L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (8)
R. P. BARTHELEMY FROGET
[Maestro in Teologia Dell’ordine dei
fratelli Predicatori]
L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO
PARIS (VI°)
P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929
Approbation de l’ordre:
fr. MARIE-JOSEPH
BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).
Imprimatur:
Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov. Lugd.
Imprimatur,
Parisiis, die 14 Februarii, 1900.
E. THOMAS, V. G.
TERZA PARTE
L’INABITAZIONE DIVINA PER MEZZO DELLA GRAZIA NON È
LA PROPRIETÀ PERSONALE DELLO SPIRITO-SANTO, MA IL PATRIMONIO COMUNE DI TUTTA LA
SANTA TRINITÀ. — ESSA È APPANNAGGIO DI TUTTI I GIUSTI, TANTO DELL’ANTICO CHE
DEL NUOVO TESTAMENTO.
CAPITOLO II
L‘abitazione
di Dio nelle anime non è esclusivo appannaggio dei Santi della nuova alleanza, ma
la dote comune dei giusti di tutti i tempi.
I.
Ma questa unione delle nostre anime con Dio è propria dei santi della Nuova Alleanza, o comune a tutti i giusti? Anche in questo caso, ci scontriamo con una singolare opinione di Petau, che vedeva nella dimora dello Spirito Santo, mediante la grazia, un privilegio della legge evangelica. Questo, inoltre, era solo una conseguenza e un corollario della sua dottrina sulla causa formale della nostra adozione come figli di Dio. Distinguendo, seguendo Lessius, la santità o la giustificazione per la grazia, dalla filiazione adottiva, al punto che, secondo lui, l’una possa separarsi dall’altra, e che l’uomo possa essere giusto, di una giustizia soprannaturale, senza essere figlio di Dio, Petau sostiene che la vera causa, la ragione formale della nostra adozione divina, non è la grazia santificante, ma la sostanza stessa dello Spirito Santo applicata alla nostra anima. Infatti, come la causa formale della filiazione naturale non è altro che la comunicazione, per generazione, di una natura simile a quella del Generatore; così la vera causa della filiazione soprannaturale e adottiva è la natura divina stessa, identificandosi con la Persona dello Spirito Santo, liberamente comunicata all’uomo. Così, secondo l’eminente gesuita, la partecipazione alla natura divina che ci rende giusti e figli di Dio non consiste, come i teologi cattolici hanno sempre creduto e insegnato, nel dono creato della grazia santificante, ma nella Persona stessa dello Spirito Santo, unendosi direttamente e senza intermediari con le nostre anime e divinizzandole con l’applicazione della propria sostanza (Petav., de Trin., 1. VIII, c. VI, n. 3). Per comprenderlo, la grazia e la carità accompagnano, è vero, nell’economia attuale, il dono increato, come una sorta di legame tra la divinità e noi, come disposizione preliminare e mezzo di unione; ma sono in definitiva solo un magnifico accessorio, in nessun modo necessario alla nostra rigenerazione spirituale, a tal segno che, anche quando nessuna qualità creata fosse riversata nelle nostre anime, la sola presenza dello Spirito Santo sarebbe pienamente sufficiente a divinizzarci e a farci santi e figli di Dio (Ibid.). Al contrario, sotto l’Antica Legge, chiamata dall’Apostolo legge del timore e della schiavitù, producendo solo schiavi, in servitutem generans (Gal. IV, 24), lo Spirito Santo, che è Spirito di adozione e di amore, non era ancora stato dato. Gli uomini erano allora giustificati da un dono creato che li purificava dai loro peccati, li rendeva graditi a Dio e degni della vita eterna; essi possedevano, come noi, la giustizia inerente, la grazia santificante, che li rendeva giusti e santi, ma non conferiva loro né il titolo né la qualità di figli di Dio; perché lo Spirito Santo era in loro solo per la sua operazione ed i suoi effetti, e non per la sua sostanza, essendo questo dono di Dio per eccellenza riservato ad un’economia migliore e più perfetta. « Se qualcuno – dice Petau – vuole prendersi la briga di considerare attentamente i passi degli antichi che abbiamo citato, si convincerà, e non ho dubbi, che, secondo i Padri, dopo la venuta e la morte di Cristo, ci sia stata, secondo il parere dei Padri, una particolare comunicazione dello Spirito Santo, come mai aveva avuto luogo. Secondo loro, questo nuovo modo di comunicare risale al giorno in cui lo Spirito Santo discese sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco. Fino ad allora, questo Spirito divino era nei santi solo attraverso la sua operazione, operazione tenuta [operatione tenus] da quel giorno in poi, in cui venne in Persona, substantialiter (Petav., de Trin., 1. VIII, c. VII, n. 1). – Parlando in un altro brano sulla presenza sostanziale dello Spirito Santo nelle anime, lo stesso autore aggiunge: « Secondo alcuni Padri, è solo dopo il compimento del mistero dell’incarnazione, dopo la discesa del Figlio di Dio sulla terra per la salvezza del mondo, che un beneficio così grande e sorprendente, frutto della venuta, dei meriti e del sangue di Gesù Cristo, sia stato concesso agli uomini. I giusti dell’Antica Alleanza non erano stati onorati con tale favore, perché, secondo la parola di San Giovanni Evangelista (VII 39), lo Spirito Santo non era stato ancora dato loro, perché Gesù non era ancora stato glorificato: Nondum erat Spiritus datus, quia Jesus nondum fuerat glorificatus. » (Petav., de Trin., 1. VIII, c. IV, n. 5).
