SALMO 72: “QUAM BONUS ISRAEL DEUS“
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
CATENA D’ORO SUI SALMI
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME DEUXIÈME.
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 72
[1] Psalmus Asaph.
Quam bonus Israel Deus,
his qui recto sunt corde!
[2] Mei autem pene moti sunt pedes, pene effusi sunt gressus mei;
[3] quia zelavi super iniquos, pacem peccatorum videns.
[4] Quia non est respectus morti eorum, et firmamentum in plaga eorum.
[5] In labore hominum non sunt, et cum hominibus non flagellabuntur.
[6] Ideo tenuit eos superbia; operti sunt iniquitate et impietate sua.
[7] Prodiit quasi ex adipe iniquitas eorum; transierunt in affectum cordis.
[8] Cogitaverunt et locuti sunt nequitiam; iniquitatem in excelso locuti sunt.
[9] Posuerunt in cælum os suum, et lingua eorum transivit in terra.
[10] Ideo convertetur populus meus hic, et dies pleni invenientur in eis.
[11] Et dixerunt: Quomodo scit Deus, et si est scientia in excelso?
[12] Ecce ipsi peccatores, et abundantes in sæculo, obtinuerunt divitias.
[13] Et dixi: Ergo sine causa justificavi cor meum, et lavi inter innocentes manus meas;
[14] et fui flagellatus tota die, et castigatio mea in matutinis.
[15] Si dicebam: Narrabo sic; ecce nationem filiorum tuorum reprobavi.
[16] Existimabam ut cognoscerem hoc; labor est ante me:
[17] donec intrem in sanctuarium Dei, et intelligam in novissimis eorum.
[18] Verumtamen propter dolos posuisti eis; dejecisti eos dum allevarentur.
[19] Quomodo facti sunt in desolationem? subito defecerunt; perierunt propter iniquitatem suam.
[20] Velut somnium surgentium, Domine, in civitate tua imaginem ipsorum ad nihilum rediges.
[21] Quia inflammatum est cor meum, et renes mei commutati sunt;
[22] et ego ad nihilum redactus sum, et nescivi;
[23] ut jumentum factus sum apud te, et ego semper tecum.
[24] Tenuisti manum dexteram meam, et in voluntate tua deduxisti me, et cum gloria suscepisti me.
[25] Quid enim mihi est in cœlo? et a te quid volui super terram?
[26] Defecit caro mea et cor meum; Deus cordis mei, et pars mea, Deus in æternum.
[27] Quia ecce qui elongant se a te peribunt; perdidisti omnes qui fornicantur abs te.
[28] Mihi autem adhærere Deo bonum est, ponere in Domino Deo spem meam; ut annuntiem omnes prædicationes tuas in portis filiæ Sion.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO LXXII
Esortazione ai fedeli perché non piglino scandalo dalla prosperità degli empii: esortazione sempre utile, ma necessaria nelle persecuzioni della Chiesa e de’ suoi giusti, mentre gli empii la dominano e trionfano.
Salmo di Asaph.
1. Quanto è mai buono Iddio con Israele; con quelli che son di cuor retto!
2. Ma poco mancò che i miei piedi non vacillassero, e che non uscisser di strada i miei passi.
3. Perché io fui punto da zelo verso gl’iniqui, in osservando la pace de’ peccatori ;
4. Perché non pensano alla loro morte, e non sono di durata le loro piaghe.
5. Non hanno parte alle afflizioni degli uomini, e con gli uomini non sono flagellati.
6. Per questo la superbia li prese ; son ricoperti della loro iniquità ed empietà.
7. Dalla grassezza in certo modo scaturì la loro iniquità: si sono abbandonati agli affetti del loro cuore.
8. Pensano, e parlano malvagità; da luogo sublime ragionano di far del male.
9. Han messo in cielo la loro bocca; la loro lingua va scorrendo la terra.
10. Per questo il popolo mio a tali cose si rivolge, e giorni trova di piena afflizione.
11. E hanno detto: Come mai Iddio sa questo? e l’Altissimo ne ha egli notizia?
12. Ecco che i peccatori medesimi e i fortunati del secolo han raunate ricchezze.
13. E io dissi: Senza motivo adunque purificai il mio onore, e lavai le mani mie cogl’innocenti:
14. E fui tutto dì flagellato, e fui sotto la sferza di gran mattino.
15. Se io pensassi di ragionare così: Ecco che io condannerei la nazione de’ tuoi figliuoli.
16. Mi studiava d’intender questo; cosa laboriosa è questa, che mi si pone davanti :
17. Per sino a tanto ch’io entri nel santuario di Dio, e intenda qual sia la fine di coloro.
18. Peraltro in ingannevole felicità gli hai posti; tu gli hai gettati a terra nell’atto che si levavano in alto. (1)
19. Come mai son eglino ridotti in desolazione; son venuti meno a un tratto; sono andati in perdizione per la loro iniquità.
20. Come il sogno di un che si sveglia, così tu nella tua città, o Signore, ridurrai nel nulla l’immagine di costoro.
21. Ma perché il mio cuore fu in tormento, ed ebber tortura gli affetti miei, ed io fui annichilito senza sapere il perché; (2)
22. E fui qual giumento dinanzi a te, e mi tenni sempre con te;
23. Mi prendesti per la mia destra, e secondo la volontà tua mi conducesti, e con onore mi accogliesti.
24. Imperocché qual cosa havvi mai per me nel cielo, e che volli io da te sopra la terra?
25. La carne mia e il mio cuore vien meno, o Dio del mio cuore, e mia porzione, o Dio, nell’eternità.
26. Imperocché ecco che coloro, che da te si allontanano, periranno; tu manderai in perdizione tutti coloro, che a te rompon la fede.
27. Ma per me buona cosa ch’è lo stare unito con Dio, il porre in Dio Signore la mia speranza;
28. Affinché tutte le tue laudi io annunzi alle porte della figliuola di Sion.
(1) Presso gli ebrei la prosperità non è per essi che una seduzione, una trappola, ed un luogo sdrucciolevole.
(2) Il mio cuore divagava e mi irritavo nei miei pensieri; parola per parola: io mi pizzicavo i reni – i reni rappresentano la sede del pensiero -.
