29 GENNAIO: SAN FRANCESCO DI SALES
[A. CARMAGNOLA: STELLE FULGIDE – S. E. I. Torino, 1904
Omnibus omnia factus sum, ut omnes facerem salvos.
(1 Cor. IX, 21).
I.
Non vi ha certamente alcuno di sano intelletto, che non vegga la diversità immensa che passa fra l e conquiste fatte dai più celebri condottieri di eserciti e quelle fatte da Gesù Cristo. I più celebri condottieri di eserciti, quali ad esempio un Alessandro Magno, un Annibale, un Scipione, un Cesare, un Napoleone I conquistarono i corpi e la materia, Gesù Cristo conquistò i cuori e lo spirito; i più celebri condottieri di eserciti conquistarono tutto al più alcune nazioni, Gesù Cristo conquistò tutto il genere umano; i più celebri condottieri di eserciti nelle loro conquiste più che altro ingenerarono il terrore e l’odio. Gesù Cristo nelle conquiste sue ingenerò il conforto e l’amore. Ma una differenza anche più marcata tra le conquiste dei più celebri condottieri di eserciti e quelle di Gesù Cristo sta nei mezzi, di cui i primi ed il secondo si valsero. Perciocché mentre i primi per conquistare i popoli ricorsero alle armi, alla forza, alla violenza, il secondo non ricorse ad altro che alla parola dall’amore. Sì, Gesù Cristo venuto al mondo per illuminare coloro che giacevano nelle tenebre e nell’ombra di morte, predicò la sua celeste dottrina e persuase gli uomini ad accettarla e seguirla per mezzo di quella carità, con cui abbracciò nel cuor suo gli uomini d’ogni età e condizione, e piccoli e grandi, e giovani e vecchi, e ricchi e poveri, e dotti e ignoranti, e sani e infermi, e giusti e peccatori, e amici e nemici, per mezzo di quella carità, con cui si fece tutto a tutti e per tutti sacrificò la sua vita. Così, così Gesù Cristo ottenne in retaggio tutte le genti in conformità alla parola rivoltagli dal suo Padre Celeste: Et dabo tibi gentes hæreditatem tuam (Ps. II, 8). Ma i mezzi, di cui Gesù Cristo si valse egli per guadagnare le anime, volle pure che fossero i mezzi, di cui si avessero a valere mai sempre gli apostoli suoi, i suoi Vescovi, i suoi sacerdoti, i suoi missionari, i continuatori insomma dell’opera sua. « Andate, egli disse loro, in sostanza, andate, predicate il Vangelo a tutte le creature, insegnando a tutti quello che io ho insegnato a voi, e per rendere efficace la vostra predicazione siate a mia somiglianza pieni di carità adattandovi ai bisogni di tutti per tutti fare salvi; che anzi usate a tal fine il fior fiore della carità, cioè la dolcezza, la mansuetudine, l’umiltà imparando da me che sono mite ed umile di cuore ». E chi vi ha tra i veri Apostoli di Gesù Cristo, che a continuare quaggiù le sue grandi conquiste non abbia seguito questi suoi santi precetti? – Ma fra le schiere dei valorosi conquistatori di anime e fedeli esecutori delle norme a tal fine prescritte da Gesù Cristo, uno ve ne ha che oggi di preferenza attira a sé i nostri sguardi, e che anzi nell’esecuzione di tali norme sembra levarsi singolarissimo tra gli altri, il Santo cioè, che noi celebriamo come nostro Patrono, S. Francesco di Sales. Ed invero quella Chiesa, che nella infinita varietà delle orazioni da lei composte per interporre presso Dio la mediazione della infinita varietà de’ suoi santi ha saputo così mirabilmente innestare a ciascuna di esse le virtù caratteristiche ed i meriti speciali di ciascuno dei santi suoi, di qual tenore interpone ella la mediazione di Francesco di Sales. O Dio, ella prega, che alla salute delle anime il beato Francesco Confessore tuo e Pontefice hai voluto fatto tutto a tutti, ne concedi propizio, che per fasi della dolcezza della tua carità, indirizzandoci i suoi ammonimenti e suffragandoci i suoi meriti, impegniamo i gaudii eterni » . Così pertanto la Chiesa medesima ci mette in vista il singolare aspetto del nostro Santo e ce lo mostra a somiglianza e ad imitazione di Gesù Cristo grande conquistatore di anime per mezzo di quella dolce e soave carica da Gesù Cristo usata. Di modo che Francesco di Sales, come un altro dei più grandi conquistatori di anime, S. Paolo, può dire a tutta ragione: Omnibus omnia factus sum, ut omnes facerem salvos. Per la qual cosa io penso che non potrei meglio compiere oggi il mio ufficio di recitare le lodi del nostro santo Padrone che seguendo le traccE, che la Chiesa istessa ci ha date nella stupenda orazione composta in suo onore. – Ma tu, o dolcissimo Francesco, mentre io ti andrò lodando, spargi qualche po’ della dolcezza del cuor tuo sulle mie labbra, affinché meno aspramente io possa soddisfare il soavissimo compito.