II.
Negando la presenza sostanziale dello Spirito Santo nei patriarchi, nonché attribuendogli una presenza propria e personale nei santi della nuova Legge, il dottore gesuita ha un bell’appellarsi all’antichità e all’autorità delle Scritture per stabilire il suo sentimento, anzi si pone in evidente opposizione con loro. Infatti, se si eccettua San Cirillo d’Alessandria, il cui vero pensiero può essere oggetto di contestazione, i Santi Padri insegnano di comune accordo che, se c’era, in relazione all’abitazione divina per mezzo della grazia, una differenza tra i Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento, era una semplice differenza di grado, di misura e di manifestazione esterna. – Ascoltiamo san Leone Magno: « Quando, nel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo riempì i discepoli del Signore, non fu la prima comunicazione di una tale benedizione, ma un’effusione più abbondante: Non fuit inchoatio muneris, sed adjectio largitatis, poiché i Patriarchi, i Profeti, i Sacerdoti e tutti i santi di un tempo erano stati vivificati e santificati da questo stesso Spirito. La virtù dei doni divini era sempre stata la stessa, solo la misura della loro collazione variava (S. Léo M., de Pentec, sermo II, c . 3.). Sant’Atanasio – da parte sua – dice: “È uno stesso e medesimo Spirito che, oggi come allora (secondo la vecchia Legge), santifica e consola coloro che lo ricevono; così come è uno e medesimo Verbo che, anche allora, chiamava all’adozione divina coloro che ne fossero degni. Perché sotto l’antica Alleanza c’erano figli che erano debitori della loro adozione al Figlio e non ad altri. » (S. Athan., Orat. 5, contra Arian. N. 25-26). – Non meno esplicita dei Padri, la Scrittura ci parla di personaggi santi appartenenti all’Antico Testamento e tuttavia pieni di Spirito Santo. Così si dice di San Giovanni Battista che sarebbe stato grande davanti a Dio e pieno di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre: Erit magnas magnas coram Domino….. e Spiritu sancto replebitur adhuc ex utero matris suæ (Luc. I, 16). Il giorno in cui ricevette la visita di Maria, anche Elisabetta era piena di Spirito Santo: et repleta est Spiritu sancto Elisabeth (Luc. I, 41). Infine, l’evangelista san Luca riferisce anche, del vecchio Simeone, che lo Spirito Santo era in lui: Et Spiritus sanctus erat in eo (Luc. II, 25). E tutto questo accadeva molto prima della Pentecoste. Pertanto, sulla base dell’incrollabile fondamento della rivelazione, il Romano Pontefice dichiara « senza dubbio che lo Spirito Santo ha abitato per grazia nei giusti che hanno preceduto Cristo, come è scritto dei Profeti, di Zaccaria, di Giovanni Battista, di Simeone ed Anna. Certum quidem est, in ipsis etiam hominibus justis qui ante Christum fuerunt, insedisse per gratiam Spiritum sanctum, quemadmodum de prophetis, de Zacharia, de Joanne Baptista, de Simeone et Anna scriptum accepimus. » (Enc. Divinum illud munus). – Che cosa significa allora la parola di San Giovanni quando dice che prima della glorificazione di Gesù Cristo, lo Spirito Santo non era ancora stato dato? Nondum erat Spiritus datus, quia Jésus nondum erat glorificatus (Giov. VII, 39). Significa, nel giudizio di sant’Agostino, di san Girolamo, i sant’Atanasio, che, « dopo la glorificazione di Cristo, ci doveva essere una certa donazione dello Spirito Santo tale che mai aveva ancora avuto luogo fino ad allora. Non che questo Spirito divino non