corona in questa vita con la vittoria che ci dà sul mondo, la carne e il demonio, secondo le parole di San Paolo: « Grazie a Dio che ci fa sempre trionfare in Gesù-Cristo » (II Cor. II, 14). – Egli ci corona ancora rendendo le nostre anime sue figlie, sue spose, eredi del suo regno eterno. « Voi siete – dice San Pietro – una razza scelta, sacerdozio regale. » (1 Piet. II). – L’anima riconciliata può dire con il Profeta Isaia: « Io mi rallegro nel Signore, la mia anima sarà rapita dalla gioia, il mio Dio mi ha preparato degli abiti di salvezza. Mi ha preparato la giustizia come sposa abbellita dalla sua corona, come sposa brillante di pietre. » (Is. LI, 10). – Egli ci corona soprattutto con una corona di gloria in cielo, corona che è nello stesso tempo corona di misericordia e corona di giustizia; corona di giustizia perché è data ai meriti; corona di misericordia perché non c’è alcun merito possibile senza la grazia, e che sia la prima grazia, quella della vocazione, quella della giustificazione, sia l’ultima grazia, quella della perseveranza finale, sono l’opera della sovrana misericordia di Dio. San Paolo la chiama una corona di giustizia che gli sarà resa dal giusto Giudice, (I Tim., IV, 8); ma egli riconosce che è pire una corona di misericordia quando proclama ad alta voce che non è lui che fa il bene, ma la grazia di Dio con lui (I Cor., XV, 10). – Voi lottate, questo è evidente, e sarete coronati perché sarete vincitori; ma vedete chi per primo ha riportato la vittoria, e vi rende vincitore dopo di Lui: « Io ho vinto il mondo, dice il Signore, abbiate fiducia. » (Giov. XVI, 33). Quale ragione c’è di non aver fiducia, dacché Egli ha vinto il mondo? E non lo avremmo vinto noi stessi? Si, noi lo abbiamo vinto: vinto in noi stessi, noi trionfiamo il Lui. Egli vi corona dunque, perché Egli corona i suoi stessi doni e non i vostri meriti. (S. Agost.). – Ora voi sentite parlare di beni, e aspirate ad essi; voi sentite parlare di beni, e poi li sospirate e forse, quando peccate, siete ingannati dalla vostra alacrità nello scegliere tra questi beni; voi vi rendete colpevoli per non ascoltare il buon consiglio di Dio su ciò che dovete disprezzare o scegliere, e forse anche negligere di sapere, se non vi siate ingannati nella scelta del bene. Tutte le volte che peccate, voi cercate una sorta di bene, cercate una sorta di refezione interiore. Le cose che cercate sono forse buone, ma diverranno cattive per voi se abbandonate Colui che le ha fatte buone. O anima, cercate il vostro bene. Il bene di un altro è diverso dal vostro, e tutte le creature hanno un bene che le è proprio, nella conservazione della loro integrità e nella perfezione della loro natura; importa a tutti gli esseri imperfetti acquisire ciò che sia necessario alla propria perfezione. O anima, cercate il vostro bene. Ora, « nessuno è buono se non Dio. » (Matth. XIX, 17). Il Bene sovrano è il vostro bene. Che manca dunque a colui il cui sovrano Bene è il bene? Ci sono beni inferiori che sono buoni per altri esseri …sono tutti là i beni che cercate? Voi che siete legati al Cristo, qual piacere trovate ad essere compagno degli animali? Levate la vostra speranza fino a Colui che è il Bene dei beni (S. Agost.). – La comparazione del rinnovamento dell’uomo giustificato, e a maggior ragione glorificato, con il rinnovamento della giovinezza dell’aquila, è fondata sul fatto che l’aquila, tra tutti gli uccelli, ha gli occhi più penetranti, che costruisce il suo nido sui luoghi più elevati, che nel suo volo tiene sempre una direzione retta, che ha grande cura dei suoi piccoli, e che è l’immagine imperfetta dei giusti che, con gli occhi della fede, penetrano fino in cielo, vi stabiliscono fin da ora la loro