DOMENICA XXIV DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XXIV DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ier XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.
[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob.
[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, tuórum fidélium voluntátes: ut, divíni óperis fructum propénsius exsequéntes; pietátis tuæ remédia maióra percípiant.
[Eccita, o Signore, Te ne preghiamo, la volontà dei tuoi fedeli: affinché dedicandosi con maggiore ardore a far fruttare l’opera divina, partécipino maggiormente dei rimedi della tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 9-14
“Fratres: Non cessámus pro vobis orántes et postulántes, ut impleámini agnitióne voluntátis Dei, in omni sapiéntia et intelléctu spiritáli: ut ambulétis digne Deo per ómnia placéntes: in omni ópere bono fructificántes, et crescéntes in scientia Dei: in omni virtúte confortáti secúndum poténtiam claritátis eius in omni patiéntia, et longanimitáte cum gáudio, grátias agentes Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem eius, remissiónem peccatórum”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

L’ISTRUZIONE RELIGIOSA

“Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché camminiate in maniera degna di Dio; sì da piacergli in tutto; producendo frutti in ogni sorta di opere buone, e progredendo nella cognizione di Dio; corroborati dalla gloriosa potenza di lui in ogni specie di fortezza ad essere in tutto pazienti e longanimi con letizia, ringraziando Dio Padre che i ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre; e trasportandoci nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col. 1, 9-14).

L’Epistola è tratta dal principio della lettera ai Colossesi. Dopo il saluto, le congratulazioni, il ringraziamento a Dio per la fede e la pietà che regna tra i Colossesi, assicura — come vediamo dal brano riportato — che prega il Signore che dia loro una conoscenza perfetta della volontà di Dio, così che possano piacergli, mediante i frutti delle buone opere; e che queste opere progrediscano sempre più, per mezzo di una cognizione sempre maggiore delle cose celesti. Prega pure che dia loro la forza di sopportare con letizia le prove immancabili a chi vive cristianamente; e che siano fedeli nel ringraziare Dio Padre, il quale li ha resi degni di partecipare al consorzio dei santi, cioè dei fedeli; li ha strappati alla schiavitù del demonio e delle sue opere tenebrose per metterli sotto il regno del suo Figlio, nostro Redentore. Quest’epistola ci apre la via a parlare dell’istruzione religiosa.

1. Al Cristiano è indispensabile l’istruzione religiosa,

2. Che gli servirà di guida nella vita,

3. E lo renderà costante contro i falsi insegnamenti e le storte teorie.

1.

Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale. L’Apostolo, dicendo ai Colossesi che egli domanda che, per mezzo di quella scienza e sapienza che non viene dagli uomini, ma dallo Spirito Santo, imparino sempre più ciò che Dio vuole da loro; viene bellamente a inculcare il dovere che essi hanno di avanzare sempre più nella cognizione delle verità essenziali del Cristianesimo. È una raccomandazione che S. Paolo fa parecchie volte, e che è di grande importanza per i Cristiani di tutti i tempi, perché pare che in tutti i tempi si dia molto più importanza all’istruzione profana che all’istruzione religiosa. Non parliamo, poi, dei tempi nostri. Noi sentiamo dei fanciulli, con il sussiego di chi la sa lunga in materia, narrare le avventure delle pagine illustrate delle riviste settimanali. Se li interrogate, non sanno ripetere un sol fatto della Storia Sacra. I giovinetti danno l’assalto alle edicole, ai giornalai che escono dalle stazioni per aver notizia delle vicende dei giocatori.Vi sanno dire chi è riuscito primo nel pugilato, nella gara podistica; chi primo nella corsa delle biciclette, delle automobili, ecc. Vi dicono il nome, la paternità, la patria del campione nazionale, del campione europeo, del campione del mondo; ma non vi sanno fare il nome di un campione del Cristianesimo.Gli adulti la sanno forse più lunga in fatto di religione? Se provaste a interrogarli resterete meravigliati della loro ignoranza. Non dissimili dagli uomini sono spesso le donne; e non dissimile dall’operaio e dal contadino è il ricco, la persona colta. Sarebbe già molto, per una buona parte, se arrivassero a far bene il segno della croce. E questa ignoranza è assolutamente inammissibile in un Cristiano. «E’ un errore non conoscere Dio come si conviene» (S. Giov. Crisost. In Ep. ad Col. Hom, 1). L’uomo è figlio di Dio: deve, per conseguenza, conoscere questo Dio, che lo ha creato, che lo governa, che è il suo ultimo fine; conoscere la sua natura, i suoi attributi, per quanto è possibile a persona pellegrina su questa terra: sapere qual è il premio per quelli che lo servono; qual è il castigo per coloro che si ribellano al suo volere. – Dio nella sua bontà infinita ha voluto risollevare l’uomo dalla sua miseria per mezzo della redenzione. È interesse dell’uomo redento, del Cristiano, è suo obbligo istruirsi in questo mistero: conoscere la Persona di Gesù Cristo, quanto ha fatto per noi, il merito della sua opera, la dottrina che Egli ha insegnato, e che le turbe del suo tempo ascoltavano con tanta brama da dimenticare casa, occupazioni e perfino il nutrimento. È interesse e obbligo del Cristiano conoscere chi è la depositaria della sua dottrina, la Chiesa; conoscere gli aiuti che ci ha dato, i Sacramenti. Si tratta d’una istruzione che interessa il Cristiano direttamente, in modo particolare. Si tratta, poi, d’un interesse che non si limita ai quattro giorni che passiamo sulla terra, ma che varca i confini della vita e dura per tutta l’eternità.

