SACRO CUORE DI GESÙ (24): Il Sacro Cuore di Gesù, e l’Eucaristia

(A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXIV

Il Sacro Cuore di Gesù e l’Eucaristia

Quando Iddio ebbe creato il cielo e la terra con tutte le loro meraviglie, gettando uno sguardo complessivo sopra di esse le riconobbe tutte buone assai : Viditque Deus cuncta quæ fecerat, et erant valde bona. (Gen. I, 31) Sì, tutte le opere della creazione erano belle, erano grandi, erano perfette, e non solamente i cieli dovevano farsi a narrare la gloria di Dio, e il firmamento ad annunziare il lavoro delle sue mani, ma il giorno ancora doveva imprendere a dire questa parola all’altro giorno, e la notte a darne cognizione all’altra notte, affine di far conoscere a tutti i secoli, che le opere di Dio sono perfette: Dei perfecta sunt opera. (Deut. XXXII, 4). Ora, quello che Dio Creatore poté vedere di tutte le opere della creazione, è quello che Gesù Cristo Redentore poté vedere di tutte le opere della redenzione; perciocché tra le opere di Gesù Cristo ve ne ha forse qualcuna che non sia buona, che non sia bella, che non sia grande, che non sia perfetta?! Ma pure, o miei cari, come i grandi geni hanno dato quasi sempre una piena manifestazione della loro forza creativa In un’opera speciale, che però si eleva al di sopra di tutte le altre, così ha fatto il Genio di tutti i geni, nostro Signor Gesù Cristo. E l’opera che costituisce per eccellenza il suo capolavoroè la SS. Eucaristia. Già lo cantava migliaia di anni innanzi il santo Profeta: Memoriam fecit mirabilium suorum misericors et miserator Dominus, escam dedit timentibus se (P«. CX, 4), il Signore pieno di bontà e di misericordia ha fatto il memoriale delle sue meraviglie, apprestando il cibo divino a coloro che lo temono. Sì, fra tutti i Sacramenti, che Gesù Cristo nella sua infinita carità per gli uomini ha fatto uscire dalla ferita del suo Sacratissimo Cuore, questo tiene il primo posto, perché in esso non vi ha soltanto un segno della grazia, ma si trova l’Autore stesso della grazia, perché è la perfezione, il centro, il fine a cui tutti gli altri Sacramenti sotto ordinati, perché in sé solo raccoglie le virtù, le prerogative e le grazie di tutti gli altri. Quale prova adunque dell’amore di Gesù Cristo per noi in questo Sacramento! Senza dubbio, ad imitazione della Chiesa, è sopra di questa specialissima prova, che nella divozione al Sacro Cuore di Gesù Cristo dobbiamo fermare l’attenzione nostra. Pertanto cominciamo oggi a riconoscere come per la SS. Eucaristia Gesù Cristo ci abbia dato veramente una prova suprema di amore.

I . — Uno fra i più prepotenti bisogni del cuor dell’uomo è quello, senza dubbio, d’avere a sé vicino Iddio. Perciocché l’uomo creato da Dio non può non tendere a Lui e farne a meno. Epoiché egli nel suo essere è anima e corpo, perciò non è coll’anima soltanto che egli tende ad avere a sé dappresso Iddio, ma ancora col corpo. No, l’uomo non è, non può essere del tutto contento di possedere Iddio nella sua intelligenza per la fede e nel suo cuore per la grazia; egli vuole altresì vederlo coi suoi occhi, toccarlo con le sue mani, stringerlo nelle sue braccia, badarlocolle sue labbra, trovarsi insomma anche in relazioni sensibili con Lui, vivere anche corporalmente in unione e in compagnia di Lui. E la verità e realtà di queste tendenze dell’uomo riguardo a Dio sono comprovate dalla stessa idolatria, che per quasi quattromila anni trionfò in pressoché tutte le parti del mondo. Poiché sebbene colpevolmente gli uomini siano giunti a tale stravaganza da fabbricarsi con le loro mani degli idoli di metallo, di legno e di pietra e poi curvarsi davanti agli stessi esclamando: Ecco i nostri Dei; tuttavia questa inescusabile insensatezza non era altro maggiormente che la manifestazione di questo prepotente bisogno dell’uomo, d’aver Iddio a sé realmente presente, non era altro di più che il grido lanciato in alto dall’umanità follemente ingannata: « O Dio, discendi in mezzo a noi, sii marmo, sii legno, sii metallo, piuttosto di star lontano da noi. » Imperciocché sebbene l’orgoglio dei regnanti, l’interesse dei falsi sacerdoti, l’ignoranza dei popoli e il fascino delle