CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (6)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (6)

LEZIONE VI.

Modo di fare la comunione spirituale e di unirsi in comunione con lo Spirito di Nostro Signore.

D. – Quale felicità e quale vantaggio se potessi fare spesso e bene la santa Comunione in ispirito durante la giornata! Ma, come farò?

R. – È veramente una pratica santa e vantaggiosissima, quella di comunicarsi spiritualmente con frequenza. Nostro Signore Gesù Cristo diceva ai suoi discepoli che il suo cibo spirituale era di fare la volontà del Padre suo [Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me, ut perficiam opus ejus. – Joann., IV, 34];  e che faceva tutto col Padre suo e nella virtù del Padre suo. [Pater meus usque modo operatur, et ego operor – Joann., V, 17]. Il mio Padre – diceva – fa ogni cosa in me e con me; e Io pure tutto faccio in Lui e con Lui, e le opere del Padre mio sono il mio cibo. Da queste parole dobbiamo imparare che, siccome Gesù Cristo tutto operava nel Padre suo e col Padre suo, così noi pure dobbiamo far tutto in Nostro Signore e con Nostro Signore, perché abita in noi per vivificarci in tutto e rendere tutte le nostre opere gradite a Dio suo Padre: così effondendosi in noi, Egli vuol essere il cibo delle anime nostre.

D. – Ma come avviene questo? Son cose che non intendo.

R. – Non meravigliatevene, è un mistero. Perciò Nostro Signore, prevenne i vostri lamenti e i vostri insoddisfatti desideri quando disse ai suoi discepoli: [In illo die vos cognoscetis quia ego sum in Patre meo, et vos in me, et ego in vobis. – Joan. XIV, 20]. Nel giorno del giudizio, conoscerete che, siccome il Padre mio dimorando in me, fa le opere mie, [idem, 10] così Io pure, dimorando in voi farò le opere vostre, e voi farete le mie come Io fo quelle del Padre mio.

D. – Ma se soltanto nel dì del giudizio avremo la cognizione di questo mistero, come potrò io giovarmene per operare in Gesù Cristo?

R. – Sebbene non conosciamo distintamente questa meraviglia e non la intendiamo, tuttavia la fede con tutta facilità ce la fa mettere in pratica. Basta la fede; non occorre né vedere, né conoscere chiaramente. Non è forse vero che crediamo i misteri che la fede ci insegna, senza che li vediamo? Contentiamoci pertanto di sapere che la fede ci impone di fare le nostre azioni in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. – La Chiesa ce lo dice ogni giorno nella santa Messa con queste parole: Ogni gloria sia resa a Dio Padre onnipotente, per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo; [Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria. – Can. Missæ]. Qui basta credere, senza voler comprendere.

D. – Qual è dunque il modo con cui io possa operare in Nostro Signore e con Nostro Signore; poiché, è questo un mezzo che dalla fede mi viene suggerito per operare cristianamente?

R. – Proporremo altrove un piccolo esercizio cristiano su la pratica della santificazione di tutte le azioni della giornata, con le varie intenzioni della mente e le disposizioni del cuore onde poterle fare cristianamente. [Viventes autem Deo in Christo Jesu Domino nostro. – Rom., VI, 11]. Qui mi contenterò di darvi in proposito una breve lezione che potrete applicare a ogni vostra azione. La perfezione consiste nel compiere tutte le operazioni nostre a gloria di Dio in Nostro Signore e con Nostro Signore; ed è appunto ciò che san Paolo chiama vivere a Dio in Gesù Cristo. Come abbiamo già detto, seguendo l’Apostolo, Gesù Cristo abita in noi per la fede, ma con una presenza attiva, vuole pertanto che usiamo della fede per ricorrere a Lui e unirci a Lui, onde far tutto in Lui e con Lui, e che non facciamo le nostre azioni in noi stessi e per noi stessi, perché tutto ciò che è in noi e non è di Gesù Cristo, non conduce punto a Dio. Le nostre intenzioni e i nostri pensieri, in forza della corruzione della nostra natura, tendono al peccato; perciò, se opereremo in noi, assecondando l’inclinazione dei nostri sentimenti, tenderemo al peccato. Donde si capisce con quale impegno, al principio delle nostre azioni, dobbiamo aver cura di rinunciare a tutti i nostri sentimenti, a tutti i nostri desideri, a tutti i nostri pensieri, a tutte le nostre inclinazioni per far nostri, come dice ancora san Paolo, i sentimenti e le intenzioni di Gesù Cristo: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu. Abbiate in voi – dice l’Apostolo – i medesimi sentimenti di Gesù Cristo, [Phil. II, 5] per vivere nella perfetta pietà e religione verso Dio, nella perfetta giustizia verso il prossimo, nella perfetta santità verso di noi medesimi e nella sobrietà verso le creature.(Abnegantes impietatem et sæecularia desideria, ut sobrie, et juste, et pia vivamus in hoc sæculo. – Tit. II, 12). È questo pure l’insegnamento che il Figlio di Dio aveva dato ai suoi discepoli con queste parole: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum… et sequatur me. [Matth. XIV, 24]  Se uno vuole seguirmi per vivere cristianamente, rinunci a se stesso in tutte le sue azioni, e aderisca al mio spirito per compiere tutto nella virtù di questo spirito a gloria di Dio mio. Padre.

LEZIONE VII.

Applicazione della precedente dottrina all’orazione mentale.

D. – Vi pregherei di rendermi facile la pratica che mi avete suggerita nella precedente lezione, facendone l’applicazione a qualche azione della giornata.

R. – Volentieri applicherò alla pratica dell’orazione mentale quanto ho detto in queste due lezioni, dapprima per dare una completa soluzione alle difficoltà che riguardano questa pratica: e inoltre perché non si parla mai troppo dell’orazione, essendo questa l’azione più importante in tutta la vita del Cristiano. – La prima cosa che dobbiamo fare nell’incominciare l’orazione mentale (ossia meditazione) è di rinunciare a noi stessi e alle nostre proprie intenzioni.

D. – Ma perché rinunciare alle mie proprie intenzioni quando mi inetto a pregare? La preghiera non è forse un’opera buona?

R. – Tutto ciò che la creatura fa di per sé è pieno di amor proprio e di segreto orgoglio. Quante persone, per esempio, si danno alla preghiera per implorare da Dio la sanità, la vincita di un processo, beni materiali o onori? E tutto ciò bene spesso per godere le voluttà del mondo, per soddisfare alla loro ambizione, o magari per vendicarsi dei loro nemici. In tutto questo non c’è niente per Dio, e per il bene dell’anima; tutte queste intenzioni tendono al peccato e alla soddisfazione dell’amor proprio. È quindi assolutamente necessario rinunciare a noi stessi e alle intenzioni cattive che si incontrano anche nelle opere buone.

