LO SCUDO DELLA FEDE (91)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884 (2)

CAPO II.

Quanto sieno indegni di credito gli ateisti.

I.

I . Non par possibile, che l’uomo introdotto in questo mondo, quasi in un tempio, affinché in nome di tutte le creature offerisca alla divinità sacrifizio di lode eterna, degeneri poi del suo grado sì enormemente, che di’ sacerdote si rivolga in ribelle, né solo contenda al suo sovrano l’omaggio, ma infino l’essere. Eppur così non prevaricasse più d’uno! Dixit insipiens in corde suo: Non est Deus(Ps. XIII. I ). Vero è, che se all’uomo è difficile l’avanzarsi al più alto della virtù, non gli è forse meno difficile l’difficile l’arrivare al più profondo del vizio. Ond’è che innanzi che uno divenga ateista vi vuole assai: dovendo egli a tal effetto, non solo perdere il senno, ma voler perderlo. Ora, perché il rinvenire l’origine de’ malori è gran parte della lor cura, facciameli a rinvenir quella dell’ateismo, per pura brama di convertire, a chi ne sia per sorte infetto, la vipera in medicina.

II.

II. La sorgente più consueta della vertigine non è nel cerebro, come la gente si crede, ella è nello stomaco, il quale pieno di maligni umoracci, manda alla testa quegli aliti impetuosi che, sconvolgendola, le danno insino a stimare che i monti ballino. Tanto accade nel caso nostro. La origine di questa incredulità sì caliginosa non si ha da cercare immediatamente nell’intelletto alterato, ma nella volontà, la qual carica di ogni fracidume di vizio, solleva dal suo seno lumi nerissimi, per cui viene alla mente quel capogiro che non le lascia tenere per saldo e stabile né anche il primo motore (Talvolta la corruzione discende dal cervello al cuore, tal’altra monta dal cuore al cervello. Le passioni della volontà ed i traviamenti dell’intelligenza sì rispondono mutuamente, e si dividono amichevolmente il dominio dell’anima).

III. Io certamente non so chi vi siate voi che avete pigliato a scorrere queste carte. Mi giova credere, che senza fallo voi siate fedele a Dio. Ma se foste uno di quei che neppur lo ammettono, deh contentatevi, che da solo a solo io vi chiegga in segreto sommo (giacché qui parliamo a quattr’occhi!, come avete mai fatto a scancellare dal fondo della vostra anima quei sentimenti più pii che vi stimolavano a riconoscere un Fabbricatore supremo dell’universo, ed a venerarlo (Queste parole ci ricordano quelle altre ragguardevoli di Tertulliano: « Oh! testimonium animæ naturaliter christianæ! »)? Non potete già dire, che siate nato ateista; vi siete fatto, e fatto, se si consideri, a poco a poco. Confessatemi dunque per quella divinità, cui non date fede: quali sono quei gradi per cui veniste a cadere in sì gran delirio? Non credo io già, che la integrità de’ costumi, la continenza, la carità, la pazienza, e molto meno la mortificazione indefessa di voi medesimo vi abbiano persuaso, che Dio non v’è (Un animo morigerato, e casto, ed adorno di elette virtù non può non sentire Iddio, che è santità e purezza infinita, ed in sentirlo ne riconosce e ne adorala viva presenza. Un cuore ben fatto non fu ateo giammai). Ve l’ha persuaso la vaghezza di vivere, come fan le bestie, a capriccio. E una dottrina sì misera, che si apprende unicamente nel lezzo e ne’ lupanari, sarà la vera? Dove mai si trovò, che a penetrar a più bella di tutte le verità fosse di mestieri mettersi sotto i piedi la temperanza? Anzi fu perpetuo parere di tutti i saggi, che ad indagare qualunque verità, non pure alta, ma comunale, nulla giovi più che l’avere libero il cuore dalle passioni troppo abili ad ingombrarlo (Come le passioni ci presentano le cose ben altre da quel, che sono, ossia alterate, così la mente spassionata non può non vedere gli oggetti quali sono effettivamente in se stessi, ed accogliere la schietta luce della verità). E come dunque chi più si lasci dominare dall’ira, dall’ambizione, dall’astio e dalle dissolutezze più vergognose, più ancora intende di ciò che appartiene a Dio? – Quando a contemplar meglio il cielo sarà più spediente ad un astronomo il chiudersi in una stufa colma di fumo, che non sarebbe l’uscire in campagna aperta: allora si potrà giudicare, che la vita menata fra mille crapule e mille carnalità vi abbia dato a vedere, che sulle stelle non v’è quel Dio che si pensa la gente credula. E se così è, permettetemi dunque, che io vi soggiunga: Qual quiete d’animo volete voi mai promettervi in una setta, nella quale avete sì forte la presunzione di non apporvi, dal mirar solamente chi siate voi?

III.