2.

S. Paolo desidera che i Colossesi abbiano una piena conoscenza della volontà del Signore affinché si diportino  in maniera degna di Dio, sì da piacergli in tutto. Cioè, conducano una vita in tutto degna di un vero Cristiano. Una vita simile non può prender norma che dalla dottrina della Chiesa. – Nella dottrina della Chiesa si trovano i rimedi adatti a tutte le infermità dell’umana natura, e la difesa contro i pericoli e le illusioni che l’accompagnano. In questa dottrina si trovano gli insegnamenti opportuni per qualunque circostanza della vita. Essa contiene insegnamenti per la vita individuale e per la vita sociale: indica i diritti nella loro giusta misura, e inculca i corrispondenti doveri. – Tolti gli insegnamenti della Religione, ben poca efficacia hanno gli altri mezzi sulla condotta dell’uomo e sull’andamento morale della società. Il ven. Antonio Chevrier era stato arrestato da due guardie urbane di Lione, che l’avevano trovato a questuare alla porta di una chiesa. Condotto dal Commissario, risponde ai rimproveri facendo osservare che egli fa la questua pel mantenimento e l’educazione di una sessantina di ragazzi vagabondi, parecchi dei quali erano certamente passati nell’ufficio del commissario, prima di andare da lui. Quando il commissario sa con chi tratta, non può trattenere la commozione, e due lacrime spuntano sopra i suoi occhi. Poi riprende: «Ah! Padre, continui la sua opera di rigenerazione ben più utile di tutte le nostre case di reclusione; continui a chieder l’elemosina per i suoi ragazzi, non avrà più noie; io stesso voglio partecipare alla sua opera» (Villefranche. Vita del Ven. Servo di Dio Padre Antonio Chevrier. Versione di Alfonso Codaghengo. Roma – Torino. 1924). Possiam poi, osservare che la sanzione delle leggi umane, già poco efficace per sé, è relativamente rara. Le leggi umane sono di quelle reti da cui si può sfuggire con tutta facilità. Si possono trasgredire in modo da far quanto la legge proibisce, senza incorrere nella sanzione. Fatta la legge, trovato l’inganno. Se la legge non è scritta nel cuore, fa ben poco. Le cattive inclinazioni hanno origine dal cuore: nel cuore deve stare il loro correttivo. «Serbo nel cuore i tuoi detti per non peccare contro di te», dice il Salmista; ma è impossibile che la legge sia scolpita nel cuore, se non la si considera come ricevuta da Dio. – Ci sono inoltre tante azioni, che la legge umana non considera perché interne, come l’odio, i desideri malvagi, ecc.; ma che non cessano per questo di essere condannabili, e che sono, difatti, severamente condannate dalla dottrina della Chiesa. – Non si può negar l’efficacia dell’insegnamento della Chiesa dal fatto che alcuni anche fortemente istruiti nella Religione, conducano una vita riprovevole. La dottrina religiosa da essi imparata è la loro più severa condanna: Essa li richiama, continuamente alla riforma della propria condotta, che, con l’aiuto della grazia di Dio, può sempre compiersi. A ogni modo è sempre un freno potentissimo con la minaccia dei castighi eterni, riservati a coloro che si ostinano nel male… E coloro che se ne scandalizzano, al punto di voler negare l’efficacia dell’istruzione religiosa, sono forse migliori? – Del resto, si dia uno sguardo alla storia. Si vedrà che la dottrina della Chiesa, alla corrotta vita pagana, ha sostituito una vita di grande dignità e di santità. Si vedrà che quando le popolazioni si avvicinano ai principi del Vangelo sono civili; quando se ne allontanano diventano barbare.

3.