Sommario analitico
Davide o Asaph, contemporanei di Ezechia e Manasse, personificano in lui lo scandalo che causa alla anime ancora deboli, la vista della prosperità dei malvagi, dopo aver fatto inizialmente la sua professione di fede nella bontà di Dio (1).
I.- Egli espone:
1° La fluttuazione interiore della sua anima;
2° L’indignazione che si è levata in lui alla vista della prosperità degli empi (2).
II. – Descrive:
1° la loro felicità:- a) la loro imprevidenza o la tranquillità della loro morte; – b) la loro affrancatura da tutte le sofferenze del corpo e dai rovesci di fortuna (4, 5);
2° I crimini che ne sono la sequela: – a) il loro orgoglio, – b) la loro empietà, – c) la loro arroganza, – d) la loro sfrenata licenza, – e) la loro malizia, la loro impudenza che giunge fino a bestemmiare Dio ed a calunniare gli uomini (6, 9).
III. – Mostra l’effetto di questa prosperità degli empi:
1° sulle anime imperfette. – a) esse sono nello stupore e non possono impedirsi di ammirare questa felicità degli empi, – b) concepiscono anche dei dubbi sulla scienza di Dio, – c) si lamentano dell’abbondanza e delle ricchezze in mezzo alle quali vivono gli empi (10-12);
2° su Davide stesso: – a) egli confessa che condivide i dubbi e i mormorii delle anime deboli, vedendosi frustrato dal prezzo della sua innocenza e della sua pazienza (13, 14); – b) ma egli ha ben presto riconosciuto che condannava così tutta la società dei figli di Dio (15); – c) riconosce nello stesso tempo che la conoscenza delle vie della divina Provvidenza è difficile e non può essere data che da Dio stesso, che ci fa comprendere quale sarà la fine degli empi (16, 17).
IV. – Egli fa dunque vedere che la felicità degli empi:
1° È ingannevole,
2° di breve durata (18);
3° fa posto ad una desolazione improvvisa;
4° Che essi perdono in un istante le ricchezze acquisite in lunghi anni e con crimini molteplici (19);
5° Che ogni loro felicità si dissipa come in un sogno (2).
V. – Davide, come conclusione di queste considerazioni:
1° dichiara che è cambiato in altro uomo, che è infiammato dall’amore di Dio, morto a tutti i piaceri del mondo, e convinto del suo niente davanti a Dio (21, 22);
2° esprime il desiderio di consacrarsi tutto interamente e per tutta la sua vita al servizio di Dio (23);
3° come effetto e frutto di questo desiderio, fa vedere che Dio lo ha sostenuto con la mano, lo fa camminare nelle sue vie e ricevuto con gloria (24);
4° professa altamente che preferisce Dio a tutti i beni del cielo e della terra (25, 26);
5° mostra la saggezza di questa scelta, e promette di rendere pubbliche eternamente le lodi di Dio (27, 28).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1, 2.
ff.1. – Davide, prima di spiegare la tentazione e lo scandalo dei deboli, che personifica in se stesso in questo salmo, pone innanzitutto i fondamenti della vera fede, per farci comprendere che né lui, né coloro che egli qui rappresenta hanno perso la fede nella Provvidenza divina. Geremia si esprime quasi alla stessa maniera: « Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa discutere con te; ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché le cose degli empi prosperano? Perché tutti i traditori sono tranquilli? » (Geremia XII, 1). Dio è buono non perché possieda la bontà, ma perché Egli è le bontà stessa. (Clém. Alex.., Pæd. 1, 8.). Dio è buono perché Egli è la sorgente di ogni bontà, – 1° nella creazione: « Dio vide tutte le sue opere, ed esse erano molto buone » (Gen. I, 31); – 2° nella redenzione: « Io sono il buon pastore, il buon pastore da la sua vita per le pecore » (Giov. X, 11); – 3° nella giustificazione: « Considerate la bontà e la severità di Dio, la sua severità verso coloro che sono caduti e la sua bontà verso di voi », (Rom. XI, 22); – 4° nella pazienza con la quale attende i peccatori: « O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua longanimità? » (Rom. II, 4); – 5° nella maniera in cui Egli punisce i peccatori durante questa vita e nell’altra, perché il castigo è sempre di molto inferiore ai loro crimini: – 6° nella glorificazione dei Santi: « Egli ci ha resuscitato con Lui e ci fatto sedere nel cielo in Gesù-Cristo, al fine di far conoscere nei secoli avvenire le ricchezze abbondanti della sua grazia, per la bontà che ha avuto per noi in Gesù-Cristo » (Efes. II, 6-7).
