SALMO 87: DOMINE, DEUS SALUTIS MEÆ
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME DEUXIÈME.
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 87
Canticum Psalmi, filiis Core, in finem, pro Maheleth ad rispondedum. Intellectus Eman Ezrahitæ.
[1] Domine, Deus salutis meæ,
in die clamavi et nocte coram te.
[2] Intret in conspectu tuo oratio mea, inclina aurem tuam ad precem meam.
[3] Quia repleta est malis anima mea, et vita mea inferno appropinquavit.
[4] Æstimatus sum cum descendentibus in lacum, factus sum sicut homo sine adjutorio,
[5] inter mortuos liber; sicut vulnerati dormientes in sepulchris, quorum non es memor amplius, et ipsi de manu tua repulsi sunt.
[6] Posuerunt me in lacu inferiori, in tenebrosis, et in umbra mortis.
[7] Super me confirmatus est furor tuus, et omnes fluctus tuos induxisti super me.
[8] Longe fecisti notos meos a me, posuerunt me abominationem sibi. Traditus sum, et non egrediebar;
[9] oculi mei languerunt præ inopia. Clamavi ad te, Domine, tota die; expandi ad te manus meas.
[10] Numquid mortuis facies mirabilia? aut medici suscitabunt, et confitebuntur tibi?
[11] Numquid narrabit aliquis in sepulchro misericordiam tuam, et veritatem tuam in perditione?
[12] Numquid cognoscentur in tenebris mirabilia tua? et justitia tua in terra oblivionis?
[13] Et ego ad te, Domine, clamavi, et mane oratio mea præveniet te.
[14] Ut quid, Domine, repellis orationem meam, avertis faciem tuam a me?
[15] Pauper sum ego, et in laboribus a juventute mea; exaltatus autem, humiliatus sum et conturbatus.
[16] In me transierunt iræ tuæ, et terrores tui conturbaverunt me:
[17] circumdederunt me sicut aqua tota die; circumdederunt me simul.
[18] Elongasti a me amicum et proximum, et notos meos a miseria.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO LXXXVII
Orazione di un uomo afflitto abbandonato dagli amici, e da’ prossimi. Conviene a Cristo.
Cantico, ovvero salmo a figliuoli di Core: per la fine: sul Maeleth: da cantarsi alternativamente. Istruzione dì Heman Ezraita.
1. Signore, Dio di mia salute, di giorno e di notte alzai le mie grida dinanzi a te.
2. Giunga al tuo cospetto la mia orazione, porgi le tue orecchio alla mia preghiera.
3. Imperocché l’anima mia è ripiena di mali, e la mia vita si avvicina al sepolcro.
4. Sono riputato come un di quelli che scendono nella fossa, son divenuto come uomo senza soccorso, io che tra i morti son libero.
