CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (2)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (2)

LEZIONE IV.

Dello spirito e delle inclinazioni di Adamo, dalle quali è ben lontana la condizione dei Cristiani.

D. – Adamo aveva dunque altre inclinazioni che i Cristiani? Aveva forse uno spirito diverso da quello di Gesù Cristo? Lo Spirito Santo operava dunque in lui altri sentimenti differenti che in Gesù Cristo?

R. – Sì, Adamo era stato creato perché fosse simile a Dio nelle perfezioni, nell’onore e nella beatitudine, perciò venne creato nel Paradiso terrestre e costituito Re dell’Universo.

D. – Non è forse questo il destino anche dei Cristiani?

R. – No.

D. – Ma dunque, non sono forse creati a immagine di Dio?

R. – Sì, sono creati simili a Dio, nella sua giustizia e nella sua vera santità. (Secundum Deum creatus est, in justitia et sanctitate veritatis. – Ephes., IV, 24).

D. – Che significa: sono creati nella giustizia e nella vera santità?

R. – Significa che sono creati in Gesù Cristo (Creati in Christo Jesu – Ibid., I , 10), rinnovati e rigenerati dal Battesimo, per vivere poi nel distacco da ogni creatura.

R. – La condizione dei Cristiani è dunque molto differente da quella di Adamo, prima del peccato?

R. – Sì: Adamo nello stato d’innocenza, cercava Dio, lo serviva e lo adorava nelle creature; e i Cristiani, al contrario, devono cercare Dio per la fede, servirlo e adorarlo in quanto è ritirato in se stesso e nella sua santità, separato da ogni creatura ed elevato al di sopra di ogni cosa.

D. – I Cristiani devono dunque essere distaccati da tutto? Debbono dunque essere santi?

R. – Sì, certamente; devono essere, almeno nel loro cuore, separati da tutto: devono cercare Dio in Lui medesimo; perciò san Paolo li chiama Santi (Vocatis sanctis.- Rom. I, 7. La santità è uno stato in cui l’anima è tutta distaccata dalle creature, e unita a Dio con tutti i suoi affetti).

LEZIONE V

Come i Cristiani sono obbligati a mortificare in se stessi le inclinazioni di Adamo e della carne, e di crocifiggere l’uomo vecchio.

D. – Che debbono dunque fare i Cristiani i quali sentono in se stessi l’inclinazione a legarsi con l’affetto alle creature?

R. – Sono obbligati a reprimere queste inclinazioni e a rinunciarvi, poiché sono inclinazioni che vengono dalla carne, e poiché non siamo più debitori alla carne, come dice san Paolo, non dobbiamo vivere secondo la carne (Debitores sumus non carni, ut secundum carnem vivamus. – Rom., VIII, 12).

D. – Dopo il Battesimo, il quale è una seconda generazione, i Cristiani non devono dunque conformarsi al loro padre Adamo per vivere come lui?

R. – No, perché Iddio, essendosi fatto nostro Padre nel Battesimo, ci impone di vivere secondo Lui e secondo le sue inclinazioni, che il suo Spirito infonde in noi.

D. – E se viviamo secondo la carne, saremo noi salvati?

R. – No; san Paolo, infatti, ci dice espressamente che morremo, se non mortificheremo la nostra carne con tutti i suoi disordinati desideri, che sentiamo in noi (Si secundum camem vixeritis, moriemini. – Rom., VIII, 13).

D. – I Cristiani sono dunque obbligati a mortificare se stessi?

R. – Certamente, poiché secondo l’Apostolo, quelli che sono di Gesù Cristo, hanno crocifisso la loro carne coi suoi vizi e le sue cupidigie; hanno crocifisso l’uomo vecchio con tutte le sue opere e se ne sono spogliati (Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis. – Galat., V, 24; Expoliantes vos veterem hominem cum ætibus suis. – Colos., III, 9).