ff. 2, 3. – Tutta la Scrittura è piena di sante benedizioni per coloro che hanno il cuore retto, ma qual è questa drittura? Diciamolo in una parola: è la carità, è la santa dilezione, è il puro amore; è il casto ed intimo attaccamento della sposa per lo Sposo sacro; è questa celeste dilezione di un cuore che si compiace della legge di Dio, che vi si sottomette con piena ed intera volontà, « … non per la paura della pena, ma per amore della giustizia »: chi sono coloro che sono retti? Diceva Sant’Agostino, coloro che dirigono il loro cuore secondo la volontà di Dio. Coloro che vogliono ciò che Dio vuole, questi sono retti, questi sono giusti. Non c’è abbisogna di spiegazioni: coloro che hanno orecchie cristiane comprendono questa verità. La volontà di Dio è retta di per se stessa; è essa stessa la rettitudine; essa è la regola primitiva ed originale. Noi non siamo la giustizia, noi non siamo la regola; perché noi saremmo impeccabili: così non essendo giusti per noi stessi, noi lo diventiamo, come Cristiani, unendoci alla regola, alla santa volontà di Dio, alla legge che Egli ci ha dato (Boss.). – « Quanto il Dio di Israele è buono! Ma agli occhi di chi? Per gli uomini dal cuore retto ». E a coloro che hanno occhi perversi? Egli sembra perverso. È così che il Profeta dice in un altro salmo: «Voi sarete santo con il santo, innocente con l’innocente, e perverso con il perverso » (Ps. XVII, 26). Cosa vuol dire: voi sarete perverso con il perverso? Il perverso vi crederà perverso. Non che Dio possa pervertirsi in alcun modo: no, lontano da noi questo pensiero, Egli è ciò che Egli è; ma così come il sole sembra inoffensivo a colui che è sano, vigoroso e forte, similmente sembra che lanci tratti brucianti negli occhi malati. Di questi due uomini che lo guardano, fortifica l’uno e ferisce l’altro; non certo cambia dall’uno all’altro, ma è l’uomo che è cambiato. Così, quando comincerete a pervertirvi, Dio vi sembrerà perverso: voi siete cambiato, Dio no! ; ciò che è una gioia per i buoni sarà un castigo per voi. È al ricordo di questa verità che il Profeta esclama: « Quanto il Dio di Israele è buono per gli uomini dal cuore retto! » (S. Agost.). – Abbiate il cuore retto, perché il Signore ha una bontà meravigliosa per i retti di cuore, Egli ha per essi una condiscendenza, una delicatezza di madre … Abbiate il cuore retto e vedrete Dio nelle Scritture, lo vedrete in ogni parola, ogni parola sarà trasparente e vi presenterà una delle facce auguste della Divinità. Anime semplici hanno più illuminazione sul senso delle Scritture, sui misteri della teologia, di tanti dottori! … abbiate il cuore retto, non cercate le difficoltà, non abbiate partito preso nell’intelligenza; soprattutto non desiderate trovare armi contro Dio. Se lo desiderate, voi ne troverete certamente; come un bambino ribelle trova sempre dei soggetti di accusa nelle più semplici e meravigliose parole di suo padre e di sua madre. Desiderate la luce della vita e ne riceverete un’ampia provvigione, perché le parole della scrittura sono « intelligenza e vita » (Mgr Landriot, Béatitudes,!). – Ma cos’è Dio ai vostri occhi? « I miei piedi, continua il Profeta, sono quasi vacillanti ». Quando i miei piedi sono vacillanti, se non quando il mio cuore non è retto? E perché il suo cuore non è retto? Ascoltate: « I miei passi per poco hanno vacillato nel sostenermi », egli sta per dire . « quasi », ed ora « essi hanno vacillato », è la stessa cosa; i piedi instabili hanno lo stesso senso de « i miei passi hanno vacillato nel sostenermi ». Ma perché i suoi piedi sono stati instabili, ed i suoi passi hanno vacillato nel sostenerlo? I piedi instabili significano lo smarrimento, i passi che mancano di stabilità indicano una caduta, non avvenuta, ma “quasi”. Che significano queste parole? Io cammino verso l’errore, ma non vi ero ancora, stavo per cadere ma non sono ancora caduto (S. Agost.). – In tutti i tempi la fede dei Cristiani è stata turbata e la loro fiducia in Dio vacillante, nel vedere i malvagi prosperare e nel riposo, mentre i giusti sono nelle avversità e nel travaglio. Questa realtà, in apparenza ingiusta, è sempre stata, per così dire, lo scandalo della Provvidenza; perché i peccatori hanno preso a trionfare con insolenza nella vita, e le persone più degne si sono affievolite nel cammino della virtù. Da parte mia – diceva Davide – io lo confesso, ho sentito la mia fede svanire e, benché fosse solido il fondamento della mia speranza, mi sono visto sul punto di soccombere, e perché? Perché nel mio cuore si è alzato un movimento di zelo e di indignazione alla vista dei peccatori che gustano la pace, che riescono nei loro disegni, che stabiliscono le loro case, ai quali nulla manca nella vita. (Bourd. Afflict. des just. et prosp. des péch.). – « Io ho portato invidia agli uomini di iniquità, vedendo la pace dei peccatori ». Io ho considerato i peccatori, ho visto che avevano la pace. Ma quale pace? Una pace temporanea, fuggitiva, passeggera e terrestre, ma comunque tale come io la desidero ottenere da Dio. Io ho visto che coloro che non servivano Dio possedevano ciò che io volevo ottenere servendolo, ed i miei piedi hanno quasi vacillato, ed i miei passi hanno oscillato nel sostenermi (S. Agost.).
II. — 4-9.
ff. 4, 5. – La felicità degli empi è tale che essi non hanno il pensiero della morte, e coloro che la considerano trovano la loro felicità sì stabile che non presumono che possa mai aver fine. Gli empi non pensano alla morte; essi sanno che questo momento arriverà, ma per non interrompere il corso dei loro piaceri, allontanano il pensiero di questa ultima ora … Si vedono degli empi ricolmi di beni in questo mondo: essi sembrano non dipendere da nessuno, non temono nulla, non essere soggetti ad alcuna legge, e giungono ad una estrema vecchiaia senza provare alcuna delle disgrazie che affliggono tanto gli uomini giusti. La loro salute si conserva fino all’ultima ora; le loro forze si sostengono malgrado gli anni e gli abusi che fanno. Si direbbe quasi che le attenzioni della Provvidenza siano tutte solo per essi. È quello che il Profeta chiama uno stato esente da costrizioni, infermità e traversie (Berthier).