dimora, hanno sempre un nuovo vigore, si levano sulle ali, come l’aquila, nel più alto dei cieli volano e non cadono mai nella debolezza. Come si rinnovano queste aquile? Con il rinnovo delle loro piumaggio, dice san Girolamo, affilando le loro unghie smusse, limando contro la pietra la lunghezza troppo grande del loro becco che impedisce di mangiare – dice S. Agostino – fissando i loro occhi sul sole per dare loro nuova forza. È a questa santa novità di vita alla quale ci invita fin da ora il grande Apostolo in più passi delle sue epistole: « Rinnovatevi all’interno dell’anima vostra. » (Ephes. IV, 23). « Benché in noi l’uomo esteriore si distrugga, nondimeno l’interiore si rinnova di giorno in giorni » (I Cor., IV, 16). « Spogliatevi dell’uomo vecchio e delle sue opere, e rivestitevi di questo uomo nuovo che per la conoscenza della verità, si rinnova secondo l’immagine di Colui che lo ha creato. » (Coloss., III, 9, 4). – « Se dunque alcuno è di Cristo, è una creatura nuova; il passato non è più, tutto è divenuto nuova creatura. » (II Cor., V, 47). – È quel rinnovamento di vigore e di forza che predice il profeta Isaia: « … Colui che dà il vigore alle braccia indebolite, che riempie di forza i malati, ». L’adolescenza si consuma nei lavori, la giovinezza ha i suoi languori; ma coloro che sperano nel Signore avranno sempre un nuovo vigore; essi si leveranno sulle ali, come l’aquila; essi corrono e non cadranno mai affaticati (Isai. XL, 29-31). – Nell’annunciarci che la nostra giovinezza si rinnoverà come quella dell’aquila, il Salmista ha profetizzato la grazia del Battesimo. L’aquila ringiovanisce in questo senso che, spogliandosi delle sue vecchie piume, si prepara delle penne nuove come di un rivestimento di gioventù, e sembra in effetti allora una giovane aquila, perché le sue ali, ancora inabili e senza esperienza, devono nuovamente, poco a poco, esercitarsi a volare. Allo stesso modo i nostri neofiti, quando si presentano al Battesimo, si spogliano della vetustà del peccato, e si rivestono di una santità nuova; essi sembrano rivivere ricevendo la grazia dell’immortalità. Come l’aquila ridiventa aquilotto, i neofiti ridiventano bambini … tuttavia notiamo che il Salmista non dice: la vostra giovinezza si rinnoverà come quelle delle aquile, ma come quella dell’aquila, perché non si tratta che di una sola aquila, quella la cui giovinezza si rinnova in noi, Gesù-Cristo Nostro Signore che, in effetti si è ringiovanito come l’aquila, nel giorno glorioso della sua Resurrezione (S. Ambr., Serm. in alb.). – In Gesù-Cristo solo noi possiamo ritrovare una giovinezza immortale, e Lui solo anche può donare alla nostra giovinezza l’appoggio e la forza di cui ha bisogno. Similmente all’aquila che, secondo la comparazione della Scrittura (Deut. XXXII, 11), spinge i suoi piccoli a volare, vola sopra di essi, stende su di essi le sue ali e li trasporta sulle sue spalle; Gesù vola sopra di noi, ricordandoci i suoi insegnamenti e le virtù sublimi; stende su di noi le sue ali quando fa sentire al nostro cuore il dolce calore del suo amore, e ci trasporta sulle sue spalle divine quando appoggiandoci su di esse, andremo a riposare nel soggiorno della gloria.
III. — 6-18.
ff. 6, 7. – Fonte di tutti questi beni, sono la misericordia di Dio e non i nostri meriti. Non succede sempre che Dio in questa vita faccia giustizia a coloro che sono oppressi e punisca coloro che li opprimono; Egli tempera solo la violenza che si scatena contro di essi, attendendo che si faccia piena giustizia nell’ultimo giorno. – Questo è un effetto della misericordia di Dio e della protezione sui giusti di questa vita quando gli piace: Mosè ed i figli di Israele liberati dalle mani del faraone. (Dug.)