L’Apostolo augura ai Colossesi che vadano progredendo nella cognizione di Dio, cioè nello studio delle verità cristiane. Come grande è, dunque, l’errore di coloro che, studiati i primi elementi della dottrina cristiana da fanciulli al catechismo parrocchiale o alla scuola, non se ne curano più nel restante della vita. Il condurre una vita veramente cristiana non è cosa da animi deboli. Si richiede grande costanza contro ogni genere di contrarietà. Cresciuto il fanciullo negli anni, da chi imparerà il modo di resistere alle passioni? Che cosa lo terrà saldo contro la corrente dei cattivi costumi e delle massime perverse? L’ideale! si dirà. Ma quale? Noi vediamo che sono tanti ideali quante sono le scuole, quanti sono i partiti, quanti sono i gusti. E ciascuno si sceglie l’ideale che accontenta maggiormente le passioni, che cominciano a dominarlo.Sta bene che al catechismo dei fanciulli abbiamo imparato i primi elementi della dottrina; abbiamo imparato per qual fine Dio ci ha creati ecc.; ma, cresciuti in età, dobbiamo approfondire le nostre cognizioni mano mano che ci troviamo davanti circostanze che richiedono da noi la manifestazione di principi solidi. Col crescere degli anni si allarga anche il campo dei nostri doveri; dobbiamo quindi cercare di averne una più larga e profonda cognizione. «Che giova — dice S. Bernardo — saper dove sia da andare, se non sai la via per la quale hai da andare?» (S. Bernardo in fest. Asc. Serm. 4, 9).Quando si è uomini maturi, si dice, non c’è più bisogno di guida. Il buon senso e la ragione insegnano quel che c’è da fare. Peccato, che la storia ci dimostri il rovescio. Essa ci dimostra che, quanto alla verità, non c’è assurdo che non sia stato insegnato da qualche filosofo; e che intorno ai doveri degli uomini i sapienti del mondo non hanno mai potuto stabilire un sicuro codice di morale.In pratica, poi, la norma più comune è la pubblica opinione. Questa è né più né meno che una moda qualunque. La moda va e viene: peggio ancora, va da un estremo all’altro. Così, la pubblica opinione oggi condanna ciò che ieri era lecito; con la più grande facilità oggi pone uno sull’altare, domani lo getta nel fango. La, sua regola è il tornaconto del momento. Precisamente opposto è l’insegnamento della Chiesa, il cui linguaggio è « sì, sì; no, no », (Matth. V, 37) e non si adatta mai alle circostanze. La dottrina che essa insegna è la stessa che fu insegnata da Gesù Cristo, che fu bandita dagli Apostoli e dai loro successori e, attraverso a persecuzioni e lotte, arrivò fino a noi senza mutamenti. A questa dottrina deve attenersi chi, nel mar tempestoso della vita, vuol rimaner fermo come uno scoglio che non è smosso dalle opposte correnti. – «Alcune cose si apprendono per averne la cognizione solamente, altre, invece, per metterle anche in pratica », osserva S. Agostino (In Ps. CXVIII En. 17, 3). Perciò il Salmista si rivolge a Dio con quella preghiera: «Insegnami a fare la tua volontà» (Ps. CXLII). Sull’esempio del Salmista rivolgiamoci noi pure a Dio pregando, che ci aiuti a conoscere ciò che dobbiam credere, e ci aiuti a conoscere ciò dobbiamo fare, rendendocene soave l’adempimento.

 Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti. [
Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]
V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sæcula.
[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno.]

Alleluja

Allelúia, allelúia.
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúia.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia  ⊕ sancti Evangélii secúndum S.  Matthǽum.

Matt XXIV: 15-35

“In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur – si fíeri potest – étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.”

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE LII.

“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Quando adunque vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non scenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste. Ma guai alle donne gravide, o che avranno bambini al petto in que’ giorni. Pregate perciò, che non abbiate a fuggire di verno, o in giorno di sabato. Imperocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino a quest’oggi, ne mai sarà. E se non fossero accorciati quei giorni non sarebbe uomo restato salvo; ma saranno accorciati quei giorni in grazia degli eletti. Allora se alcuno vi dirà: Ecco qui, o ecco là il Cristo; non date retta. Imperocché usciranno fuori dei falsi cristi e dei falsi profeti, e faranno miracoli grandi, e prodigi, da fare che siano ingannati (se è possibile) gli stessi eletti. Ecco che io ve l’ho predetto. Se adunque vi diranno: Ecco che egli è nel deserto; non vogliate muovervi: eccolo in fondo della casa; non date retta. Imperocché siccome il lampo si parte dall’oriente, e si fa vedere fino all’occidente; così la venuta del Figliuolo dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, quivi si raduneranno le aquile. Immediatamente poi dopo la tribolazione di quei giorni si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e cadranno dal cielo le stelle, e le potestà dei cieli saranno sommosse. Allora il segno del Figliuolo dell’uomo comparirà nel cielo; e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il figliuol dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con potestà e maestà grande. E manderà i suoi Angeli, i quali con tromba e voce sonora raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità  de’ cieli all’altra. Dalla pianta del fico imparate questa similitudine. Quando il ramo di essa intenerisce, e spuntano le foglie, voi sapete che l’estate è vicina: così ancora quando voi vedrete tutte questo cose, sappiate che egli è vicino alla porta. In verità vi dico, non passerà questa generazione, che adempite non siano tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno” (Matth. XXIV, 15-35).