ff. 6, 7. – « L’orgoglio, l’intemperanza, l’abbondanza di ogni cosa, l’oziosità, la durezza verso il povero, tale è stata l’iniquità di Sodoma » (Ezech. XVI, 49). Chi considera queste cose ora come i gradini attraverso i quali questi popoli abominevoli discesero infine sino al fondo dell’abisso? Così quanto più si ha orrore degli abomini attraverso i quali i suoi abitanti furono consumati dal fuoco del cielo, tanto più ci si dimentica di evitare i crimini che ve li condussero (Dug.). – « Nel loro grasso, dice lo Spirito-Santo, nella loro abbondanza, si fa un fondo di iniquità che non si esaurisce mai ». È di là che nascono questi peccati regnanti che non si contentano che li si soffra, neanche che li si scusi, ma vogliono pure che li si applauda; perché ci sono – dice Sant’Agostino – due specie di peccati, gli uni vengono dalla carenza, gli altri nascono dagli eccessi, quelli che nascono dal bisogno e dalla miseria, sono i peccati servili e timidi: quando un povero ruba, si nasconde, quando è scoperto egli trema; non oserà sostenere il suo crimine, troppo felice se può coprirlo e avvolgerlo nelle tenebre. Ma quelli che peccano di abbondanza, sono superbi ed audaci, vogliono regnare; voi direste che sentono la grandezza della loro estrazione. « essi vogliono gioire, dice Tertulliano (Ad nat. lib. i, n° 16), di tutta la luce del giorno e di tutta la coscienza del cielo ». (BOSSUET, Impén. fin, I. p.). – Essi non si sono dunque puniti, non condividono le pene degli altri uomini, cosa ne risulta per essi? « Ecco perché l’orgoglio si è impossessato di essi ». Considerateli, questi orgogliosi, questi che disprezzano ogni legge; considerate il toro designato per il sacrificio, al quale hanno lasciato la libertà di errare ove vuole e devastare tutto quel che può, fino al giorno della sua immolazione; è l’emblema degli uomini di cui parla il Profeta: « Ecco perché l’orgoglio si è impossessato di essi; essi sono avviluppati come da un vestito dalla loro iniquità e dalla loro empietà ». Il Profeta non si è limitato a dire: essi sono coperti, ma essi si sono avvolti, cioè coperti da ogni lato dalla loro empietà. I malvagi non vedono il loro stato, e gli altri ancor di più, perché essi sono avvolti da ogni parte e non se ne vede il loro interno, perché chiunque potesse vedere l’interno di questi malvagi che sembrano felici secondo il mondo, chiunque fosse testimone della rivolta della loro coscienza, chiunque conoscesse le lacerazioni della loro anima sotto le violente perturbazioni della loro lussuria e dei loro terrori, saprebbe a qual punto siano uomini miserabili, mentre li si chiamano felici. Ma poiché essi sono avvolti come da un vestito « dalla loro iniquità e dalla loro empietà » essi non vedono il loro malore e nessuno lo vede. Lo Spirito-Santo, che dettava queste parole, li conosceva, e noi sapremmo considerarli con lo stesso occhio, se ogni velo di empietà potesse essere tolto dai nostri occhi. Vediamo dunque questi uomini; malgrado il loro benessere, fuggiamoli; malgrado la loro felicità, non li imitiamo, non chiediamo a Dio, come premio, dei beni che hanno potuto ricevere degli uomini che non Lo servono. Egli ci riserva ben altra cosa; noi dobbiamo desiderare altra cosa … Ma innanzitutto come il Profeta dipinge questi uomini: « … la loro iniquità uscirà come dal loro grasso », essa filtra, per parlare così, dal loro sovrappeso. Vedete se non è il caso di riconoscere qui il toro di cui abbiamo parlato. Non passiamo negligentemente su queste parole: « … la loro iniquità uscirà come dal loro grasso ». Ce n’è che sono malvagi, ma malvagi per la loro magrezza, malvagi perché sono magri, vale a dire che le sofferenze della necessità li hanno resi sottili e fragili e come disseccati. Essi sono malvagi e condannabili comunque; perché bisogna saper sopportare ogni specie di necessità piuttosto che commettere alcuna iniquità. Una cosa infatti è peccare per le necessità di cui si soffre, altra cosa è peccare in mezzo all’abbondanza. Un povero commette un furto, la sua iniquità proviene dalla sua magrezza, ma un ricco ricolmo di beni, perché si appropria del bene altrui? L’iniquità del primo proviene dalla sua magrezza, quella del secondo dalla sua opulenza. Se dite al magro: perché avete fatto questo, egli risponde: la necessità mi ha costretto, perché non avete paura di Dio? Il bisogno mi ha spinto. Dite ora al ricco: Perché fate questo e non temete Dio? Se tuttavia siete in una posizione tanto elevata per parlargli in tal sorta. Vedete se si degnerà di ascoltarvi, vedete anche se il suo grasso non farà passare in voi la sua iniquità come una sorta di contagio. In effetti, questi ricchi malvagi fanno sentire la loro inimicizia a coloro che insegnano e li riprendono, e diventano nemici di coloro che dicono loro la verità, abituati come sono ad essere dolcemente incensati dai discorsi degli adulatori, gente dalle orecchie delicate e dal cuore malato (S. Agost.). – Le prosperità temporali producono ordinariamente sul cuore un’impressione di attaccamento alla terra, un amore eccessivo di noi stessi e soprattutto elevazione e rigonfiamento del cuore, cioè un certo sentimento di auto considerazione che abitua l’anima a ritenersi come elevata dai propri doni al di sopra di tutti coloro che il proprio rango e la prosperità lasciano al di sotto di essa; un segreto errore di vanità che fa che noi confondiamo la nostra fortuna con noi stessi, che facciamo entrare la nascita, la grandezza dei titoli, le dignità, i beni nell’idea di ciò che noi siamo, e che di tutti questi vantaggi, che sono al di fuori di noi e di conseguenza non ci appartengono, formano in noi una grandezza immaginaria che scambiamo per noi stessi; infine, un errore che ci persuade che siamo, agli occhi di Dio e nell’ordine della sua Provvidenza, delle creature privilegiate ed anche distinte davanti agli uomini, nell’ordine esteriore della società. La loro prosperità, dice il Re-Profeta, li affranca dai travagli e dalle miserie comuni al resto degli uomini, ed ecco perché un orgoglio segreto si è impossessato dei loro cuori. Così il primo avviso che l’Apostolo raccomanda a Timoteo (1 Tim. VI, 17) da dare ai grandi del mondo, è di non elevarsi (Massil., Dang. des prosp.). – Ciò che è vero per gli individui, lo è ugualmente per le società e le Nazioni. – la prosperità materiale di un popolo non fornisce da sola tutte le condizioni della sua durata e della sua gloria, se è la giustizia che eleva le Nazioni ed il peccato che le precipita nell’abisso, troppo spesso l’indebolimento delle virtù morali e dei nobili sentimenti si fa sentire in proporzione ai progressi del benessere e della fortuna pubblica. « Prodiït quasi ex adipe iniquitas eorum. » (Mgr Pie, Discours et Instruct.., T. I, 13). – Sant’Agostino traduce la seconda parte di questo versetto in modo differente, che senza essere il più letterale, forse, è pieno di istruzione. « Essi sono andati oltre, egli dice, fino alla disposizione del loro cuore ». essi sono passati ben oltre, dentro di se stessi. Che vuol dire: « Essi sono passati oltre? » Essi hanno abbandonato i limiti della natura umana; essi hanno creduto di non essere pari agli altri uomini. Essi hanno – egli dice – oltrepassato il limite della natura umana. Quando voi dite ad un uomo di questa specie: questo povero è vostro fratello, voi avete la stessa origine, gli stessi progenitori; non ascoltate l’orgoglio che vi gonfia, non fate attenzione al vano rigonfiarsi sul quale vi elevate; benché circondati da numerosi domestici, benché ricco in oro ed argento, benché abitiate in un palazzo di marmo, benché riposiate all’ombra di baldacchini sontuosi, non siete da meno, voi ed il povero, rifugiati sotto la volta dello stesso cielo; voi non differite dal povero che per gli oggetti esteriori, che non sono voi stessi, ma sono posti intorno a voi; voi siete in mezzo a queste cose, esse non possono essere in voi. Considerate cosa siate rispetto al povero; guardate voi stesso e non ciò che possedete. Voi siete nati, l’uno e l’altro nel seno delle vostre madri, e quando sarete usciti da questa vita, quando le vostre carni, dopo la partenza dell’anima, saranno cadute nel putridume, distinguete, se potete, le ossa del ricco dalle ossa del povero … Ma tutte queste cose, a chi le dite? A colui che celebra festini sontuosi, a colui che si copre ogni giorno di porpora e di fine lino. A chi le dite queste cose? A colui che passa oltre, fino alla disposizione del suo cuore (S. Agost.).