ff. 8-12. – « I Signore è pieno di tenerezza, etc. » Questi diversi nomi dati qui a Dio e con tanta verità, devono ispirare a coloro che hanno il cuore retto, una viva fiducia in Dio; la parola ebraica tradotta con “miserator”, che significa amare teneramente con il fondo delle viscere, esprime che Dio ha per noi un sentimento di tenerezza tutta paterna; la parola tradotta con “misericors” esprime la liberalità di Dio e l’abbondanza dei beni dei quali ci ricolma; la parola tradotta con “longanimis” esprime questa pazienza di Dio nel sopportarci, pazienza più grande di quella dei padri e delle madri nel sopportare i difetti, le mancanze e l’ingratitudine dei loro figli; la parola “multum misericors” significa questa suprema misericordia che ci chiama ad essere uguali agli Angeli e divenire figli di Dio, vedendolo come essi lo vedono, con la visione intuitiva (Bellarm.). – « Il Signore è pieno di longanimità, di estrema misericordia. » (Ps. CII, 8). Dove trovare tanta longanimità? Dove trovare tale abbondante misericordia? L’uomo pecca e non finisce di vivere; i suoi peccati si accumulano e la sua vita si prolunga. Tutti i giorni il Nome di Dio è bestemmiato, e Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. (Matth., V, 45). Da ogni canto ci richiama ad una vita migliore; da ogni parte ci richiama alla penitenza: Egli ci richiama con i benefici della creazione, ci richiama lasciandoci in vita, ci richiama con colui che legge le Scritture, con il predicatore che le spiega, ci richiama con i nostri pensieri interiori, ci richiama con i suoi “reprimenda” ed i suoi castighi, ci richiama con la dolcezza delle sue consolazioni, « Egli è pieno di longanimità e di misericordia. », ma badate bene di non abusare della longanimità e della misericordia divina, di ammassare su di voi, come dice l’Apostolo, un tesoro di collera per il giorno dell’ira (S. Agost.). – La collera e le minacce di Dio non sono eterne nei riguardi di coloro che Egli ama e che l’onorano essi stessi con un sentimento di filiale tenerezza; è lo sviluppo del primo attributo di Dio, di cui il Profeta ha parlato nel versetto precedente. – Sono quegli stessi termini con i quali Dio diceva al suo popolo per bocca del profeta Isaia: « Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. » – Nei tre seguenti versetti, egli sviluppa il secondo Nome dato a Dio, il Nome di misericordioso. Invece di darci ciò che meritano i nostri peccati – e cosa merita il peccato se non la morte? (Rom. VIII) – invece del castigo Egli ci ha fatto dei doni: quelli della vita della grazia e la promessa dell’eternità. Il salmista ci mostra quanto questa misericordia sia reale nei benefici di cui ci ricolma e nei mali che allontana da noi, comparandola a ciò che c’è di più reale e di più grande, la distanza che separa il cielo e la terra, e quella che separa l’Occidente dall’Oriente; misericordia tanto più elevata al di sopra dei nostri pensieri quanto più il cielo è elevato al di sopra della terra; ma questa misericordia non è che per coloro che lo temono. (Bellarm.). – 1° Il Salmista ci fa vedere qui la grandezza della misericordia divina: « Quanto i cieli sono elevati sopra la terra, etc. ». La misericordia di Dio è come i suoi pensieri: « I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore. » – « Quanto i cieli sono elevati sopra la terra, tanto le mie vie ed i miei pensieri sono sopra i vostri pensieri. » (Isai. LV, 8, 9.). L’influenza della misericordia di Dio su di noi è qui comparata alla benigna influenza dei cieli sulla terra: come il cielo copre la terra e diffonde sull’uomo, nel tempo favorevole, i benefici di cui ha bisogno, tanto irrorando la terra con piogge fecondanti, sia elargendo una stagione dolce e benigna, sia temperando e purificando l’aria con dei venti favorevoli, così la misericordia del Signore sa proporzionare i suoi benefici ai bisogni della nostra fragilità. (Cassiod. In hunc Psalm.). – 2° La misericordia di Dio è forte, costante e stabile: « Egli ha fortificato, affermato la sua misericordia su coloro che lo temono. » – 3° La misericordia di Dio è nello stesso tempo pura e purificante: « Egli ha allontanato da noi le nostre iniquità. » « Chi è simile a Voi, o Dio che odiate l’iniquità, e che dimenticate i peccati del resto della vostra eredità? » (Michea, VII, 18). – 4° La misericordia di Dio è equanime, costante e stabile e si stabilisce su coloro che temono Dio. – Dio ci governa con amore; se punisce, questo avviene dopo tradimenti ripetuti, ed allora anche la sua giustizia mutua i tratti della sua misericordia, al punto che possiamo appena distinguere il castigo dall’amore. Egli perdona con una facilità senza eguali, fino a compromettere, per così dire la sua dignità reale con l’uso liberale con cui fa la sua prerogativa di grazia; il suo perdono non raggiunge i rigori dell’inchiesta o l’onta della convinzione, Egli accorda senza dirlo, senza farne mostra, senza avvertircene, senza riservarsi il merito dell’indulgenza, senza anche, come nel Battesimo e per i peccati dimenticati, che noi abbiamo coscienza della nostra colpevolezza; spesso Egli perdona prima che l’offesa sia completa; noi pecchiamo a metà, sicuri che saremo perdonati; … non ci tratta Egli secondo quanto meritano i nostri peccati, non ci ha reso secondo le nostre iniquità (FABER, Le Créât, et la créât., 168.)