Era il martedì della settimana, in cui Gesù Cristo sarebbe morto sulla croce per la nostra salute. E fu in sulla sera di quel giorno, così vicino al gran sacrifizio, che il divin Redentore disse in pubblico ed all’aperto le supreme sue parole. Gli ultimi raggi del sole morente facevano ancor scintillare le lamine d’oro del tempio di Gerusalemme. E Gesù, assiso sulla vetta del monte degli Ulivi, teneva rivolti gli occhi sull’infelice città. Egli la guardava pensieroso. Anche gli Apostoli che gli stavano d’intorno tacevano, riflettendo a quello che Gesù Cristo, pochi momenti innanzi, aveva detto nell’uscire dal tempio: « Voi vedete questi grandi edifizi? Non rimarrà pietra sopra pietra, che non sia scompaginata. » Ma alla fine taluni di essi, fattisi coraggio, gli mossero la domanda, che teneva tutti agitati: « Maestro, di’ a noi, quando succederanno queste cose? e quale è il segno della tua venuta e della fine del mondo? » A queste domande il divin Redentore con un’aria di solenne mestizia prese a rispondere, narrando profeticamente tutto ciò che sarebbe avvenuto riguardo alla rovina di Gerusalemme e riguardo alla fine del mondo. Ed è la massima parte di questa grande risposta, che la Chiesa ci fa leggere e ci invita a considerare nel Vangelo di questa Domenica, l’ultima dell’anno ecclesiastico. E noi, per amore di brevità, lasciando da parto tutto ciò, che Gesù Cristo in questa risposta disse riguardo alla fine del mondo, ci contenteremo di riflettere sopra di ciò che disse riguardo alla rovina di Gerusalemme.

1. In quel tempo, adunque, Gesù disse ai suoi discepoli: Quando vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea, fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non discenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste ». Ed anzitutto che cosa è questa abbominazione predetta dal profeta e ricordata dal divin Redentore? Alcuni la intendono per quell’idolo, che fu collocato sulle rovine del tempio dopo la distruzione della città; altri invece, forse più esattamente, vogliono che si tratti di ciò che avvenne tre anni prima, quando una turba di scellerati, detti gli Zelanti, entrò armata mano nel tempio, e per tre anni e mezzo continui vi dimorò, come in un baluardo, profanandolo con ogni sorta di scelleraggini ed uscendo dì e notte a commettere rapine e stragi nella città. Comunque sia la cosa, ecco in ogni caso l’immagine di quella abbominazione, che avviene in un’anima a cagione del peccato. Imperocché anche l’anima nostra è un tempio. Ce lo dice più volte l’Apostolo Paolo: Non sapete voi che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio è in voi? E questo tempio di Dio, che siete voi, è santo (1 Cor. III, 16, 17). Ora che cosa fa colui che commette il peccato! Egli mostrando col fatto di stimare più di Dio e della sua santa grazia un piacere da bestia, una vergognosissima soddisfazione, un pugno di roba di malo acquisto, una vendetta, uno sfogo brutale, un miserabile guadagno, un compagno cattivo e traditore, un poco di vino ed altre simili cose vilissime, dice: Parta dal tempio dell’anima mia Iddio e si prenda quella roba, quella vendetta, quello sfogo; vada Iddio, e venga il compagno, l’amico, il piacere; vada Iddio, vada la sua grazia, vada il suo amore, la sua gloria, il suo dominio, il suo paradiso, vada tutto, e venga la passione, il peccato. E così butta giù dall’altare del suo cuore Iddio, per sostituirvi in sua vece un idolo vile ed infame, qual è il piacere, l’interesse, la passione che si vuole sfogare; e questo idolo adora invece di