D. – Ma come dovrò fare?

R. – Nel dar principio all’orazione, mettendovi in ginocchio e coprendovi di confusione per la malizia del vostro interiore (dei vostri sentimenti), direte, seguendo il consiglio di Nostro Signor Gesù Cristo: « Mio Dio e mio Tutto, rinuncio a me stesso e alle inclinazioni peccaminose di cui sono ripieno; vedo bene che non posso pregarvi in me stesso, né da me stesso; detesto con tutto il cuore tutto quanto può dispiacervi in me. – « Per coprire la mia iniquità e la mia malizia e avere in qualche modo accesso presso la vostra divina Maestà, mi dono a Gesù Cristo, vostro Figlio, il quale abita in me ed è la preghiera e la lode di tutta la vostra Chiesa: Laus mea tu es. [1 Jer., XVII, 14]. – Il profeta Davide, con tali sentimenti e tali disposizioni, si abbandonava allo Spirito di Gesù, il quale regnava in Lui, affine di fare la sua preghiera in questo divino spirito, che gli era dato in anticipazione. Perciò diceva a Dio: Come il vostro nome, o Signore, così la vostra lode si estende sino ai confini della terra.[Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua in fines terræ. – Ps., XLV1I, 11]. Orbene, questa lode non è altro che Gesù Cristo, il quale rappresenta e dice in se stesso tutto ciò che Dio suo Padre è, e gli rende una gloria uguale a Lui medesimo: secundum nomen tuum, ita et laus tua. Oh, quanto è felice il Cristiano, per avere nelle sue mani il mezzo di offrire a Dio una gloria a Lui eguale, la quale comprende pure tutte le lodi che a Lui sono dovute! – Il medesimo profeta, parlando altrove, nel suo linguaggio profetico e pieno di figure, della preghiera della Chiesa, descrive questa Chiesa come un carro che porta migliaia di Cristiani, i quali lodano Dio e si rallegrano nella sua presenza, e soggiunge che lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo sta in mezzo a loro per essere il loro cantico: Currus Dei decem millibus multiplex, milia lætantium; Dominus in eis in Sina in sancto.[Ps., LXVII, 18].Il medesimo Gesù che lo da in loro, trovasi pure nel seno di Dio, e nel santo Sacramento, dove rende alla divina Maestà ogni possibile omaggio di rispetto e di onore, e dove inoltre fa sua la preghiera della Chiesa, per implorare le grazie convenienti ai bisogni e alle necessità di ciascun fedele. [Questa dottrina non si applica soltanto all’orazione, ma pure a tutte le nostre opere soprannaturali].

LEZIONE VIII.

Il metodo dell’orazione mentale, ossia della meditazione.

D. – Dopo aver rinunciato, nel dar principio all’orazione, a me stesso; dopo aver purificato il mio cuore ed essermi unito in ispirito a Nostro Signore, che cosa debbo fare?

R. – Due cose, come ci insegna l’orazione domenicale; la prima è di adorare, lodare e glorificare Iddio; la seconda di raccomandargli le vostre necessità. Sono queste le due parti dell’Orazione mentale, la prima si chiama adorazione, la seconda, comunione.

D. – Perchè si incomincia con l’adorazione?

R. – Incominciamo con l’adorazione, dapprima perché dei due fini dell’orazione, il primo e il principale è quello di onorare e glorificare Iddio. Inoltre perché così suol fare la santa Chiesa, al principio delle sue pubbliche preghiere, dicendo: Venite, adoremus, et procidamus ante Deum; Venite adoriamo e prostriamoci davanti a Dio.

D. – E perché chiamate voi adorazione questa prima parte?

R. – Questa prima parte si chiama adorazione, perché nella Scrittura questo termine bene spesso viene usato per esprimere gli atti di religione; questa infatti è quella virtù cristiana che inclina l’anima ad annientarsi davanti a Dio, ad ammirare la sua grandezza, a lodarlo, a ringraziarlo, ad amarlo, in una parola a tributargli ogni sorta di omaggi, come dobbiamo fare in questa prima parte dell’orazione.

D. – Perché chiamate voi la seconda parte comunione?

R. – Perché in questa parte l’anima si dà a Dio per godere della partecipazione di ciò ch’Egli è e da cui vuole animarci. Orbene, la partecipazione e la comunicazione che Dio dà dei suoi doni e delle sue perfezioni si chiama propriamente comunione; così usano soprattutto i Padri Greci, perché Dio in tal modo ci comunica, ossia ci rende comuni le sue ricchezze. La partecipazione al Corpo di Gesù Cristo dicesi Comunione sacramentale, perché questo Sacramento rende comuni (tra l Lui e noi) i beni di Gesù Cristo e ci comunica i suoi doni più preziosi. La partecipazione che avviene nell’orazione si dice comunione spirituale, a motivo dei doni che Dio in quella ci comunica per la sola intima operazione del suo Spirito. – L’anima che ha coscienza di qualche operazione segreta nel suo cuore, deve tenersi in quiete e silenzio, per ricevere, in tutta la loro estensione, i doni e le comunicazioni di Dio; senza voler agire da se medesima, né fare sforzi che disturberebbero le operazioni pure e sante del divino Spirito di Dio. – Nell’adorazione infine v’è una terza parte che da taluni viene detta risoluzione, ma più propriamente può chiamarsi cooperazione, la quale è il frutto dell’orazione e si estende a tutta la giornata.

D. – Che cosa significa e in che consiste questa cooperazione?

R. – Nella seconda parte, l’anima ha eccitato in se stessa un perfetto desiderio di imitare Nostro Signore nel mistero o nella virtù che aveva adorato in Lui nella prima parte, e gli ha domandato con viva istanza di fargliene la grazia, tenendosi alla sua presenza come un povero mendicante, che non si stanca mai di tendere la mano verso chi può soccorrerlo. La terza parte invece consiste nel corrispondere e cooperare fedelmente alla grazia che l’anima avrà ricevuta, epperò consiste nei fare buoni proponimenti, prevedendo anche le occasioni di metterli in pratica che potranno capitare durante la giornata e abbandonandosi pienamente alla virtù dello Spirito di Nostro Signor Gesù Cristo per obbedirgli, non solamente nel giorno presente, ma sempre, sino alla morte.

D. – Qual differenza passa tra cooperazione e risoluzione?

R. – Sono bensì la stessa cosa; ma l’espressione cooperazione mette più espressamente in rilievo la virtù dello Spirito Santo, perché da Lui le opere buone dipendono molto più che dalla nostra volontà, la quale non sarebbe capace di niente quando non fosse mossa e corroborata dalla virtù dello Spirito Santo; il termine risoluzione, al contrario, si riferisce più espressamente alla determinazione della nostra volontà e sembra attribuire meno la virtù e all’efficacia del potere dello Spirito, al quale tuttavia dobbiamo pienamente abbandonarci, affinché in seguito Egli agisca in noi in ogni occasione, ci faccia ricordare i suoi e ci dia amore e forza per adempierli. In tal modo dobbiamo chiudere l’orazione con un abbandono totale di noi stessi allo Spirito Santo, il quale sarà la nostra luce, il nostro amore, e la nostra virtù.