ff. 13. – Dio è nostro padre, e noi siamo i suoi figli prediletti; figli pigri e prodighi, indegni di essere ancora chiamati suoi figli, e tuttavia suoi eredi, sempre oggetti della tenerezza paterna più prodiga. Quale madre ha mai vegliato sulla culla il suo primogenito con la sollecitudine che Egli ha per noi? Qual padre ha mai condiviso le pene dei suoi figli come ha fatto Dio, ed ha con loro abbondato dei suoi tesori senza imporre il minimo carico alla loro riconoscenza? Qual amore paterno resta un vero amore, punendo raramente con una mano tanto leggera ed una così forte ripugnanza? L’amore divino può forse giustificarsi con l’averci viziato con la sua indulgenza? Mai l’affezione di un padre ha forzato i suoi figli a piangere le proprie colpe lasciando loro vedere il danno che ne provocavano e raddoppiando le prove della sua tenerezza con la pazienza con la quale Dio ha cercato di toccare i nostri cuori induriti e a ricondurci umiliati, più di un amante, ai suoi piedi. Anche il rigore dei suoi castighi ci diventano cari, tanto li accompagna di favori e di nuove invenzioni del suo amore. O qual padre è Padre come Dio! (FABER, Le Créât, el la créât., 171). – Egli fa il duro quanto vuole, Egli è padre; ma Egli ci ha castigati, ci ha afflitto, ci ha annientati, Egli è padre … Figlio, se piangete, piangete con sottomissione a vostro padre; non lo fate con collera, non lo fate con il gonfiarvi di orgoglio. Questa sofferenza che vi fa piangere è un rimedio, non una pena; è una correzione e non una condanna (S. Agost.). – L’estraneo si limita ad una compassione tutta esteriore, tutta di parole, riguardo a colui che soffre; il nostro prossimo talvolta aggiungerà a questa compassione verbale quella che viene dal cuore; un amico non si contenterà di questa doppia compassione sterile, vi aggiungerà dei soccorsi affettivi; colui che ci è legato da legami di sangue, giungerà pure ad aiutarci di persona; ma un padre manifesta tutta insieme la tenera compassione con le sue parole, i suoi sentimenti, i suoi atti, considera le sofferenze di suo figlio come proprie, vorrebbe redimerle con il proprio sangue se non potesse liberalo che a questo prezzo. È ciò che letteralmente fa Dio col mistero dell’Incarnazione e della Redenzione (Valentia).