passioni, l’astuzia e la potenza di satana, siano cause reali del culto degli idoli, tuttavia questa immensa aberrazione dello spirito umano non sarebbesi resa così universale, né sarebbe durata così a lungo so non era di questo bisogno, così intimo, così violento e indistruttibile per l’uomo di avere a sé presente Iddio. Se pertanto questo è un bisogno del cuore umano, è senza dubbio Iddio stesso che lo ha creato, ed egli non crea nel cuor nostro alcun bisogno senza soddisfarlo. Soddisfece adunque anche a questo. Lo soddisfece sul principio del mondo con Adamo ancor innocente, scendendo nel Paradiso terrestre a passeggiare con lui all’aura meridiana e facendosi a parlargli come ad amico. Lo soddisfece in seguito, anche dopo la caduta del nostro progenitore, apparendo di tanto in tanto ai Patriarchi, ai Profeti, ai Condottieri del suo popolo. Lo soddisfece discendendo in una nube misteriosa sopra del tabernacolo a riempierlo della sua gloria, a far sentire la sua voce e ad operare i più strepitosi prodigi, tanto che gli Ebrei esclamavano con alterezza: Non v’ha certo altra nazione, per grande che ella sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei, come il Dio nostro è presente a tutte le nostre preghiere: Non est alia natio tam grandis, quæ habeat deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest cunctis obsecrationibus nostris. (Deut. IV, 7). Con tutto ciò quella sublime tendenza, di cui parliamo, non era ancora pienamente soddisfatta: Iddio non aveva ancora adempiuta del tutto quella promessa da Lui fatta agli uomini, quando disse: Camminerò tra di voi: Ambulabo inter vos. (Levit. XXVI). Ma ecco che alla fine, per tutta quanta la “terra e sino agli estremi suoi confini, esce il suono di una voce che grida: È apparsa la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Iddio: Apparuit benignitàs et hunanitas Salvatoris nostri Dei,” (Tit. III) e questo grido; non è altro che l’eco del più grande, del più sublime, del più inenarrabile degli avvenimenti, l’incarnazione di Dio: Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. (Io. I) Allora gli uomini, come dice S. Giovanni, l’ebbero udito, l’ebbero veduto, l’ebbero toccato con le stesse loro mani: Quod audivimus, quod vidimus, quod manus nostræ contrectaverunt de verbo vitæ. Se non che, trentatrè anni di vita passati nella piccola terra di Palestina, che cosa sono mai se non un fuggevole lampo attraverso lo spazio di tanti secoli e di tutto il mondo? E dopo che Iddio incarnato, Gesù Cristo, con la sua gloriosa umanità è salito al cielo, la terra ricadrà in una oscurità più profonda di quell’antica, che pure di tanto in tanto era diradata dalle luminose apparizioni di Dio? E questa nuova era, cui sospiravano i Patriarchi, che vagheggiavano i Profeti, che Dio stesso inaugurava scendendo dal cielo ed incarnandosi, sarebbe stata perciò inferiore alla prima? Ah no! o miei cari. Iddio in tutte quante le sue opere esteriori si è dimostrato mai sempre eminentemente progressista, e tale eziandio si dimostrò nelle sue comunicazioni con gli uomini. Dapprima, nei tempi antichi, comunicò per mezzo del Divin Verbo incarnato e fatto uomo, che abitò tra gli uomini di un paese privilegiato; ed ora nei nuovi tempi con un prodigio inaudito e perenne, che al dire di S. Agostino, esaurisce la sua potenza, la sua sapienza, la sua bontà, pur non privando il cielo della sua umanità sacrosanta e gloriosa, rimane e rimarrà sempre realmente presente con il suo corpo, con il suo sangue, con la sua anima e con la sua divinità in mezzo a pressoché tutti gli uomini sino alla consumazione dei secoli. Ma qual è questo prodigio? Dov’è la reale presenza del nostro Dio? Dov’è? Udite. Vi sono due piante di assai meschino aspetto, ma l’una e l’altra di preziosa virtù. La prima di esse, erba sottile e fragile, non spicca né per ragion delle foglie, né del suo fiore, né della sua fragranza; l’altra è un legno inutile, non atto neppure a farne una caviglia. E non pertanto queste due piante senza vigore e senza vaghezza, il grano e la vite mantengono la forza dell’uomo e gli spargono in cuore la gioia. Chi oserà ancora sprezzare la loro umiltà? Fortunato colui che abbonda