LEZIONE IX.

Possiamo pregar Dio, sebbene non lo conosciamo perfettamente e benché non conosciamo neppure tutte le nostre necessità; Nostro Signore non è soltanto mediatore di redenzione, ma anche di religione.

D. – Sono ben persuaso che dobbiamo adorare e glorificare Dio nell’anima nostra; ma come potrò io glorificare il Signore, mentre non lo conosco? Ignoro anche ciò che debbo domandargli per il bene dell’anima mia.

R. – È vero che sono questi i motivi per i quali Nostro Signore volle farsi, Egli medesimo, la preghiera della sua Chiesa, in generale e la nostra preghiera in particolare. Gesù Cristo medesimo disse: Nessuno conosce il Padre fuorché il Figlio  [Neque Patrem quis novit, nisi Filius». – Matth.. XI, 27], e così si vede quanto sia esigua la cognizione che abbiamo di Dio. San Paolo d’altra parte dice pure: Quid oremus, sicut oportet nescimus; non possiamo conoscere ciò che è bene per noi e ciò che dobbiamo domandare. Inoltre manchiamo di forza e di virtù per domandare da noi stessi. Orbene, san Paolo ci insegna che lo Spirito di Gesù Cristo deve supplire alla nostra ignoranza e alla nostra debolezza.

Lo Spirito di Dio – dice l’Apostolo – sostenta la nostra debolezza, ma lo Spirito stesso sollecita per noi con gemiti inesprimibili. E Colui che è scrutatore dei cuori conosce quel che brama lo Spirito, mentre Egli sollecita secondo Dio per i santi. [Rom. VIII, 26-27]. Pertanto, non abbiamo che da unirci a questo divino Spirito di Gesù Cristo; e Nostro Signore, il quale vive in noi, supplirà a tutto ciò che ci manca, poiché appunto a questo fine viene ad abitare in noi.

D. – Ma e come possiamo unirci allo Spirito Santo di Gesù Cristo?

R. – Il santo Spirito di Gesù è in noi come Sposo dell’anima nostra, pertanto non aspetta se non i nostri desideri e la nostra volontà; abbandoniamoci dunque a Lui per pregare a mezzo suo e in Lui, ed Egli sarà la nostra preghiera. – Nostro Signore, in qualità di Mediatore di religione, è la preghiera pubblica per Sé e per tutta la Chiesa; ma la Chiesa non prega in Gesù Cristo, se non unendosi a Lui; e deve far questo nella grazia di Gesù Cristo, e donarsi al santo Spirito di Gesù come lo Spirito Santo di Gesù si dona a lei.[Rom. V, 5]. – Nello sposalizio spirituale, ci vuole un dono reciproco e un mutuo consenso degli spiriti; Gesù nell’anima, l’anima in Gesù, tutti e due fanno la preghiera, la quale è il frutto principale dell’alleanza del santo Spirito di Gesù con le anime nostre; sicché le nostre preghiere sono come i frutti (i figliuoli) di questo spirituale connubio. Che se voi mi chiedete a chi va attribuita la preghiera, vi dirò che va attribuita all’anima in Gesù e a Gesù nell’anima; volerne saper di più, sarebbe come pretendere di violare il segreto di Gesù Cristo in noi, e penetrare un mistero ch’Egli vuole tener nascosto, tanto come quello delle operazioni del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre. Di chi sono le opere di Gesù? Del Padre o del Figlio? Esse sono operazioni del Padre e del Figlio, e Dio non vuole che la creatura vi cerchi distinzione; ci basti sapere che Gesù le compie nel Padre, e il Padre con Gesù e in Gesù.

D. Avete detto che Gesù Cristo è Mediatore di religione, cosa significa questa espressione?

R. – Ordinariamente si dice che Nostro Signore è il Mediatore della nostra redenzione, ed è vero, perché Egli per la nostra salvezza ha offerto il suo sangue al Padre per mezzo dello Spirito Santo, e ha dato la sua vita per la nostra vita, la quale non era capace di redimerci. In tal modo Gesù Cristo ha supplito per il nostro debito principale, soddisfacendo a Dio per i nostri peccati, con la sua morte, la quale sola poteva soddisfare alla giustizia di Dio. Ma ciò non bastava: noi eravamo inoltre debitori a Dio di una infinità di omaggi religiosi che eravamo incapaci di rendergli di per noi stessi, come adorarlo, amarlo, lodarlo e pregarlo secondo il suo merito e secondo il nostro dovere: Magnus Dominus et laudabilis nimis. [Ps., XCV, 4; XLVII, 2; CXLIV, 3]. Avevamo bisogno pertanto che il nostro grande Signore e Maestro, nella sua carità, ci servisse pure di supplemento per i nostri doveri e fosse anche il Mediatore della nostra religione. Per questo, Egli volle rivivere dopo la sua morte, ed essere sempre vivente ad interpellandum prò nobis, dice san Paolo, [Hebr., VII, 25], vale a dire per lodare e pregare il Padre suo in vece nostra e per supplire alla nostra incapacità, Gesù Cristo fece questo nella Legge antica; lo fa nella Chiesa, e lo farà anche nel Cielo: Jesus Christus heri, et hodie, ipse et in sæcula. [Hebr., XIII]. Gesù Cristo, dice l’Apostolo, era ieri, è oggi ancora e sarà in tutti i secoli.Con la parola ieri, san Paolo intende la Legge: Mille anni tamquam dies hesterna quæ præteriit [Ps., LXXXIX, 4]. I secoli della Legge sono come un giorno passato; oggi è il tempo della Chiesa su la terra; in tutti i secoli, ecco l’eternità, nella quale Gesù Cristo sarà il supplemento delle creature e il Mediatore della nostra religione.

LEZIONE X.

Schiarimenti su le difficoltà che gli muovono alla preghiera pubblica della Chiesa in lingua latina.

D. – Dall’istruzione precedente riconosco la necessità di corrispondere al desiderio di Gesù Cristo e di unirci a Lui, poiché Egli tanto lo desidera ed è in noi questo, non aspettando che il nostro senso e la nostra corrispondenza. Quanto saremo infelici se, sentendo nell’intimo del nostro cuore la carità che a Lui ci  attira, non l’assecondassimo e non vi rispondessi! Credo sia questa la ragione per la quale  certi Santi paventavano i giudizi di Dio, non tanto per i loro peccati, quanto per le loro infedeltà alle attrattive della grazia. Si ritenevano colpevoli di aver in tal modo contristato bene spesso lo Spirito Santo e di aver privato Dio di molta gloria alla quale aveva diritto e che lo Spirito Santo voleva che gli fosse resa in noi e per mezzo di noi. –Forse sarà pure per questo che santa Caterina da Siena si accusava come colpevole dei peccati di tutto il mondo, dicendo, che per le sue infedeltà alla grazia e per aver mancato di obbedire allo Spirito Santo, il quale spesso l’invitava alla lode e alla preghiera, ella aveva privato il mondo di molte grazie, perché lo Spirito Santo avrebbe operato in Lei, se avesse corrisposto, molti sentimenti e molti atti capaci di placare Iddio e di attirare sui peccatori la sua misericordia e quindi l’effusione delle sue grazie efficaci e trionfanti. Questi pensieri mi coprono di confusione, perché pur troppo ho molti motivi di domandare mille volte perdono al Signore le mie infedeltà; e vi prego d’implorare la sua misericordia a mio favore e di colmare la sua giustizia perché pavento i suoi giudizi.