IV. Ma quando anche foste di vita non sì perversa, su che fondamento stabilite voi quella torre di confusione, dalla cui cima vi affacciate a trasmetterci sì gran nuova, che Dio non v’è? Non est Deus (Come Iddio è il primo essere, cagione dì tutti gli altri esseri, ed il primo Vero, ragione di tutti gli altri veri, cosi il Non est Deus dell’ateo nell’ordine della realtà mena al nullismo, perché senza Dio niente più sussiste, e nell’ordine del sapere riesce al massimo degli errori e degli assurdi, perché si risolve in questo pronunciato: l’essere, che non può non esistere (Deus), non esiste (non est); ossia il necessario è nulla). Aspetto, che mi diciate con quegli sciocchi già confutati da Tullio, (De nat. Deor.) che Dio non v’è, perché non è visibile agli occhi nostri. Ma da quando in qua si ha da curare la testimonianza degli occhi in cercar Dio? Si veggono con gli occhi le cose soggette agli occhi, quali son le corporee: le spirituali s’intendono, non si veggono. Di poi, perché state a dirmi di non vederlo? Noi vedete in sé, ve ‘l concedo; ma lo vedete (se non volete accecarvi da voi medesimo) ne’ suoi effetti. Ditemi un poco. Come vedete voi l’anima di quell’uomo che vi è presente? La vedete forse in se stessa? No certamente. Voi la vedete nelle sue operazioni. Eppure queste vi fanno abbastanza credere, ch’ella v’è: né mai vi cade in pensiero di sospettare, che il corpo di quell’artefice il quale intaglia, scrive, stampa, dipinge per eccellenza, non sia corpo animato, sia corpo morto da mandare alla sepoltura. Che sciocchezza dunque è mai questa? dalle operazioni del corpo conoscere che v’è l’anima da cui sgorgano; e dalle operazioni di tanto cose create non sapere conoscere, che v’è Dio! Stulte(diceva appunto il grande Agostino (In Ps. LXXIII) ad un uomo del taglio vostro) Stulte, ex operibus corporis agnoscis vicentem, ex operibus creaturæ non potes agnoscere Creatorem? Questo è il sapere arguir da’ suoi giri il rivo, e non sapere arguire dal rivo il fonte. I postumi mai non videro il loro padre, eppur di lui sono certi, né solo ne son certi, ma di più l’amano nei ritratti, l’amano nelle rendite, l’amano nella casa di tanto costo da lui fabbricata per essi non anche nati. E a voi non basta mirar quanto Dio vi diede, e quanto vi dà, per credere che ei vi sia, se non per amarlo? Voi dunque non crederete (se così è) né tanto che vi è noto per pura autorità di persone degne di fede, che ve lo affermano, come è, che il sole sia mille e mille volte maggior di tutta la terra (purtroppo anche il Segneri non credeva alle parole della Bibbia, quando riportava l’esempio degli eliocentristi dediti al culto di Mitra, che immaginavano – essi sì – che il sole fosse mille volte più grande della terra, senza avere avuto mai uno straccio di prova, ma solo per  argomentare contro le parole di Dio delle sacre Scritture – Errore grave di tutti i chierici sette-ottocenteschi ed oltre, che evidentemente non credevano al dogma dell’inenarranza biblica!); né crederete tanto altro che la ragione vi sforza a credere con le sue violente illazioni.

IV.

V. A questi due tribunali voglio io pertanto citarvi per vostro bene: a quello dell’autorità, ed a quello della ragione (Autorità e ragione tornano entrambe necessarie allo studio non della Religione soltanto, ma di qualsiasi ramo dello scibile umano. Il discente non può muover un passo senza piegar docile l’intelletto alla parola autorevole del maestro, perché non est discipulus supra magistrum; ed il dotto anch’esso mal può penetrare più addentro nelle profondità della scienza sua, se non piglia ad imprestito dalle altre scienze, senza punto discuterli e dimostrarli, quei principii, di cui come di postulati abbisogna la propria). E se ad ambo voi rimarrete convinto, che Dio vi sia, come più fissarvi a contenderlo? Sarebbe questo un non volere altra regola in giudicar delle cose, che il proprio orgoglio. Onde potremmo conchiudere, che se la corruzion della volontà, è la madre, come si disse, dell’ateismo; l’orgoglio dell’intelletto ne è il vero padre. Tale è l’origine degli animali più vili. Sono eglino schiusi in vero dalla putredine, ma non senza il concorso di quel poco di spirito che ivi intorno se ne va volando per l’aria. Quindi è l’osservare in ogni ateista un cervello, non pure altero, ma indomito, tanto che recansi fino a sapienza l’errare, ed a sapienza massima l’errar soli, singolarmente dappoi che l’amore della novità gli ha impegnati a stimarsi tanto più liberi, quanto più se ne vanno fuori di strada. Allora, crescendo in essi per la libertà l’alterezza, divengono incorreggibili. Imperciocché siccome nel calore della battaglia non si accorge taluno di esser ferito; cosi essi non si accorgono di quei colpi che dà loro la verità per ridurli in via, né se ne risentono, o sia l’autorità quella che più li percuote, o sia la ragione. Non vorrei già, che voi dimostraste esser uno di questi miseri. Però arrendetevi in prima all’autorità.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.