L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (7)

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (7)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia Dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°)

P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929

Approbation de l’ordre:

fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).

Imprimatur:

Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.

Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900.

E. THOMAS, V. G.

TERZA PARTE

L’INABITAZIONE DIVINA PER MEZZO DELLA GRAZIA NON È LA PROPRIETÀ PERSONALE DELLO SPIRITO-SANTO, MA IL PATRIMONIO COMUNE DI TUTTA LA SANTA TRINITÀ. — ESSA È APPANNAGGIO DI TUTTI I GIUSTI, TANTO DELL’ANTICO CHE DEL NUOVO TESTAMENTO.

CAPITOLO PRIMO

Benché attribuita ordinariamente allo Spirito Santo, l’inabitazione divina per mezzo della grazia non gli è esclusivamente propria, ma comune alle tre Persone.

Finora abbiamo parlato indistintamente della dimora dello Spirito Santo o della Santissima Trinità nelle anime in stato di grazia, conformandoci così al linguaggio stesso della Scrittura, che attribuisce all’una o all’altra Persona divina il soggiorno che Dio si degna di fare nei giusti. Così, lo stesso Apostolo che aveva scritto ai fedeli di Corinto: « Non sapete di essere il tempio di Dio e l’abitacolo dello Spirito Santo? » (1 Cor. III, 16), insegnò agli Efesini « … che Cristo abita in noi per fede » (Efes., III, 17). E lo stesso Nostro Signore disse ai suoi discepoli: « Se qualcuno mi ama, egli osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e stabiliremo in lui la nostra dimora. » (Giov. XIV, 23). Tuttavia, non si può ignorare che è lo Spirito Santo che viene più spesso designato come l’ospite delle nostre anime. Mentre, solo una volta appena, il testo sacro menziona la presenza in noi del Padre e del Figlio, parla spesso della venuta e della dimora dello Spirito Santo nei nostri cuori. La Scrittura lo rappresenta come il dono di Dio per eccellenza, donum Dei (Act. VIII, 20), il dono principe di tutti i doni, la fonte della vita soprannaturale, l’Autore della nostra santificazione, il pegno della beatitudine celeste (2 Cor. I, 21-22). È Lui che riversa la grazia e la carità nei nostri cuori (Rom. V, 5), che ci rende figli di Dio (Rom. VIII, 15) e che distribuisce i doni divini a suo piacimento (1 Cor. XII, 11). Come maestro interiore, illumina le intelligenze, insegnando loro tutta la verità (Giov. XIV, 13); Egli tocca e ammorbidisce i cuori, inclinandoli dolcemente e fortemente alla fedele osservanza dei comandamenti divini (Ezech. XXXV I, 27). È Lui che ci consola nei nostri dolori, ci consiglia nelle nostre incertezze, ci insegna a pregare, a chiedere ciò che è opportuno per la salvezza, formulando le nostre richieste Egli stesso con inenarrabili gemiti (Rom. VIII, 26); è Colui che ci risveglia dalla nostra sonnolenza, ci spinge al bene (Rom.VIII, 14), ci guida per le nostre vie e infine ci introduce nella vera terra promessa, dove regna la perfetta rettitudine (Ps. CXLII, 10). I Santi Padri non parlano con altro linguaggio. Anche per loro lo Spirito Santo è il grande dono di