ff. 8, 9. – Senza dubbio, ci sono degli uomini che hanno propositi di malvagità, ma almeno li fanno con timore. E questi? « Essi hanno proferito altezzosamente il linguaggio dell’iniquità ». (Ibid). Non solo essi hanno proferito il linguaggio dell’iniquità, ma lo hanno fatto apertamente, alla presenza di tutti, con fierezza: ecco ciò che io farò, io ve lo farò vedere, voi sentirete con chi avete a che fare, voi morrete per sua mano (S. Agost.). se avete tali pensieri, voi non li manifesterete al di fuori, o ben saprete vincere la vostra passione nel segreto del vostro cuore, o almeno saprete tenervi nascosto. Bisogna domandare perché? … « … La loro iniquità uscirà come il loro grasso. Essi hanno proferito altezzosamente il linguaggio dell’iniquità ». – Essi non si contentano di pensare il male, ma proferiscono altezzosamente l’empietà: contro Dio, con le bestemmie; contro il prossimo, con le calunnie; contro se stesso, per questa impudenza nel commettere pubblicamente il male, ed anche a glorificarsene (Dug.). – « Essi non hanno nascosto i loro crimini; come Sodoma, essi li hanno resi pubblici » (Isai., III). – Si trovano in questi versetti tutti i caratteri degli increduli che dogmatizzano; essi cominciano a pensare male dei misteri della Religione, esternano poi i loro pensieri; da qui si azzardano ad elevare altezzosamente la voce contro le verità rivelate; proclamano l’assenza di Dio e dei divini attributi; inondano la terra delle loro bestemmie. Essi calunniano egualmente il cielo e la virtù, l’Altissimo e gli uomini dabbene (Berthier). – Sant’Agostino dà ancora, della seconda parte del versetto 10, una traduzione un poco differente dall’interpretazione comune. Ma quali magnifici sviluppi, quale importante verità ne trae fuori! « La loro lingua ha lasciato i limiti della terra? » che vuol dire: « … ha lasciato i limiti della terra? » lo stesso che: « essi hanno elevato la loro bocca fino al cielo ». In effetti abbandonare i limiti della terra significa: passare al di sopra di tutte le cose terrestri? L’uomo non pensa, tra i suoi discorsi, che egli possa morire; egli vive come se dovesse vivere sempre. Il suo pensiero passa sopra la fragilità umana; egli dimentica cos’è questo vaso che lo ricopre e lo circonda; egli non sa cosa sia scritto contro gli orgogliosi: «La sua anima uscirà dal suo corpo ed egli tornerà nella terra dalla quale è venuto; in questo giorno tutti i suoi pensieri periranno » (Ps. CXLV). Ma i superbi, non pensando al loro ultimo giorno, hanno il linguaggio dell’orgoglio, elevano la loro bocca fino al cielo e lasciano i limiti della terra. Se il brigante messo in prigione non pensasse al suo ultimo giorno, al giorno cioè in cui dovrà subire il suo giudizio, nessun essere sarebbe bruto quanto lui, e tuttavia egli avrebbe ancora delle possibilità di sfuggire alla sua sentenza. Ma dove si potrebbe fuggire per evitare la morte? Questo giorno è certo. Per lungo tempo sperate di vivere? Ma questo pur lungo tempo dovrà finire, quand’anche ne avesse realmente la durata? Ma in realtà non è pur così: non c’è questo lungo tempo. E che ci sia è cosa tutta incerta. Perché il peccatore non vi pensa? « … perché egli ha elevato la sua bocca fino al cielo e la sua lingua ha lasciato i limiti della terra » (S. Agost.).
III. —10-17.
ff. 10, 11. – È evidente che il Profeta che parla non metterebbe in dubbio né la Provvidenza, né i mezzi che essa ha per vendicare i suoi diritti. Egli sapeva che la prosperità di cui godono i malvagi è per essi un vero flagello, ma a lui premeva dipingere le turbe che questo spettacolo degli empi, fortunati in questo mondo, causa qualche volta agli uomini virtuosi … I giusti che si trovavano in questa nazione e provano delle disgrazie, mentre i malvagi sembrano felici, possono essere tentati col dubitare delle promesse e della fedeltà di Dio; bisognava insegnar loro che Dio non si era impegnato che con l’intera Nazione e non con i particolari; che la via della salvezza era, per i giusti separatamente presi, una via stretta, e che bisognava trovare rovi e spine, affinché fosse provata la loro costanza (Berthier). – Il profeta ritorna alla spiegazione dello scandalo che provano i giusti alla vista della ricchezza e della prosperità degli empi. Il mio popolo alla vista di tanti crimini, si metterà a considerarli; esso troverà che i loro giorni sono pieni e che la loro vita giunge alla pienezza dell’età, e dirà: e l’Onnipotente lo sa questo? Se lo sa come può sopportarlo? – I vostri giorni, se volete saranno dei giorni pieni, perché la grazia, se volete, nel santificarli, li riempirà, invece che essere dei giorni vuoti, perché il peccato rovina tutto e vi spoglia di tutto; tanto più che disgraziatamente voi non avvertite il vostro malore; si perde la grazia senza pena e si vive nel peccato senza rimorso; se ne fa una beatitudine, un piacere, una gloria, spesso anche un interesse ed una legge (Bourd. Etat du péché et état de grâce).