dei frutti di queste umili piante! Con tale abbondanza suole Iddio non di rado benedire colui che lo ama e lo teme e fedelmente osserva la sua santa legge. Maledetto invece colui che disprezza od abusa del pane e del vino. Il volgo stesso capisce il motivo di questa maledizione, quando di chi sciupa il pane ed il vino dice nel suo energico linguaggio che disprezza la grazia di Dio. Eppure che il pane ed il vino formino la base del nostro alimento non è ancora il tutto. Essi hanno una destinazione ben più sublime, e quale? O ammirabile procedere del Signore, chi può intendere le sue vie? Il pane ed il vino sono destinati ad essere tramutati nel Sacramento dell’Eucarestia nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signor Gesù Cristo! Il Sacerdote, che nella sacra ordinazione ne ha ricevuto la possanza, a nome di Gesù Cristo pronunzia sopra del pane queste singolari parole: Hoc est Corpus meum: questo è il mio corpo; e sopra del vino queste altre: Hic est calix Sanguinis mei, questo è il calice del mio Sangue: ed a queste semplici parole per la potenza che Gesù Cristo ha loro comunicato, il pane cessa di essere pane: il vino lascia di essere vino: e diventano il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo: quel vero Corpo nato da Maria Vergine, quel vero Sangue sparso sulla croce per la nostra salute. Rimangono è vero le specie ossia le apparenze di pane e di vino, la loro figura, il loro colore, odore, sapore, ma il pane ed il vino più non vi sono; essi diventano tanto l’uno quanto l’altro, tutto intero il Corpo Sacratissimo e tutto quanto il Preziosissimo Sangue del divin Redentore congiunti alla sua Anima ed alla sua Divinità. – Ah! io so bene che dinanzi ad un tanto mistero la ragione si arresta esterrefatta ed esclama: Possibile? Ma pure o negare addirittura la veracità del Vangelo e la Divinità di Gesù Cristo, od ammettere senz’altro quello che è, ancorché con la ragione non si comprenda. Perciocché tanto le parole con cui Gesù Cristo promise, quanto quelle con cui istituì l’Eucaristia sono di una chiarezza insuperabile. Ed in vero in quel dì in cui Gesù Cristo prese a promettere questo grandissimo dono che cosa disse alle turbe dei Giudei? « Io sono il Pane vivo disceso dal cielo, epperò chi mangerà di questo pane vivrà in eterno. E questo pane che Io darò a mangiare è la mia carne, questo corpo istesso che Io esporrò alla morte per la salute del mondo. » E siccome a queste parole i Giudei si posero tra di loro a litigare dicendo: Come potrà costui darci a mangiare la sua carne? Gesù Cristo ribadendo ciò che già aveva detto, soggiunse: « In verità, in verità vi dico, che se non mangerete la mia carne e non berrete il mio Sangue, non avrete in voi la vita: chi mangerà la mia carne ha la vita eterna ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. » – Ora poteva Gesù Cristo adoperare parole più. chiare per farci capire che realmente Egli avrebbe lasciato tra di noi, affine di essere cibo dell’anima nostra e restare in nostra compagnia, il suo Corpo e il suo Sangue? Per certo gli stessi Giudei credettero così, ma essendo essi troppo carnali e non potendo capire come Gesù Cristo avrebbe effettuato la sua promessa in un modo miracoloso, essi si spaventarono al pensiero di una scena d’antropofagia; epperò credendo che Gesù Cristo non potesse altrimenti compiere ciò che prometteva che con lo squartare il suo corpo e col darne a mangiare la sua carne sanguinante, perciò appunto presero a litigare fra di loro domandandosi vicendevolmente come mai fosse possibile una tal cosa. Anzi continuando Gesù a riaffermare la stessa asserzione molti di essi, dicendo che quel discorso era troppo duro e che non lo si poteva capire, gli voltarono le spalle e da quel dì cessarono di essere suoi seguaci. Ma non perciò Gesù Cristo corresse o modificò quanto aveva detto; anzi lasciando andare quei Giudei, si volse ancora agli Apostoli dicendo loro: Volete andarvene anche voi? E cioè: Non volete credere neppur voi che Io darò veramente in cibo la mia Carne e in bevanda il mio Sangue? Se non volete credere, Io non intendo di sforzarvi, epperò potete seguire l’esempio di coloro che mi hanno lasciato; ma