J. J. OLIER
CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (6)
LEZIONE VI.
Modo di fare la comunione spirituale e di unirsi in comunione con lo Spirito di Nostro Signore.
D. – Quale felicità e quale vantaggio se potessi fare spesso e bene la santa Comunione in ispirito durante la giornata! Ma, come farò?
R. – È veramente una pratica santa e vantaggiosissima, quella di comunicarsi spiritualmente con frequenza. Nostro Signore Gesù Cristo diceva ai suoi discepoli che il suo cibo spirituale era di fare la volontà del Padre suo [Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me, ut perficiam opus ejus. – Joann., IV, 34]; e che faceva tutto col Padre suo e nella virtù del Padre suo. [Pater meus usque modo operatur, et ego operor – Joann., V, 17]. Il mio Padre – diceva – fa ogni cosa in me e con me; e Io pure tutto faccio in Lui e con Lui, e le opere del Padre mio sono il mio cibo. Da queste parole dobbiamo imparare che, siccome Gesù Cristo tutto operava nel Padre suo e col Padre suo, così noi pure dobbiamo far tutto in Nostro Signore e con Nostro Signore, perché abita in noi per vivificarci in tutto e rendere tutte le nostre opere gradite a Dio suo Padre: così effondendosi in noi, Egli vuol essere il cibo delle anime nostre.
D. – Ma come avviene questo? Son cose che non intendo.
R. – Non meravigliatevene, è un mistero. Perciò Nostro Signore, prevenne i vostri lamenti e i vostri insoddisfatti desideri quando disse ai suoi discepoli: [In illo die vos cognoscetis quia ego sum in Patre meo, et vos in me, et ego in vobis. – Joan. XIV, 20]. Nel giorno del giudizio, conoscerete che, siccome il Padre mio dimorando in me, fa le opere mie, [idem, 10] così Io pure, dimorando in voi farò le opere vostre, e voi farete le mie come Io fo quelle del Padre mio.
D. – Ma se soltanto nel dì del giudizio avremo la cognizione di questo mistero, come potrò io giovarmene per operare in Gesù Cristo?
R. – Sebbene non conosciamo distintamente questa meraviglia e non la intendiamo, tuttavia la fede con tutta facilità ce la fa mettere in pratica. Basta la fede; non occorre né vedere, né conoscere chiaramente. Non è forse vero che crediamo i misteri che la fede ci insegna, senza che li vediamo? Contentiamoci pertanto di sapere che la fede ci impone di fare le nostre azioni in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. – La Chiesa ce lo dice ogni giorno nella santa Messa con queste parole: Ogni gloria sia resa a Dio Padre onnipotente, per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo; [Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria. – Can. Missæ]. Qui basta credere, senza voler comprendere.
D. – Qual è dunque il modo con cui io possa operare in Nostro Signore e con Nostro Signore; poiché, è questo un mezzo che dalla fede mi viene suggerito per operare cristianamente?
R. – Proporremo altrove un piccolo esercizio cristiano su la pratica della santificazione di tutte le azioni della giornata, con le varie intenzioni della mente e le disposizioni del cuore onde poterle fare cristianamente. [Viventes autem Deo in Christo Jesu Domino nostro. – Rom., VI, 11]. Qui mi contenterò di darvi in proposito una breve lezione che potrete applicare a ogni vostra azione. La perfezione consiste nel compiere tutte le operazioni nostre a gloria di Dio in Nostro Signore e con Nostro Signore; ed è appunto ciò che san Paolo chiama vivere a Dio in Gesù Cristo. Come abbiamo già detto, seguendo l’Apostolo, Gesù Cristo abita in noi per la fede, ma con una presenza attiva, vuole pertanto che usiamo della fede per ricorrere a Lui e unirci a Lui, onde far tutto in Lui e con Lui, e che non facciamo le nostre azioni in noi stessi e per noi stessi, perché tutto ciò che è in noi e non è di Gesù Cristo, non conduce punto a Dio. Le nostre intenzioni e i nostri pensieri, in forza della corruzione della nostra natura, tendono al peccato; perciò, se opereremo in noi, assecondando l’inclinazione dei nostri sentimenti, tenderemo al peccato. Donde si capisce con quale impegno, al principio delle nostre azioni, dobbiamo aver cura di rinunciare a tutti i nostri sentimenti, a tutti i nostri desideri, a tutti i nostri pensieri, a tutte le nostre inclinazioni per far nostri, come dice ancora san Paolo, i sentimenti e le intenzioni di Gesù Cristo: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu. Abbiate in voi – dice l’Apostolo – i medesimi sentimenti di Gesù Cristo, [Phil. II, 5] per vivere nella perfetta pietà e religione verso Dio, nella perfetta giustizia verso il prossimo, nella perfetta santità verso di noi medesimi e nella sobrietà verso le creature.(Abnegantes impietatem et sæecularia desideria, ut sobrie, et juste, et pia vivamus in hoc sæculo. – Tit. II, 12). È questo pure l’insegnamento che il Figlio di Dio aveva dato ai suoi discepoli con queste parole: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum… et sequatur me. [Matth. XIV, 24] Se uno vuole seguirmi per vivere cristianamente, rinunci a se stesso in tutte le sue azioni, e aderisca al mio spirito per compiere tutto nella virtù di questo spirito a gloria di Dio mio. Padre.