5. Come gli uccisi che dormono nei sepolcri, dei quali tu non hai più memoria, ed essi sono esclusi dalla tua cura.
6. Mi posero in una fossa profonda, in luoghi tenebrosi, e nell’ombra di morte.
7. Sopra di me si aggravò il tuo furore, e tutte le tue procelle scaricasti contro di me.
8. Allontanasti da me i miei conoscenti: mi riputaron come oggetto di abominazione.
9. Fui dato in potere altrui, ed io non avea scampo; gli occhi miei si seccarono per l’afflizione.
10. Alzai a te tutto dì le mia grida, o Signore, verso di te io stendo le mani mie.
11. Farai tu miracoli a pro dei morti? E i medici rendono loro la vita? Perch’essi a te dieno lode?
12. Vi sarà egli forse chi nel sepolcro racconti la tua misericordia, e la tua verità nell’inferno?
13. Nelle tenebre si conoscono forse i tuoi prodigi, la tua giustizia nel paese dell’oblio?
13. Saran’elleno conosciute nelle tenebre le tue meraviglie, e la tua giustizia nella terra della dimenticanza?
14. Ma io alzai a te le grida, o Signore , e la mia orazione al mattino ti preverrà.
15. E perché, o Signore, rigetti tu la mia orazione, e rivolgi da me la tua faccia?
16. Povero son io, e in affanni fin dalla mia prima età: cresciuto poi fui umiliato, e depresso.
17. I tuoi sdegni son caduti sopra di me: e i terrori tuoi mi conturbano.
18. Tutto dì com’acqua mi inondano: tutt’insieme mi hanno sommerso.
Sommario analitico
Il Profeta, organo del Salvatore nella sua passione e sulla croce, allontanato da ogni giusto, carico di sofferenze, meno simile ad un vivente che ad un morto, effonde la sua anima davanti a Dio:
I. Descrive i tormenti della sua passione:
1° Eleva la sua anima a Dio, – a) nella speranza, indirizzandosi a Dio, della sua salvezza (1); – b) con la carità, desiderando che la sua preghiera entri alla presenza di Dio; – c) con l’umiltà, pregandolo di inclinare la sua maestà verso la sua miseria (2).
2° Enumera le sue sofferenze: – a) prima della croce: 1) la sua anima è stata ripiena di mali nell’orto degli ulivi; 2) il suo corpo, coperto di piaghe e di ferite da Caifa, Pilato ed Erode, è stato vicino alla morte (3); – b) sulla croce, 1) è stato posto dai sui nemici al rango degli scellerati; 2) è stato abbandonato e lasciato senza soccorso dai suoi amici (4); – c) nella tomba 1) è stato libero per la sua divinità tra i morti; 2) nella sua umanità, è stato come coloro che sono colpiti a morte e dormono nei sepolcri, abbandonati da Dio (5); – d) nel limbo, 1) Egli è disceso in questo lago e in questi luoghi tenebrosi coperti dall’ombra della morte (6); è stato in tutte queste circostanze, in balia della collera di Dio, ed oggetto di orrore per tutti i suoi amici ed i suoi vicini (7, 8).
II. – Chiede a Dio la sua resurrezione
1° Egli espone il modo in cui prega: con gli occhi, la voce, le sue mani tese.
2° Espone i motivi per i quali debba essere esaudito: – a) la gloria di Dio, 1) che non fa ordinariamente miracoli in favore dei morti (9); 2) che non è lodato da coloro che scendono nella tomba (10), 3) i cui divini attributi non sono né conosciuti, né lodati nel luogo della distruzione (11, 12); – b) la sua preghiera: 1) è fervente per cui innalza le sue grida verso Dio, 2) comincia con la sua passione (13), 3) è stata perseverante (14); – c) la sua miseria: 1) la miseria passata: a) è stato sempre privo di beni di fortuna; b) si è esercitato fin dall’infanzia nei lavori corporali; 2) la miseria presente: – a) è stato elevato sulla croce, – b) umiliato davanti ai suoi nemici, – c) turbato nel suo spirito (15), – d) agitato dalla tempesta (16, 17); – e) abbandonato dai suoi amici e dai suoi prossimi (18).