D. – Cos’è quest’uomo vecchio?

R . – È ancora la carne; ossia siamo noi medesimi l’uomo vecchio, con le inclinazioni che abbiamo ricevute da Adamo, per mezzo dei nostri genitori.

D. – Quali sono queste inclinazioni?

R. – Tutte le inclinazioni che ci portano al male e di cui siamo pieni; si possono ridurre a tre: l’inclinazione al piacere, l’inclinazione alle ricchezze e l’inclinazione all’onore.

D. – E dobbiamo noi reprimere tutti questi appetiti?

R. – Sicuramente; dobbiamo crocifiggere in noi l’uomo vecchio come i cattivi crocifiggono Gesù Cristo.

D. – Ma, insomma, cosa vuol dire propriamente crocifiggere l’uomo vecchio?

R. – Significa comprimere, anzi, soffocare nel nostro cuore tutti i desideri impuri e disordinati che sentiamo nella nostra carne.

D. – Ma cos’è questa carne?

R. – La nostra carne è tutta la vecchia creatura che noi siamo; tutto l’uomo in quanto non è rigenerato, ed è opposto allo spirito del Battesimo.

D. – Ma dunque, prima che siamo battezzati l’anima nostra in noi e il nostro spirito sono forse carne?

R. – Sì, e chiamo carne l’anima nostra perché essendo immersa nella carne, rimane partecipe di tutte le maligne inclinazioni di quella, dimodoché, se la grazia non la libera dalla carne, diventa una cosa sola con questa e perciò giustamente viene chiamata carne.

D. – Sarà forse per questo che Nostro Signore dice che dobbiamo odiare l’anima nostra? (Qui amat animam suam perdet eam; et qui odit animam suam in vitam æternam custodit eam. – Joann., XII, 25).

R. – Appunto; perché l’anima nostra, in quanto è una stessa cosa con la carne, e ne anima e vivifica l’impurità e la corruzione, è nemica di Dio e non merita altro che odio.

D. – E da sola la carne potrebbe peccare?

R. – No, poiché non può vivere senza l’anima, e l’anima, mentre dà vita alla carne, con questa cerca il male e si rende partecipe di tutta la corruzione di essa.

D. – E la nostra mente, può anch’essa essere chiamata carne?

R. – Sì, quando abbia pensieri conformi ai sentimenti e ai movimenti della carne; donde avviene che san Paolo dice che la prudenza della carne è una morte…  Prudentia carnis mors est. (Rom.. VIII, 6).

D. – Che cosa è la prudenza della carne?

R. – La prudenza della carne consiste nei pensieri e nei propositi che noi formiamo nella nostra mente, ossia nel nostro spirito, per giungere ai fini della carne, che sono le voluttà, gli onori e le ricchezze.

D. – Ma, anche la volontà sarà dunque chiamata carne?

R. – Sì, quando aderisce ai movimenti della carne (In desideriis carnis nostræ facientes voluntatem carnis. – Ephes., II, 3); san Paolo chiama appunto questi movimenti: desideri e volontà della carne.

D. – La carne è dunque di grande pregiudizio per l’uomo?

R. – Sì, perciò bisogna odiarla, crocifiggerla e farla morire. Gesù Cristo si lasciò crocifiggere, mettere a morte e seppellire per insegnarci che dobbiamo crocifiggere noi stessi nella nostra carne; che se Egli non volle risparmiare la sua carne innocente, la quale aveva soltanto l’apparenza del peccato, quanto più dobbiamo noi crocifiggere la nostra la quale è veramente peccatrice e tutta costituita nella malignità!

LEZIONE VI.

Della sorgente della grande malignità della carne, alla quale dobbiamo rinunciare.

D. – Donde viene la malizia della carne?

R. – Dal demonio, il quale istillò il suo veleno nell’anima dei nostri progenitori, che lo accolsero con piacere e in tal modo infettarono talmente la loro natura che tutta la discendenza loro nasce corrotta. I figli di Adamo sono come i figli di un lebbroso, la cui corruzione è così grande e la sostanza corrotta, che tutto quanto nasce da lui è corrotto, e tutti i suoi figli sono lebbrosi come lui. – Oppure immaginiamo una sorgente di acqua stagnante corrotta; i rivi che ne derivano sono pure tutti corrotti e partecipi della sua infezione.