LEZIONE VII.
Applicazione della precedente dottrina all’orazione mentale.
D. – Vi pregherei di rendermi facile la pratica che mi avete suggerita nella precedente lezione, facendone l’applicazione a qualche azione della giornata.
R. – Volentieri applicherò alla pratica dell’orazione mentale quanto ho detto in queste due lezioni, dapprima per dare una completa soluzione alle difficoltà che riguardano questa pratica: e inoltre perché non si parla mai troppo dell’orazione, essendo questa l’azione più importante in tutta la vita del Cristiano. – La prima cosa che dobbiamo fare nell’incominciare l’orazione mentale (ossia meditazione) è di rinunciare a noi stessi e alle nostre proprie intenzioni.
D. – Ma perché rinunciare alle mie proprie intenzioni quando mi inetto a pregare? La preghiera non è forse un’opera buona?
R. – Tutto ciò che la creatura fa di per sé è pieno di amor proprio e di segreto orgoglio. Quante persone, per esempio, si danno alla preghiera per implorare da Dio la sanità, la vincita di un processo, beni materiali o onori? E tutto ciò bene spesso per godere le voluttà del mondo, per soddisfare alla loro ambizione, o magari per vendicarsi dei loro nemici. In tutto questo non c’è niente per Dio, e per il bene dell’anima; tutte queste intenzioni tendono al peccato e alla soddisfazione dell’amor proprio. È quindi assolutamente necessario rinunciare a noi stessi e alle intenzioni cattive che si incontrano anche nelle opere buone.
D. – Ma come dovrò fare?
R. – Nel dar principio all’orazione, mettendovi in ginocchio e coprendovi di confusione per la malizia del vostro interiore (dei vostri sentimenti), direte, seguendo il consiglio di Nostro Signor Gesù Cristo: « Mio Dio e mio Tutto, rinuncio a me stesso e alle inclinazioni peccaminose di cui sono ripieno; vedo bene che non posso pregarvi in me stesso, né da me stesso; detesto con tutto il cuore tutto quanto può dispiacervi in me. – « Per coprire la mia iniquità e la mia malizia e avere in qualche modo accesso presso la vostra divina Maestà, mi dono a Gesù Cristo, vostro Figlio, il quale abita in me ed è la preghiera e la lode di tutta la vostra Chiesa: Laus mea tu es. [1 Jer., XVII, 14]. – Il profeta Davide, con tali sentimenti e tali disposizioni, si abbandonava allo Spirito di Gesù, il quale regnava in Lui, affine di fare la sua preghiera in questo divino spirito, che gli era dato in anticipazione. Perciò diceva a Dio: Come il vostro nome, o Signore, così la vostra lode si estende sino ai confini della terra.[Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua in fines terræ. – Ps., XLV1I, 11]. Orbene, questa lode non è altro che Gesù Cristo, il quale rappresenta e dice in se stesso tutto ciò che Dio suo Padre è, e gli rende una gloria uguale a Lui medesimo: secundum nomen tuum, ita et laus tua. Oh, quanto è felice il Cristiano, per avere nelle sue mani il mezzo di offrire a Dio una gloria a Lui eguale, la quale comprende pure tutte le lodi che a Lui sono dovute! – Il medesimo profeta, parlando altrove, nel suo linguaggio profetico e pieno di figure, della preghiera della Chiesa, descrive questa Chiesa come un carro che porta migliaia di Cristiani, i quali lodano Dio e si rallegrano nella sua presenza, e soggiunge che lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo sta in mezzo a loro per essere il loro cantico: Currus Dei decem millibus multiplex, milia lætantium; Dominus in eis in Sina in sancto.[Ps., LXVII, 18].Il medesimo Gesù che lo da in loro, trovasi pure nel seno di Dio, e nel santo Sacramento, dove rende alla divina Maestà ogni possibile omaggio di rispetto e di onore, e dove inoltre fa sua la preghiera della Chiesa, per implorare le grazie convenienti ai bisogni e alle necessità di ciascun fedele. [Questa dottrina non si applica soltanto all’orazione, ma pure a tutte le nostre opere soprannaturali].