II
La missione di conquista, che S. Francesco di Sales doveva compiere, non poteva esser meglio indicata che da quel sogno al tutto meraviglioso» che ebbe Carlo Augusto di Sales. quando ancor giovane era suo compagno di studio. Gli sembrò, come egli stesso narrava al Santo, di essere sulla cima del Moncenisio, di ritorno dall’Italia, con la faccia rivolta verso settentrione. Quand’ecco vide uscire dal lago di Ginevra un’idra a più teste ed avvicinarsi a grandi passi verso il monte con orribili fischi. E già aveva sormontate le più erte rupi, allorché tutto ad un tratto fattosele incontro Francesco armato di una spada a due tagli l’arrestò nel suo cammino ed infertele molte e gravissime ferite la forzò a ritornare addietro e a rintanarsi colà, donde era uscita. – Ed in vero Francesco per conquistare le anime a Dio doveva assalire e combattere l’idra infernale dell’eresia di Calvino, che nella diocesi di Ginevra aveva invaso massimamente il Chiablese e gli toccava perciò valerci di una spada a due tagli, cioè della divina parola resa efficace dal sicuro possesso della scienza e dall’uso costante di una dolce carità. Ed ecco Francesco fin dagli anni giovanili attendere seriamente a far acquisto dell’una e dell’altra. Sia pur dunque che nel castello di Sales, dove aperse gli occhi alla luce del giorno, dalla sua virtuosa madre, insieme col leggere e lo scrivere, possa apprendere per tempo le verità di nostra santa Religione, e non superficialmente, come ai più dei figlioletti accade, ma con sodezza e profondità; sia pure che a La Roche e ad Annecy egli impari la lingua latina e le umane lettere per guisa da superare costantemente i suoi condiscepoli e riportare mai sempre nello studio i principali premi: ciò è troppo poco per poter vincere gli intelletti schiavi dell’errore e domare le ritrose volontà. A far tesoro perciò di una scienza più profonda e a radunare nella sua mente le più vaste e più utili cognizioni eccolo per volere del genitore e per disposizione di Dio recarsi a Parigi, ed ivi appresa anzi tutto la retorica applicarsi in seguito all’apprendimento della soda filosofia e della sacra teologia, e addentrarsi quanto più gli era possibile nei loro intimi penetrali, e dappoi immergersi nello studio della lingua ebraica, perché gli torni più facile capire a fondo il senso delle sante scritture. Eccolo, dopo essersi arricchito di gran sapere a Parigi, portarsi a Padova e sotto la disciplina del celebre Pancirolo profittare per tal guisa nella scienza del diritto canonico e civile da conseguirne la laurea col pubblico plauso dei professori e condiscepoli. Eccolo sotto la guida del buon padre della Compagnia di Gesù, Possevino, innamorarsi sempre più delle scienze sacre e sempre più internarsi nello studio della Divina Scrittura e della Sacra Teologia, valendosi perciò della Somma teologica di S. Tommaso, delle opere di S. Bonaventura e delle Controversie del Cardinal Bellarmino; eccolo da questi studi passare alla lettura dei Santi Padri e percorrere poco alla volta S. Giovanni Grisostomo, S. Agostino, S. Girolamo, S. Bernardo e più ancora S. Cipriano, il cui stile armonioso tanto si confà all’indole sua, e impinguarsi di quei forti pensieri e di quei dolci affetti, per cui la sua parola quanto prima riporterà i più splendidi e salutari trionfi in mezzo ai popoli. Tant’è, Francesco, benché ancor giovane secolare già ha intesa la voce di Dio, che lo chiama al sacerdozio e all’apostolato, ed egli sa troppo bene che le labbra del sacerdote devono