Dio, l’ostia interiore che, donando se stesso, ci comunica allo stesso modo una partecipazione della natura divina, e ci rende figli di Dio, esseri divini, (S. Basil, Contr. Eunom., 1. V) uomini spirituali e santi. (S. Basil., de Spir. Sanct.,c. IX). A loro piace quindi designarlo come lo Spirito santificatore, principio della vita celeste e divina (S. Basil., Contr. Eunom., l.V). Alcuni addirittura lo chiamano la forma della nostra santità (S. Basil, de Spir. Sanct., c. XXVI), l’anima della nostra anima, il legame che ci unisce al Padre e al Figlio, Colui attraverso il quale queste Persone divine dimorano in noi. Tale insistenza nell’attribuire l’inabitazione per mezzo della grazia e l’opera della nostra santificazione e della figliolanza adottiva alla terza Persona dell’augusta Trinità non sarebbe un indizio, un segno, una prova che lo Spirito Santo abbia rapporti speciali con le nostre anime, un modo di unione che è unico e proprio a Lui e che non condivide con altre Persone? Perché, infine, se risiede in noi come il Padre e il Figlio, perché rappresentarlo incessantemente, di preferenza rispetto alle altre Persone, come ospite delle nostre anime, e attribuirgli costantemente una presenza e un’azione che, in realtà, sarebbe comune a tutta la Trinità? Da qui è nato il sistema dell’inabitazione propria dello Spirito Santo. Secondo alcuni teologi, lo stato di grazia porterebbe all’unione diretta e immediata delle nostre anime con questo Spirito divino e, attraverso di Lui, con il Padre e il Figlio, in virtù dell’inseparabilità delle Persone divine. Questa è la famosa teoria che aveva, se non come autore, ma come principale mecenate e difensore, un uomo di grande erudizione, uno dei più illustri rappresentanti della teologia positiva del XVII secolo, Denis Petau, della Compagnia di Gesù. Ma la stragrande maggioranza dei dottori, qualunque sia la loro scuola di appartenenza, sono sempre stati resistenti e ostili a questo insegnamento; e convinti, a buon diritto, che la “legge di appropriazione” è pienamente sufficiente a spiegare i testi della Scrittura e dei Padri che sembrano fare della speciale presenza di Dio nel giusto la prerogativa dello Spirito Santo, ed hanno costantemente sostenuto che la Trinità tutta intera abiti in noi per mezzo della grazia, e che non c’è una unione più reale e immediata con la terza Persona rispetto al Padre e il Figlio; tuttavia, sebbene comune a tutte e tre le Persone, l’inabitazione divina per grazia è appropriata allo Spirito Santo per il suo carattere personale e per la natura stessa dell’unione tra Dio e l’uomo, che è frutto della santa carità. La questione sembrava quindi risolta, quando nuovi tentativi fatti all’epoca nostra, con l’obiettivo di far risorgere un’opinione che sembrava definitivamente giudicata e condannata, sono venute a rimettere tutto in discussione e a risvegliare una disputa che si poteva credere oramai risolta. Di fronte a questa levata di scudi, ci è sembrato che gli interessi della santa dottrina richiedano che la questione non fosse passata completamente sotto silenzio ma trattata almeno sommariamente; è ciò che stiamo per fare con l’aiuto di Dio.