ff. 14-16. – Noi non siamo soltanto limo, fango, perché il limo e il fango hanno ancora una certa consistenza che li fa resistere agli sforzi del vento, ma noi siamo più fragili, più inconsistenti del fango della strada, siamo una polvere lieve che il vento più leggero solleva e disperde. – Dio si è ricordato nella sua misericordia che l’uomo non è che polvere, e l’uomo non vuole ricordarsene. – Dio sa che, essendo stato tratto dal niente, noi tendiamo sempre verso il niente; e l’uomo non sa, o non vuol sapere, questa bassezza della sua origine. – Dio sa e vuole che noi sappiamo che questo corpo, formato di fango e di polvere, asservisce, appesantisce la nostra anima ed impedisce ad essa di elevarsi verso il cielo, e noi non cessiamo di aggiungerne altro, con una vita molle e sensuale, a questo sudditanza, a questa oppressione della nostra anima. – Dio sa infine e vuole che noi sappiamo che appassiamo come i fiori dei campi, non facciamo alcuna attenzione a questa brevità dei nostri giorni, e viviamo come se dovessimo essere eterni su questa terra. – Qual grande insegnamento ha voluto darci la divina Sapienza, stendendo ogni anno sotto i nostri passi queste praterie verdi e fiorite che non hanno mai cessato, fin dal giorno della creazione, di mostrare ai nostri occhi il loro tappeto erboso ed i mille piccoli fiori che lo tempestano? È questa – risponde S. Ambrogio – una immagine della vita umana ed un simbolo suggestivo della condizione della nostra natura. Essa figura la bellezza della carne. Lo splendore di questa bellezza appare sublime agli occhi carnali, e come il tappeto delle nostre praterie, non è tuttavia che una piccola erba; fiorisce presto, e sfiorisce ancora più rapidamente. Essa presenta tutte le apparenze di una vegetazione lussureggiante e piena di vita, ma è senza durata e non porta alcun frutto (S. Ambr. Hex. I). – Si può comparare al fiore, tutto lo splendore umano: ricchezza, potenza, onore, bellezza. Una casa, una famiglia intera si diffonde come il fiore. Quanto dura questo splendore? Molti anni, voi dite. Questo tempo vi sembra lungo, ma è breve davanti a Dio. Lo splendore dell’uomo passa come il fiore del fieno (S. Agost.). – c’è là una perdita assoluta, c’è una morte completa. Ecco l’uomo che si gonfia di orgoglio, ecco l’uomo tutto pieno di vanità, ecco l’uomo che si eleva con tutta la sua fierezza! « Un soffio passerà su di lui e non se ne conoscerà più il luogo ove era ». Vedete morire ogni giorno qualcuno di questi superbi: ecco tutto ciò che sarà di essi, ecco quale sarà la loro fine. (S. Agost.). – « Quando un soffio passerà su essa, essa non sussisterà più ». Si riconosce ancor meglio il luogo che hanno occupato i fiori e le erbe della campagna di quanto si conosca il soggiorno in cui hanno abitato la maggior parte degli uomini. I fiori e le erbe gettano la loro semenza nello stesso luogo, ed al ritorno della primavera, li si vede in qualche modo rinascere. Se vi sono delle montagne, delle praterie, delle campagne che sono abitate nello stesso stato, almeno dopo il diluvio, ci si può assicurare che le stesse erbe e le stesse piante vi si sono perpetuate. Ma chi può dire ciò che siano divenuti gli antichi popoli? Chi può assicurare che i Persiani, i Greci ed i Romani di oggi discendano dalle nazioni che altre volte hanno portato questo nome? Non si sa che si sono fatti rimescolii senza numero? Chi può mostrare i palazzi che hanno abitato i padroni del mondo da tremila anni? Dove sono le spoglie mortali di questi uomini così potenti? Si conservano le tombe di alcuni che sono vissuti nei secoli meno lontani da noi; ma se le si aprono cosa si troverà? Forse della cenere, o qualche resto di ornamenti di metalli più duraturi di essi. Non è dunque il soffio dell’eternità dell’Altissimo che è passato su questi dei della terra, e che li ha resi come un nulla? O uomo – esclamava Sant’Agostino – spiegando questo versetto, pensate dunque a voi, abbassate il vostro orgoglio, meditate sulla vostra polvere. Se sperate qualcosa di meglio, voi non l’otterrete che per la grazia di Colui che, essendo il Verbo di Dio, ha preso la vostra carne, per dare consistenza a questo fiore passeggero del quale vi glorificate sì malamente. (Berthier).