R. – Lodo il Signore perché si degna di darvi sentimenti così cristiani e così conformi a quelli che largì ai suoi Santi,. Inoltre, per confermare ancora più in voi questa verità donde li avete tratti, cioè che Nostro Signore non è solo Mediatore di redenzione, ma anche Mediatore di religione, aggiungerò che ne abbiamo una bella figura nel Sommo Sacerdote dell’antica Legge, quando entrava nel Santo dei Santi, portando il sangue delle vittime immolate e un turibolo fumante. [Levit., XVI; Hebr., IX]. Questo turibolo rappresentava i figli della Chiesa nelle loro preghiere, essendo essi figurati dai granelli d’incenso che venivano consumati dal fuoco, come i nostri cuori cono consumati dall’amore e dalla carità di Gesù Cristo nostro consumatore. [Thuribulum est… cor hominis; ignis, caritas seu fervor devotionis. (Durand). – Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc., XII, 49). – Abbiamo qui la soluzione di una difficoltà che gli eretici muovono contro la preghiera pubblica della Chiesa, burlandosi del popolo e delle sante religiose, perché  cantano in latino, salmodiando, secondo loro, senza frutto, in una lingua che non intendono. Gli eretici s’ingannano, poiché l’anima che si accinge a pregare non ha altro da fare che unirsi a Gesù Cristo, il quale è la preghiera e la lode di tutta la Chiesa; talmente che, essendo l’anima unita a Nostro Signore e aderendo col cuore a tutta la lode e a tutte le domande ch’Egli presenta al Padre suo, la preghiera non è mai senza frutto; al contrario, essa pregando in tal modo fa molto maggior bene che se pregasse nel suo spirito proprio e volesse impicciarsi di adorare, amare, lodare e pregar Dio da sé e con i suoi propri atti. [Eresia ripetuta oggi dagli usurpanti modernisti apostati mercenari del “Novus Ordo” Vaticano II – ndr. -]. L’anima per tale unione con Gesù Cristo, diventa più vasta del mare, estesa come l’anima e lo Spirito di Gesù Cristo che prega nella Chiesa intera. Di tal genere è la preghiera che si pratica in Cielo, poiché vediamo nell’Apocalisse [Apoc. VII, 12] che i Santi non fanno altro che rispondere Amen alle preghiere dell’Agnello, ciò che esprime l’unione dei loro cuori con Gesù Cristo, il quale è la loro preghiera. – I Santi in Cielo, riconoscendo la loro incapacità di lodar Dio in se stessi, s’inabissano in Gesù Cristo per dire a Dio tutto ciò che Gesù Cristo gli dice e in pari tempo tutto ciò che la Chiesa dice in Lui. A questo pure ci invita il profeta Davide dove dice: Magnificate Dominum mecum et exaltemus nomen ejus in idipsum. [Ps., XXXIII, 4). Venite, magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. – Dobbiamo dunque fare anche noi come i fanciulli della fornace di Babilonia, i quali lodavano, glorificavano, e benedicevano il Signore con un medesimo spirito, una medesima volontà e. un medesimo cuore [Ibi tres ex uno laudabant, et glorificabant et benedicebant Deum – Dan. III, 51] e con le medesime intenzioni e disposizioni dello Spirito di Gesù Cristo; poiché il quarto che apparve insieme con loro nel fuoco è detto: Simile al Figlio di Dio: Similis Filio Dei. [Dan. III, 92].

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21 NOVEMBRE: PRESENTAZIONE DELLA VERGINE MARIA AL TEMPIO

Presentazione e Vita di Maria al Tempio

[Giuseppe PERARDI: LA VERGINE MADRE DI DIO e la vita cristiana; Libr. Del Sacro Cuore, Torino, 1908]

ESORDIO: Maria al Tempio. Disposizione divina. — I RAGIONI: 1. Adempimento del voto dei parenti — 2. Educazionealla sua missione — 3. Dovere dell’uomo: riconoscere il dominio di Dio — ì . Perché nel Tempio. Quello che è. —

II VITA DI MARIA NEL TEMPIO: 1. A tre anni — 2. Il voto — 3 . L’ubbidienza4. Lavora pel culto di Dio. —

III CONCLUSIONE: 1. Pratiche2. L’istruzione religiosa.

Un commovente spettacolo ci si offre nel tempio di Gerusalemme. Una donna avanzata in età, seguita dal marito dando la mano ad una fanciulla di pochi anni che Dio, cedendo pietoso ai digiuni, alle lagrime, alle preghiere dei due vecchi sposi, concesse a loro conforto, si avanza col capo velato verso il luogo santo. Giunta dinanzi al Sacerdote, depone ai piedi di lui la pargoletta, e questa passando, per così dire, dalla culla all’altare addiviene cosa del Signore, mentre il Sacerdote benedice all’offerente ed all’offerta, e un armonioso cantico di ringraziamento e d’allegrezza accompagna la cerimonia. – Stando alla sola apparenza delle cose, in questa presentazione null’altro vediamo che religiosi genitori offrire nel tempio di Sionne la loro cara bambina. Ma gli Angeli del Signore vi ravvisano tutta una storia di meraviglie. Quella fanciulletta non è una fanciulla qualsiasi, è la gran donna predetta ad Adamo, è la Vergine profetizzata da Isaia, simboleggiata nelle donne e nei fatti del popolo ebreo, è l’Eva novella, venuta a riparare il fallo dell’Eva peccatrice, e Maria che entra nel tempio e si rivela come tenero e vezzoso FL fiore per crescere ai piedi dell’altare. Nelle disposizioni di Dio tutto è grande; e anche questo fatto, che sembra in nulla differire dagli altri somiglianti della presentazione e offerta d’altre bambine, ha nella mente di Dio e nelle conseguenze un’importanza grandissima. Certamente quando Dio elegge una creatura ad una missione speciale l’arricchisce delle grazie e dei doni corrispondenti all’opera a cui l’ha eletta e che essa deve compiere; ma, usando Dio anche dei mezzi umani, le assicura una educazione corrispondente al fine voluto. Ora Maria doveva essere Madre di Gesù, corredentrice del genere umano, doveva essere in terra specchio fedele delle divine virtù e modello universale degli imitatori di Gesù Cristo e di chiunque tende alla perfezione. Da parte di Dio si esigeva quindi una larga e indefinita effusione di grazie e celesti favori; ma conveniva pure che per rispetto a Dio, per soddisfazione del nostro cuore, Maria fosse con lunga preparazione iniziata alla sua missione; e questa preparazione fu appunto la vita che condusse bambina e fanciulla all’ombra del santuario. Consideriamo quest’oggi il grande fatto per trarne utili ammaestramenti.