D. – I nostri progenitori furono dunque viziati dalla malignità del demonio?

R. – Sì, e la nostra carne che viene da quella di Adamo come dalla sua sorgente è rimasta infetta di questa malignità.

D. – La corruzione e la malizia della nostra carne sono dunque della medesima natura di quella del demonio?

R. – Sicuramente, e Dio nutre appunto un grande odio contro la nostra carne perché essa è piena della malizia del demonio.

D. – Ma come mai? La malizia del demonio si consuma nell’inferno: la nostra carne si risente forse di una tale piena malizia?

R. – Sì, la nostra carne è capace di fare altrettanti mali come il demonio e, se fosse abbandonata da Dio e dal suo Santo Spirito, si porterebbe a tutti i mali che il demonio potrebbe fare.

D. – Dobbiamo dunque nutrire una estrema avversione e un grande orrore per la nostra carne?

R. – Dobbiamo odiarla come odiamo il demonio; anzi dobbiamo fuggirla più che non fuggiamo il demonio. Per questo motivo i Santi facevano strazio del proprio corpo, e, per l’odio che portavano alla loro carne, praticavano straordinarie macerazioni fino a scorticarsi a sangue. Così sfogavano la loro ira su la propria carne come sul nemico giurato di Dio. Oh, quanto dobbiamo fuggire la carne e rinunciare a tutto ciò che essa domanda e desidera da noi! Perciò Nostro Signore diceva che chiunque vuol essere suo discepolo deve rinunciare a se stesso. [Si quis vult post me venire, abnget semetipsum. Matth., XVI, 24).

D. – E che significa rinunciare a se stesso?

R. – Vuol dire rinunciare a tutte le cattive inclinazioni della carne, ossia al desiderio degli onori, dei piaceri e delle ricchezze, al desiderio di essere amato, ai desideri di vendetta, in una parola a tutti i desideri di peccato che sentiamo in noi e che sono contrari alla Croce di Gesù Cristo.

LEZIONE VII.

Dell’amore della croce, vale a dire, delle umiliazioni, delle sofferenze e della povertà, il quale ci viene dato dallo Spirito Santo nel Battesimo.

D. – Dobbiamo dunque portare la Croce di Gesù Cristo e far professione dellesue massime?

R. – Certamente è questa la seconda condizione che Gesù Cristo impose ai suoi discepoli e a tutti i Cristiani: portare la croce e compiacersi nelle sofferenze, nelle umiliazioni, nelle calunnie, nella povertà, ecc.

D. – Ma come mai può darsi che alitiamo l’umiliazione, la sofferenza, la povertà, in una parola la santa Croce di Gesù Cristo?. [« L’amore alla croce è un amore soprannaturale. Lo Spirito Santo ne è il principio, e la nostra volontà abbandonata a se stessa, non giungerebbe mai a produrne gli atti. Di sua natura non percepisce la sensibilità. Ama la croce chi vuole, con l’aiuto della grazia, portarla al seguito di Gesù Cristo; chi è permanentemente disposto a distruggere a poco a poco nell’animo proprio le perverse inclinazioni dell’uomo vecchio e a crocifiggerlo, secondo l’energica espressione dell’Apostolo »].

R. – Da noi medesimi non lo possiamo, sebbene per la virtù di Gesù Cristo e del suo Santo Spirito ch’Egli ci dà nel Battesimo. Lo Spirito Santo, in virtù del Battesimo, viene a riposare in noi, nel fondo del nostro cuore, per imprimervi i suoi sentimenti.