I.

Il problema da risolvere è questo: quando la Scrittura e i Padri ci parlano dell’inabitazione dello Spirito Santo nei nostri cuori, senza menzionare le altre Persone, dovremmo prendere alla lettera questa formula e credere che lo Spirito Santo si unisca con le nostre anime in un’unione che gli è propria e gli appartiene in una particolare veste? O, al contrario, dovremmo considerare questa unione come comune alle tre Persone dell’adorabile Trinità e semplicemente appropriata ad una di loro? Petau, Ramière, Scheeben, altri ancora tengono per la prima interpretazione; i teologi scolastici, San Tommaso, San Bonaventura, Alberto Magno, Suarez, i teologi di Salamanca, ed attualmente anche gli eminenti cardinali Franzelin e Mazzella, i Rev. Pp.- Kleutgen, Pesch, Tepe, S. J., ecc. ecc. adottano il secondo. Qualunque sia l’opinione che si abbracci sulla maniera con cui lo Spirito Santo è unito all’anima giusta, il dogma cattolico richiede che in esso sia ammessa anche una vera presenza del Padre e del Figlio. Le Persone divine, in effetti, avendo una sola e medesima natura individuale, sono necessariamente inseparabili. « Lo Spirito Santo – dice San Giovanni Crisostomo – non può essere presente da nessuna parte senza la presenza di Cristo, perché dove c’è una Persona divina, la Trinità è presente nella sua interezza (S. Joan. Chrys., in Epist. ad Rom.., VIII, 9).  Sant’Agostino si esprime allo stesso modo: « Chi oserebbe pensare, se non ignorando completamente l’inseparabilità delle Persone divine, che il Padre e il Figlio possano abitare dove lo Spirito Santo non abiti, e che lo Spirito Santo abiti da qualche parte senza il Padre e il Figlio » (S. Aug., 1. de Præsentia Dei, cap. V, n. 16.). – Pertanto, i teologi concordano con san Tommaso che le due Persone divine, in ragione della loro eterna processione, possono essere inviate e date alla creatura ragionevole per santificarla, e non lo sono mai l’una senza l’altra; mai il Figlio viene ad illuminare l’intelligenza senza che lo Spirito Santo venga ad accendere la volontà; le loro missioni invisibili, anche se distinte, considerando gli effetti particolari secondo i quali vengono compiute e il modo di origine delle Persone, sono tuttavia unite da una radice comune, la grazia santificante, che non permette che l’una abbia luogo senza l’altra. (S. Th., Samm. Theol., I, q. XLIII» a. 5, ad 3.) Quanto al Padre, anch’Egli è presente in virtù della circumincessio; e se non è inviato, perché non procede da nessuno, viene tuttavia da se stesso, si dona all’anima giusta e vi abita con il Figlio e lo Spirito Santo, per santificarla di concerto con loro. Pur ammettendo questa presenza vera e sostanziale delle tre Persone divine, che non avrebbe potuto, peraltro, contestarsi senza opporsi manifestamente all’insegnamento unanime dei Padri e dei Dottori, e senza distruggere l’economia del mistero della Trinità, Petau sostiene che lo Spirito Santo abiti in modo speciale nell’anima giusta, che possiede con essa una modalità di unione che gli è personale e che non condivide con il Padre e il Figlio. Secondo lui, la terza Persona risiederebbe in noi da solo, direttamente e immediatamente; le altre due Persone risiederebbero in noi solo indirettamente, simultaneamente, in virtù della comunità di natura che li rende inseparabili.  – E, per spiegare il suo pensiero, dà un esempio di ciò che accade nel mistero dell’incarnazione. “Il Padre e lo Spirito Santo – egli dice – dimorano in Cristo non meno dello stesso Verbo; ma il modo di unione è diverso. Infatti, oltre all’unione che gli è comune con le altre Persone, il Verbo ne possiede una speciale, che gli appartiene a pieno titolo, poiché Egli è come la forma che fa di Cristo un uomo divino, o meglio un Dio, e il Figlio di Dio. È così che abitano le tre Persone, è vero, tutte nel giusto; ma lo Spirito Santo è solo come la forma che lo santifica e lo rende figlio adottivo di Dio comunicando la propria sostanza. « Riprendiamo a leggere – aggiunge – tutte le testimonianze degli antichi Padri che abbiamo descritto sopra, o, meglio ancora, leggiamo i passi della Scrittura che parlano o semplicemente dell’unione di Dio con i giusti, o in particolare della dimora del Figlio in essi, e troverete che la maggior parte di essi attesta che è per mezzo dello Spirito Santo che ciò avviene, come per sua causa successiva e, per così dire, formale. »  (PETAV.. de Trin., l. VIII, c. VI, n. 8.). Lo Spirito Santo è dunque, secondo Petau, unito ai giusti da una propria unione, che, senza essere ipostatica, è tuttavia analoga a quella del Verbo con la natura umana, in Gesù Cristo. Nel Verbo fatto carne, la natura umana è unita direttamente alla Persona del Figlio, e attraverso di Lui alla divinità e alle altre due Persone della intera Trinità. La Persona del Verbo è dunque il punto di congiunzione delle due nature, divina e umana, così come è il legame che unisce l’umanità di Cristo alle Persone del Padre e dello Spirito Santo. Allo stesso modo, Lo Spirito Santo è dunque, secondo Petau, unito ai giusti in una propria unione, che, senza essere ipostatica, è tuttavia analoga a quella del Verbo con la natura umana, e Gesù Cristo. Nel Verbo fatto carne, la natura umana è unita direttamente alla persona del Figlio, e attraverso di lui alla divinità e alle altre due persone della Principale Trinità. La persona del Verbo è dunque il punto di congiunzione delle due nature, divina e umana, così come è il legame che unisce l’umanità di Cristo alle Persone del Padre e dello Spirito Santo. Allo stesso modo, nell’opera della nostra divinizzazione per mezzo della grazia, è la Persona dello Spirito Santo che è il termine diretto ed immediato della nostra unione con Dio, è Ella che ci mette in contatto con il Padre e il Figlio e serve come una sorta di legame tra loro e noi. Il celebre gesuita sostiene che questo sia il sentimento dell’antichità, e chiede anche ai Libri Santi di stabilire e corroborare la sua opinione. Cosa bisogna pensare di queste affermazioni?