ff. 12-14. – Questi sono dei peccatori ed hanno ammassato in questo mondo abbondanti ricchezze. Ed è a causa di questo che Dio non sa e che l’Altissimo è nell’ignoranza? Io servo Dio e non ottengo questi beni; essi non servono Dio ed ottengono beni in abbondanza, « … è dunque inutilmente che ho mantenuto il mio cuore nella giustizia, e che ho lavato le mani tra gli innocenti ». Tutto questo, io l’ho fatto inutilmente? Dov’è la ricompensa della mia vita onesta? Dov’è il prezzo della mia obbedienza verso Dio? Io vivo facendo il bene e manco di tutto, mentre l’ingiusto è nell’abbondanza. « E tutto il giorno sono stato flagellato ». i colpi di Dio non cessano di cadere su di me, io Lo servo bene e sono castigato; un altro non Lo serve affatto, ed è ricolmo di beni. Tale è la grande questione che ci si pone. La sua anima è agitata, la sua anima passa attraverso la prova che deve condurlo a disprezzare le cose terrene, ed a desiderare le cose eterne. L’anima passa in effetti su questo pensiero, ove essa fluttua come sballottata dalla tempesta nel momento stesso di entrare nel porto (S. Agost.). – Ne è come per i malati, che sono più abbattuti quando la guarigione è ancora lontana, e più agitati quando la salute sta per tornare.
ff. 15-17. – Io non so se in tutti i Salmi non vi sia niente di più toccante di questo pensiero. Se mi lamento della Provvidenza quando essa mi affligge, io sono perfido rispetto a tutta la Nazione dei figli di Dio. Ah – dice S. Agostino – spiegando questo passaggio, se io mormoro contro i flagelli con cui Dio mi batte, io non sarò più all’unisono con i Santi; io parlerei diversamente da come hanno fatto Abramo, Isacco, Giacobbe, e tutti i Profeti. Tutti questi Santi hanno proclamato con forza che c’è una Provvidenza, che Dio governa tutte le cose umane, che la volontà del Signore è la regola unica delle nostre azioni. Oserei allora parlare diversamente? Ho forse io più saggezza ed intelligenza di Dio? Nella nuova Legge, questo ragionamento è ancor più forte, perché il Figlio di Dio ha dato pure l’esempio di pazienza in mezzo a prove e tribolazioni, perché ha preferito questa via a quella degli onori, dei piaceri, delle ricchezze. Sarò dunque io in discordia con Lui? Riproverò forse questo grande modello di tutti i Santi? (Berthier). – Cercare di penetrare nella profondità di questo mistero della condotta di Dio sui giusti e sui malvagi, è gettarsi in un grande lavoro. La ragione umana vi trova un gran disordine, ma una fede attenta vi scopre un ordine grandissimo, perché vede tutto alla luce del grande giorno dell’eternità, ove tutte le cose saranno sbrigliate e regolate da una decisione definitiva ed irrevocabile. – Voi dite – è vero – che sia un gran lavoro sapere come possa succedere che i malvagi siano felici, mentre i buoni siano nella sofferenza … Questa questione si erge davanti come un muro; ma con il soccorso di Dio, voi attraverserete questo muro (Ps. XVII, 30); è un lavoro per voi, ma per Dio non è un lavoro. Ponetevi dunque alla presenza di Dio, davanti al Quale nulla è un lavoro, e non vi sarà più lavoro per voi … Questa difficoltà non durerà che fino a quando io non entrerò nel santuario di Dio. Quale risorsa troverete nel santuario di Dio, per risolvere questa questione? « Che abbia l’intelligenza delle cose ultime, non delle cose presenti ». Ora – egli dice – dal santuario di Dio, io getto gli occhi sulle cose ultime oltre ciò che è il presente. Tutto ciò che si chiama il genere umano, la massa intera di tutti gli uomini verrà davanti a Dio per essere esaminato, arriverà sulle bilance dell’eterna giustizia; là saranno pesate tutte le azioni degli uomini. Oggi, una nube circonda tutte le cose; ma i meriti di ciascuno sono conosciuti da Dio (S. Agost.).- Questo santuario di Dio, o questo mistero può essere chiarito: è Gesù-Cristo nel quale sono nascosti tutti i tesori della saggezza e della scienza di Dio (Coloss. II, 3), ciò che fa che l’Apostolo, in questo stesso ambito, solleciti i Colossesi affinché siano ripieni di tutte le ricchezze di una perfetta intelligenza, per conoscere i misteri di Dio Padre e di Gesù-Cristo. Questo santuario sono ancora le sante Scritture, nelle quali Dio ci parla come da un santuario, e che racchiudono i misteri di Gesù-Cristo e della sua Chiesa, e le ragioni della condotta della divina Provvidenza. È il santuario ove Dio, sotto l’antica legge, rendeva i suoi oracoli e che figurava l’augusto Santuario dei nostri templi, ove Gesù-Cristo non cessa di essere la luce che rischiara ogni anima cristiana che si avvicina a Lui per essere illuminata (Ps. XXXIII, 6). Questo Santuario sono ii misteriosi segreti della Provvidenza di Dio, nei quali entriamo mediante una meditazione profonda. Infine, questo Santuario è il cielo, ove allo splendore della luce divina, noi vedremo chiaramente le ragioni dei disegni segreti di Dio sui figli degli uomini durante la loro vita mortale sulla terra.