custodire la scienza, e che dalla bocca di lui i popoli si faranno a ricercare la interpretazione della divina legge: Labia sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore eius(Mal. II, 7); ed è perciò che con tanto ardore eifa acquisto della vera scienza.Dopo di che non c’è da far meraviglia che più tardi, passati già varii anni dopo i suoi studi,prendendo in Roma l’esame di Vescovo alla presenza del Sommo Pontefice, di otto Cardinali, diventi fra Vescovi e generali d’ordini religiosi, ed una gran moltitudine di altri illustri personaggi, e rispondendo a ben trentacinque sottilissime questioni,desse nondimeno sì chiare e sì sode risposte da destare in tutti la più alta ammirazione e da indurre il Pontefice a scendere dal trono, ad avvicinarsi a lui e ad abbracciarlo, dicendogli le parole della Sapienza: Bevi, figliuol mio. dell’acqua della tua cisterna e della viva sorgente de’ tuoi pozzi. Le tue acque scorrano al di fuori e diventino pubbliche fontane, ove tutti possano dissetarsi: Bibe, fili mi, aquam de cisterna tua et fluenta puteì tui; deriventur fontes tui foras, et in plateis aquas tuas divide(Prov. 1, l5, 16).
III.
Ma se la scienza è dote indispensabile a chi vuol essere apostolo e conquistatore di anime, non è né la prima né la sola: più di tutto importa la santità della vita, quella santità che altro non è alla fin fine che un grande e vero amore a Gesù Cristo, congiunto ad una grande e vera carità verso i prossimi. Or farà difetto a Francesco questa dote? Tutt’altro; questa sarà la precipua. Miratelo: ancor tenero angioletto trova il suo maggior piacere nell’essere condotto in chiesa e nello starvi in tale atteggiamento da ispirare a quei che lo guardano gran divozione; non balbettando ancora che a stento alcune parole staccate, è inteso a dire con grande meraviglia di tutti: « Il buon Dio e la mamma mi amano molto! »; fatto più grandicello raduna intorno a sé i fanciulli del vicinato, apprende loro le orazioni e le verità della fede, e conducendoli alla chiesa parrocchiale fa lor compiere il giro del battistero cantando il simbolo apostolico e poi li dirige verso il Santissimo Sacramento per adorarlo; giovane studente ponendo la pietà per base di tutto, si consacra alla cara madre Maria. si dà a frequentare i Sacramenti, a leggere buoni libri, ad ascoltare con assiduità la parola di Dio, a meditarla ben anche da se stesso, a vivere insomma interamente in Dio, con Dio, e per Iddio, prescrivendosi un regolamento di vita tutto proprio di un’anima provetta nella santità. Miratelo in seguito: già divenuto sacerdote e poi Vescovo con la più amabile divozione celebra ogni dì la santa Messa, recita il suo breviario, passa le ore intere a contemplare il nome di Gesù ed a ripetere: Viva l’Amor mio! Viva l’amor mio! Con la massima frequenza visita il Santissimo Sacramento dell’altare e con affetto di serafino il porta in processione e sempre riposa sul cuore amoroso del suo Diletto. Ma dove più rifulge la fiamma del suo amore si è nella condotta che tenne e nei sentimenti che ebbe, quando Iddio, essendo egli ancor giovane studente a Parigi, lo provò nel crogiuolo della tribolazione, permettendo che il nemico dell’uman genere gli desse la più gagliarda delle tentazioni. « È inutile, prese a dirgli il re delle tenebre, è inutile tutto il bene che tu vai facendo; perocché la tua perdizione con irreparabile decreto è già scritta nel libro di Dio ». E questa voce d’inferno risuonando del continuo al suo orecchio e su di essa fermando egli la sua riflessione; in mezzo alla più crudele ambascia che l’andava struggendo : « Eh già, ripeteva a se stesso, come pretendi tu, malvagio quale sei, di essere nel picciolo numero dei predestinati?