se volete restarvi presso di me, se volete continuare ad essere miei discepoli è assolutamente necessario che crediate quanto Io ho asserito. Or dite, se Gesù Cristo che era via, verità e vita, se Egli che era tanto zelante nell’istruire i Giudei affine di salvarli, se Egli che era così voglioso di salvare le animo per modo da non perdonarla né a fatiche, né a disagi di sorta, se anzi per la salvezza delle anime egli sarebbe morto sopra una croce, dite, al vedersi abbandonato da molti, che pure avevano già incominciato ed essere suoi seguaci, propriamente perché prendevano le sue parole nel senso più ovvio e naturale, qualora Egli nel promettere l’Eucarestia non avesse inteso di dare realmente il suo Corpo e il suo Sangue, ma soltanto un’immagine od una figura del medesimo, non avrebbe Egli rattenuti quei Giudei, non avrebbe egli detto loro: « Fermatevi e calmatevi; voi non mi avete inteso? Nel dirvi che Io vi darò in cibo il mio Corpo e in bevanda il mio Sangue non ho già inteso di dirvi che ve li darò in modo reale; oh no per certo! Ma ho inteso unicamente di dirvi che vi darò una figura, un’immagine del mio Corpo e del mio Sangue. Continuate adunque ad essere miei discepoli, e non abbandonatemi per un malinteso. Questo mio discorso, poiché è questo propriamente che intendo di dire, non è alla fin fine troppo duro, troppo difficile a capirsi. » Non vi pare che così veramente si sarebbe regolato Gesù Cristo in tale circostanza? Ma no, Egli tenne una condotta del tutto contraria; epperò la condotta da Lui tenuta non è una prova evidentissima della sua reale presenza nella SS. Eucaristia? – Ma non meno evidente è la prova che ne risulta dalle parole, con cui Gesù Cristo istituiva l’Eucaristia. Ed in vero ci riferiscono gli evangelisti che Gesù Cristo nell’ultima cena prese del pane, lo benedisse e lo spezzò e dandolo ai suoi discepoli disse: Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, che per voi sarà dato: Accipite et comedite, hoc est corpus meum quod prò vobis tradetur; e che avendo preso un calice, resegrazie e lo diede agli stessi Apostoli dicendo: Bevete tutti diquesto: Bibite ex hoc omnes; perciocché questo è il Sangue miodel nuovo testamento, che sarà versato per molti in remissionedei peccati: hic est enim sanguis meus novi testamenti, qui prò multis effundetur in remissionem peccatorum. Or vi sono parolepiù chiare di queste? Non insegna apertamente Gesù Cristoper mezzo di esse che nell’Eucaristia vi ha quello stesso Corpo,che doveva essere per noi offerto in croce e quello stesso Sangue, che ivi pure doveva essere sparso? E se sulla croce offerseil suo Corpo e versò il suo Sangue non già in figura o sottoqualche immagine, ma il suo Corpo vero e reale, il suo vero ereale Sangue, come si potrà credere ed asserire che Gesù Cristonel dire agli Apostoli: Prendete e mangiate, questo è il mioCorpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue, abbia intesodi dire: Prendete e mangiate, questo pane è una figura delmio Corpo; prendete e bevete, questo vino è una figura delmio Sangue?Per certo gli Apostoli come non avevano esitato a prenderenel loro vero significato le parole di Gesù Cristo quando promisel’Eucaristia, così non esitarono punto a prendere nel lorovero senso queste altre, con cui Gesù Cristo la istituì, epperòsenza dubbio cibandosi di quel pane e bevendo di quel vinoche Gesù Cristo loro diede, credettero fermamente, che sebbenedi pane e di vino conservassero l’apparenza, non eranopiù tali, ma in quella vece erano stati realmente tramutati nelvero Corpo e nel vero Sangue del loro adorabile Maestro. Secosì non fosse, l’apostolo Paolo che aveva appreso tutto ciòdagli altri Apostoli, dopo di avere egli stesso brevemente narratola istituzione di questo divin Sacramento, toccando lacommovente circostanza che Gesù Cristo lo istituì in quellanotte medesima, in cui veniva tradito per cominciar la suapassione, in qua nocte tradebatur, dopo di aver notato che Gesùnon si contentò di dare il Suo Corpo e il suo Sangue agliApostoli, ina volle ancora farne dono a tutti i suoi credenticomunicando a’ suoi Apostoli ed ai loro successori nel sacerdoziola facoltà di fare la stessa cosa che Egli