Dio. Egli caccia dal tempio dell’anima sua Iddio per introdurvi coi peccati dei scellerati masnadieri, che profanano e deturpano quanto in esso vi ha di buono e santo. Che esecrabile delitto! – Eppure questo non è che una parte dell’orribile abbominazione. Quando noi pecchiamo grandemente non solo preferiamo a Dio le cose più vili e spregevoli, ma preferiamo a Lui lo stesso demonio. Poiché non è egli vero che offendendo Iddio noi serviamo il demonio, ubbidiamo alle sue istigazioni, soddisfaciamo i suoi desideri malvagi, lo scegliamo per nostro padrone ed eleggiamo di essere suoi schiavi? Egli è indubitato che consentendo al peccato, consentiamo insieme a tutto questo. Sì, se resistiamo alla passione, ci manteniamo fedeli a Dio nostro Sovrano Padrone, nostro caro Padre, nostro Benefattore supremo, che si compiace del nostro operare; se invece cediamo alla passione e commettiamo il peccato, ci mettiamo volontariamente nelle mani del diavolo, e lui prendiamo per padrone nostro, e con ciò dichiariamo e protestiamo che è meglio appartenere al demonio, che a Dio. Epperciò come allorquando il Sacerdote battezza un bambino, intima al demonio che si parta dall’anima di lui; chi pecca invece dice a Dio: Esci da me, Signore, dà luogo al demonio, che voglio collocare nel tempio dell’anima mia, siccome colui che voglio riverire, servire amare, adorare in vece tua. Non è così adunque, che il peccato è veramente l’abbominazione più orrenda, che mai si possa effettuare in un’anima? – E per evitare tale abbominazione del peccato che cosa dobbiamo fare? Ciò che raccomanda il Salvatore per non essere sepolti sotto le rovine di Gerusalemme. « Allora coloro che si troveranno nella Giudea, fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non discenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste ». Queste parole in sostanza non vogliono dir altro se non: fuggite… fuggite prontamente… fuggite per non tornare addietro. Quando trattasi del peccato, e soprattutto del peccato contro alla bella virtù, la Sacra Scrittura ci raccomanda sempre la fuga. Fuggite di mezzo a Babilonia, e pensi ciascuno a salvar l’anima sua; fuggite il peccato come fuggireste alla vista di un serpente. Sovente il demonio sen viene a voi e con perfide carezze v’invita al piacere, oppure vi manda vicino i cattivi compagni, i seguaci del mondo, e questi tutto porranno in opera per trascinarvi nelle regioni del male. Deh! fuggite, fuggite ai monti. Innalzatevi fino a Dio coi pensieri della mente e con la preghiera del cuore. Di là solamente può giungervi soccorso. Era questa la speranza del santo re Davide: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi (Ps. CXX). Inoltre fuggite prontamente, senza porger orecchio un istante alle tentazioni; un momento di ritardo è bastante per farvi cadere. Quando gli Angeli, che il Signore aveva spediti a Lot, videro ch’ei differiva ad uscir di Sodoma, lo presero per mano, dice la Scrittura: e fattolo uscir dalla sua casa, lo condussero fuori dalla città. Senza questa premura, Lot era perduto, e periva con tutti gli abitanti di Sodoma divorati dal fuoco del cielo. E così voi, o miei cari, vi esporreste a questa sciagura, se non aveste cura di rapidamente allontanarvi dalla tentazione. Nessuna considerazione deve rallentare la vostra fuga, perciocché qui si tratta della vostra eterna salute. Fuggite, fuggite adunque il peccato, senza farvi più mai ritorno; ed allora il tempio dell’anima vostra non solo conserverà la sua bellezza, ma l’andrà accrescendo mirabilmente di giorno in giorno.