Spiegazioni e Considerazioni
I. – 1-8.
ff. 1, 2. – Il salmista ci offre qui il modello di una fervente preghiera, testimonianza di una piena fiducia in Dio, che egli riconosce come Autore della sua salvezza; preghiera assidua e continua che non deve essere interrotta né di giorno né di notte quanto all’abitudine, al gusto, al desiderio di pregare. La preghiera è come un ambasciatore che noi inviamo a Dio a nome nostro. « Che la mia preghiera penetri fino a Voi. »
ff. 3-8. – Sull’esempio di Gesù-Cristo, i veri Cristiani sulla terra, sono sovraccarichi di mali e la loro vita è sempre vicino alla tomba. Oltre alle traversie che provano la santità, oltre alle tempeste che eccitano le passioni, essi sentono che il loro soggiorno quaggiù è un esilio, e che devono sempre temere di essere esclusi per sempre dalla felice patria. Non c’è bisogno di prove per convincere un Cristiano che la sua vita è una morte continua. « Ah – esclamava Sant’Ambrogio – la nostra vita è tutta coperta di trappole: io ne vedo nel nostro corpo, nei nostri doveri, nella nostra scienza, nelle nostre passioni, in ciò che possediamo, in ciò che noi crediamo. Fuggiamo dunque da qui, aggiungeva, per passare dai malanni ai beni, dalle incertezze alla verità piena, dalla morte alla vita. » (Berthier). – Quando commettiamo un peccato mortale, noi diamo talmente la nostra anima alla morte, ancorché Dio ci possa guarire, non di meno dal canto nostro rendiamo sia il nostro peccato che la nostra dannazione eterna, perché noi spegniamo la vita fino alla radice. Bisogna osservare ciò che fa il peccato, non ciò che fa l’Onnipotente. Chi rinuncia una volta a Dio, vi rinuncia eternamente, perché è la natura del peccato a fare, con quel che può, una separazione eterna. Ecco perché il Profeta-Re, ritenendosi in colpa, si considera come nell’inferno, a causa di questa spaventosa separazione: « Io sono – egli dice – annoverato tra coloro che discendono nella tomba; » e subito dopo: « essi mi hanno messo in un lago profondo, nelle tenebre e nell’ombra della morte. » – E da lì viene che egli, nella sua penitenza, gridi: « Signore, io grido a voi da luoghi profondi; » e rendendo grazie per la sua liberazione continua: « Voi avete – egli dice – ritirato la mia anima dall’inferno inferiore. » Questo santo uomo aveva ben compreso che il peccato è un abisso ed una prigione, una profondità, un carcere, un inferno (Bossuet, Serm. Sur la gloire de Dieu). – Stato funesto è questo, ma troppo comune, nel quale, essendo stato ferito a morte dal peccato, si dorme piacevolmente nei sepolcri delle proprie cattive abitudini. – Ed è allora che Dio non si ricorda più di questo peccatore, che lo rigetta dalla sua mano, che lo colma anche di una prosperità maledetta, e che gli dice queste parole spaventose: « Io ho giurato di non mettermi più in collera contro di voi. » (Duguet). – I morti, considerati come tali, dormono nel sepolcro: « Il Signore non se ne ricorda più, ed essi non sono più sotto la sua mano. Ma non è più così per le anime sante, per le anime amiche di Dio; perché se quelli sono morti allo sguardo degli uomini, « essi sono viventi per Dio, essi sono vivi sotto i suoi occhi e davanti a Lui; » ed ancora: « essi sono viventi per Lui ». Se essi hanno perso il rapporto che avevano con il loro corpo e con gli altri uomini, essi avevano un altro rapporto con Dio, che li ha fatti a sua immagine e per essere lodato. Questo rapporto non si perde; perché se il corpo si dissolve e non è più animato dall’anima, Dio, dal Quale l’anima è stata fatta e che porta la sua impronta, dimora sempre (Bossuet, Méd. D. Sem. XLI° j.). – L’afflizione, fossa profonda è piena di tenebre e di oscurità. – La collera del Signore, nel linguaggio figurato della Scrittura, è un fuoco divoratore e nello stesso tempo, un mare in tempesta. È nell’inferno che questo fuoco e questo mare dispiegano