LEZIONE VIII.
Il metodo dell’orazione mentale, ossia della meditazione.
D. – Dopo aver rinunciato, nel dar principio all’orazione, a me stesso; dopo aver purificato il mio cuore ed essermi unito in ispirito a Nostro Signore, che cosa debbo fare?
R. – Due cose, come ci insegna l’orazione domenicale; la prima è di adorare, lodare e glorificare Iddio; la seconda di raccomandargli le vostre necessità. Sono queste le due parti dell’Orazione mentale, la prima si chiama adorazione, la seconda, comunione.
D. – Perchè si incomincia con l’adorazione?
R. – Incominciamo con l’adorazione, dapprima perché dei due fini dell’orazione, il primo e il principale è quello di onorare e glorificare Iddio. Inoltre perché così suol fare la santa Chiesa, al principio delle sue pubbliche preghiere, dicendo: Venite, adoremus, et procidamus ante Deum; Venite adoriamo e prostriamoci davanti a Dio.
D. – E perché chiamate voi adorazione questa prima parte?
R. – Questa prima parte si chiama adorazione, perché nella Scrittura questo termine bene spesso viene usato per esprimere gli atti di religione; questa infatti è quella virtù cristiana che inclina l’anima ad annientarsi davanti a Dio, ad ammirare la sua grandezza, a lodarlo, a ringraziarlo, ad amarlo, in una parola a tributargli ogni sorta di omaggi, come dobbiamo fare in questa prima parte dell’orazione.
D. – Perché chiamate voi la seconda parte comunione?
R. – Perché in questa parte l’anima si dà a Dio per godere della partecipazione di ciò ch’Egli è e da cui vuole animarci. Orbene, la partecipazione e la comunicazione che Dio dà dei suoi doni e delle sue perfezioni si chiama propriamente comunione; così usano soprattutto i Padri Greci, perché Dio in tal modo ci comunica, ossia ci rende comuni le sue ricchezze. La partecipazione al Corpo di Gesù Cristo dicesi Comunione sacramentale, perché questo Sacramento rende comuni (tra l Lui e noi) i beni di Gesù Cristo e ci comunica i suoi doni più preziosi. La partecipazione che avviene nell’orazione si dice comunione spirituale, a motivo dei doni che Dio in quella ci comunica per la sola intima operazione del suo Spirito. – L’anima che ha coscienza di qualche operazione segreta nel suo cuore, deve tenersi in quiete e silenzio, per ricevere, in tutta la loro estensione, i doni e le comunicazioni di Dio; senza voler agire da se medesima, né fare sforzi che disturberebbero le operazioni pure e sante del divino Spirito di Dio. – Nell’adorazione infine v’è una terza parte che da taluni viene detta risoluzione, ma più propriamente può chiamarsi cooperazione, la quale è il frutto dell’orazione e si estende a tutta la giornata.