2. Continuava poi il divin Redentore, dicendo: Guai alle donne che avranno bambini in quei giorni Imperciocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo fino a quest’oggi, né sarà mai. Con queste poche parole, Gesù Cristo prediceva le orrende sciagure, che avrebbero accompagnato la rovina di Gerusalemme. Ma se terribili erano queste predizioni, fu ancor più terribile l’avveramento delle medesime. Iddio per altro, che è bontà infinita, prima di dar compimento a quanto era stato predetto dal suo divin Figliuolo, volle ancora ammonire gli Ebrei con parecchi segni precursori. È tradizione costante, certificata dal Talmud, libro storico de’ Giudei, (contenente però molte superstizioni e falsità), e confermata dai Rabbini, come 40 anni prima della rovina di Gerusalemme, che coincide col tempo della morte di Gesù Cristo, si vedevano di continuo nel tempio cose strane. Il giorno di pentecoste quivi fu udita una voce, che disse: Usciamo, usciamo di qui! E si tenne che fossero gli Angeli protettori del tempio, che se ne partivano, perché Iddio l’aveva già riprovato. – Quattro anni poi innanzi all’eccidio di Gerusalemme, gli Ebrei ne ebbero dei segni manifestissimi, come ci narra lo stesso storico ebreo, Giuseppe Flavio, testimonio di veduta. Un uomo chiamato Anano venne dalla campagna, ed entrato in città non rifiniva di gridare: Guai al tempio, guai a Gerusalemme; voce dall’Oriente, voce dell’Occidente, voce dai quattro venti; guai al tempio, guai a Gerusalemme. Egli fu preso, messo in prigione, battuto severamente; ma non si tenne mai dal ripetere i medesimi lamenti sui bastioni, nella città per tre anni, dopo cui esclamando: Guai a me stesso, venne colpito da una pietra sul capo e morì. Una notte apparve intorno al tempio e all’altare una luce sì viva, che risplendette per mezz’ora come di mezzogiorno. Una porta del tempio di bronzo e di peso così enorme, che ci volevano 20 uomini per chiuderla, si aperse da per se stessa. Alcuni giorni dopo in tutti i paesi vicino a Gerusalemme, si vedevano in aria eserciti schierati, i quali la cingevano di assedio. Apparve una cometa che vomitava fiamme a guisa di fulmini, e una stella in forma di spada stette sospesa un anno con la punta rivolta a Gerusalemme. Tali furono i segni prodigiosi, che notte e dì, annunziavano a questo popolo l’imminente sua rovina, e chiamavanlo a penitenza. Eppure a tanti segni non mai veduti, gli Ebrei erano bensì atterriti, ma niuno pensava ad invocare la provvidenza del Signore. Intanto videro circondarsi la città da un esercito romano, prima guidato da un celebre guerriero di nome Vespasiano, e poi da suo figliuolo per nome Tito. Costoro senza saperlo, fatti strumenti dell’ira divina, cooperarono ad avverare quanto era scritto nel Vangelo riguardo allo sterminio degli Ebrei. Formato dapprima un assedio, a due miglia dalla città, ne chiusero tutte le uscite. Avvenne questo circa le solennità pasquali, in cui grande moltitudine di Giudei restando chiusi nella città, la scarsezza dei cibi si fece tosto terribilmente sentire. Gli abitanti furono ridotti a mangiare qualunque sorta di alimenti, anzi l’un l’altro strappavansi di mano le cose più schifose a fine di acquietare la rabbiosa fame. Per avere una qualche idea degli eccessi, cui furono dalla miseria condotti gli Ebrei, basti sapere quello di una madre. Stretta essa dalla fame ruppe i vincoli del sangue, calpestò i diritti della natura e, fissando gli occhi sopra un innocente fanciullo: « Sventurato, gli disse, a che ti serbo? … a soffrire mille orrori prima di spirare o per colmo di sventura a soffrire un’indegna schiavitù ». Così dicendo lo impugna, lo scanna, lo arrostisce, ne mangia la metà e nasconde il resto. Fatto orrendo, al quale quelli stessi che videro, a grande pena potevano credere! Ed ecco perché Gesù Cristo aveva detto: Guai alle madri, che in quei giorni avranno bambini! – Intanto Tito, che già si era fatto padrone di una parte della città, diede l’assalto al tempio e vi appiccò il fuoco alle porte, ordinando per altro di conservare il corpo dell’edifizio. Ma un soldato romano, preso un tizzone ardente, lo gettò nella parte interiore del tempio. Il fuoco si dilatò e, a dispetto degli sforzi di Tito per arrestare l’incendio, tutto il tempio fa consumato dalle fiamme. I Romani poi trucidarono quanti caddero nelle loro mani, e misero tutto a sangue e fuoco. – E così avveraronsi le sciagure predette dal divin Salvatore a Gerusalemme. Lo stesso Tito confessò che il buon successo dell’impresa non era opera sua, e che egli era stato strumento dell’ira divina. Nell’eccidio di Gerusalemme perirono un milione e cento mila abitanti. Il resto degli Ebrei fu disperso per tutto il mondo, condannato da Dio di andare qua e là errante, senza principe, senza altare e senza sacrifizio, in mezzo a nazioni straniere sino al finire dei secoli, nel qual tempo egli aprirà gli occhi, e riconoscerà il suo Dio in Colui che ebbe crocifisso. Ed ecco, per divino proposito, entrati i gentili in luogo degli Ebrei a formare la società cristiana, che sussisterà sino alla fine del mondo. È stata adunque terribile la desolazione inflitta a Gerusalemme, che non volle conoscere il tempo della visita del Signore e che mise in croce Gesù Cristo. Ma non dimentichiamo che assai più terribile sarà la desolazione di coloro, che per avere disprezzata la grazia di Dio e col peccato, di nuovo crocifisso Gesù Cristo in loro stessi, saranno condannati all’eterna dannazione. Il castigo adunque di quella sciagurata città parli efficacemente al nostro cuore e ci induca a profittare per tempo della bontà e della misericordia di Dio a nostro riguardo.