1. — Perché Maria fu presentata, cioè offerta a Dio nel tempio e vi passò gli anni della sua fanciullezza? Già ve ne accennai un motivo: la disposizione di Dio; giova tuttavia approfondire la cosa e comprenderla bene. Due furono le ragioni principali d’un tal fatto, umana una: divina l’altra.

1° Umana per modo di dire, in quanto conseguenza di un fatto umano, cioè l’adempimento di un voto che Gioachino ed Anna, giusta quanto un’antica tradizione ci riferisce, fecero a Dio. Essi erano già avanti negli anni, e non avevano famiglia. Quanta tristezza inondava il loro cuore; qual dolore essere come oggetto d’obbrobrio agli occhi dei loro connazionali pei quali era grave ignominia non aver famiglia Oh anch’essi hanno certamente pregato e pianto come l’Anna che fu poi madre fortunata del profeta Samuele… e anch’essi la imitarono nel voto. Fecero solenne promessa a Dio di consacrargli nel tempio la prole che loro avesse accordato. Le loro lagrime, le loro preghiere, il loro voto ascesero grati al trono dell’Altissimo. Dio li esaudì; la bambina che venne a rallegrarli, Maria, fu dono di Dio, benedizione del loro voto, grazia concessa alle loro ferventi preghiere. – Fedeli alla loro promessa, dopo averne ringraziato Dio, pensarono di consacrarla nel tempio. Maria, riferisce ancora la tradizione, aveva circa tre anni quando fu condotta al tempio, e là fu offerta a Dio, consacrata al divin culto. Non starò qui a ricordare quanto dovette essere dolorosa per Gioachino ed Anna e per Maria tale separazione. Gioachino ed Anna erano avanzati molto negli anni; in questa terra non avevano altro affetto, altro amore che Maria. Dopo averla tanto sospirata, dopo averne goduto la compagnia appena tre anni se ne separavano, e allora appunto quando la bambina sapeva meglio meritare l’affetto del loro cuore. E d’altra parte quanto dovette riuscir penoso anche al cuor di Maria bambina la separazione! E questa pena non era attenuata, né lenita dalla spensieratezza e dalla dimenticanza, propria di quell’età. Maria godeva perfetto l’uso della ragione. Era quindi una separazione di cui misurava tutta l’amarezza, di cui sentiva tutta la pena perché amava immensamente i suoi genitori. Immune dalla macchia dell’originale colpa, il suo cuore si espandeva liberamente e santamente; l’amor suo non trovava gli ostacoli, le difficoltà le debolezze, le imperfezioni del nostro. E tuttavia i suoi genitori fedeli al voto non ne domandano la soluzione che avrebbero potuto ottenere stante la loro età, e la distanza da Gerusalemme; compiono rassegnati il sacrifizio del proprio tesoro ed amore; essi in persona accompagnano a Gerusalemme Maria bambina; e Maria conscia del loro voto, sacrifica il proprio affetto, il proprio stato, la propria volontà, e con essi parte per Gerusalemme, pel tempio, dando l’addio al mondo, alla terra. Oh parti, santa fanciulla… gli Angeli certo ti accompagnano, il cielo ti sorride e Dio ti guida… va… avrai parte ai più grandi misteri.

2° Ma oltre questa ragione, ve n’ha un’altra tutta celeste: la volontà di Dio. Dio regola gli avvenimenti giusta i suoi altissimi fini; Dio dispone il ritiro di Maria perché così conviene alla missione che le vuole affidare. Il Verbo eterno compirà la sua missione riparatrice prima con l’incarnarsi e poi con l’immolarsi sulla croce. Maria deve cooperare con Gesù alla nostra salute in tre modi: con la sua maternità dando al mondo il Redentore; con la immolazione sua e di Gesù sul Calvario; cogli esempi di virtù che saranno modello a tutti i Cristiani. Sublime e immensamente superiore a tutte le missioni umane è la missione di Maria. Ad una missione così santa e così grande occorre una conveniente preparazione. – Noi vediamo infatti Gesù stesso che prima di dar principio alla sua vita pubblica premette una lunga preparazione di ritiro, di vita umile e nascosta nella casetta di Nazaret; e finalmente una preparazione, che diremmo prossima, col digiuno rigoroso di quaranta giorni che compieva nel deserto. Dio per parte sua prepara Maria col rivestirne l’anima di doni singolarissimi, preservandola immune dalla macchia originale e ornandola di ogni grazia e virtù di cui è capace. Maria alla sua volta deve prepararsi e con la fedele corrispondenza alla grazia divina, e con l’educazione diretta a disporla alla grande missione, educazione che sia come il tirocinio, il noviziato della sua vocazione. E qui un’osservazione pratica si presenta alla nostra devozione. Tutti abbiamo da compiere una missione, tutti quindi dobbiamo premettere la necessaria preparazione, il dovuto tirocinio. Il principe che deve un giorno ascendere il trono reale, viene educato in modo da poter degnamente regnare. Noi siamo destinati al trono del cielo, a regnare con Dio. La missione nostra in questa terra è di compiere, per così dire, l’educazione che ci renda un giorno meritevoli di tanta gloria. Ecco dunque il gran fine della nostra vita: prepararci al cielo. Pertanto possiamo dire di corrispondere al fine della nostra creazione in quanto tendiamo al cielo: di rendere vane le nostre opere quando non hanno in nessun modo per iscopo il cielo.

3° Maria consacrata a Dio ci si presenta come un simbolo di quanto deve compiere l’umanità cui Maria rappresenta. Il male entrò nel mondo per allontanamento dell’uomo da Dio. Maria inizia per l’umanità la via del ritorno a Dio riconoscendolo Creatore e Signore di tutto l’uomo. Maria, quale rappresentante di tutta l’umanità ritorna a Dio, riconosceDio. Splendida cooperazione questa: compie per noi, a nome nostro l’atto che dobbiamo compiere noi. Ci precede con l’esempio. Noi redenti siamo doppiamente di Dio. Ma, sventuratamente forse, nel corso della vita ce ne siamo allontanati, dimenticando Dio, calpestando la sua legge, secondando le perverse nostre inclinazioni, i suggerimenti del mondo, del demonio. Imitiamo Maria: Torniamo a Dio. Lo so: ai dì nostri tanto si grida alla liberta, all’indipendenza. Ma intendiamolo bene: Noi non siamo padroni di noi stessi, indipendenti, perfettamente liberi. La libertà è un dono che Dio ci ha affidato perché ne usiamo a bene e non già perché ne abusiamo. Siamo di Dio perché sue creature, perché redenti per opera di Gesù. A Dio quindi dobbiamo appartenere e dobbiamo riconoscere il suo dominio su noi. Noi apparteniamo a Dio in quella guisa che appartiene a noi un’opera compiuta da noi; siamo di Dio più che non sia del suo signore lo schiavo ch’egli ha liberato a prezzo del suo sangue. Quindi la nostra vita, le nostre opere debbono essere un riconoscimento continuo del dominio di Dio su noi, della nostra dipendenza da Lui. Siamo liberi, ma di quella libertà per cui a Dio Signor nostro dovremo rendere conto delle nostre azioni, di cui, appunto per la libertà nostra, siamo responsabili.