aveva fatto fino aquel dì, in cui Egli visibilmente ritorni su questa terra, se cosìnon fosse, dico, questo Apostolo avrebbe in proposito in dirizzatoai Cristiani questa raccomandazione e questa sentenza: Probet autem se ipsum homo et sic de pane illo edat et de calice bibat: Si esamini adunque l’uomo, e solo dopo essersi esaminatoed aver riconosciuto di essere in grazia di Dio, solo allora siaccosti a mangiare di questo pane e a bere di questo vino.Perciocché chiunque mangerà di questo pane o berrà di questocalice indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue di GesùCristo, e si mangia e si beve la sua condanna: quicumque enim manducaverit panem hunc vel biberit calicem Domini indigne, reus erit Corporis et Sanguinis Domini ? ( I Cor. XI). Oh no, certamente S. Paolo non sarebbe arrivato al punto dadir parole sì terribili, da dichiarare nientemeno che reo deldisprezzo del Corpo e del Sangue di Cristo chi prende indegnamentel’Eucaristia, e da sentenziare che costui si mangiae si beve la sua stessa condanna. Perciocché avrebbe avutoin animo di ingenerare nei Cristiani tanto orrore al prendere

indegnamente l’Eucaristia, quando egli e gli altri Apostoli e tutti i Cristiani di quel tempo avessero creduto che nell’Eucaristia non vi è altro che una figura, un’immagine di Gesù? Ah senza dubbio è pur un mancar di rispetto a Gesù Cristo disprezzando la sua figura e la sua immagine, ma come mai  un tal mancamento si avrebbe a ritenere così grave da diventare nel commetterlo rei non solo della figura e dell’immagine ma del medesimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo, e da meritare per ciò di essere dannati? Voi lo vedete adunque, le parole della promessa e dell’istituzione della SS. Eucaristia sono sì semplici, sì chiare, sì esplicite da non lasciarci il minimo dubbio sulla realtà della cosa. Epperò lo stesso Martin Lutero dopo di aver passata una notte intera con la febbre indosso su di queste parole, torturandole quanto più era possibile affine di cavarne fuori qualche cosa d’altro che non fosse la reale presenza di Gesù Cristo, non vi riuscì affatto. Ma Lutero, come tutti gli altri novatori, Carlostadio, Zuinglio, Ecolampadio, Bucero e Calvino, che anche più radicalmente di Lutero negarono la reale presenza, erano giunti troppo in ritardo per insegnare anche a questo riguardo una fede diversa da quella degli apostoli. La Chiesa in tutti i secoli a loro antecedenti aveva mai sempre con una costante ed universale tradizione ritenuto ed insegnato quanto avevano appreso da Gesù Cristo ed insegnato ai primitivi Cristiani gli Apostoli. Ma che dico la Chiesa? È l’umanità che ha creduto: l’umanità cristiana, la più grande, la più forte, la più sensata, la più libera, la più intelligente che sia esistita. No, non sono già orde barbare erranti in steppe sconosciute: non sono società degradate nelle vergogne del feticismo e dell’idolatria e che avrebbero trovato in questa credenza l’alimento e la scusa della loro corruzione, sono le anime più belle, più pure, più tenere e più forti, che siano venute al mondo. Sono i Padri, i Dottori della Chiesa, i Santi tutti; S. Ignazio, S. Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Giovanni Grisostomo, e via via sino a S. Bernardo, a S. Francesco di Sales, a S. Alfonso Maria de’ Liguori, e a quanti altri Santi vi saranno fino alla fine del mondo. Dunque: Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui: Inchiniamoci venerabondi davanti all’augustissimo Sacramento dell’Eucarestia: Iddio realmente presente tra gli uomini Egli è là. Via le figure, i segni, le profezie dell’antico patto; il figurato, il significato, il profetato, Egli è là: Ut antiquum documentum novo cedat ritui: è vero, i miei occhi non vedono che pane, le mie mani non toccano che pane, i miei sensi tutti non sentono che pane; ma venga la fede a supplire al difetto dei miei occhi, delle mie mani e de’ miei sensi: Præstet fides supplementum sensuum defectui, e sotto di quelle specie io vedrò, toccherò, sentirò realmente Iddio. Sì, per l’Eucarestia e nell’Eucarestia Gesù Cristo, nostro divin Salvatore, Dio e uomo, si trova sopra dei nostri altari, nelle più superbe basiliche