… Ma dunque, o Signore, io dovrò un giorno andar lontano da voi? Oh amore! Oh carità! oh bellezza, alla quale ho consacrato tutti gli affetti miei, non avrò dunque a godere le vostre delizie? e dovrò rinunziare ad amarvi? e insieme con quella dei dannati dovrò unire la mia voce per bestemmiarvi e maledirvi? Ah! se questo avrà a succedere, che io non abbia un dì a vedervi, deh! date almeno questo sollievo al mio affanno: stabilite che io non abbia a bestemmiarvi e maledirvi mai ». Così gemeva il misero giovane per circa due mesi; ma alla fine, prima ancora che la Vergine lo liberasse poi del tutto da questo travaglio, che conchiuse egli con Dio? Udite e meravigliate, che ben ve n’ha ragione. « Se adunque, o Signore, egli disse, io non potrò più amarvi nell’altra vita, fate almeno ch’io metta a profitto per amarvi tutti gli istanti della mia breve dimora quaggiù, anzi concedetemi di guadagnarvi degli altri amanti più avventurati di me ». Oh preghiera del più grande eroe! Oh amor di Dio il più puro, il più ardente, il piò disinteressato! E non basta tutto questo per far conoscere di qual tempra fosse il cuore di Francesco? Ed ora qual meraviglia che egli fosse puro come un angelo, e che consacrato a Dio per man di Maria il fiore della verginale purezza lo mantenesse mai sempre illibato, anche in mezzo a gravi pericoli, cui scellerati compagni specialmente a Padova lo esposero! Qual meraviglia ch’egli fosse sì mortificato da sopportare con gioia ogni sorta di disagio e da andar ripetendo: Io non mi trovo mai a star così bene, come quando sto un poco male! Beati i crocifissi! Gettiamoci in mezzo alle spine delle difficoltà, lasciamoci passare il cuore dalla lancia delle persecuzioni, mangiamo l’assenzio, beviamo il fiele, poiché così piace al nostro benigno Salvatore? Qual meraviglia che egli fosse tanto e sì schiettamente umile, tanto e sì risolutamente staccato dai beni della terra, tanto e sì appassionatamente conforme al volere di Dio, tanto e si veramente buono?
IV.
Ma è tempo ornai che fornito di sì grandi doti egli si accinga di proposito alla grande impresa della salvezza delle anime, nel sacerdozio dapprima e nell’episcopato dappoi. Rinunzi adunque il padre suo di tentare più oltre ad espugnare il cuor del figlio perché si arrenda a unirsi in maritaggio con nobile e gentile donzella. Il valoroso Carlo Emanuele I di Savoia non faccia altre insistenze perché Francesco si adatti ad essere innalzato alla dignità senatoria; egli ha risoluto di entrar nella casa dei Signore e volendo essere ministro di lui e non altro non può patire d’essere intricato in negozi secolareschi. Eccolo pertanto arrivato alla meta sospirata: eccolo ornai nel campo delle sue conquiste. E qui spingiamoci senz’altro a contemplarlo nelle sue fatiche apostoliche. Sventurato Chiablese! da settant’anni ha rigettata la fede cattolica e geme miserabile schiavo dell’eresia calvinistica. L’augusto Duca Sabaudo, avendolo ridotto di nuovo sotto alla sua signoria, non vede il momento che la vera Religione torni a regnare fra quella gente, ben persuaso che non sarà fedele al suo principe, se continuerà a vivere ribelle alla Chiesa. Anche il Vescovo di Ginevra Monsignor Graniero arde di vivissima brama di tentare tare ogni mezzo per convertire quella regione, ma chi sarà mai quello tra