fosse stato dato realmente prima di questa epoca, ma che non era stato dato nello stesso modo. In effetti, se non fosse stato dato, di quale Spirito erano ripieni i Profeti quando parlavano? Perché la Scrittura dice apertamente, e mostra in molti luoghi, che è per mezzo dello Spirito Santo che essi hanno parlato » (S. Aug., de Trin., 1. IV, c. XX, n. 29). San Tommaso spiega nello stesso senso il testo evangelico: « Quando si dice che lo Spirito Santo non era ancora stato dato, queste parole non vanno intese nel senso che nessuno, prima della risurrezione di Cristo, avesse ricevuto lo Spirito santificante, ma nel senso che, da quel momento in poi, il dono di quello Spirito divino era più abbondante e più comune » (S. Th., in Rom., c. 1, lect. 3.); e aggiunge altrove: « … E accompagnato da segni visibili, come avvenne nel giorno di Pentecoste » S. Th., Summa Theol., I, q. XLIII, a. 6, ad 1.). Petau può distinguere un doppio modo secondo il quale questo Spirito divino possa essere presente nelle anime sante; prima con la sua operazione, e con i suoi effetti, κατ’ἐνέργειαν [=katenergheian], ciò che egli concede ai giusti anziani; poi con la sua sostanza, οὐσιωδῶς [=usiodos], quello che, a suo parere, sarebbe il privilegio della nuova Legge: Sant’Agostino non conosce affatto questa distinzione; al contrario, egli insegna, molto esplicitamente, che lo Spirito Santo era stato dato prima dell’Incarnazione, così come lo è stato da allora; tuttavia, secondo la legge della grazia, la missione dello Spirito Santo doveva avere una proprietà che gli mancava sotto l’economia mosaica: esso doveva essere accompagnata da una missione visibile, segno e indicazione di quella che si compiva invisibilmente nel profondo delle anime. In nessun luogo, infatti, come osserva il grande Vescovo di Ippona, leggiamo, a proposito dei personaggi dell’Antico Testamento, che, a seguito della visita dello Spirito Santo, abbiano cominciato a parlare un linguaggio nuovo e sconosciuto ad essi (S. Aug., de Trin., l. IV, c. XX, n. 29); in nessun luogo c’è indizio di una missione visibile, non avendo, le teofanie dell’Antica Legge – a giudizio di San Tommaso – le caratteristiche di una vera missione. (S. Th., Somma Theo., I, q. XLIII, a. 7, ad 6.)
III.
Così, quando, affrontando ex professo la questione delle missioni divine, l’angelico Dottore si chiede se la missione invisibile dello Spirito Santo sia la parte di tutti coloro che sono in stato di grazia, e quindi di tutti i giusti senza eccezione, in qualsiasi momento essi abbiano vissuto: Utrum missio invisibilis fiât ad omnes qui sunt participes gratiæ, la risposta è risolutamente affermativa (S. Th., Summa Theol, I, q. XLIII, a. 6.). Così – egli conclude – i Patriarchi dell’Antico Testamento furono favoriti anch’essi da una missione invisibile di questo Spirito divino. Ergo dicendum quod quod missio invisibilis est facta e patres veteris Testarnenti (Ibid. ad 1). Un facile ragionamento ci dimostrerà la legittimità di questa conclusione. La missione invisibile è ordinata alla santificazione delle creature ragionevoli, e si svolge ad ogni collazione o incremento della grazia santificante, ogni volta, in una parola, che la carità, inseparabile dalla grazia, faccia di qualcuno un amico di Dio, e che, unita al dono della sapienza, gli permetta di raggiungere e possedere il bene sovrano attraverso la conoscenza e l’amore. Ora, gli Giusti erano, come noi, amici di Dio; la