D. – Stranissimo mistero! Quali contraddizioni!

R. – È vero; perciò abbiamo da soffrire grandi lotte, quelle lotte di cui parla san Paolo quando dice che la carne combatte contro lo spirito e lo spirito combatte contro la carne. [Caro concupiscit adversus spiritum; spiritus autem adversus carnem; hæc enim sibi invicem adversantur. – Galat., V, 17]. Da una parte, lo Spirito Santo, che è in noi, ci porta all’umiliazione, alla povertà, alla sofferenza; dall’altra la nostra carne desidera onori, piaceri, ricchezze. L’anima nostra può andare da una parte all’altra a suo piacimento [Notiamo come il Servo di Dio afferma la libertà ad onta della corruzione che abbiamo ereditata dal nostro progenitore. L’anima è sempre capace di fare il bene, con l’aiuto della grazia aderire allo Spirito Santo con la grazia ch’Egli ci infonde, ovvero resistergli e aderire alla carne per causa della sua propria malizia].

D. – Ma come mai dite voi che lo Spirito di Dio ci dà l’amore dei patimenti, delle umiliazioni e della povertà? Quanto a me, non ho ancora provato il piacere di soffrire, la delizia nell’essere umiliato, il godimento nella povertà.

D. – Dite il vero; non sentite nella vostra carne questo piacere, questa delizia, questa gioia; e infatti lo Spirito Santo non è in voi per operare tali effetti nella vostra carne, per compiere un tal cambiamento nel vostro corpo, sebbene nell’intimo dell’anima vostra.

D. – E la carne, non troverà mai piacere nell’essere afflitta, nelle pene e nella croce?

R. – Mai, a meno che talvolta lo Spirito Santo estenda sino ad essa le inclinazioni che avrà effuse nell’anima e inebri il nostro corpo dei medesimi sentimenti di cui avrà riempito il nostro cuore; ma ciò accadrà raramente e per breve tempo.

D. – Il Battesimo dunque non produce nel corpo l’impressione che fa nell’anima?

R. – L’anima è quella che riceve le inclinazioni e le nuove impressioni dello Spirito: essa sola è rigenerata dal Battesimo.

LEZIONE VIII.

Della nostra prima generazione, in cui il demonio è padre delle nostre cattive inclinazioni; e della rigenerazione del Battesimo, nella quale Dio diventa nostro padre, comunicandoci la sua vita divina.

D. – Che cosa vuol dire che l’anima nostra è rigenerata dal Battesimo?

R. – Ciò vuol dire che nel Battesimo essa riceve inclinazioni e impressioni affatto nuove e differenti da quelle della sua prima generazione. – Per la prima sua generazione l’anima aveva inclinazioni perverse che l’allettavano al peccato, alle cose terrene e alle creature. Al contrario, per la rigenerazione dei Battesimo, riceve impressioni e inclinazioni affatto differenti, le quali la portano ad amare Iddio e ad adempiere verso di Lui i doveri di religione, a distaccarsi dalle creature e a ricevere le cose del Cielo. [Questi sono gli effetti delle virtù che il Battesimo infonde nell’anima, virtù delle quali tuttavia non abbiamo coscienza].

D. – Dopo il Battesimo dunque, l’uomo non è più nostro padre, né la carne, nostra madre?

R. – No, e non dobbiamo più seguirne le cattive inclinazioni, perché nostro padre è Iddio.

D. – In qual modo Dio diventa nostro Padre?

R. – Noi chiamiamo Dio nostro Padre e lo è in verità, perché nel Battesimo ci comunica, mediante il suo Santo Spirito, la sua natura e la sua vita divina. [Ut efficiamini divinæ consortes naturæ. ( II Petr., I. 4). — Ut filii Dei nominemur et simus. (I Joan., III, 1)].