tutta la loro potenza, e non c’è risorsa contro questo giudizio senza misericordia. Non è da meno sulla terra: « Dio – dice Sant’Agostino – getta nella fornace la tribolazione, non per bruciare il vaso, ma per formarlo. » Egli ci inonda di flutti di tribolazione, non per sommergerci, ma per purificarci (Berthier). – Ogni genere di afflizione è annunciato in questi versetti: lontananza dagli amici e dai vicini, umiliazione profonda, privazione della libertà, gemiti continui, preghiere costanti e non esaudite. – Tale fu lo stato in cui si trovò Gesù-Cristo nella sua passione, e tale fu, sul suo esempio, la situazione di una moltitudine di Cristiani perseguitati, respinti ed abbandonati in qualche modo dal Signore stesso, che non darà loro nessuna consolazione esterna. Ma essi avevano Gesù-Cristo sotto gli occhi, e questo divino modello rendeva le sofferenze infinitamente preziose, la morte stessa sembrava loro deliziosa, perché sapevano che Gesù-Cristo aveva battuto questa strada che aveva come termine la corona meritata da Gesù-Cristo. « Bisogna – dice Sant’Ambrogio – che la morte lavori su di noi, affinché la vita consumi in noi l’opera di salvezza. » (Berthier). – L’abbandono degli amici, l’allontanamento dei prossimi, in mezzo a sì spaventose calamità, sono gli ultimi colpi che il Signore batte. La misura è colma e si resta ammirati come la testa non scoppi più, come la disperazione non si impossessi di una creatura così debole e così infelice. Una piena ed intera sottomissione alla volontà di Dio, proveniente dal fondo del cuore: non c’è altra risorsa! Si sono visti degli esempi di queste terribili prove prolungarsi fino agli ultimi giorni della vita, che sembravano raddoppiare di intensità; poi tutto ad un colpo, o bontà infinita, o saggezza adorabile, o impenetrabile provvidenza! … si vede risplendere la fede, rinascere la speranza, la riconoscenza più sentita illuminare il volto di questo eletto, infine liberato dalla sofferenza della vita (Rendu).
II. — 9-17.
ff. 9-12. – Queste parole: « per i morti forse farete miracoli?» si applicano a coloro che erano talmente morti nel loro cuore e che i miracoli del Cristo non hanno potuto richiamare in vita. Così il Profeta non dice che i miracoli non siano stati fatti per essi, nel senso che essi non li hanno visti, non ne hanno approfittato. (S. Agost.). – Tuttavia è nei riguardi di questi morti spirituali che hanno perso la vita di grazia, che Dio fa i suoi miracoli più grandi, Egli impiega i suoi dottori, i pastori, i confessori, i predicatori per resuscitarli. Ma questi grandi dottori non possono resuscitare e guarire questi morti per virtù propria; benché i predicatori della parola siano eccellenti, con qualche miracolo che operano per insinuare la verità, nella maniera con cui trattano gli uomini i grandi medici, se questi uomini sono morti, la grazia di Dio può solo richiamarli in vita, perché possano ricevere da qualcuno dei suoi ministri le lezioni di salvezza (S. Agost.). – « Conoscerà le vostre meraviglie nelle tenebre e la vostra giustizia nella terra dell’oblio? Le tenebre significano lo stesso che la terra dell’oblio; perché gli infedeli sono designati con il termine di tenebre, ciò che fa dire all’Apostolo: « Voi un tempo eravate tenebre » (Efes. V, 8). Ugualmente la terra dell’oblio, è l’uomo che ha dimenticato Dio; perché l’anima infedele può spingersi nelle tenebre più oscure, per giungere alla follia di dire in se stessa: «Non c’è Dio. » (Ps. XIII, 1). Ecco dunque come stabilire la sequela ed il legame delle idee. « Io ho gridato a Voi, Signore, » in mezzo alle mie sofferenze; « tutto il giorno, io ho teso la mano a Voi, » cioè io non ho cessato di produrre le mie opere per glorificarvi. Perché dunque gli empi dilagano contro di me, se non perché Voi non farete miracoli per i morti? Vale a dire i miracoli non chiameranno alla