4° Maria compie la sua preparazione nel tempio perché il tempio è casa di Dio, sotto la direzione dei sacerdoti che sono gli angeli di Dio, perché essa dev’essere il vero tempio del nuovo testamento, onorato dagli Angeli. Difatti nella Scrittura il tempio è chiamato:

Casa di orazione. — Quantunque in ogni luogo si possa pregar Dio, e Dio ascolti la preghiera qualunque sia il punto della terra da cui Gli si rivolge, tuttavia il luogo proprio della preghiera e specialmente del sacrifizio pubblico è il tempio. Nel tempio deve pregare chi vuol veramente onorar Dio e implorarne le benedizioni e le grazie. Maria è la vergine della preghiera per eccellenza. Il mondo onorerà Dio e lo pregherà. Ma essa sola perché tutta pura e santa, più di tutti lo onora, lo loda; Essa sola può dire con piena ragione: Magnificat anima mea Dominum. Essa sola è il vero tempio in cui si matura la vittima del vero sacrifizio. Essa il vero tempio d’orazione: pertanto cresca e preghi nel tempio. S. Bonaventura che ha considerato più profondamente la pietà dell’angelica fanciulla dice che Maria indirizzava tutti i giorni sette domande a Dio. La prima di amarlo con tutto il cuore, di non aver fibra che non fosse infiammata del divino amore. — La seconda di amare perfettamente il prossimo per Iddio; di amare tutto ciò ch’Egli amava e nel modo che gli sarebbe tornato più gradevole. — La terza d’aver sempre nel cuore un odio sommo al demonio ed a tutto ciò che viene dal demonio. — La quarta che Dio le desse un’umiltà profonda, un perfetto distacco dal mondo, una pazienza invincibile, una purità perfetta, ed ogni altra virtù che la potesse rendere più cara e gradita ai suoi occhi divini. — La quinta che la facesse felice di poter conoscere e servire la vergine predetta da Isaia. — La sesta di poter essere in tutto e per tutto ubbidiente al Sacerdote rappresentante di Dio, ed a tutte le persone da cui dovesse dipendere. — La settima ch’Egli si movesse a pietà del suo popolo, inviasse presto il promesso Messia a redenzione ed a salute di tutto il mondo.

Il tempio è Casa di santificazione, di santificazione legale perché là si compiono i riti mosaici, come di santificazione vera sono le nostre chiese perché vi riceviamo i Sacramenti. E Maria è la vergine della santità. In essa, nel suo cuore si trovano tutte le virtù degli Angeli e dei Santi e in grado eroico, sono le virtù della Madre di Dio che sarà presentata ai Cristiani d’ogni stato e condizione modello perfetto ad imitare. – Il tempio è Casa delle delizie. È nel tempio che si celebrano le feste belle e devote, è nel tempio che Dio ritrova il suo popolo fedele; è nel tempio che l’anima ritrova il suo Dio. Maria non ha altra delizia che amare e servire Dio. Visse Ella nel tempio; e con questa vita di ritiro preparò la vera gioia del mondo chiamando ed ottenendo dal cielo Gesù che del mondo tutto è tutta la gioia. Il tempio è Casa di Dio. Nel tempio Dio si manifesta e largisce in maggior abbondanza grazie e benedizioni. Maria che è tutta di Dio, nel tempio si trova in casa sua. Inoltre Maria è il vero tempio di Dio. Il tempio di Gerusalemme era figura di Maria. Maria è il tempio vivo di Dio. Ecco perché era conveniente che Maria facesse nel tempio la sua preparazione, il suo tirocinio per la missione cui da Dio era destinata. – Impariamo anche noi ad amare la nostra Chiesa. Oh! sia per noi la vera casa della preghiera, la casa della santificazione per l’anima nostra, il luogo di delizie pel nostro cuore. È la casa di Dio: sia anche nostra, perché siamo di Dio. È la casa di Dio: sia anche casa nostra perché vestibolo del Paradiso che deve essere la nostra casa eterna.

II. — E che cosa farà Maria nel tempio?… Maria, pur sentendo viva la pena della separazione dai genitori sospira al tempio perché colà è portata dal suo cuore. Nel tempio non sarà più del mondo, ma tutta di Dio, lavorerà per Lui, eseguirà in modo più perfetto nell’ubbidienza, la volontà di Dio, lavorerà assiduamente nelle cose che riguardano il culto di Dio.

1° « La tradizione ci dice, che Ella aveva allora tre anni. Tre anni! Ma a quest’età, osserverà una fede dubbiosa, i giuochi infantili sono quasi l’unica occupazione. — È vero per ogni fanciullo nato però nelle ordinarie condizioni. Gli abbisognano i giuochi, i divertimenti per trarlo in qualche modo dalla sonnolenza natia, dall’ebetismo originale, ed abituarlo poco alla volta a questa strana vita di disturbi e pene. Ma Maria, la fanciulla straordinaria, la piccola immacolata del Dio d’amore, non ha punto bisogno di divertimenti; inaccessibile alla povertà di spirito ed alla puerilità ha avuto subito la precocità della luce della ragione e della serietà della vita. Però si rassicuri costui; la giovane fanciulla del tempio non mancherà di giuochi, lo spirito di Dio che si celava di già nelle ridenti varietà della creazione, glieli prepara ». Profonda e nel medesimo tempo leggiadra è la considerazione fatta da un devoto servo della Vergine. « Si chiama giuoco da fanciulli il divertimento che essi prendonsi nel fabbricar piccole case di fango; ma è invero azione di grande prudenza; poiché è una lezione di pubblica saggezza al mondo, per fargli vedere che cosa sono le vere occupazioni della sua mondanità. — Domandate voi che cosa farà Maria? Un giuoco infantile, ma più curioso e saggio delle più alte occupazioni dei più grandi politicanti del mondo; essa è chiamata a trattare con Dio gli affari infinitamente importanti dell’eternità e per sé e per tutta la natura umana » .