3. Soggiungeva poi ancora nostro Signor Gesù Cristo: E se non fossero accorciati quei giorni, non resterebbe salvo alcuno; ma saranno accorciati in grazia degli eletti. Anche queste parole ebbero il loro perfetto avveramento. Perciocché i Giudei rinchiusi in Gerusalemme, erano trattati più crudelmente dalla loro gente, che dai nemici. Quelli che comandavano nella città si diportavano in guisa che, come dice Giuseppe Flavio, pareva quasi rimproverassero a Dio il ritardo del meritato castigo; e se i Romani avessero voluto starsene tranquilli spettatori delle violenze e delle stragi, che dentro si commettevano, la città e la nazione si distruggeva e si annichiliva da sé medesima. Ma Iddio, tra tanti perversi si era serbato un numero di anime, che o già credevano in Cristo, o le quali Egli voleva condurre alla fede, e per amor di queste fece accelerare, e stringer l’assedio per sottrarle alla morte, da cui non si sarebbero salvate, se avessero continuato a dominare i tiranni, i quali sempre in discordia tra loro, in questo solo andavano uniti: di ammazzare quanti erano degni di scampo e bramosi di pace. – Questa predizione pertanto ed il suo avveramento ci insegna due cose importantissime: la prima è che Iddio nel castigare gli uomini in genere a cagione dei loro peccati, esercita pur sempre la sua misericordia per riguardo ai giusti che vi sono pur sempre nel mondo. Iddio ci aveva già manifestata questa sua condotta, quando ad Abramo aveva detto che sarebbe stato pronto a perdonare a Sodoma ed a Gomorra, se in esse vi fossero stati anche solo dieci giusti. Ed anche presentemente egli agisce così con noi: Vi sono anche oggi città malvagie come Gerusalemme, come Sodoma e Gomorra. E Dio di tratto in tratto fa balenare un raggio della sua giustizia, e manda guerre, terremoti, colera, pesti, inondazioni, disastri, rovine. Tuttavia i castighi non sono quasi mai generali. La misericordia di Dio splende sempre più che la sua giustizia, perché vi sono ancora delle anime giuste; che sospirano, che pregano, che fanno del bene e placano per tal modo la collera di Dio. – E ciò che accade nelle nazioni e nelle città, è ciò che accade nel seno delle famiglie. Quell’uomo è da dieci, venti, trent’anni che più non dischiude il suo labbro alla preghiera, che più non prende la Pasqua, che più non rende a Dio alcun omaggio di sorta. E Dio n’è stomacato. Dio vorrebbe farla finita con lui: toglierlo di vita e precipitarlo nel baratro infernale. Ma quell’uomo ha una moglie santa, qualche buon figliuolo che prega per lui, ed essi con la loro virtù, commuovono il Cuore di Dio e lo inducono a misericordia con quell’uomo traviato. Quel giovane ha scosso il giogo soave di Cristo, si è allontanato da Lui per correre senza freno le vie del più schifoso piacere. Il puzzo de’ suoi peccati sale al trono di Dio e Dio ha già armato la sua destra per colpirlo. Ma quel giovine ha un’ottima madre, una madre che prega, che fa il bene, che si strugge in lagrime per il suo pervertimento, e Dio per riguardo a questa santa donna si placa, e Dio risparmia il figlio cattivo. Ecco che cosa fanno i giusti, gli eletti, a pro dei malvagi; riescono ad abbreviare, a mitigare, e a frastornare ben anche i castighi del Signore. In secondo luogo la predizione fatta da Gesù nel Vangelo ed il suo avveramento ci ammaestra che Dio si piglia sempre gran cura degli eletti ed usa ai medesimi i più grandi riguardi; massime nei pericoli a cui vanno incontro. Il che deve tornare di grande stimolo ad operare il bene ed a metterci per tal guisa nel numero degli eletti. Imperciocché è certo che Iddio è fedele, come dice S. Paolo, e non permetterà che noi, come giusti, siamo tentati oltre alle nostre forze; che anzi, come ci assicura S. Girolamo, avrà riguardo alla nostra debolezza e quando vi sarà a temere che la nostra virtù abbia a soccombere, ne abbrevierà il pericolo, la tentazione e noi ne andremo salvi. – Coraggio adunque, o cari giovani e cari Cristiani, diamoci alla sequela di Gesù Cristo, abborriamo dal partecipare ai disordini, ed ai peccati degli uomini del mondo, non preoccupiamoci che di mantener ferma la nostra fede ed inviolata la nostra virtù anche in mezzo agli scandali così gravi che regnano sulla terra; ed allora possiamo ritenere per certo, che Iddio terrà rivolto lo sguardo pietoso verso di noi, ci scamperà con la sua possente protezione dai pericoli di quaggiù e ci condurrà in salvo per sempre nella beata eternità del Paradiso.