fede ed i medici non resusciteranno, per glorificarvi, coloro che non sperimenteranno la segreta azione della vostra grazia, e che non saranno attirati da essa alla fede; perché nessuno può venire a me se Voi non lo attirate. Chi annunzierà in effetti la vostra misericordia nella tomba, cioè nell’anima dei morti? Chi annuncerà la vostra verità là dove si è periti, cioè in questo morto che non può né credere né sentire la misericordia, né la verità? In effetti, le vostre meraviglie e la vostra giustizia, saranno forse conosciute nelle tenebre di questa morte, cioè dall’uomo che ha perso, dimenticandovi, la luce della sua vita? (S. Agost.). Tutta la vita deve essere consacrata al servizio di Dio. Concludiamo da ciò che tutti coloro che abusano della vita per oltraggiare il Signore sono già morti. « Io vedo dei morti che ancora camminano – diceva Sant’Agostino – essi sembrano vivere, perché conversano con gli uomini; ma essi sono morti, perché Dio, che è la vita, si è separato dalla loro anima » (Berthier). – L’occupazione degli uomini sulla terra deve essere pensare alla misericordia, alla verità, alle meraviglie ed alla giustizia di Dio. – Sarebbe sufficiente agli uomini affascinati dalle false gioie del mondo, pensare talvolta « alla terra di oblio », di cui parla il Profeta, per trovare ridicoli i desideri che agitano la loro anima. Accade a tutti i mondani l’essere dimenticati dopo la loro morte, e quando ci si ricordasse di essi, anche per vantare le loro qualità naturali o le loro grandi azioni, quale soddisfazione può questo dare loro? – Dormite il vostro sonno, ricchi della terra, e dimorate nella vostra polvere. Ah, se dopo qualche generazione, anzi dopo qualche anno voi ritornaste, uomini obliati, in mezzo al mondo, voi desiderereste rientrare nelle vostre tombe … per non vedere il vostro nome offuscato, la vostra memoria abolita, le vostre previsioni ingannate nei vostri amici, nelle vostre creature, o ancor più nei vostri eredi o nei vostri figli (Bossuet, Or. fun. de M. Le Tel.). – L’uomo giusto che muore deve contare anche sull’oblio di coloro che lascia ancora sulla terra, ma va in una regione dove non sarà più dimenticato (Berthier).
ff. 13, 14. – Quando Dio – dice S. Agostino – sembra rigettare la preghiera dei santi, è come un vento che respinge la fiamma e che illumina il fuoco sempre più: i rigori apparenti di Dio, inducono l’anima fedele a fare nuovi sforzi per avvicinarsi a Lui, per giungere a gustare le dolcezze della sua divina presenza. Non ci sono che i cuori toccati dalla bellezza di Dio che dicono, come il Profeta: Ah Signore, perché distogliete i vostri sguardi, perché rigettate la mia preghiera? Le anime che sono dedite al peccato o alla tiepidezza, sono insensibili all’allontanarsi di Dio, e quale miseria – esclamava ancora Sant’Agostino – essere lontano da Colui che è dappertutto. Ma come Colui che è dappertutto, si trova dunque lontano da noi? È – rispondeva il santo dottore – che ci manca il sentimento, è che noi siamo al suo sguardo come ciechi davanti al sole; questo astro spande dappertutto i suoi raggi, ma coloro che sono privi della vista, non ne profittano. Apriamo gli occhi della fede, lasciamoci illuminare dalla carità, e troveremo ben presto che Dio è vicino a noi. (Berthier).
ff. 15. – Queste parole – che convengono chiaramente a Gesù-Cristo – devono pure convenire ai suoi discepoli. La povertà ed i travagli devono essere la loro parte. Coloro che sono elevati alla qualità di figli di Dio e sono coeredi della gloria di suo Figlio, devono aspettarsi di avere parte alle sue umiliazioni ed alle sue sofferenze, poiché non si arriva all’elevazione se non con l’abbassarsi, ed alla pace sovrana se non con la guerra e le agitazioni. L’umiliazione non è mai più sensibile, né allo stesso tempo più necessaria, che quando essa segua ad una grande elevazione. (Duguet).