D. – Che cosa significa e in che consiste questa cooperazione?
R. – Nella seconda parte, l’anima ha eccitato in se stessa un perfetto desiderio di imitare Nostro Signore nel mistero o nella virtù che aveva adorato in Lui nella prima parte, e gli ha domandato con viva istanza di fargliene la grazia, tenendosi alla sua presenza come un povero mendicante, che non si stanca mai di tendere la mano verso chi può soccorrerlo. La terza parte invece consiste nel corrispondere e cooperare fedelmente alla grazia che l’anima avrà ricevuta, epperò consiste nei fare buoni proponimenti, prevedendo anche le occasioni di metterli in pratica che potranno capitare durante la giornata e abbandonandosi pienamente alla virtù dello Spirito di Nostro Signor Gesù Cristo per obbedirgli, non solamente nel giorno presente, ma sempre, sino alla morte.
D. – Qual differenza passa tra cooperazione e risoluzione?
R. – Sono bensì la stessa cosa; ma l’espressione cooperazione mette più espressamente in rilievo la virtù dello Spirito Santo, perché da Lui le opere buone dipendono molto più che dalla nostra volontà, la quale non sarebbe capace di niente quando non fosse mossa e corroborata dalla virtù dello Spirito Santo; il termine risoluzione, al contrario, si riferisce più espressamente alla determinazione della nostra volontà e sembra attribuire meno la virtù e all’efficacia del potere dello Spirito, al quale tuttavia dobbiamo pienamente abbandonarci, affinché in seguito Egli agisca in noi in ogni occasione, ci faccia ricordare i suoi e ci dia amore e forza per adempierli. In tal modo dobbiamo chiudere l’orazione con un abbandono totale di noi stessi allo Spirito Santo, il quale sarà la nostra luce, il nostro amore, e la nostra virtù.
LEZIONE IX.
Possiamo pregar Dio, sebbene non lo conosciamo perfettamente e benché non conosciamo neppure tutte le nostre necessità; Nostro Signore non è soltanto mediatore di redenzione, ma anche di religione.
D. – Sono ben persuaso che dobbiamo adorare e glorificare Dio nell’anima nostra; ma come potrò io glorificare il Signore, mentre non lo conosco? Ignoro anche ciò che debbo domandargli per il bene dell’anima mia.
R. – È vero che sono questi i motivi per i quali Nostro Signore volle farsi, Egli medesimo, la preghiera della sua Chiesa, in generale e la nostra preghiera in particolare. Gesù Cristo medesimo disse: Nessuno conosce il Padre fuorché il Figlio [Neque Patrem quis novit, nisi Filius». – Matth.. XI, 27], e così si vede quanto sia esigua la cognizione che abbiamo di Dio. San Paolo d’altra parte dice pure: Quid oremus, sicut oportet nescimus; non possiamo conoscere ciò che è bene per noi e ciò che dobbiamo domandare. Inoltre manchiamo di forza e di virtù per domandare da noi stessi. Orbene, san Paolo ci insegna che lo Spirito di Gesù Cristo deve supplire alla nostra ignoranza e alla nostra debolezza.
Lo Spirito di Dio – dice l’Apostolo – sostenta la nostra debolezza, ma lo Spirito stesso sollecita per noi con gemiti inesprimibili. E Colui che è scrutatore dei cuori conosce quel che brama lo Spirito, mentre Egli sollecita secondo Dio per i santi. [Rom. VIII, 26-27]. Pertanto, non abbiamo che da unirci a questo divino Spirito di Gesù Cristo; e Nostro Signore, il quale vive in noi, supplirà a tutto ciò che ci manca, poiché appunto a questo fine viene ad abitare in noi.