Scrittura lo dice formalmente di Abramo: Credidit Abramo Deo, et reputatum est illi ad justitiam, e amicus Dei appellatus est (Jac. III, 23), come noi, erano capaci di unirsi alla Divinità attraverso le operazioni della loro intelligenza e volontà. Non mancava nulla loro perché fossero veramente il tempio e la dimora dello Spirito Santo. Questa conclusione non ci sorprenderà affatto se si considera che i Patriarchi dell’antichità possedevano lo stesso tipo di santità del Cristiano; la grazia che li giustificava, li rendeva come essi santi, figli di Dio ed eredi della vita eterna. Infatti, secondo l’insegnamento del Concilio di Trento, « la giustificazione consiste non solo nella remissione dei peccati, ma anche nella santificazione e nel rinnovamento dell’uomo interiore attraverso la ricezione volontaria della grazia e dei doni, in modo che l’uomo diventi giusto, da ingiusto che era; da nemico, diventi amico ed erede nella speranza della vita eterna”. Essi hanno ricevuto, quindi, al momento della loro giustificazione, il perdono dei loro peccati, la grazia santificante e tutta quel meraviglioso corteggio di virtù e doni soprannaturali che la accompagnano e, con la grazia, lo Spirito Santo. Ma, secondo l’osservazione dei santi Dottori, questo dono reale e invisibile dello Spirito Santo non avrebbe dovuto poi essere accompagnato da una missione visibile, inopportuna in questo momento; perché la missione visibile del Figlio doveva precedere quella dello Spirito Santo (S. Th., Summa TheoL, I, q. XLIII, a. 7, ad 6.). Era infatti opportuno, prima che la terza Persona della Santissima Trinità si manifestasse esteriormente e si facesse chiaramente notare, che la pienezza dei tempi, segnata nei consigli divini dall’incarnazione del Verbo e la sua apparizione tra gli uomini, fosse arrivata. Inoltre, prima di proporre ad un popolo incline all’idolatria, come il popolo ebraico, il dogma della Trinità, era necessario inculcarlo in anticipo e incidere con forza nel suo spirito la verità fondamentale dell’unità di Dio. L’unità di Dio, in contrapposizione al politeismo, è il dogma ricordato ovunque nell’Antico Testamento. « Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio è uno solo. Audi, Israele, Dominus Deus noster, Dominus unus est » (Deut. VI, 4). Solo poche velate allusioni alla Trinità delle Persone; se a volte è in questione il Verbo di Dio e del suo Spirito, vi è fatta menzione in termini così vaghi che è un problema difficile da risolvere, per noi, sapere se i maestri ebrei li conoscessero come Persone distinte. Secondo la nuova Legge, al contrario, dopo che il Verbo fatto carne si è degnato di mostrare se stesso agli uomini e dimorare in mezzo a loro, il mistero della Santissima Trinità è loro rivelato e annunciato apertamente, è una verità che tutti devono conoscere e professare. Alla luce fioca dell’Antico Testamento, proporzionata alla debolezza di un popolo ancora puerile, si è sostituito il pieno meriggio della rivelazione cristiana; il tempo è dunque propizio per una manifestazione esterna e distinta delle Persone divine. Da qui questa giudiziosa osservazione di San Gregorio di Nazianze: « Dopo l’apparizione del Figlio di Dio nella carne, era opportuno che anche lo Spirito Santo si mostrasse in modo sensibile: Decebat enim, postquam Filius corporaliter nobiscum versatus est, etiam illum (Spiritum sanctum) apparere corporaliter. » [S. Greg. Naz., orat. 41(al. 44), n. 11].
IV.