ff. 16, 17. – Lo stato che dipinge qui il Profeta è molto doloroso, ma egli vi trova una consolazione, perché non ha parlato che di una collera di Dio « che passa », e non di quella di cui è scritto: « che dimora ». Che cos’è dunque questa collera i cui flutti sono passeggeri? Sono i mali di questa vita, è la rivolta involontaria delle passioni, è l’oscurità che si leva di tanto in tanto nell’anima di coloro che vogliono unirsi strettamente a Dio. Al contrario, la collera di Dio permanente è la riprovazione finale e definitiva; malanno senza risorse, castigo senza lenimento, vendetta di Dio senza misericordia (Berthier). –
ff. 18. – Ah! L’amicizia delle creature è ingannevole nelle sue apparenze, corrotta nelle sue adulazioni, amara nei suoi cambiamenti, travolgente nei suoi soccorsi in contro-tempo, e nei suoi inizi di costanza che rendono l’infedeltà più insopportabile. Gesù ha sofferto tutte le miserie, per farci odiare tanto i crimini che ci fa commettere l’amicizia degli uomini, con le nostre cieche compiacenze. Odiamoli, o Cristiani, questi crimini, e non abbiamo né amicizia, né fiducia di cui Dio non sia il motivo, di cui la carità non sia il principio. (Bossuet, III Serm. p. le Vendredi-Saint.) – Queste tribolazioni non hanno colpito solo la testa, esse si sono realizzate e si realizzano ancora nelle membra del Corpo di Cristo. E Dio volge il suo sguardo da coloro che Lo pregano, rifiutando di accordare loro ciò che vogliono, quando essi ignorano che l’oggetto della loro domanda non conviene loro. E la Chiesa è indigente quando, nel suo esilio, ha fame e sete di ciò che la sazierà in patria. Essa è nelle sofferenze fin dalla giovinezza; perché il Corpo stesso di Cristo dice in un altro salmo: « Essi mi hanno spesso attaccato fin dalla mia gioventù. » (Ps. CXXVIII, 1). Qualcuno dei suoi membri si sono elevati in questo mondo, ma affinché la loro umiltà divenga più profonda. E la collera di Dio scuota la debolezza dei fedeli, perché la prudenza tema tutto ciò che può arrivare, benché non sempre arrivi il dolore. E talvolta questi terrori turbano così fortemente lo spirito di colui che esamina i mali sospesi attorno a lui, che sembrano circondare da ogni lato come torrenti colui che è nel terrore e coinvolgerlo tutti insieme. E poiché i dolori non mancano mai alla Chiesa, pellegrina in questo mondo, ma le arrivano incessantemente, tanto in taluni dei suoi membri e tanto in altri, il Profeta dice: « … tutto il giorno, » volendo così esprimere la continuità del tempo fino alla fine del mondo. E spesso il terrore è causa che i santi siano abbandonati dai loro amici e dai loro prossimi, a motivo del pericolo che essi andrebbero a correre. Ma perché tutte queste tribolazioni, se non perché la preghiera di questo santo Corpo pervenga al Signore dal mattino, cioè alla luce della fede, all’uscire dalla note dell’incredulità, finché venga la salvezza che ci è già data, non ancora in realtà, ma in speranza, e che noi aspettiamo con pazienza? (Rom. VIII, 24). Quando noi vi saremo arrivati, il Signore non respingerà la nostra preghiera, perché allora non avremo più nulla da chiedere, ma da ottenere tutto quello che avremo convenientemente chiesto; Egli non volgerà da noi il suo sguardo, perché Lo vedremo così com’è (1 Giov. III, 2); noi non saremo più nell’indigenza, perché la nostra ricchezza sarà Dio stesso, tutto in tutti (I Cor. XV, 27); noi non soffriremo, perché non ci assalirà alcuna infermità; dopo essere stati elevati, non saremo né abbassati né turbati, perché in cielo non c’è più avversità; noi non dovremo più sostenere il peso della collera di Dio, anche passeggera, perché dimoreremo nella sua dolcezza permanente; i suoi terrori non ci scuotono più, perché il compiersi delle sue promesse ci renderà felici, e il terrore non allontanerà né amici, né prossimi, perché là non ci sarà più alcun nemico da temere (S. Agost.).