II.

Se ci rapportiamo ad un giudice competente, lungi dall’essere l’espressione fedele della verità rivelata, la dottrina dell’inabitazione personale dello Spirito Santo nel giusto è, al contrario, in palese opposizione all’insegnamento tradizionale, e si basa solo su un’errata interpretazione della Scrittura e dei Padri. Questo giudice, la cui imparzialità non può essere sospettata e la cui sentenza non può essere contestata, è l’immenso esercito di dottori che, nonostante la diversità delle loro tendenze e il loro antagonismo scolastico, si sono comunque trovati d’accordo su questo punto. I più eminenti teologi della Compagnia di Gesù, antichi e moderni, si incontrano qui con i fratelli ed i discepoli del Dottore Angelico; e sebbene fosse coinvolto uno dei loro, essi – siamo felici di rendere loro questa testimonianza – non sono stati né gli ultimi né i meno ardenti a combatterla. Ed effettivamente la lotta era davvero necessaria. Infatti, attribuire alla Persona dello Spirito Santo nell’opera della nostra santificazione, il ruolo del Verbo nell’incarnazione, era porsi in contraddizione con i principi teologici più incontestabili, di introdurre una novità, ed affermare, volenti o nolenti, tra lo Spirito Santo e ciascuna delle anime giuste, una sorta di unione ipostatica contraria a tutti i dati della fede. Per convincersi di questo, basti ricordare che in Dio, tutto è comune alle tre Persone, la natura, gli attributi, le operazioni esterne, le relazioni che ne derivano, tutto, tranne le relazioni d’origine opposte che costituiscono e distinguono le Persone e ciò che, dall’esterno, può essere qualificato come funzione ipostatica. (Ex. Conc. Florent. Decretum pro Jacobitis.). Invano, per sostenere la sua opinione, Petau fa appello all’antichità e cerca di stabilire che, se lo Spirito Santo non viene da solo nei nostri cuori, almeno Egli solo è il termine diretto ed immediato dell’unione (Petav., de Trin.,1. VIII. c. VI, n. 6.); L’antichità gli risponde, attraverso l’organo di San Tommaso, che, contrariamente a quanto accade nel mistero dell’Incarnazione, dove l’incontro delle due nature, la divina e l’umana, sebbene realizzato da tutta la Trinità, si realizza nell’unica Persona del Verbo, l’unione stabilita dalla grazia tra Dio e l’uomo è comune alle tre Persone, non solo nel suo principio effettivo, ma anche nel suo termine (S. Th., III, q. III, a. 4, ad 3.); e tutta la Scuola aggiunge, per bocca dei suoi più eminenti Dottori, che nessuna vera unione della Divinità con le creature può appartenere in sé ad una sola Persona divina senza essere di  fatto un’unione ipostatica. Perché di due cose l’una: o l’unione si fa direttamente con l’Essenza comune, e in questo caso appartiene ugualmente alle tre Persone; oppure si fa in ciò che è proprio di una di esse, nella sua ipostasi, ed allora essa è ipostatica. Tuttavia, la dottrina cattolica non conosce, nei fatti, altra unione ipostatica tra Dio e la creatura che quella del Verbo con l’umanità nella Persona di Gesù Cristo. Indubbiamente, lo Spirito Santo avrebbe potuto incarnarsi, anche Egli, avrebbe potuto unirsi personalmente a tutte le anime adornate di grazia, ma allora i giusti non solo sarebbero stati spiritualizzati e divinizzati, sarebbero stati essi stessi Dio, sarebbero stati cioè lo Spirito Santo. Concludiamo dunque con san Tommaso che la venuta o l’inabitatzione di Dio nella nostra anima, invece che essere prerogativa esclusiva, proprietà della terza Persona, è, al contrario, patrimonio comune della Trinità tutta intera. Et ideo adventus vel inhabitatio convenit toti Trinitati (S. Th., Sent., 1. I, dist. XV, q. II, a. 1, ad 4). – Se è così, perché la Scrittura e i Padri attribuiscono quasi costantemente la presenza di Dio in noi allo Spirito Santo? Perché si riferiscono a questo Spirito divino, di preferenza alle altre Persone, come l’ospite delle nostre anime? Questo è in virtù della “legge di appropriazione”.