ff. 17, 18. – A questa nativa fragilità dell’uomo, a questa brevità, a questo niente dei suoi giorni, il Salmista oppone l’estensione della misericordia di Dio, che comincia nell’eternità con la predestinazione e si perpetua per tutta l’eternità con la gloria dei cieli. Dio, che non ha bisogno di noi, ci ama tanto per chiamarci dalla polvere, che è la nostra origine, ad una felicità eterna che non è altro che il possesso di Lui stesso. – Ed è molto una riconoscenza eterna per un tale beneficio? (Bellarm.). – Notate che queste parole sono ripetute tre volte in sei versetti: « Su coloro che lo temono. » Voi che non lo temete e che non siete che fieno, sarete gettato con il fieno e bruciati con il fieno. (S. Agost.). – Pura misericordia è che Dio, con la sua bontà, voglia chiamare una giustizia a nostro riguardo con la promessa che ha fatto ai suoi servi, verso i quali è voluto divenire come il debitore. « E chi si ricorda dei suoi precetti per compierli ». Già siete disposto ad elevarvi e forse a recitarmi il Salterio che non conosco a memoria, ed anche a ripetermi tutta la legge a memoria. Sicuramente voi potete avere più memoria di me, più memoria di un tal altro giusto, se il giusto non conosce la legge parola per parola. Ma iniziate prima a osservarne i precetti. Come dovete osservarli? Nella vostra vita e non nella vostra memoria. « Coloro che conservano nella loro memoria i suoi Comandamenti, non per recitarli, ma per praticarli. » (S. Agost.). – Colui che sa ciò che deve fare e non lo fa, è colpevole di peccato. » (Giac. IV, 17). – E si diceva, come paragone: prendere degli alimenti e non digerirli, è una cosa pericolosa. Gli alimenti non digeriti generano cattivi umori, e corrompono il corpo invece di nutrirlo. È così che una grande scienza, gettata nello stomaco dell’anima, che è la memoria, non digerita dal fuoco della carità, non porta e non diffonde succhi vivificanti in tutte le membra dell’anima, cioè in tutte le sue facoltà e nella condotta esteriore della vita. (S. BERN., Serm. XXXVI, in Cant.). – I santi Padri hanno moltiplicato le comparazioni per mostrare che la conoscenza delle Scritture, della legge di Dio, non serve assolutamente a niente, senza la fedeltà nell’osservarne i suoi precetti. È un tesoro inutile, è una sorgente ove non vi abbeverate, è una officina da cui non prendete nessuno dei rimedi che vi sono offerti (S. Chrys.); è una tavola carica di pietanze da cui non prendete nulla (Orig.); è un giardino magnifico dal quale non cogliete alcun fiore (S. Chrys.); è un campo di una fecondità ammirevole dal quale non raccogliete nessun frutto. (Cassiod.).
IV. — 19-22.
ff. 19-22. – Chi ha preparato il suo trono nel cielo se non il Cristo? Colui che è disceso sulla terra e che è risalito in cielo, che è morto e resuscitato, e che ha elevato al cielo l’uomo che Egli ha preso, il Cristo ha preparato il suo trono in cielo. Il cielo è la sede del Giudice; voi che mi ascoltate, notate che Egli ha preparato il suo trono nel cielo. Che ciascuno faccia sulla terra ciò che vorrà, il peccato non resterà impunito, la giustizia non sarà senza frutto, perché il Signore, che è stato esposto agli insulti davanti al tribunale di un uomo che lo giudicava, ha preparato il suo trono nel cielo (S. Agost.). – Angeli del Signore, che siete potenti per forza, e che obbedite alla sua parola; armate del Signore, voi che siete suoi ministri ed eseguite le sue volontà, a voi, a voi sta di benedire il Signore. – In effetti tutti coloro che vivono male, anche quando la loro lingua osserva il silenzio, maledicono il Signore con il disordine della loro vita. A che serve che la vostra lingua canti un inno, se la vostra vita esala il sacrilegio? Vivendo male, voi avete eccitato alla bestemmia un gran numero di lingue. La vostra lingua non canta alcun inno, ma le lingue di coloro che vi vedono, proferiscono bestemmie. Se dunque volete benedire il Signore, praticate la sua parola, praticate la sua volontà (S. Agost.). – Il Profeta invita tutte le potenze del cielo, tutte le opere di Dio, cioè il firmamento e tutti gli immensi globi che racchiude, a benedire il Signore ed annunziare le sue grandezze. Ma queste creature non possono nulla senza di noi; prive di ragione e di sentimento, esse non hanno cuore per amare Dio, né intelligenza per comprenderlo: esse eseguono i suoi ordini senza conoscenza e libertà. L’uomo solo, nell’universo, può ammirare ed esaltare la saggezza che regna in queste magnifiche opere, prestare una voce a tutte queste opere di Dio e, come profetizza Daniele, riunirle in un immenso concerto per benedire l’Onnipotente (Dan. III, 57-90).