IV. —18-25.
ff. 18-19. – Il Profeta non dice: Voi li avete abbattuti, perché essi si erano elevati, ma voi li avete abbattuti nel momento stesso in cui essi sembravano elevarsi, perché elevarsi così, significa cadere; la loro elevazione è una rovina (S. Agost.). – Anche lo stesso Profeta dice allora. « … Essi svaniranno come il fumo ». È salendo nell’aria che una fumata svanisce, è ostentandosi che essa si dissipa: così è del peccatore che la fortuna favorisce, è una stessa causa che fa scoppiare e che annienta la sua grandezza (S. BERN., Colloq. Sim. cum Jesu.).- La prosperità dei malvagi è una trappola nella quale essi sono tutti presi. Questa prosperità è la più rigorosa delle pene con cui Dio possa colpirli, e ben lontano dal renderli felici, essa è per essi un inizio di supplizio. – Si, questa felicità dei figli del secolo, quando navigano nei piaceri illeciti, quando tutto loro arride, e tutto per loro ha successo, questa pace, questo riposo che noi ammiriamo, « che – secondo l’espressione del Profeta – fa uscire l’iniquità dal loro grasso », che li gonfia, che li inebria fino a far dimenticare loro la morte, è un supplizio, una vendetta che Dio comincia ad esercitare su di loro. Questa impunità, è una pena che li precipita nei sensi riprovati, che li libra ai desideri del loro cuore, ammassando così un tesoro di odio, in questo giorno di indignazione, di vendetta e di furore eterno. Non resta per noi che esclamare con l’incomparabile Agostino: « Non c’è nulla di più miserabile della felicità dei peccatori che conservano una impunità che sostituisce una pena e fortifica questo nemico domestico, « io voglio dire la volontà sregolata », contenente i suoi cattivi desideri (Bossuet, Sur la Providence). – Questa lunga sequela di prosperità, che costituisce ciò che gli uomini chiamano la felicità è, per una persona illuminata nelle cose spirituali, una rivelazione di Dio che deve portare il terrore in un cuore religioso; perché spesso ciò che appare agli occhi di un uomo, come la legittima conseguenza dei suoi sforzi e dei suoi talenti, non è che il prezzo esatto del suo valore morale, la ricompensa scrupolosamente misurata delle sue virtù naturali, delle sue buone qualità secondo il mondo. Dio non si serve, per punire, che delle forme più terribili di questa prosperità. Non sono queste parole una sentenza di riprovazione: « … Tu hai ricevuto la tua ricompensa »? Signore, esclama san Filippo, che io non riceva la mia ricompensa in questa vita! Pertanto, quando noi vediamo questi uomini riuscire in tutte le loro imprese e portarsi indifferenti, in materia di Religione, fino a non avere alcuna nozione di Dio, quante volte la sua voce è giunta alle loro orecchie quando solo loro potevano udirla! (FABER, Le S. Sacrement, Livre III, Section VII). – Questi pretesi felici del secolo sono nella più infima punizione che Dio possa far subire alla creatura umana, e se il cielo è ancora aperto sulle loro teste, poiché essi vivono, sotto i loro piedi non c’è però se non l’abisso eterno. Coloro che Dio tratta così, coloro che Lo hanno conosciuto, che Lo hanno dimenticato, e che non sentono alcun turbamento interiore nell’insolenza del loro oblio; coloro che Egli lascia dormire nel fango dell’orgoglio e del piacere; coloro che Egli lascia ridere, con la bocca piena delle ricompense abominevoli di satana, ed il cuore gioioso per il bottino che essi fanno per l’inferno, servendosi dei doni che hanno ricevuto dal cielo: … guai a loro! (L. V., Rome et Lor., t. II, 128).
ff. 20. – Come hanno cessato di essere? Come cessa il sogno di un uomo che si sveglia! Supponete un uomo che si veda in un sogno, che trovi dei tesori: egli è ricco, ma fino a quando si sveglia … egli cerca il suo tesoro e questo tesoro non c’è più: nelle sue mani non c’è niente, niente c’è sul suo letto. Egli si era addormentato povero, era diventato ricco nel sogno; se non si fosse svegliato sarebbe ancora ricco; ma si è svegliato, ed ha trovato la miseria che aveva lasciato nell’addormentarsi. Allo stesso modo, questi uomini troveranno la miseria che si sono preparati. Al risveglio che chiude questa vita, non resta niente di ciò che possedevano, come in un sogno. E per paura si obietta: Ma che! È dunque così poca cosa ai vostri occhi lo splendore della loro gloria? È così poca cosa la pompa che li circonda? Sono così poca cosa i loro titoli, le loro immagini, le loro statue, le lodi che ricevono e la falange dei loro clienti? « Signore – dice il Profeta – nella vostra città voi riducete la loro immagine a niente … ». Dunque non aspirate ai beni terreni voi che non li possedete, e voi che li possedete, non abbiate a presumerne. Voi non sarete condannati se possedete questi beni; ma sarete condannati se presumete di tali beni, se vi gonfiate per tali beni, se per tali beni voi pensate di essere grandi, se a causa di tali beni, non riconoscerete i poveri; se, nell’arroganza della vostra vanità, dimenticate la condizione comune degli uomini, perché alla fine dei tempi, Dio renderà inevitabilmente a ciascuno secondo le proprie opere e, nella sua città, renderà un niente l’immagine di questi orgogliosi (S. Agost.). – O vanità e grandezza umana, trionfo di un giorno, superbo niente, che sembri niente alla mia vista quando ti guardo da questa angolazione! Apriamo gli occhi a questa luce; lasciamo, lasciamo ruggire il mondo, e non gli invidiamo la sua prosperità. Essa passa, il mondo passa, essa fiorisce con qualche benessere nella confusione di questo secolo. Verrà poi il tempo del discernimento. « Voi la dissiperete Signore, come un sogno in coloro che si svegliano; e per confondere i vostri nemici, distruggerete la loro immagine nella vostra città ». Che vuol dire, … Voi distruggete la loro immagine? Vale a dire, distruggerete la loro felicità, che non è vera felicità, ma solo una fragile ombra di felicità; Voi la frantumerete come il vetro, e la frantumerete nella vostra città; vale a dire davanti ai vostri eletti, affinché l’arroganza dei figli degli uomini, resti eternamente confusa (Bossuet).