e nelle più povere chiese, nei più magnifici templi e nelle più umili cappelle, nelle città e nelle campagne, nelle contrade più incivilite ed anche in quelle più selvagge; e per l’Eucarestia e nell’Eucarestia Egli passeggia trionfalmente per le nostre vie e per le nostre piazze tra il profumo degli incensi e l’olezzo dei fiori, tra la soavità delle musiche e la letizia dei cantici, benedicendo agli uomini che distendono i bei drappi e si inchinano riverenti al suo passaggio; per ‘Eucarestia e nell’Eucarestia col seguito modesto di poche persone e di pochi lumi, tra il mormorio di devote preci va a trovare il Cristiano ammalato per consolarlo, il fedele moribondo per farsi ancora suo compagno nel viaggio dal tempo all’eternità, dalla terra al cielo; per l’Eucarestia e nell’Eucarestia collocato nelle crociere degli ospedali consola i poveri infermi, che a lui volgono lo sguardo dal letto dei loro dolori; per l’Eucarestia e nell’Eucarestia chiuso in una teca di argento conforta i Pontefici, (un Pio VI, un Pio VII, un Pio IX) allorché per la nequizia dei tempi sono costretti a fuggire dalla loro sede per una terra di esilio; per l’Eucaristia e nell’Eucarestia solleva dalla sua cupa mestizia il misero che geme nel carcere avvinto di catene, che come un Silvio Pellico vive più rassegnata la vita, se attraverso le sbarre della sua dimora può allungare lo sguardo sino all’umile chiesuola, ove sta il Carcerato d’amore; per l’Eucarestia, nell’Eucarestia insomma Dio è in mezzo a noi, vicino a noi e con noi, e noi abitiamo vicino a Dio e con Dio; noi troviamo dappertutto Iddio, ma sotto le specie sacramentali, nell’attitudine dell’umiltà e della dolcezza, la più acconcia a ingerirci la fiducia, a ispirarci l’amore a incoraggiarci a trattarlo con la medesima famigliarità con cui Egli stesso si degna di trattare con noi, sempre pronto a ricevere le nostre visite e a testimoniarci la sua bontà, a raccogliere i nostri omaggi e a spandere sopra di noi le sue misericordie, a udire le nostre suppliche e ad arricchircidelle sue grazie, ad ascoltare i nostri gemiti e a concederci le sue consolazioni, a gradire i trasporti della nostra divozione ed a largire a noi le sue tenerezze, le sue gioie, la sua vita! Oh bontà immensa di Gesù Cristo! Nel suo infinito amore per gli uomini cavando fuori dalla ferita del suo Cuore il SS. Sacramento dell’Eucaristia ha soddisfatto anzitutto ad uno dei più prepotenti bisogni dell’uomo, quello cioè d’avere a sé realmente presente Iddio.

II. — Ma v’ha di più ancora: col gran dono dell’Eucaristia Gesù Cristo ha appagato la fame che gli uomini sentivano di un cibo divino. Quel Signore, il quale ha creato tutte le cose dal nulla, volle che le medesime avessero incremento e vita mediante la nutrizione. Però, « tutte le creature, come dice Davide, aspettano dal Signore il cibo nel tempo opportuno ed Egli apre la mano e tutte le sazia con la sua benedizione. Omnes a te expectant ut des illis escam in tempore; aperis tu manum tuam et imples omne animal benedictione.( Ps. CXLIV).  Così la creazione può paragonarsi ad un immenso banchetto, dove seggono incessantementemilioni di convitati pascendosi dal mattino alla sera deidoni della Divina Provvidenza. La pianta va cercando nellaterra e persino sull’arida roccia i succhi che essa aspira; nell’atmosferava cercando la luce, i gaz, la rugiada ch’essa avidamentebeve. L’animale più esigente ancora, a mano a manoche la sua vita si svolge, va cercando il suo cibo nei prodottidelle piante e non di rado nelle carni stesse di un altro animale.E l’uomo sfuggirà egli a questa legge? No, certamente.Anzi egli sarà il re del convito, come è il re della creazione.Per questo Dio gli dié la possanza e l’assoluto impero su tuttele piante e su tutti gli animali: non solo perché usufruissedei loro prodotti e delle loro attitudini, ma ancora perché dei loro frutti e delle loro carni a suo talento si cibasse. Se non che, basterà forse all’uomo questo cibo terreno? No,miei cari. Se l’uomo, essere animale per ragion del corpo può sostenere e crescere la sua vita corporea col cibo materiale,essere immateriale ed immortale per ragione dell’anima ha bisogno di altro cibo, che