D. – Ma e come possiamo unirci allo Spirito Santo di Gesù Cristo?
R. – Il santo Spirito di Gesù è in noi come Sposo dell’anima nostra, pertanto non aspetta se non i nostri desideri e la nostra volontà; abbandoniamoci dunque a Lui per pregare a mezzo suo e in Lui, ed Egli sarà la nostra preghiera. – Nostro Signore, in qualità di Mediatore di religione, è la preghiera pubblica per Sé e per tutta la Chiesa; ma la Chiesa non prega in Gesù Cristo, se non unendosi a Lui; e deve far questo nella grazia di Gesù Cristo, e donarsi al santo Spirito di Gesù come lo Spirito Santo di Gesù si dona a lei.[Rom. V, 5]. – Nello sposalizio spirituale, ci vuole un dono reciproco e un mutuo consenso degli spiriti; Gesù nell’anima, l’anima in Gesù, tutti e due fanno la preghiera, la quale è il frutto principale dell’alleanza del santo Spirito di Gesù con le anime nostre; sicché le nostre preghiere sono come i frutti (i figliuoli) di questo spirituale connubio. Che se voi mi chiedete a chi va attribuita la preghiera, vi dirò che va attribuita all’anima in Gesù e a Gesù nell’anima; volerne saper di più, sarebbe come pretendere di violare il segreto di Gesù Cristo in noi, e penetrare un mistero ch’Egli vuole tener nascosto, tanto come quello delle operazioni del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre. Di chi sono le opere di Gesù? Del Padre o del Figlio? Esse sono operazioni del Padre e del Figlio, e Dio non vuole che la creatura vi cerchi distinzione; ci basti sapere che Gesù le compie nel Padre, e il Padre con Gesù e in Gesù.
D. Avete detto che Gesù Cristo è Mediatore di religione, cosa significa questa espressione?
R. – Ordinariamente si dice che Nostro Signore è il Mediatore della nostra redenzione, ed è vero, perché Egli per la nostra salvezza ha offerto il suo sangue al Padre per mezzo dello Spirito Santo, e ha dato la sua vita per la nostra vita, la quale non era capace di redimerci. In tal modo Gesù Cristo ha supplito per il nostro debito principale, soddisfacendo a Dio per i nostri peccati, con la sua morte, la quale sola poteva soddisfare alla giustizia di Dio. Ma ciò non bastava: noi eravamo inoltre debitori a Dio di una infinità di omaggi religiosi che eravamo incapaci di rendergli di per noi stessi, come adorarlo, amarlo, lodarlo e pregarlo secondo il suo merito e secondo il nostro dovere: Magnus Dominus et laudabilis nimis. [Ps., XCV, 4; XLVII, 2; CXLIV, 3]. Avevamo bisogno pertanto che il nostro grande Signore e Maestro, nella sua carità, ci servisse pure di supplemento per i nostri doveri e fosse anche il Mediatore della nostra religione. Per questo, Egli volle rivivere dopo la sua morte, ed essere sempre vivente ad interpellandum prò nobis, dice san Paolo, [Hebr., VII, 25], vale a dire per lodare e pregare il Padre suo in vece nostra e per supplire alla nostra incapacità, Gesù Cristo fece questo nella Legge antica; lo fa nella Chiesa, e lo farà anche nel Cielo: Jesus Christus heri, et hodie, ipse et in sæcula. [Hebr., XIII]. Gesù Cristo, dice l’Apostolo, era ieri, è oggi ancora e sarà in tutti i secoli.Con la parola ieri, san Paolo intende la Legge: Mille anni tamquam dies hesterna quæ præteriit [Ps., LXXXIX, 4]. I secoli della Legge sono come un giorno passato; oggi è il tempo della Chiesa su la terra; in tutti i secoli, ecco l’eternità, nella quale Gesù Cristo sarà il supplemento delle creature e il Mediatore della nostra religione.
LEZIONE X.
Schiarimenti su le difficoltà che gli muovono alla preghiera pubblica della Chiesa in lingua latina.
D. – Dall’istruzione precedente riconosco la necessità di corrispondere al desiderio di Gesù Cristo e di unirci a Lui, poiché Egli tanto lo desidera ed è in noi questo, non aspettando che il nostro senso e la nostra corrispondenza. Quanto saremo infelici se, sentendo nell’intimo del nostro cuore la carità che a Lui ci attira, non l’assecondassimo e non vi rispondessi! Credo sia questa la ragione per la quale certi Santi paventavano i giudizi di Dio, non tanto per i loro peccati, quanto per le loro infedeltà alle attrattive della grazia. Si ritenevano colpevoli di aver in tal modo contristato bene spesso lo Spirito Santo e di aver privato Dio di molta gloria alla quale aveva diritto e che lo Spirito Santo voleva che gli fosse resa in noi e per mezzo di noi. –Forse sarà pure per questo che santa Caterina da Siena si accusava come colpevole dei peccati di tutto il mondo, dicendo, che per le sue infedeltà alla grazia e per aver mancato di obbedire allo Spirito Santo, il quale spesso l’invitava alla lode e alla preghiera, ella aveva privato il mondo di molte grazie, perché lo Spirito Santo avrebbe operato in Lei, se avesse corrisposto, molti sentimenti e molti atti capaci di placare Iddio e di attirare sui peccatori la sua misericordia e quindi l’effusione delle sue grazie efficaci e trionfanti. Questi pensieri mi coprono di confusione, perché pur troppo ho molti motivi di domandare mille volte perdono al Signore le mie infedeltà; e vi prego d’implorare la sua misericordia a mio favore e di colmare la sua giustizia perché pavento i suoi giudizi.