D. – Ma il demonio non è egli pure il padre dell’uomo?

R. – Sì, nella prima generazione (naturale) il demonio è propriamente padre dell’uomo peccatore in Adamo, perché in esso ha seminato la sua propria vita e le proprie pessime inclinazioni, le quali ci furono trasmesse nella nostra prima nascita. Perciò Gesù Cristo disse ai maligni Farisei: Voi avete per padre il demonio e volete eseguire i desideri del padre vostro. Vos ex pntre diabulo estis, et desideria patris vestris vultis facere. (Joan., VIII, 44). – Nella seconda generazione, invece, che si compie nel Battesimo, tutto è divino, perché in questa nuova nascita l’Eterno Padre è il nostro Padre, che ci comunica le sue inclinazioni, i suoi sentimenti, la sua santità, per la virtù del suo Spirito, il quale da Lui ci viene dato ed è in noi il principio della vita santa e divina; vita divina che risplende poi nelle opere nostre, che sono simili a quelle di Dio e lo glorificano su la terra. – Pertanto, poiché nella nostra prima generazione il demonio è nostro padre e sappiamo che le sue perverse inclinazioni ci vennero trasmesse da Adamo, riconosciamo che siamo ben miserabili; la nostra miseria è tale che la parola umana non potrebbe esprimerla: Dio solo può comprenderla.

D. – E perchè?

R. – Perché Dio solo comprende quale sia la malizia del demonio e quale sia la miseria cui lo ha condannato la Divina Giustizia; perciò Lui solo può comprendere la miseria, la malizia e la povertà della nostra carne, la quale è ridotta ad uno stato così disgraziato che non solo è partecipe della maledizione del demonio, ma inoltre ha in sé varie debolezze, impurità e miserie di cui quello spirito maligno, per la sua propria natura, è immune.

D. – Ma se così stanno le cose, l’uomo per giustizia deve amare l’abiezione e compiacersi di essere umiliato e disprezzato?

R. – Certo; tutto ciò gli è ben dovuto.

LEZIONE IX.

Dell’obbligo di portare la croce e di conservarne l’amore, come risulta dallo spirito del Battesimo, che ha impresso in noi questo amore.

D. – La carne non può meritare che disprezzo, abiezione e contraddizioni?

R. – Non può meritare altro, e appunto per questo nel Battesimo viene infuso nel cuore dell’uomo l’amore del disprezzo, dei patimenti e della povertà. [Amore soprannaturale, per il quale dalla mano di Dio si accettano volentieri le croci e si riconosce che sono grazie e non castighi; amore tuttavia che non toglie la ripugnanza naturale per la sofferenza, le umiliazioni e la povertà]. L’uomo, infatti, non essendo in se stesso altro che niente e peccato, non deve avere altro desiderio fuorché quello di essere trattato secondo il suo merito, vale a dire di essere umiliato, povero e perseguitato.

D. – O ammirabile condotta della sapienza divina sui Cristiani! Non è senza ragione che la Scrittura chiama il mistero della Croce un mistero nascosto. (Et erat verbum istud absconditum ab eis. – Luc., XVIII, 34). Pochi intendono cosa sì giusta e ragionevole per il nostro stato e che siamo obbligati ad averne l’amore nel nostro cuore.

R. – È questa appunto la disgrazia e l’inganno del mondo; generalmente si pensa che l’amore della Croce sia una devozione riservata al chiostro, e non un obbligo per tutti i Cristiani. Ma san Paolo, come già abbiamo detto, dichiara che non siamo più debitori verso la carne sicché viviamo secondo le sue inclinazioni, ma siamo obbligati invece a vivere secondo lo spirito. Che se viviamo secondo lo spirito, dobbiamo camminare secondo lo spirito … Si spiritu vivimus, spiritu et ambulemus. – (Galat. V, 25),il quale ci imprime nel cuore l’inclinazione per la Croce e ci dà la forza di portarla.

D. – Ho sentito talvolta che questa verità ci viene insegnata dalle cerimonie che la Chiesa usa nel Battesimo; è vero?

R. – Verissimo, perché con l’Olio Santo si fanno due croci, una sul cuore, l’altra su le spalle del battezzato, per significare l’effetto dello Spirito Santo.

D. – Che rappresenta l’olio?

R. – L’olio santo rappresenta lo Spirito Santo.

D. – Che significa la croce che si fa sul cuore?

R. – Significa l’amore della croce, perché il cuore è la sede (almeno in apparenza e secondo la credenza generale) dell’amore.