Ciò che emerge da tutto ciò che abbiamo detto finora, quanto si evince dallo studio dei Libri Santi e dei Padri fatto senza spirito di parte e senza alcuna preoccupazione sistematica, ciò in cui i dottori più autorizzati si accordano nell’insegnare è che ogni anima giusta, in qualsiasi età nel mondo si trovasse, a prescindere dal grado di santità nel quale si trovasse, che avesse già raggiunto l’apice della perfezione o fosse ancora agli inizi della carriera della giustizia, che si trattasse dell’anima di un adulto o di un bambino, ogni anima in stato di grazia possedeva in essa l’Ospite divino: Quilibet sanctus Deo unitur per gratiam (S. Th., Summa TheoL, IIL q. n, a. 10, obj. 3). L’Unione, è vero, può essere più o meno perfetta; i suoi gradi possono variare all’infinito, ma la profondità del mistero è la stessa ovunque. Il lettore è ora in grado di apprezzare l’opinione di Petau riservante ai santi della Legge nuova, la qualità dei figli di Dio e dei templi dello Spirito Santo, che negava ai giusti dell’Antico Testamento, stabilendo così una sorta di dualismo nell’opera della santificazione umana. Indubbiamente, qui come in precedenza, quando si trattava della abitazione personale dello Spirito Santo, il dotto gesuita fa appello all’autorità dei Padri; ma non è necessario, per spiegare il loro linguaggio, ricorrere a questa strana teoria, basta ricordare la doppia differenza che essi stabiliscono tra la missione dello Spirito Santo prima e dopo l’Incarnazione. Prima della comparsa sulla terra del Verbo fatto carne, lo Spirito Santo era stato realmente inviato e donato alle anime sante; ma questa missione invisibile non era mai stata accompagnata dalla missione esteriore e visibile così frequente in seguito, specialmente nei primi secoli della Chiesa, quando i fedeli avevano bisogno di essere rafforzati nella fede nel mistero della Santissima Trinità. Inoltre, se lo Spirito Santo era presente negli antichi giusti, non solo con la sua operazione, ma anche con la sua sostanza, non era con questa pienezza, questa abbondanza, questo tipo di profusione, che si formava il carattere distintivo della Legge evangelica. – Ciò che può essere concesso a Petau è che l’inabitazione divina mediante la grazia e la filiazione adottiva, sebbene reale sotto l’economia sinaitica (Rom., IX, 4), non appartenesse tuttavia ai figli di Israele, come ora ai Cristiani, in virtù della loro stessa legge, vi legis, ma per fede nel futuro Messia e per una applicazione anticipata dei suoi meriti futuri. La natura delle due leggi spiega sufficientemente questa differenza. La legge mosaica era essenzialmente una legge figurativa e provvisoria « Hæc omnia in figura contingebant illis. » (1 Cor., X, 11); una legge imperfetta e inefficace in sé, che non conduceva affatto alla perfezione (Hebr., VII, 19.); essa prefigurava, annunciava la grazia futura, ma non la dava; formulava precetti, imponeva divieti, faceva conoscere il peccato (Rom. III, 20), ma non era in grado di cancellarlo (Hebr. X, 4). La santificazione che operava era una santificazione esterna e carnale, emundatio carnis (Ibid. IX, 13), che rendeva l’uomo capace di partecipare al culto divino, senza tuttavia cambiarlo e rinnovarlo interiormente. – È vero che esisteva allora, oltre alla giustizia legale, una vera e propria giustizia interiore che purificava l’uomo dai suoi peccati e lo rendeva gradito agli occhi di Dio; ma questa giustizia soprannaturale non veniva dalla legge stessa, essa veniva accordata non alle opere di quella legge, ma alla fede e ai meriti di Cristo a venire (Gal. II, 16). La vera santità, quella che cancella il peccato e trasforma l’uomo in una creatura divina, doveva essere effetto e proprietà della legge evangelica, chiamata perciò la legge di grazia. Pertanto, San Tommaso non ha difficoltà a dire che i giusti dell’Antico Testamento che possedevano la carità e la grazia dello Spirito Santo, e che, non soddisfatti delle promesse terrene legate alla pratica fedele delle osservanze legali, attendevano principalmente le promesse spirituali ed eterne, appartenenti, sotto questo aspetto, alla nuova Legge (Summa Theol., q. CVII, a 1, ad 2). Tuttavia, pur possedendo una giustizia ed una santità della stessa nostra natura, pur essendo, come noi, figli di Dio adottati per grazia, essi non vivevano nella condizione e nello stato di figli, ma piuttosto come servi (Encycl. Divinum illud munus.): simili in questo, secondo il paragone dell’Apostolo, a quei figli di nobile estrazione che, pur essendo i veri eredi della ricchezza paterna ed i veri padroni di tutto, non differiscono dai servi, e sono sottoposti a dei tutori e a dei curatori fino al tempo stabilito dal padre. Incapaci di entrare in possesso dell’eredità celeste, essi furono soggetti alle mille pratiche di schiavitù della legge, che servì loro da precettore per condurli a Cristo (Gal. III, 24). Ma quando arrivò la pienezza dei tempi, quando venne l’ora segnata dai decreti eterni, Dio mandò suo Figlio per liberarci dal giogo e dalla schiavitù della legge, e per comunicarci in modo perfetto la qualità e la condizione dei figli adottivi (Gal. IV, 4-5). E poiché siamo suoi figli, Egli ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre, (Ibid. V). La pienezza della missione divina doveva quindi essere il privilegio della legge evangelica.