2° Maria nel tempio sarà di Dio. Nel tempio appunto Maria si consacra a Dio. Essa lo aveva amato fin dalla nascita: ma nel tempio quest’amore riceve la sua consacrazione ufficiale. I suoi genitori la offrono a Dio in compimento del voto fatto, esecutori inconsapevoli dei disegni di Dio, e Maria va ben oltre la mente dei genitori. Essa, bambina ancora, tutta e perfettamente a Dio si consacra; aveva intraveduto il mondo, i suoi beni, le sue lusinghe; ma il cuor della bambina è troppo grande per potersi appagare di tali miserie; Essa aspira a qualche cosa in cui il cuore possa veramente riposare, e fa sua in tutta la pienezza, la parola del profeta: Dominus pars haereditatis meæ (Ps. XV,5). Addio mondo, sei troppo piccino per me, addio beni del mondo, siete cosa troppo da poco, addio soddisfazioni mondane, siete troppo meschine; voglio qualche cosa di più grande, di più perfetto …. voglio Dio; non siete per me e io non sarò per voi: sono del mio Dio. Dio sarà mio, Lui amo, Lui voglio. Com’è grande Maria in questo atto! Consacra a Dio l’anima con le sue potenze; il corpo co’ suoi sensi: i pregi, i doni, quanto era, quanto aveva. Non si reputò più in nulla padrona di sé, si abbandonò a Dio acciò Egli disponesse di Lei secondo il piacer suo, sollecita solo di vivere tutta a Lui, e morire per Lui. Questa consacrazione la teneva in continua unione col suo Signore, perché a Lui riferiva i pensieri, gli affetti, le azioni, i desideri. Questa consacrazione era un segreto del tempio, noto solamente al Signore: Il mio segreto è per me (Is. XXIV, 16).

3° E quindi nel tempio eseguisce in modo più perfetto la vera volontà di Dio. Ivi sono i veri rappresentanti di Dio, i sacerdoti. Con l’ubbidire ad essi, ubbidisce a Dio. Dio in tanti modi manifesta la sua volontà e certamente colui può meglio dire di fare la volontà di Dio, che più direttamente da Dio attinge la sua regola di condotta. Ma Dio non parla, le sue ispirazioni possono venire fraintese. Dio ha costituito il Sacerdote organo vivente della sua voce, della sua volontà; e con l’obbedire al Sacerdote si ubbidisce a Dio. Ecco perché Maria è tutta lieta nel tempio. Non ha più volontà propria, la sacrifica a quella dei superiori, eco di quella di Dio; e la volontà di Dio eseguisce nel modo più perfetto.

4° Inoltre nel tempio Maria lavora per Iddio, nelle cose di Dio. Presso il tempio vi erano case separate pei fanciulli che venivano educati pel divin culto, e per le fanciulle che si formavano alla pietà lavorando le cose necessarie al culto divino, ai sacrifizi, e curando la nettezza del tempio. Indubbiamente tutti i lavori anche i più semplici sono grandi innanzi a Dio, purché compiti con retto fine, come adempimento del proprio dovere. Ma certamente, poste tutte le condizioni, vi ha un merito ed una gioia speciale nel lavorare le cose del culto. Non si lavora più solo in adempimento del proprio dovere, ma il cuore accompagna il lavoro con un atto di divozione continua; e questo lavoro diviene doppiamente preghiera… Oh par di vederla Maria fanciulla intenta ai suoi doveri… Qual tesoro di amor divino, di divozione accompagna il suo lavoro manuale! Pensino ad imitarla coloro che possono compiere lavori destinati al culto, alla Chiesa e specialmente al divin Sacrifizio, che è quanto dire alla Persona stessa di Gesù.

III. — Quanti ammaestramenti pratici scaturiscono dall’odierna considerazione.

1° Anche noi siamo stati offerti a Dio, consacrati a Dio, da Dio stesso santificati. Eravamo appena nati, e fummo portati al tempio. Ci si amministrò il santo Battesimo. Da quell’istante lo Spirito santo prese possesso di noi come di suo tempio. Quindi dobbiamo considerarci come tali, rispettarci come tempi vivi di Dio. Ma di qui consegue ancora che dobbiamo recarci spesso nella Chiesa non solo per i motivi già ricordati; ma perché la Chiesa è figura di noi. Quando non possiamo recarci personalmente in Chiesa, rechiamovici almeno col pensiero, col cuore, col desiderio. Dobbiamo imitar Maria nel tempio impiegando bene secondo la volontà di Dio il nostro tempo. Il tempo è un tesoro che Dio ci ha affidato affinché lo negoziamo e ne riportiamo frutto. Dio un giorno ce ne domanderà conto più che il padrone non domandi conto al servo della giornata. – A questo proposito giova ricordare la parabola raccontata da Gesù, di quel padrone che, partendo per lontani paesi, divise i suoi beni tra i servi proporzionatamente alla loro capacità affinché li negoziassero. Quando ritornò ne domandò conto: premiò i diligenti e punì quello che non aveva riportato alcun frutto. Il tempo della nostra vita trascorre rapido. Deh! che quando ci presenteremo a Dio, possiamo presentargli un bel tesoro di meriti, frutto del tesoro ch’Egli ci ha affidato affinché lo negoziassimo: il tempo della nostra vita.