i suoi sacerdoti, cui basti l’animo di recarsi colà, di imprendervi gravose fatiche, di sottostare a mille rischi e pericoli? Chi! Ah! se alla proposta ch’ei rivolge colle lagrime agli occhi ai preti della sua diocesi, a tal fine raccolti presso di sé, non v’ha alcuno che si faccia generosamente innanzi a dirgli: Eccomi, son qua io; vi sarà Francesco. Il quale benedetto dal suo Vescovo con grande effusione di affetto va, e se all’esterno non porta seco che il breviario, la corona e la sacra bibbia, dentro al cuore porta una tale carità, uno zelo così ardente della gloria di Dio e della salvezza delle anime, che non tarderà a far delle grandi conquiste. – Ah! è vero, arrivato al castello delle Allinghe, girando di là lo sguardo sul circostante paese discoprirà rovesciati a terra i sacri templi e i campanili, rovinati i monasteri, spezzate le croci, atterrato ogni segno dell’antica fede, giacche l’eresia a guisa di turbine furente ha ivi distrutto o profanato ogni memoria di nostra Religione. È vero, pur recandosi difilato a Tonone, nido principale degli eretici, cominciando ivi a predicar la parola, di Dio, da principio, si vedrà da tutti fuggito e posto in ludibrio. È vero, ogni sera sarà costretto ad uscire di quella città e compiere quattro miglia di aspro cammino per ricondursi alla fortezza delle Allinghe, e talora dovrà aprirsi la strada tra le nevi, e tal’altra strisciarsi carpone sopra una trave incrostata di ghiaccio per trapassare la Duranza, e qua smarrendo la via e respinto da ogni abituro serenare la notte sotto un cielo gelato, e là recarsi a gran ventura se può scampar dalla morte, a cui è ricerco, riparandosi dentro un forno ancor tiepido. È vero per un anno intero, pur andando e tornando ogni dì a Tonone, non ritrarrà alcun frutto dalla sua missione, e quei sconsigliati continueranno a fuggirlo: ma no, non verrà meno la carità che in fiamma il cuor di Francesco, quella carità che tutto sopporta, che tutto sostiene, che tutto spera, quella carità che induce l’apostolo a gridare: Impendam et superimpendar prò animabus vestris(2 Cor. XII, 15); mi sacrificherò e tornerò a sacrificarmi per le vostre anime, quella carità che lo sprona a farsi tutto a tutti per far tutti salvi: Omnibus omnia factus, ut omnes faceret salvos; e questa carità alfine trionfa. – O Chiesa di Ginevra, solleva la testa e indossa di bel nuovo le vesti della giocondità! E non odi suonar l’ora bramata della conversione de’ tuoi popoli? E non vedi i villaggi, le borgate, le città ritornare gaudenti alla fede di Cristo? E non scorgi rialzarsi i templi, ripiantarsi le croci, risorgere il culto della Religione Cattolica? Sì,i protervi si sono ammolliti. i duri si sono spezzati, i riottosi si son dati per vinti. Essi si son fermati alfine ad udire la parola di Francesco e questa parola li ha conquistati. Fremano pure di rabbia impotente i demoni, ma esultino di nuova gioia gli Angeli del cielo, che son ben settantadue mila gli eretici che Francesco ha convertiti. Oli trionfo! oh vittoria! oh conquista! E qual vanto maggiore potrà levare di sé un santo del cielo? Sì, al certo un gran numero di apostoli porranno render gloria a Dio per avergli guadagnate intere nazioni traendole dal paganesimo al Vangelo, ma rendergli gloria per avere convertiti un numero sì grande di eretici fra tutti i santi della Chiesa di Gesù Cristo finora solo Francesco di Sales il potrà, fattosi tutto anche agli eretici per fare salvi anch’essi: omnibus omnia factus, ut omnes faceret salvos.
V.