D. – E quella che si fa su le spalle?

R. – Questa significa la forza di portare la croce, perché le spalle sono la sede della forza dell’uomo.

LEZIONE X.

Di un altro dovere di amare la croce, e in modo particolare l’umiliazione e l’abiezione, le quali formano il primo braccio della Croce; dovere che risulta dal fatto che l’uomo, nel suo fondo e da se stesso, è niente.

D. – E’ soltanto lo Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo quello che ci obbligaad amare la Croce?

R. – No, vi siamo ancora obbligati per ciò che siamo da noi medesimi. Che cosa è l’uomo da se stesso e nel suo fondo? Ahimè, l’uomo da se stesso è niente! Che cosa era l’uomo prima che Dio vi avesse deposto il suo essere? (L’essere dell’uomo è essere di Dio in quanto viene da Dio per la creazione). Niente, assolutamente niente. — Ma il niente che cosa merita? — Niente; il niente merita il niente, quindi il disprezzo, l’abiezione, l’abbandono e la dimenticanza da parte di ogni creatura. Il niente non può essere considerato, perché non ha nulla che possa attirare lo sguardo e sul quale si possano porre gli occhi.

D. – Non dobbiamo adunque desiderare di essere considerati, veduti, stimati?

R. – No, dobbiamo desiderare di essere trattati secondo il nostro merito, perciò di essere disprezzati; ciò che è niente non merita neppure di essere disprezzato, poiché non è tale che si possa pensare a lui, né che se ne faccia l’oggetto di qualsiasi giudizio. Donde si vede che l’uomo, essendo niente per se stesso e nel suo fondo, non merita niente, nemmeno il disprezzo.

D. – Ahimè! siamo dunque ben poca cosa, mentre non meritiamo neppure che si pensi a noi, neanche per disprezzarci. Ma perché dite voi che l’uomo è niente, dal momento che ha un corpo e un’anima?

R. – Dico che l’uomo è niente in se stesso e per se stesso; ha bensì cose che ha ricevute e che appartengono ad altri (a Dio) ma, in se stesso, è sempre niente; e chi ha il merito di essere considerato e onorato, non è lui, ma quell’altro (Dio), al quale appartiene il bene che ne ha ricevuto.

D. – Donde ricavate voi queste verità?

R. – Dall’Apostolo san Paolo, il quale dichiara che se uno, mentre in verità è niente, crede di essere qualche cosa, s’inganna grossolanamente; e inoltre che non abbiamo motivo di gloriarci come se non avessimo ricevuto tutto ciò che abbiamo.(Si quis existimat se aliquid esse, cum nihil sit, ipse se seducit. – Galat., VI, 3 ). — Quid habes quod non accepisti ? Si autem accepisti, quid gloriaris quasi non acceperis? – I Cor., IV, 7).

D. – E dunque, da chi l’uomo ha ricevuto tutto il bene che possiede?

R. – Da Dio solo; perciò Dio solo deve essere onorato per qualsiasi bene che si trovi nell’uomo; in quella guisa che il pittore deve essere onorato per il quadro che ha dipinto, e non già la vecchia tela su la quale ha steso i suoi colori: così l’uomo non deve punto ricevere per sé le lodi che gli vengono date, ma tutto rivolgere a Dio, dicendo: « Mio Dio, a Voi riferisco tutte queste lodi, poiché Voi solo le meritate per tutti i vostri beni che deponete in me ».

D. – Ma quando l’uomo riconosce in sé dei doni e delle grazie di Dio, che cosa deve dunque fare?

R. – Deve fare tre cose:

1° Umiliarsi davanti a Dio, riconoscendo in Lui l’Autore di ogni bene che sia in noi;

2° Ringraziarlo della sua bontà per il bene che si è degnato di darci contro ogni nostro merito;

3° Pregarlo che glorifichi se stesso per mezzo dei suoi doni e che ne usi in noi per la sua gloria, poiché di per noi medesimi non sapremmo farne un buon uso degno di Lui.