III.

Che cos’è l’appropriazione? È l’attribuzione fatta ad una Persona divina di una perfezione o di un’operazione comune alle tre Persone. Ne abbiamo un esempio nelle seguenti parole del Simbolo: « Credo in Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra », dove attribuiamo alla prima Persona della Santissima Trinità l’onnipotenza e la creazione, che appartengono tuttavia a tutti e tre. È anche per appropriazione che attribuiamo allo Spirito Santo la concezione di Gesù Cristo nel seno della Beata Vergine Maria dicendo: « Credo in Gesù Cristo, Figlio unico di Dio, nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo. » Perché questo tipo di attribuzione, che si incontra frequentemente nella Scrittura, nei Padri, nei Simboli, nella liturgia? Per la manifestazione della fede: Ad manifestationem fidei risponde San Tommaso. (S. Th., I, q. XXXIX, A. 7). È, infatti, opportuno – aggiunge il Santo Dottore – appropriare alle Persone divine degli attributi essenziali per istruire i fedeli e portarli, per mezzo di queste verità naturalmente accessibili alla ragione, alla conoscenza di ciò che l’Apostolo chiama la profondità di Dio, profunda Dei (1 Cor. II, 10), cioè del mistero della sua vita intima e dei caratteri distintivi delle Persone. Indubbiamente, la Trinità è una verità così lontana dalla nostra portata, che è impossibile raggiungerla e dimostrarla solo con le forze del nostro spirito; e anche dopo che Dio si sia degnato di rivelarla a noi, essa rimane coperta da un velo impenetrabile e avvolta nell’oscurità, finché camminiamo lontani dal Signore.  Tuttavia, utilizzando le verità già acquisite, possiamo proiettare sui dati della fede come un fascio di luce che, illuminandoli di più, ci permetta di ottenere una maggiore comprensione e un’intelligenza molto fruttuosa. Per raggiungere questo risultato, non c’è niente di meglio che ricorrere o alle lontane somiglianze della Santissima Trinità che il Creatore ha impresso nelle sue opere sotto forma di vestigia o immagini, o all’analogia che esiste tra le proprietà particolari di questa o quella Persona e gli attributi essenziali che gli sono propri. (Conc. Vatic, Const. Dei Filius, c. IV.). Così, per far conoscere il Padre, gli attribuiamo la potenza, l’eternità, l’unità (S. Th., I, q. XXXIX, a. 8), perché queste perfezioni, sebbene comuni alle tre Persone, offrono una certa somiglianza con le proprietà personali del Padre. La potenza, infatti, essendo un principio, una fonte di operazione, si addice alla prima Persona della Trinità, che è essa stessa il principio, l’origine, la fonte dell’Essere divino. Essa gli si addice ancora di più sotto un altro aspetto, cioè per farci capire che, a differenza di quanto sta accadendo qui sulla terra, dove i nostri padri della terra perdono le forze man mano che invecchiano, il Padre celeste rimane eternamente onnipotente. L’eternità è anche giustamente appropriata al Padre, perché è come Lui senza principio. Quanto all’unità, che si riferisce ad un’entità assoluta e che non presuppone nulla, essa conviene parimenti a quella delle Persone divine, che non presuppongono nulla a loro volta, perché non procedono da null’altro. La saggezza, la bellezza, l’eguaglianza, sono proprie del Figlio (S. Th., I, q. XXXIX, a. 8): la sapienza, perché, procedendo per intelligenza come termine della conoscenza paterna, Egli stesso è la sapienza generata; la bellezza perché con la sua processione è l’immagine perfetta del Padre e lo splendore della sua sostanza; l’uguaglianza, infine, perché, come Verbo, Egli è consustanziale al Padre, essendo l’espressione adeguata della sua scienza. – Allo Spirito Santo attribuiamo l’amore, la bontà, la gioia (Ibid.): l’amore, perché lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio per mezzo dell’amore, come termine sussistente della loro reciproca dilezione; la bontà, perché questa perfezione, essendo la ragione e l’oggetto dell’amore, offre una sorprendente analogia con il carattere proprio della terza Persona; la gioia, perché, essendo, in virtù della sua stessa processione, frutto dell’amore unico ed infinito che il Padre e il Figlio si scambiano l’un l’altro come Bene  sovrano, Egli è loro gioia e loro felicità. – Quanto appena detto circa gli attributi essenziali vale anche per le opere esterne di Dio – operibus ad extra, come dice la Scuola – che, pur appartenendo allo stesso titolo alle tre Persone, in quanto provenienti da una potenza comune a loro per natura, sono tuttavia attribuite a volte all’una, a volte all’altra di loro, con lo scopo di farla conoscere meglio, grazie alla somiglianza che esiste tra tale operazione e il carattere distintivo di tale Persona. Così noi appropriamo al Padre la creazione e tutto ciò che porta l’impronta della potenza o le vestigia del Principio primo, al Figlio l’illuminazione delle intelligenze e tutto ciò che è primizia della sapienza; allo Spirito Santo le opere della bontà e dell’amore, le ispirazioni, i buoni sentimenti, la vita della grazia, i buoni movimenti spirituali, la vita della grazia, i doni spirituali, la remissione dei peccati, la santificazione delle anime, la filiazione adottiva, l’unabitazione di Dio in noi.  – « È molto a proposito – nota Leone XIII – che la Chiesa è accostumata ad attribuire al Padre le opere divine in cui risplende la potenza, al Figlio quelle in cui risplende la sapienza, allo Spirito Santo quelle in cui domina l’amore. Non che tutte i perfezionamenti e tutte le opere esterne non siano comuni alle tre Persone, perché le opere della Trinità sono indivisibili come l’essenza stessa della Trinità, essendo l’azione delle Persone divine inseparabili come la loro essenza (S. Aug„ de Trin., 1. I, c. IV e V); ma perché, in virtù di un certo confronto, e per così dire di un’affinità che si nota tra le opere e le proprietà delle persone, tale opera è attribuita o, come si dice, appropriata a tale Persona piuttosto che a tal’altra ». (Encicl. Divunum illud munus, Papa Leone XIII).

IV.