risponda alla natura incorporea dell’animae che l’anima valga a nutrire, abbellire e corroborare,finché giunga alla sua perfezione. E questo cibo, che rispondealla natura dell’anima è costituito dal vero, dal bello, dal buono,dall’ordine, dalla virtù; e più l’uomo si nutre di tal ciboe più si fa grande e fecondo nella sua intelligenza, più si faelevato ne’ suoi pensieri, più si fa saldo e vigoroso nel suogiudizio, più si fa retto nella sua volontà, più si fa delicatonella sua coscienza, in una parola, più egli si fa uomo.Tuttavia, o miei cari, ciò non è ancor tutto per compierela grandezza dell’uomo. Per la sua costituzione soprannaturalel’uomo è un essere divino. Egli ha un’anima creata nel soffiodi Dio, destinata ad avere per suo fine Iddio medesimo, acontemplarlo, a possederlo, ad essere felice di Lui ed in Luiper sempre. E sebbene vi sia stato il peccato di Adamo e ne siano derivate le sue fatali conseguenze, tuttavia la vita divinaper l’uomo fu riconquistata dal Sangue di Gesù Cristo ed essarientra nella nostra natura scaduta per la virtù rigeneratricedel Battesimo, e si corrobora e si arricchisce pei doni delloSpirito Santo nella Confermazione. No, S. Pietro non è statopunto esagerato, quando ha detto che noi siamo divinæ contortes naturæ: (II PETR. I, 4) partecipi della divina natura; e S. Agostino quando ha sentenziato: Si filii Dei facti sumus, et dii facti sumus: se siamo divenuti figli di Dio, siamo divenutidei altresì; non ha fatto altro che trarre la conseguenzadi una bella e giusta asserzione di S. Paolo. Or bene, di chesi nutrirà questa vita divina, che vi ha nell’uomo? Non  sentiràegli il bisogno di sostentarla con un cibo che non solo nonsia materiale, ma con un cibo che sia soprannaturale, celestee divino, con un cibo che sia Iddio medesimo? Domanda strana,direte voi, o per lo meno assai ardita. Eppure, no! Perché larisposta affermativa è già data; e l’hanno data gli uomini ditutti i tempi e di tutti i luoghi. Davide non fa altro che parlare a nome di tutta l’umanità quando esclama: Come un cervositibondo sospira il fonte delle acque, così, o mio Dio, l’animamia sospira a te: Quæmadmodìim desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus. Sitivit anima mea ad fontem vivum: l’anima mia arde di dissetarsi in te,fonte viva. (Ps. XLI) Ed in vero leggete la storia, non soloquella del popolo ebreo, ma quella altresì degli Egizi, dei Caldei,dei Persiani, dei Greci, dei Romani, dei Germani e deiGalli; investigate le tradizioni degli stessi popoli selvaggi;andate insomma a sorprendere i popoli di tutte le età e ditutti i luoghi nel momento solenne, in cui compiono dei sacrificiad onore della divinità, e voi li vedrete sempre dopod’aver offerto delle vittime, agnelli, vacche, buoi e talvoltapersino poveri bambini, o uomini sventurati, dividersi gli avanzidi quella vittima immolata in onor di Dio e mangiarne devotamente,pensando così che col mangiare della vittima consacrataa Dio, si mangiasse qualche cosa di soprannaturale, diceleste, di divino, qualche cosa come se fosse Dio medesimo,e che per conseguenza mangiando della divinità si diventassesimile a lei. Perciocché qual è mai in fondo in fondo la ragionedi questa fame e sete di Dio se non la brama di rendersia Lui somigliante più che sia possibile? E per operarel’assimilazione di un essere qual mezzo più atto, che il mangiarne,se ciò è possibile senza recargli del male? Guardatela madre, che tanto ama il suo bambino, non solo se lo stringeal seno, non solo lo accarezza in mille guise, non solo lo accostamille e mille volte alle sue labbra e lo bacia e lo ribaciasenza stancarsi mai, ma molte volte abbocconandogli ancora leguance o le mani, grida e rigrida: Ti mangio, ti mangio. Espressionevolgare, se volete, ma pur piena di senso e di filosofia:perché dimostra chiaramente che questo si vorrebbe fare,se fosse possibile, quando si brama di essere una cosa solacon alcun altro, o di essergli almeno simile. Or dunque, Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus:ciò che si è fatto da tutti gli uomini, in tutti i tempi, in tutti i luoghi, non dubitatenepunto, è una legge della umanità, una legge che sta nel fondo stesso della