D. – E i demoni, ebbero forse tali disposizioni quando ricevettero i doni di Dio?

R. – Mai più; se avessero usato così dei doni che avevano ricevuto da Dio, non si sarebbero dannati.

D. – Che fecero dunque per perdersi così miserabilmente in mezzo a tanti doni di Dio?

R. – Incantati dalle dolcezze dell’onore, vollero essere onorati per i doni che avevano ricevuti; e così, usurpando per sé le lodi dovute a Dio solo, vollero defraudare la sua Maestà della gloria che le era dovuta.

D. – Non dobbiamo dunque volere nessun onore per noi stessi?

R. – No, assolutamente.

LEZIONE XI.

Dell’orgoglio e del desiderio di essere onorati, al quale dobbiamo resistere.

D. – Non possiamo mai desiderare di essere onorati?

R. – No, perché chi desidera di essere onorato, desidera il bene altrui, poiché desidera il bene di Dio; è ladro e, secondo un’espressione di san Paolo, è colpevole di rapina; (Qui (Christus) cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratius est esse se æqualem Deo. (Philipp., II, 6); infatti, ruba a Dio ciò che Egli ha di più caro, quella gloria che Egli assicura di non voler cedere ad altri. (Gloriam meam alteri non dabo – Isa., XLVII, 8; XLVIII, 11)

D. – E’ dunque un furto sacrilego?

R. – Certamente, poiché è rubare su l’altare di Dio, e con mani sacrileghe rapirgli ciò che Egli non vuol dare, ciò che non darà a nessuno, come dichiara espressamente.

D. – La superbia è dunque un gran peccato?

R. – Sì, per questo nei demoni venne castigata con tanto rigore e sta scritto che Dio resiste ai superbi(Deus superbis resistit – 1 Petr. V, 5) come se volessero strappargli, a suo dispetto, il bene più caro ch’Egli abbia.

D. – Ma allora il castigo della superbia non è soltanto un effetto dell’ira di Dio, ma ben anche del suo furore.

R. – Sì, perché è una conseguenza della resistenza di Dio irritato contro il superbo, il quale vuole rapirgli il suo onore, e sul quale Egli scarica la sua ira, accesa e trasformata in furore.

D. – S’ingannano dunque molto gli uomini che ricevono gli onori, poiché non è lecito desiderarli?

R. – Verissimo; perché se ricevono qualche onore, non lo possono ritenere per sé, e non riferirlo a Dio, senza mettersi nel pericolo di offendere gravemente il Signore e di farlo entrare in furore.

D. – Che dobbiamo fare quando sentiamo in noi il desiderio di essere onorati, oppure quando sentiamo piacere per le lodi che ci vengono date o per la stima che gli altri dimostrano per noi?

R. – Dobbiamo rinunciare a tali sentimenti, e umiliarci con grande confusione, vedendo nella nostra carne desideri diabolici, sentimenti che vengono dall’inferno e sono simili a quelli che furono la causa della riprovazione dei demoni. Il demonio, infatti, fu precipitato nell’inferno perché bramava di essere stimato e onorato dai suoi compagni, anzi li spingeva a rendergli lodi e onori che riceveva con gioia. Prego il Signore che non abbiamo mai tali sentimenti, che furono la rovina degli angeli.

D. – Mi pare che non diciate bene, perché  fino alla morte sentiremo in noi il desiderio di essere onorati e stimati; e questo non è peccato, purché vi resistiamo.

R. – È vero anche questo; infatti, tutti gli Angeli furono assaliti dalla tentazione della superbia; ma gli uni cedettero, gli altri no; questi ne fecero il loro profitto e acquistarono la corona, mentre gli altri vi acconsentirono e furono condannati. Dobbiamo dunque almeno protestare che non vogliamo cedere ai sentimenti di superbia e che non ce ne compiaceremo mai.