Sarebbe quindi sbagliato affermare che una perfezione, una funzione, un’operazione sia specifica dell’una o dell’altra Persona divina, con il pretesto specioso che gli venga costantemente attribuita nelle Lettere sante o negli scritti dei Padri. Spetta ai teologi discernere ciò che sia veramente proprio e personale, e ciò che sia semplicemente appropriato, sulla base degli insegnamenti della fede e dei principi teologici relativi all’unità dell’Essenza divina e alla distinzione delle Persone. Ora, con poche eccezioni, tutti i dottori concordano sul fatto che l’abitazione per mezzo della grazia e l’unione speciale di Dio con i giusti come oggetto della loro conoscenza e del loro amore, non sia una proprietà dello Spirito Santo, ma un’opera comune alle tre Persone e appropriata per giusti motivi ad una di esse (S. Th., qq. disp., De verit, q. XXVII, a. 2, ad 3.) Perché appartenga alla terza Persona, dovrebbe essere, ad esclusione delle altre due, o la causa efficiente della grazia e della carità, o almeno il termine diretto e immediato della conoscenza sperimentale e dell’amore di godimento da cui i Santi sono gratificati, in modo perfetto in cielo, e incoativamente quaggiù. Questo è cosa facile da stabilire.  Poiché la presenza di Dio negli esseri creati si basa, come abbiamo dimostrato in precedenza (cap. I), sulla sua operazione, è concepibile che se lo Spirito Santo esercitasse da qualche parte un’azione indipendente e personale; se, ad esempio, gli atti di carità prodotti dai giusti fossero la sua particolare opera, Esso esisterebbe in essi, come agente, in un modo che gli apparterrebbe in proprio. Lo stesso varrebbe se la grazia e la carità, sebbene prodotte da tutta la Trinità, ci unissero in modo speciale alla Persona dello Spirito Santo, come nostro fine, all’oggetto particolare della nostra conoscenza e del nostro amore. – Ma nessuna di queste ipotesi può essere sostenuta: la prima, perché va direttamente contro un principio universalmente accettato in teologia e più volte citato dai Concili, cioè che le opere esterne sono comuni a tutte e tre le Persone: Opera ad extra sunt tribes personis communia (Ex. Symb. fidei Conc. Tolet., XI.); il secondo, perché lo stato di grazia quaggiù, non più della gloria del cielo, non ha l’effetto di unirci particolarmente con l’una o l’altra delle Persone divine, ma con Dio considerato nell’unità della tua essenza e della Trinità delle sue Persone. Non è lo Spirito Santo come Persona distinta, bensì è l’Essenza divina che è il nostro ultimo fine, l’oggetto il cui vero, ma oscuro possesso, costituisce in questa vita l’anticipazione della nostra felicità, e la cui chiara visione deve un giorno renderci perfettamente beati e realizzati. Sia che si consideri nella sua causa efficiente, o si consideri nei suoi effetti, cioè nei rapporti di intima unione che stabilisce, come perfetta amicizia, tra Dio e l’anima, la grazia o la carità non trova un rapporto speciale tra lo Spirito Santo e noi; e l’unione di cui è il principio, appartiene ugualmente alle tre Persone. Tuttavia, sebbene comune a tutta la Trinità, l’inabitazione divina, essendo opera d’amore, conseguenza e frutto d’amore, è naturalmente attribuita a quella delle Persone che è in Dio l’Amore sussistente, come ben spiega il Catechismo del Concilio di Trento, « Anche se tutte le opere esterne – esso dice – siano comuni alle tre Persone, molte di esse sono attribuite come proprie dello Spirito Santo, per farci comprendere che esse provengono dall’immensa carità di Dio verso di noi. Infatti, poiché lo Spirito Santo procede dalla volontà divina infiammata d’amore, possiamo così riconoscere che gli effetti a Lui appropriati abbiano la loro fonte nell’amore sovrano di Dio verso di noi. » (Ex Catech. Rom., p. I, a. VIII, n. 8.) – Quando, dunque, la Scrittura o i Padri ci rappresentano lo Spirito Santo come l’Autore della grazia e della carità, e ospite delle nostre anime, invece di voler trovare in queste espressioni il segno