R. – Lodo il Signore perché si degna di darvi sentimenti così cristiani e così conformi a quelli che largì ai suoi Santi,. Inoltre, per confermare ancora più in voi questa verità donde li avete tratti, cioè che Nostro Signore non è solo Mediatore di redenzione, ma anche Mediatore di religione, aggiungerò che ne abbiamo una bella figura nel Sommo Sacerdote dell’antica Legge, quando entrava nel Santo dei Santi, portando il sangue delle vittime immolate e un turibolo fumante. [Levit., XVI; Hebr., IX]. Questo turibolo rappresentava i figli della Chiesa nelle loro preghiere, essendo essi figurati dai granelli d’incenso che venivano consumati dal fuoco, come i nostri cuori cono consumati dall’amore e dalla carità di Gesù Cristo nostro consumatore. [Thuribulum est… cor hominis; ignis, caritas seu fervor devotionis. (Durand). – Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc., XII, 49). – Abbiamo qui la soluzione di una difficoltà che gli eretici muovono contro la preghiera pubblica della Chiesa, burlandosi del popolo e delle sante religiose, perché cantano in latino, salmodiando, secondo loro, senza frutto, in una lingua che non intendono. Gli eretici s’ingannano, poiché l’anima che si accinge a pregare non ha altro da fare che unirsi a Gesù Cristo, il quale è la preghiera e la lode di tutta la Chiesa; talmente che, essendo l’anima unita a Nostro Signore e aderendo col cuore a tutta la lode e a tutte le domande ch’Egli presenta al Padre suo, la preghiera non è mai senza frutto; al contrario, essa pregando in tal modo fa molto maggior bene che se pregasse nel suo spirito proprio e volesse impicciarsi di adorare, amare, lodare e pregar Dio da sé e con i suoi propri atti. [Eresia ripetuta oggi dagli usurpanti modernisti apostati mercenari del “Novus Ordo” Vaticano II – ndr. -]. L’anima per tale unione con Gesù Cristo, diventa più vasta del mare, estesa come l’anima e lo Spirito di Gesù Cristo che prega nella Chiesa intera. Di tal genere è la preghiera che si pratica in Cielo, poiché vediamo nell’Apocalisse [Apoc. VII, 12] che i Santi non fanno altro che rispondere Amen alle preghiere dell’Agnello, ciò che esprime l’unione dei loro cuori con Gesù Cristo, il quale è la loro preghiera. – I Santi in Cielo, riconoscendo la loro incapacità di lodar Dio in se stessi, s’inabissano in Gesù Cristo per dire a Dio tutto ciò che Gesù Cristo gli dice e in pari tempo tutto ciò che la Chiesa dice in Lui. A questo pure ci invita il profeta Davide dove dice: Magnificate Dominum mecum et exaltemus nomen ejus in idipsum. [Ps., XXXIII, 4). Venite, magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. – Dobbiamo dunque fare anche noi come i fanciulli della fornace di Babilonia, i quali lodavano, glorificavano, e benedicevano il Signore con un medesimo spirito, una medesima volontà e. un medesimo cuore [Ibi tres ex uno laudabant, et glorificabant et benedicebant Deum – Dan. III, 51] e con le medesime intenzioni e disposizioni dello Spirito di Gesù Cristo; poiché il quarto che apparve insieme con loro nel fuoco è detto: Simile al Figlio di Dio: Similis Filio Dei. [Dan. III, 92].
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