2° Un altro pensiero ci suggerisce il ricordo dell’educazione di Maria nel tempio. Essa sotto la direzione dei suoi Superiori, compì la sua educazione, il suo tirocinio con lo studio profondo della Sacra Scrittura. In questo modo pure si preparò all’adempimento della sua missione. Quando, all’invito di Dio, rispose il solenne fìat, lo rispose con piena coscienza dei doveri, dei dolori ai quali si sottometteva, perché Iddio domandava a Maria una cooperazione volontaria, libera. E tale non sarebbe stata se Maria non fosse stata istruita nelle sante Scritture. – L’ammaestramento, che dobbiamo ritrarne, è questo: intendere la necessità, e il dovere di una seria istruzione religiosa. Ascoltate il lamento che il Sommo Pastore c’indirizza a questo riguardo: « Che tra i Cristiani dei nostri giorni siano moltissimi quelli i quali vivono in una estrema ignoranza delle cose necessarie a sapersi per l’eterna salute, è lamento oggimai comune, e purtroppo! lamento giustissimo. E quando diciamo fra i Cristiani, non intendiamo solamente della plebe o di persone di ceto inferiore, scusabili talvolta, perché, soggetti al comando d’inumani padroni, appena è che abbian agio di pensare a sé ed ai propri vantaggi: ma altresì e soprattutto di coloro, che pur non mancando di ingegno e di coltura, mentre delle profane cose sono conoscentissimi, vivono spensierati e come a caso in ordine alla Religione. Può dirsi appena di quali profonde tenebre questi tali sien circondati: e ciò che più accora, tranquillamente vi si mantengono! Niun pensiero quasi sorge loro di Dio autore e moderatore dell’universo e di quanto insegna la fede cristiana. E conseguentemente sono cose affatto ignote per essi e l’incarnazione del Verbo di Dio, e l’opera di redenzione dell’uman genere da Lui compiuta; e la grazia che è pur il mezzo precipuo pel conseguimento dei beni eterni, e il santo Sacrificio e i Sacramenti, pei quali la detta grazia si acquista e conserva. Nulla poi apprezzano la malizia e turpitudine del peccato, e quindi non hanno affatto pensiero di evitarlo o di liberarsene; e così si giunge al giorno supremo, talché il ministro di Dio, acciò non manchi una qualche speranza di salute, è costretto ad usare dei momenti estremi, che dovrebbero tutti impiegarsi nel fomentare la carità verso Dio, nel dare una sommaria istruzione nelle cose indispensabili alla salute; se pure, ciò che sovente interviene, l’infermo non sia talmente schiavo di colpevole ignoranza, da credere superflua l’opera del sacerdote, e senza riconciliarsi con Dio, affronti tranquillo il viaggio tremendo dell’eternità. » E trova che appunto in conseguenza di questa ignoranza molti « non si recano punto a coscienza eccitare e nutrire odi contro del prossimo, fare ingiustissimi contratti, darsi a disoneste speculazioni, impossessarsi dell’altrui bene con ingenti usure, e simili malvagità. Di più ignorano come la legge di Cristo, non solo proscriva le turpi azioni, ma condanni altresì il pensarle avvertitamente e desiderarle; e rattenuti forse da un motivo qualsiasi dall’abbandonarsi ai sensuali diletti, si pascono senza scrupolo di sorta di pessime cogitazioni, moltiplicando i peccati più che i capelli del capo. Né di questo genere, torniamo anche a dirlo, si trovano solamente fra i poveri figli del popolo e delle campagne, ma altresì e forse in numero maggiore fra le persone di ceto più elevato e pur fra coloro cui gonfia la scienza e che poggiati su d’una vana erudizione credono di poter prendere in ridicolo la Religione e bestemmiano quello che ignorano » (Pio X: lett. Enc. Acerbo nimis). – E rispondendo anticipatamente ad un’obiezione tanto comune ci dice pure che la scienza della Religione non conferisce l’impeccabilità e può andar congiunta a volontà perversa ed a sregolatezza di costume. Ma « non potrà mai essere retta la volontà, né buono il costume, qualora l’intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti procede, può certamente uscire dal retto sentiero; ma chi è colto da cecità, è sicuro di andare incontro al pericolo. Aggiungasi di più che la perversità del costume, ove non sia del tutto estinto il lume della fede, lascia sempre a sperare un ravvedimento: laddove se alla corruzione del costume si congiunge, per effetto dell’ignoranza, la mancanza della fede, il male appena ammette rimedio, ed è aperta la via all’eterna rovina. » Chi è istruito nelle verità religiose può peccare; ma conosce il male che fa, e la coscienza ne lo rimprovera; chi è volontariamente ignorante delle medesime peccherà con la massima indifferenza, commetterà il male quasi di necessità. E che sia veramente così, vedetelo nel fatto che destò profonda impressione a Parigi nel 1896, e che vi riferirò dopo breve respiro.

FIORETTO. — Questa sera riprendete in mano un Catechismo (quello cattolico, ad es. di S. Pio X, di S. Pietro Canisio, di S. Roberto Bellarmino e simili; attenzione!!: evitare accuratamente COME LA PESTE i catechismi eretico-ecumenisti della controchiesa del c. d. Vaticano II – ndr. -) ed osservate in quale parte siate più deficienti e provvedete. – Tutti oggigiorno leggono, tutti avete almeno una piccola biblioteca. Procurate che sia fornita anche di qualche libro per l’istruzione religiosa.

GIACULATORIA. — Invocheremo Maria, Sede della sapienza, perché ci aiuti ad intendere bene le verità della religione: Sedes sapientiæ, ora prò nobis.

ESEMPIO. — Dio giudicherà i giudici. In uno degli ultimi anni del secolo XIX sedeva sul banco degli accusati alle Assise di Parigi un giovane di 17anni, imputato d’assassinio. Sopra i giudici era appeso ancora il Crocefisso che fu ora bandito dalla sala della giustizia. L’imputato durante la discussione mantenne un cinismo ributtante. Prende la parola il difensore: « Signori, diss’egli con gravità solenne che subito impressionò tutti, Signori, il mio compito è ben semplice, poiché l’imputato ha confessato tutto. Io non posso difenderlo, perché non veggo per lui nessuna speranza di misericordia; sarò pertanto breve. Ma se la giustizia gli domanda conto del suo delitto, mi permetterete di domandarvi a mia volta conto della sua sentenza. Perché qui vi ha uno più colpevole dello stesso assassino. Onesto colpevole io ve lo denunzio, o piuttosto questi colpevoli io li accuso: Siete voi, o Signori, che mi ascoltate, voi i rappresentanti della società la quale punisce i delitti, di cui essa è causa e che non volle impedire. Io vedo a me dinanzi e saluto il Cristo morente in croce; è qui nel vostro tribunale, dove voi trascinate alla sbarra il colpevole. Ma perché mai il Cristo non è nella scuola, dove chiamate il fanciullo per istruirlo? Perché punite sotto lo sguardo di Dio, quando formate le anime lontane da Lui? E perché questo disgraziato dovrà incontrare il Dio del Calvario per la prima volta nel tribunale? Perché non lo ha incontrato sui banchi della Scuola? Allora avrebbe evitato il banco dell’infamia ove ora si trova. Chi gli ha detto che vi ha un Dio ed una giustizia eterna? Chi gli ha parlalo della sua anima, del rispetto che deve al prossimo, dell’amore fraterno? Chi gli ha insegnato la legge di Dio: tu non ucciderai? Si è abbandonata quest’anima alle sue cattive inclinazioni: questo figlio ha vissuto come un giovane selvaggio nel deserto: solo in mezzo a questa società che uccide la tigre, mentre prima avrebbe dovuto nell’ora propizia, tagliarle gli artigli e domarne la ferocia. » Il giovane ascoltò con meraviglia, come un trionfo, questa difesa così straniera per lui, e un sorriso di soddisfazione balenò sulle sue labbra e nei suoi occhi, quando l’avvocato, conchiudendo disse: « … si, siete voi che io accuso, o Signori: voi civilizzati mentre non siete che barbari, moralisti mentre menate in trionfo l’ateismo e la pornografia, voi che poi vi mostrate stupiti quando vi si risponde col delitto. Condannate il mio cliente, è vostro diritto; ma io accuso voi come colpevoli del suo delitto: è mio dovere. » Uno scroscio d’applausi coprì la voce dell’avvocato, mentre egli sedette. I giurati si ritirarono nella sala dello loro deliberazioni e ne riportarono un verdetto affermativo a tutto le questioni: l’assassino, non ostante la sua giovane età, è condannato alla pena di morte. L’avvocato si alzò, e con la mano tesa lentamente additando il Crocefisso, lasciò cadere ad una ad una queste parole, che penetrarono in tutti i cuori come una sentenza divina: DIO GIUDICHERÀ I GIUDICI. Genitori, e voi tutti a cui incombe il dovere dell’educazione della gioventù, ricordate che innanzi a Dio incontrerete gravissima responsabilità del male che i vostri dipendenti commetteranno per l’ignoranza religiosa in cui per colpa vostra fossero cresciuti.