manifesto di una causalità propria di questo Spirito divino, o l’indicazione di un’unione diretta e immediata con le nostre anime, che sarebbe personale con Lui, dovremmo vedere solo un’appropriazione basata sul rapporto di analogia che esiste tra i doni della grazia e la caratteristica dello Spirito Santo. È, infatti, del tutto naturale attribuire gli effetti dell’amore, come la grazia, la carità, l’inabitazione divina, a quella delle Persone divine che procede nella capacità di amare. Indubbiamente, è da tutta la Trinità che la virtù della carità proviene, come causa efficiente; senza dubbio, l’esemplare primordiale a cui ci assimila è, soprattutto, l’amore essenziale comune alle tre Persone; in altre parole, è Dio come carità assoluta; tuttavia, se consideriamo il carattere proprio di ciascuna delle Persone divine, è indiscutibile che la carità offre una maggiore analogia, una somiglianza più evidente con lo Spirito Santo che con il Padre e il Figlio. Che cos’è, infatti, la carità, se non un legame dolce e forte che ci unisce a Dio, un’inclinazione abituale che ci conduce a Lui, e quindi un’imitazione espressiva di quella tra le Persone divine che è, in virtù della sua stessa processione, l’amore del Padre e del Figlio, il nodo che li allaccia? Questo è ciò che l’Apostolo san Paolo ha voluto chiarire quando ha detto che « la carità è riversata nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che ci è stato dato: Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum sanctum, qui datas est nobis. » (ROM. V, 5). – Tutta questa dottrina è stata mirabilmente riassunta da san Tommaso in poche e sostanziali frasi che meritano di essere menzionate: « È necessario sapere – egli dice – che i beni che ci vengono da Dio si riferiscono a Lui come causa efficiente ed esemplare: come causa efficiente, in quanto effetti della potenza divina; come causa esemplare, in quanto imitano, in una certa misura, le perfezioni che sono in Dio. Poiché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno una sola potenza e una sola essenza, ne consegue che tutto ciò che Dio opera in noi proviene in realtà dalle tre Persone come sua causa efficiente; tuttavia, la consapevolezza che Dio ci dà di Sé anche attraverso il dono della sapienza è una giusta rappresentazione del Figlio; allo stesso modo, l’amore con cui amiamo Dio rappresenta lo Spirito Santo in particolare. Così, anche se la carità che è in noi, sia l’opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si dice tuttavia che essa sia stata riversata in modo particolare nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo. (Rom. V, 5) » (S. Th., Contr. Gent., 1. IV, c. XXI.) – Questo è l’insegnamento di tutti gli scolastici, tale l’interpretazione che hanno costantemente dato ai testi i sostenitori dell’inabitazione propria dello Spirito Santo. Tutti dichiarano formalmente che non ci sia unione reale e immediata con la terza Persona della Santissima Trinità più che con il Padre e il Figlio. E, unendo la propria voce a quella dei rappresentanti più autorevoli della scienza teologica, il Sommo Pontefice Leone XIII canonizzava in un qualche modo, adottandolo, l’insegnamento comune della Scuola. Ecco, in effetti, come ha spiegato il punto controverso nella sua Enciclica Divinum illud munus: « Questa mirabile unione, chiamata col suo vero nome inabitazione, sebbene prodotta veramente da tutta la Trinità presente nell’anima, è tuttavia attribuita allo Spirito Santo, come se gli appartenesse in modo particolare, de Spiritu Sancto tamquam peculiaris prædicatur. Non è quindi specifico o personale, ma solo appropriato: tanquam peculiaris prædicatur è il termine consacrato per semplice appropriazione. Sarebbe quindi temerarietà in questo momento sostenere ulteriormente che l’inabitazione divina, di cui i Libri Santi parlano così spesso, sia proprietà della terza Persona, e non sia patrimonio comune di tutta la Santissima Trinità.

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