ff. 21-24. – « Il mio cuore è tutto infiammato ed i miei reni alterati ». Questo fuoco di cui il cuore del Profeta arde, è il fuoco dello Spirito Santo, che non gli permette di bruciare se non per le cose spirituali e divine. È soprattutto questo fuoco della carità di cui dice in un altro salmo: « … Ardeva il cuore nel mio petto, al ripensarci è divampato il fuoco » (Ps. XXXVIII, 4); questo fuoco è quello di cui divampava il profeta Geremia quando diceva: « Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo » (Gerem. XX, 9); questo fuoco, del quale i discepoli di Emmaus ardevano per i discorsi del Signore: « … non erano i nostri cuori ardenti quando ci parlava durante il cammino e ci spiegava le Scritture ?» (Luc. XXIV,32). « Le mie reni sono state cambiate », perché il mio cuore è stato infiammato dall’amore di Dio, le mie reni, cioè le mie passioni, sono cambiate, ed io sono diventato interamente puro (S. Agost.).- Un cuore infiammato di Dio, annientato in sé, che riconosce la propria ignoranza e che si umilia come un animale privo ragione, in presenza della luce sovrana, riconosce facilmente che Dio è onnipotente e che è giusto, che riserva per l’altra vita i beni che prepara a coloro che Gli sono fedeli, e che i suoi giudizi sono sempre santi benché siano spesso impenetrabili.- Colui che è sostenuto dalla mano di Dio, è imperturbabile tra gli avvenimenti di questa vita. – La pietà solida è esente dall’essere colpita da qualsiasi illusione e si lascia condurre alla volontà di Dio. Nessuna pace è comparabile a quella, poiché nulla arriva contro la volontà di colui che non ne ha altra se non quella di Dio; nessuno mezzo più sicuro c’è per essere ricevuto tra le braccia di Colui che si è interamente abbandonato, e per essere ricolmo delle vera gloria (Duguet). – Quale consolazione e qual soggetto di gioia per voi in qualunque stato vi troviate! Quando talvolta anche voi vi trovate in preghiera, con lo spirito pieno di mille fantasmi, senza alcuna tregua, non potendo assoggettare l’immaginazione, questa folle dell’anima, come la chiama Santa Teresa; altre volte, disseccati ed aridi, senza poter produrre un solo pensiero buono, come un tronco, come una bestia davanti a Dio: che importa? Non c’è allora che consentire ed aderire alla verità dell’essere di Dio. Consentire alla verità, questo solo atto è sufficiente. Aderire alla verità, acconsentire alla verità, è aderire a Dio, è mettere Dio in possesso del diritto che Egli ha su di noi (Bossuet, Opuscul., Disc, sur la mort).
ff. 25, 26. – L’amore di preferenza compara Dio con tutte le altre cose, come per provarle, convincersi delle menzogne, e la loro vanità gli ispira un disgusto profondo. Egli le calpesta e si leva sulle loro rovine per avvicinarsi a Dio. Il loro niente lo debilita, è da tutto disilluso; i beni terreni non possono più tenerlo lontano dal cielo; il distacco è la sua grazia caratteristica. Egli attraversa il mondo come la rondine sfiora l’erba della prateria, senza che nulla lo possa fermare. Così fa un giusto apprezzamento di Dio, mettendolo al di sopra di tutto ciò che esiste (Faber, Le Créateur et la créature, 181). – Cosa ho a che fare con tutti i tesori della terra? Essa è fredda come il marmo delle montagne. Cosa sono gli oceani con la pienezza delle loro acque? Il mio pensiero li oltrepassa. Cosa possono per me gli orizzonti dei cieli e l’armonia degli astri che vi dispiegano i loro movimenti? Le loro voci sono mute, e sono io che presto loro la vita. Cosa sono i pensieri dello spirito e le loro contemplazioni orgogliose? Il pensiero è vuoto, è vano, infeltrisce tutto ciò che tocca. Ciò che il mio cuore chiama, desidera, come l’abisso chiama un abisso, è Dio (Mgr Bauday. Coeur de Jésus, p. 89). – Cosa possono presentarmi, in effetti, e il cielo e la terra, che mi sia più caro del mio Dio, che sia caro come il mio Dio e che mi sia caro in qualche modo più del mio Dio, se non è il mio Dio stesso? (BOURD. Vraie et fausse piété.). – « O Dio del mio cuore, Voi siete mia eredità per l’eternità! », ebbene! Vediamo le nostre ricchezze, ed il genere umano scelga la sua eredità. Vediamo gli uomini lacerarsi per le loro diverse passioni; che scelgano, gli uni la guerra, gli altri la locanda, gli altri le dottrine varie e differenti, questi il commercio, quello l’agricoltura; si dividano i beni terreni, ma il popolo di Dio esclami: « … Il mio Dio è la mia parte! », Egli non è mia parte per un tempo, il mio Dio è mia parte per i secoli dei secoli » (S. Agost.). – « Voi siete il Dio del mio cuore ». Dio è il primo principe ed il motore universale di tutte le creature, è l’amore anche che fa mescolare tutte le inclinazioni e le pulsioni del cuore più segrete; è come il Dio del cuore. Ma alfine di impedire questa usurpazione, occorre che si sottometta lui stesso a Dio affinché il nostro grande Dio essendo Egli stesso il Dio del nostro amore, sia nello stesso tempo il Dio dei nostri cuori così che noi gli possiamo dire con Davide: «Voi siete il Dio del mio cuore e la mia parte per sempre » (Bossuet III, Serm. Pâque).
ff. 27. – Non è con il movimento del corpo che ci si allontani da Dio o che si torni a Dio, ma con le affezioni del cuore. – Prostituirsi alle creature, è preferire le creature a Dio. – Essendo Dio lo sposo vero delle nostre anime, è una specie di adulterio il suddividere il proprio cuore, che questo divino Sposo domanda per intero. « Anime adultere, dice san Giacomo, non sapete che l’amore per questo mondo è nemico di Dio? E chiunque vorrà essere amico di questo mondo, si rende nemico di Dio? (Giac. IV, 4). – « Il mio bene è attaccarmi a Dio ». Un trono è caduco, la grandezza svanisce, la gloria non è che una fumata, la vita non è un sogno, il mio bene è avere il mio Dio, è tenermi legato … io non vedo che Voi, mio Dio, mia parte, mia parte eternamente; nel cielo e in terra, io non vedo che Voi. Tutto ciò che non sia eterno, fosse pure una corona, non è degno della vostra liberalità né del vostro coraggio … Io non vedo che Voi sulla terra, e non vedo che Voi medesimo nel cielo; e se non siete Voi stesso il dono prezioso che ci fate, tutto ciò che Voi ci date allora in tanta profusione, non mi sarebbe nulla (Bossuet. IV, Serm. Pâque.).