V.
Ciò significa forse che i giusti dell’Antica Alleanza, Abramo, Isacco e Giacobbe, Mosè e Giosuè, Davide e Geremia, e tanti altri la cui fede, zelo, fedeltà, dolcezza e altre virtù sono celebrate in termini così magnifici nella Scrittura, fossero inferiori in santità ai giusti della Nuova Legge, e non possedessero nella stessa misura né la grazia né lo Spirito Santo? – Parlando in generale, sembra che sia stato così, perché i mezzi di santificazione messi a disposizione del genere umano prima dell’incarnazione del Verbo erano incomparabilmente meno potenti dei nostri. Puramente figurativi, i vecchi sacrifici si ripetevano perennemente, perché non avevano virtù proprie capaci di perfezionare coloro in favore dei quali erano offerti, e di purificare la loro coscienza (Hebr. X, 1-2), mentre Gesù Cristo, con un’oblazione unica, ha reso perfetti per sempre coloro che ha santificato (Ibid. 14); i sacramenti della legge mosaica, invece di essere, come quelli della Legge nuova, delle cause efficaci della grazia, non erano egualmente che segni e simboli; essi prefiguravano la grazia che doveva essere prodotta dalla passione di Cristo, ma non la producevano (Conc. Florent., ex decreto pro Armenis). Per questo l’Apostolo li chiama « degli elementi indifesi e vuoti, infirma et egena elementa » (Gal. IV, 9); « impotenti – dice san Tommaso – perché erano vuoti e non contenevano la grazia » (Summa Theol. Ia-Ilæ, q. CIII, a. 2.). Un’altra considerazione dell’angelico Dottore, che sarà poi ripresa dal Concilio di Trento (Trid. sess. VI, cap.VII.), ci aiuta a capire perché, secondo la legge evangelica, il livello di santità è generalmente superiore a quello della Legge antica: colui che è meglio preparato alla grazia la riceve con più abbondanza. Illi qui magis sunt parati ad perceptionem gratiæ, pleniorem gratiam consequuntur (S. Th., in I Sent., dist. XV, q. V, a. 2.). Ora, dall’avvento del Salvatore, e come risultato di questo avvento, l’intera razza umana era meglio disposta e più capace di prima di ricevere doni divini; sia perché il prezzo del nostro riscatto era stato pagato e il diavolo sconfitto, sia perché, grazie alla dottrina di Cristo, le cose divine sono a noi più note (ibid.). Il Santo Dottore aggiunge, in un altro passaggio, che, prima dell’Incarnazione, i meriti e le soddisfazioni del Redentore non esistevano ancora realmente, la grazia era ripartita con meno abbondanza che dopo il compimento di questo mistero (De verit., q. XXIX, a. 4. ad 10.). E poiché la missione invisibile dello Spirito Santo non va senza la prima collazione o l’aumento della grazia, si può quindi affermare che questa missione si è fatta generalmente con maggiore pienezza di prima dopo l’Incarnazione. Et ideo, loquendo communiter, plenior facta est missio post Incarnationem quam ante (S. Th., in I Sent, dist. XV, q. V, a. 2). – Ma se, invece di considerare lo stato generale dell’umanità, riflettiamo sulle particolari condizioni in cui si sono trovati alcuni personaggi antichi, presi singolarmente, nulla ci impedisce di credere che essi abbiano ricevuto la missione dello Spirito Santo con tale pienezza da elevarsi alla perfezione della virtù (Ibid.). E se confrontiamo la grazia personale dei Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento, dobbiamo riconoscere con san Tommaso che, per la fede nel Mediatore, molti dei giusti antichi furono altrettanto bene provvisti, alcuni addirittura meglio dotati di molti Cristiani (Ibid. ad 2). Ma c’è una grazia dietro la quale i patriarchi prima del Messia hanno dovuto sospirare a lungo senza poterla ottenere sotto l’economia mosaica; questa è la missione invisibile dello Spirito Santo che era riservata al tempo della Nuova Alleanza: era la grazia di essere ammessi alla visione di Dio, era la missione piena e consumata che si fa all’ingresso dei giusti nella gloria.
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