 Credo …

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Offertorium

Orémus
Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Propítius esto, Dómine, supplicatiónibus nostris: et, pópuli tui oblatiónibus precibúsque suscéptis, ómnium nostrum ad te corda convérte; ut, a terrenis cupiditátibus liberáti, ad cœléstia desidéria transeámus. [Sii propizio, o Signore, alle nostre súppliche e, ricevute le offerte e le preghiere del tuo popolo, converti a Te i cuori di noi tutti, affinché, liberati dalle brame terrene, ci rivolgiamo ai desiderii celesti.]

Comunione spirituale https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Marc XI: 24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.
[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato].

Postcommunio

Orémus.
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine: ut per hæc sacraménta quæ súmpsimus, quidquid in nostra mente vitiósum est, ipsorum medicatiónis dono curétur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore: che quanto di vizioso è nell’ànima nostra sia curato dalla virtú medicinale di questi sacramenti che abbiamo assunto.]

Preghiere leonine https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CAPITOLO X

SECONDA CAUTELA PER NON PERDER LA S. FEDE: BANDIRE LA SUPERBIA

Come è nato il Protestantismo? Come tutte le altre eresie, da un grand’atto di superbia. Mentre tutta la S. Chiesa Cattolica credeva ad un modo, ad un modo intendeva la Religione, e convenivano in questo modo di credere e di intenderla cento e cento generazioni coi loro Vescovi, Prelati, Pontefici, Dottori e Santi; sorge tutt’improvviso un uomo e dice: Olà fermatevi tutti, tutti ascoltatemi: io vi fo sapere che voi tutti siete in errore, che non intendete niente della santa Fede, che non capite le Sante Scritture, che non conoscete quel che vi fate: io, io solo ho tutto capito, tutto conosciuto, io sono il maestro di tutti i maestri, io sono il dottore di tutti i dottori, nessuno mi giudichi, ma tutti mi obbediscano, e quello solo che io insegno, che io propongo, si dovrà d’ora innanzi tenere come verità. Con quest’atto diabolico incominciano tutte le eresie; e con quest’atto chiaro, espresso, formale incominciò nella persona di Lutero il Protestantismo. Miei cari, può trovarsi un atto di superbia più diabolica? – Ora com’è nato dalla superbia il Protestantismo, così con la superbia si è poi sempre mantenuto. E si vede chiaro da ciò che come Lutero per superbia si ribellò alla S. Chiesa, così i Protestanti suoi seguaci per superbia si ribellarono a lui. I susseguenti fecero lo stesso verso i loro maggiori e così di mano in mano fino a noi, i quali siam testimoni che al dì d’oggi avendo sempre lo stesso spirito, mai non finiscono gli uni di ribellarsi agli altri con nuovi scismi e divisioni. Ciò presupposto che è innegabile, qual sarà la cautela necessaria per non cadere nell’abisso in cui essi sono? Prendere uno spirito tutto contrario che è lo spirito di Gesù. Essi si sono perduti perché per orgoglio si ribellarono alla Chiesa; noi ci salveremo tenendoci con profonda umiltà sottomessi alla S. Chiesa. Voi avete letto più sopra che la S. Chiesa con l’assistenza che ha dello Spirito Santo non può errare, che quello che essa insegna è la verità: dunque noi riposati sul seno materno di lei viviamo con pieno abbandono e con totale fiducia senza darci pensiero di altro che di esserle figliuoli sottomessi ed obbedienti. – Quando però vengono da voi certi impronti e vi domandano: perché credete questo domma, perché credete quest’altro? E voi rispondete subito, perché così me l’ha detto la S. Chiesa. — Ma quel che vi ha detto la Chiesa non può essere, vi replicheranno. E voi saldi: se non può essere e voi ditelo alla Chiesa. Quando essa cambierà credenza, anch’io la cambierò. Gesù mi ha detto che io ascolti la Chiesa, non voi: se io non ascolterò la Chiesa, Gesù vuole che io sia tenuto in conto di un gentile, di un pubblicano, che è quanto a dire di uno che non gli appartiene: ma se non ascolto voi, non mi ha minacciato nessun male. – Gesù inoltre mi ha assicurato che chi ascolta i Pastori di S. Chiesa, è come ascoltasse Lui medesimo, che chi li disprezza, disprezza Lui ed il suo Padre che lo ha mandato. Son dunque certo che fino a tanto che non mi allontano dalla Chiesa e dai miei pastori, non posso correre verun pericolo per la mia salvezza. – Un’altra ragione per cui i superbi corrono pericolo della Fede è perché essa esige un terreno che gli sia adatto. Ditemi di grazia, voi che conoscete l’agricoltura, perché scegliete così per l’appunto i terreni in cui mettere le varie qualità di piante e di biade? Perché non mettete nel basso e nell’umido la vite? Perché non mettete nel poggio e nel greppo la rapa e la lattuga? Perché non proverebbero bene richiedendo ogni pianta il terreno a lei proprio. Ma è lo stesso della Fede: essa non alligna in ogni cuore, ma solo dove alberga la santa umiltà. Che però voi scoprirete da ciò l’origine dell’incredulità di molti. La S. Fede propone a tutti le stesse credenze, gli stessi doveri, e li propone al monarca ed al filosofo, all’artiere ed al bifolco. Di che certi spiriti superbi dicono poi indignati: oh! come! io che so tanto, che ho tanto letto, tanto studiato, debbo credere lo stesso che crede il poveretto, l’ignorante, la donnicciola? Io ho da dire le stesse preghiere, assistere alle stesse funzioni, confessarmi allo stesso modo, esercitarmi nelle stesse pratiche? Ohibò, ohibò! Il loro cuore s’inalbera, la superbia li fa stizzire, e ricusano di sottomettersi a quello, che crede il comune dei fedeli, e rigettano le comuni pratiche. Anzi credono di salire in tanto maggiore riputazione, quanto fanno più gli strani, quanto più mostrano di creder meno, quanto fingono di avere convinzioni più particolari: ed ecco l’origine da cui muove in molti l’irreligione e la perdita della fede. Infelicissimi ch’essi sono! Per un poco di vanità se ne vanno nel precipizio. Imitano in ciò Lucifero, il quale ancor esso non volle fare quello che facevano gli altri Angeli suoi compagni, di starsene sommessi a Dio, ma lo seguono poi anche nel castigo: perché come egli perdette il Paradiso a cui era vicino, così questi perdono al presente tutti i beni del terreno paradiso che è la Chiesa, per precipitare poi a suo tempo nel baratro di tutti i mali che è l’inferno. Atteniamoci dunque alla S. Umiltà. San Francesco d’Assisi sentendo a raccontare la caduta di uno che era stato un tempo suo compagno e che poi si era miseramente allontanato dalla S. Chiesa, si gettò in terra con gran fervore e si stringeva a quella molto fortemente. Interrogato perché facesse così, rispose: ah mi voglio molto, molto umiliare, perché quel misero ha perduta la fede per la sua superbia. Deh che non accada a noi una sì luttuosa disgrazia!