Ed ora stupiremo ancora se avendo riportati sì grandi successi nei paesi infetti dell’eresia, altri non inferiori ne riporti nei paesi cattolici, e a Digione, e a Grenoble, e a Lione, e a Parigi, dove con tanta insistenza lo si chiama per intendere la sua parola, e dove non solo da gente di umile condizione, ma da magistrati ed uffiziali, da prelati e religiosi, da re e da regine viene, ascoltato con grandissimo frutto? Stupiremo ancora se egli avendo ricercato con tanto ardore quelli che erano lontani dalla fede di Cristo, con lo stesso ardore siasi studiato di mantenere fermi nella stessa quei che già la possedevano, e se riconoscendo che a tutti era debitore non solo ai sapienti, ma eziandio agli ignoranti, sapientibus et insipientibus debitor sum (Rom. I, 14), andasse talora tra la gente ruvida e incolta, su nei paesi più alpestri, tra i poveri montanari per parlar loro di Dio, per innamorarli della vita cristiana, trascinandosi carpone di balza in balza, segnando il cammino di orme sanguigne, e non restando né per inclemenza di cielo, né per larghezza e rapidità di fiumi, né per profondi burroni, né per rigidezza di gelo? Stupiremo ancora che i poverelli, i mendici, gli infermi, gli storpi formassero la sua vera famiglia e non solo invadessero le sue stanze vescovili, ma fossero da lui stesso cercati nei loro abituri e largamente soccorsi? Stupiremo ancora che, a somiglianza del Divin Redentore, cui stavano tanto a cuore i fanciulli, anch’egli li amasse per tal modo da trattenersi affettuosamente con loro per infondere nelle loro tenere animucce l’amor di Dio e l’orrore al peccato, e discendere mai sempre, ogni domenica che potesse, nella sua cattedrale per far loro il catechismo? Stupiremo che le anime peccatrici fossero per tal guisa la sua passione da ricercarle con la massima sollecitudine, da accoglierle al suo seno pentite con la più viva gioia e affetto? e che però in gran numero traessero esse medesime a lui dai paesi più lontani, spinte dalla fama della sua grande carità? Stupiremo infine che le anime buone di ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione, e giovani donzelle e sagge spose, e dame venerande e illustri cavalieri, e magistrati insigni e valorosi militari, e pii sacerdoti e sante religiose ricorressero tutti a lui per averlo a guida e moderatore della loro coscienza? e per virtù dei suoi ammaestramenti camminassero spediti nella via della perfezione? O Santa Francesca di Chantal come potrei io tacer qui il tuo venerato nome? E non sei tu che sotto la scorta di Francesco di Sales per i vari stati della vita salisti ben presto ai più alti gradi della santità? Non sei tu che ti prestasti nelle mani di lui docile strumento alla fondazione di quel sacro ordine della Visitazione, dove tante anime elette avrebbero trovato un nido di pace e di pietà, e di dove sarebbe uscita un dì l’innamorata e l’apostola del Sacro Cuore di Gesù, la beata Margherita Alacoque? O Francesca, tu sola basteresti a rendere immortale il Santo di Sales. Perché tu sola basti a mostrare di qual guisa ei sapesse coltivare e santificare le anime. Tant’è: Omnibus omnia factus, ut omues faceret salvos.
VI.
Ma chi può contener lo zelo di un cuore tutto infiammato d’amore per Dio e per gli nomini?’Chi può segnargli e misurargli i mezzi per glorificare l’uno e salvare gli altri? Non pago adunque di mettere a profitto la sua parola il nostro caro Francesco dia pur mano alla penna e a somiglianza di quel dottore del Vangelo, che cava fuori dal suo tesoro cose nuove e antiche, qui profert de thesauro suo nova et verterà (S. Matth. X III, 52) in un modo mirabilmente nuovo esponga alle anime di buona volontà l’arte antica appresaci dallo stesso Gesù Cristo di amare Iddio. E così egli fa. Ed ecco venir alla luce quell’amabile Filotea, che raffigurando quell’angelo, che guida il piccolo Tobia nel pericoloso cammino di questa vita, segna le vie più facili per andare a Dio e mostra a tutta prova quanto sia soave il giogo di Lui e leggiero il peso della sua legge. Ed ecco uscir fuori quel Teotimo, in cui il Santo, dipingendo senza avvedersene tutto il suo cuore, a guisa di ardente Serafino infonde il sacro fuoco, di cui egli ardeva come i beati spiriti del cielo, nel cuore dei più bramosi della santità e della perfezione. Ed ecco quelle Lettere, nelle quali ad ogni ordine di persone comunicando la soavità de’ suoi sentimenti, or discioglie i dubbii più forti, or disgombra le nebbie più fitte, or acqueta le più strane inquietudini, ora versa dolce balsamo nelle più gravi ferite, ora conforta e sostiene ogni più misera debolezza. Ecco quello stendardo della Croce e quelle Controversie, che prima scritte in tante copie a mano e sparse tra gli eretici gli servirono come di poderoso strumento ad operare la loro conversione, e nelle quali anche le più ardue ed intricate questioni sono sciolte con una chiarezza incantevole e con la forma più amabile. Ecco quegli scritti d’ogni maniera, e dogmatici, e polemici, e morali, e ascetici, e pastorali, e disciplinari, che lo fecero proclamare dai Cardinali Du Perron e di Berulle il teologo più valente del suo tempo, che dalla Sorbona gli meritarono l’onore di essere messo a pari degli Ambrogi, degli Agostini e dei Gregorii; che costrinsero un Giacomo I, re scismatico d’Inghilterra a riconoscere lo spirito di Dio, da cui era animato l’autore e gli strapparono l’asserzione di non aver letto mai nulla di simile, che infine dalla Chiesa Cattolica, sotto il Pontificato di Pio IX, il fecero incoronare dell’aureola di Dottore. Ecco insomma avverarsi alla lettera le parole del libro dei Proverbi rivoltegli da Clemente VIII: « Va, o figliuolo, e bevi l’acqua della tua cisterna e della viva sorgente del tuo pozzo: siano diffuse al di fuori le tue fonti e nelle piazze dividi le tue acque ». Ecco Francesco anche per mezzo degli scritti farsi tutto a tutti per far tutti salvi, e non solo i suoi contemporanei, ma eziandio centinaia e migliaia di anime, che sarebbero in seguito comparse sulla faccia della terra: Omnibus omnia factvs, ut omnes faceret salvos. Ed oh! Dio volesse che tanti Cristiani dei nostri dì, e massime tanti giovani e tante donzelle, anziché correre avventatamente a pascere la mente e il cuore del pestifero veleno (che trovasi a larga mano cosparso in tanti romanzi osceni, in tante opere empie ed immorali, dessero mano volonterosi ai soavissimi libri di Francesco di Sales, oltreché gusterebbero il dolce, di cui sono ripieni, nutrirebbero altresì la loro anima di cibo vitale e imparerebbero a rendersi buoni davvero e cari a Dio e agli uomini.
VII.
Ma quale fu alla fin fine il gran segreto, con cui Francesco, sia con la parola, sia con gli scritti, riuscì a trascinare dietro di sé i cuori e a guadagnarli alla santità? Non altro massimamente che quella virtù, la quale sovra le altre rese il suo nome tanto caro e glorioso al mondo, quella virtù che costituisce il fior fiore della carità, la virtù della dolcezza. È di questa virtù, che a costo di sforzi meravigliosi egli fece particolare acquisto. A forza di esami di coscienza, continuati ventidue anni, a forza di continuo vegliare su di sé e di combattere le sue inclinazioni, a forza, come egli scherzevolmente diceva, di pigliare la sua iracondia per il collo, di frenarla e cacciarsela sotto i piedi? ottenne tanta signoria di se stesso, che a ragione fu detto come Mosè l’uomo più dolce e mansueto che vivesse ai suoi dì, il santo che meglio ritraesse la mitezza di nostro Signor Gesù Cristo. Ed è questa dolcezza che a piene mani trasfuse nei suoi scritti, è di questa dolcezza che si valse per domare gli animi inferociti degli eretici e conquistarli alla fede, tanto da far dire al dottissimo Cardinale Du Perron che confutarli lo potea ancor esso, ma convertirli era merito soltanto di Francesco; è con questa dolcezza che riuscì persino a trionfare del mal animo, dei suoi nemici. Sembrerebbe possibile? La sua grande bontà è spina negli occhi dei tristi, e v’ha chi insolentemente lo ingiuria, e lo pone in caricatura, e si reca dappoi quasi ogni notte a far strepiti sotto le finestre del suo palazzo e a scagliare sassi nelle invetriate; v’ha chi gli lancia contro invettive e vituperi, e scende a villani fatti contro la sua autorità, e finisce per attentare alla sua vita sparandogli contro un’arma da fuoco. Ma egli che fa? Non solo perdona e prega il Signore pe’ suoi offensori, ma stende loro le braccia per serrarseli al seno e interporre la sua mediazione presso al Principe per scamparli dalla meritata pena, e protesta che quando pure gli avessero cavato un occhio, li avrebbe amorevolmente guardati con l’altro. E non basta, che quando una scellerata cortigiana lo dice autore d’una lettera infame, e per tre anni interi facendo inorridire Annecy fa pur gemere il santo sotto il peso della più orrenda calunnia, tutt’altro che venir meno alla sua dolcezza, non pensando neppur a scolparsi ei va dicendo con tutta calma: « Sa ben il Signore, di qual riputazione io abbisogni; io non ne voglio altra se non quella che mi dà; io dormo sicuro nella sua divina Provvidenza. E indotta al fine la miserabile al cospetto della morte a confessar la calunnia, tutt’altro che menarne festa e tripudio, piange la sua dipartita, ordina per lei pubblici suffragi e si duole di non aver potuto trovarsi al letto delle sue agonie per dirle a viva voce la parola del perdono. Ah! dica pure la Chantal, che ne ha ben ragione: « Io credo sia impossibile esprimere parole la dolcezza squisita, che Dio diffuse nell’anima di Francesco. E Vincenzo de Paoli esclami pure fuori di sé per meraviglia: « O Dio, se Monsignor di Ginevra è così buono, quanto più sarete buono voi! ». Or comprendo, o fratelli, perché il grande e venerato nostro Padre D. Bosco abbia voluto Francesco di Sales a patrono e modello de’ suoi figli. Se noi assecondando le sue mire, avremo nel cuor nostro qualche po’ di quella dolce carità che ebbe nel cuor suo Francesco, e che sì mirabilmente ricopiò in se stesso l’amato nostro Padre, anche noi a lor somiglianza diventeremo grandi conquistatori di anime. Ora comprendo perché la Chiesa prega oggi Iddio che, avendo voluto Francesco fatto tutto a tutti alla salute delle anime, ne conceda propizio che, perfusi della dolcezza della sua carità, indirizzandoci gli ammaestramenti di lui e suffragandoci i suoi meriti, conseguiamo i gaudi eterni. Se i popoli cristiani, oggidì massimamente, smettendo l’ira di parte, da cui son dominati, e la lotta fraterna con cui si travagliano, si appiglieranno in quella vece allo spirito della dolce carità di Francesco di Sales, tranquilli e felici incederanno alla meta gloriosa, cui Dio li ha destinati, e saranno veramente quei popoli avventurati, tra i quali regna Iddio e la sua benedizione. Almeno noi, o dilettissimi, che professiamo amore e divozione speciale all’amabilissimo santo, almeno noi siamo risoluti di camminare sulle sue orme gloriose, di seguire i suoi belli ammaestramenti e di imitare i suoi ammirabili esempi. E se egli il dì degli Innocenti dell’anno 1622 nella città di Lione dopo cinquantacinque anni di vita spesa interamente ad amare Iddio e a salvar delle anime, morì tutto sorridente e sereno, anche noi in quel dì, cui piacerà al Signore, ci addormenteremo in soavissima pace. Ma tu, o gran Santo, dall’alto de’ cieli ascolta l’invito, che il tuo gran devoto e imitatore D. Bosco a te d’accanto ti va oggi facendo: Leva in circuitu, oculos tuos et vide(Is. LX): gira intorno lo sguardo e vedi. Vedi questa grande famiglia di sacerdoti, di chierici e di laici, che da D. Bosco fondata, sparsa ornai sino agli estremi confini della terra, va suscitando anche nei pampas della Patagonia, fra gli scogli delle Malvine e nelle foreste del Brasile dei nuovi figli. Vedi queste schiere senza numero di caste e generose donzelle, che da D. Bosco accolte sotto il manto tutelare della Vergine Ausiliatrice van compiendo pel mondo prodigi di carità e di abnegazione. Vedi questo esercito sterminato di baldi garzoni e di pie giovanette, che dallo spirito di D. Bosco animati spiegano all’aure il vessillo della virtù e della religione di fronte ad un mondo corrotto e miscredente: vedi. Questi tutti per volere di D.Bosco sono figli tuoi; questi tutti, anche dalle più lontane parti del mondo, sono raccolti nel tuo nome: Omnes isti congregati sunt, venermt tibi; filli tui de longe venient et filiæ tuæ de latere surgent. Come figli tuoi riguardali adunque, li benedici e li proteggi, sì che quel nome, che da te si hanno, sia nome benedetto sempre attraverso i secoli, sia nome che sempre esprima al vivo colui, che al par di te si fa’ tutto a tutti per far tutti salvi: omnibus omnia factus, ut omnes faceret salvos.
Per meglio illustrare la figura del Santo protettore di tutti gli scrittori cattolici e di coloro che promuovono il culto cattolico a mezzo stampa o simili – quindi Santo protettore del nostro blog – invitiamo alla lettura della Lettera Enciclica di S. S. PIO XI su S. Francesco di Sales: Rerum omnium pertubationem.