natura umana, un bisogno cioè che Iddiomedesimo ha creato nel cuor dell’uomo. Questo bisogno, è vero, noi non lo comprendiamo, ma tuttavia lo sentiamo. Anche rispettoa questo noi siamo come bambini appena nati; quasi modo geniti infantes. (I PETR. II). Il bambino appena nato noncomprende che cosa sia la fame, il bisogno del cibo, ma purlo prova e lo manifesta con le sue contorsioni, con le sue grida,con le sue lagrime; e buon per lui che la madre dalla divinaProvvidenza fornita di intelligenza e di attitudine acconcia albisogno del suo neonato, con tutti gli sforzi lo attacca al suoseno, e cibandolo del suo latte sazia in lui quella fame chesente. Così, noi nell’ordine spirituale, a guisa di bambini appenanati, non arriviamo a comprendere questa fame e questasete misteriosa, che abbiamo di Dio medesimo, ma pur la sentiamoe la manifestiamo eziandio in quel non essere mai paghidelle cose terrene, fossimo pur anco padroni di tutto il mondo.Or bene poiché l’uomo sente questo bisogno di mangiaredi Dio, ed è Dio stesso, che glielo fa sentire, non avrà poiegli pensato a soddisfarlo? Oh sì, senza alcun dubbio, giacché,come già vi diceva, se Iddio crea dei bisogni nel cuor dell’uomonon è che per soddisfarli. Certamente non lo ha soddisfattopienamente nei tempi antichi, perché sebbene dica l’ApostoloPaolo che tutti i giusti dell’antico Testamento bevevanodella pietra che li avrebbe seguiti, e che questa pietra eraCristo: Bibebant omnes de spiritali sequenti eos petra; petra autem erat Christus, tuttavia e per la manducazione dell’Agnello pasquale, e dei pani di Proposizione, e degli avanzi delle vittime immolate a Dio non partecipavano che per la fede e in una certa misura al banchetto della grazia di Dio. Ma poiché sono venuti i tempi nuovi, e Dio si è incarnato e fatto uomo per soddisfare pienamente a tutti i bisogni dell’uomo, ha pienamente soddisfatto anche a questo e vi ha soddisfatto con la istituzione del Sacramento dell’Eucaristia, per mezzo del quale Egli si dà veramente, realmente, sostanzialmente in cibo alle anime nostre. Poiché badate bene alle parole con cui Gesù Cristo promette l’Eucaristia, e a quelle con cui la istituisce, e che già vi ho recitate, e poi vedrete come a ragione la Chiesa nel distribuire la Eucaristia esclama e deve esclamare: O sacrum convivium in quo Christus sumitur: O sacro convito nel quale si prende per cibo Gesù Cristo istesso! Sì, Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo: Gesù Cristo seconda Persona della SS. Trinità; epperò, poiché una Persona divina non può stare senza le altre, insieme con Gesù Cristo il Divin Padre, che da tutta l’eternità e per tutta l’eternità lo genera nello splendore dei Santi, e il Divino Spirito, che da tutta l’eternità e per tutta l’eternità procede dal Padre e dal Figliuolo. Che cosa dobbiamo desiderare di più? Quando le antiche Sibille si mostravano invase dall’ispirazione, esclamavano: Deus, ecce Deus: Dio, ecco Dio. Ma quando noi ci appressiamo alla mensa eucaristica, gli Angeli ci gridano con verità: Attollite portas: aprite le porte del vostro cuore; et introibit rex gloriæe vi entrerà il Re della gloria; Deus, ecce Deus: Dio, ecco Dio fatto vero cibo delle anime nostre! Così adunque la bontà del Cuore Sacratissimo di Gesù per noi, nell’istituzione dell’Eucaristia si rivela veramente infinita, giacché per essa ha soddisfatto al bisogno che noi avevamo della reale presenza di Dio, ed ha appagato la fame e la sete che sentivamo di Dio stesso.

III. — Ma ciò non è tutto. Perché se Gesù Cristo con l’istituire l’Eucaristia per una parte ha soddisfatto agli aneliti del cuor nostro, per l’altra ha pur soddisfatto agli aneliti del Cuor suo. Bossuet ha detto bene che non vi sono due amori, ma uno solo, cioè che l’amore che vi ha nel cuor dell’uomo è quello che vi ha nel Cuor di Dio, con questo divario tuttavia che nel Cuor di Dio è infinito. Or bene l’amore, questa forza arcana e meravigliosa è di tal natura, che fa tendere colui che ne è preso all’unione più intima con l’oggetto amato. Aver sempre al fianco le persone più care, non doverne soffrir mai la separazione, abbracciarle, stringerle, possederle, formare con esse un cuor solo, un’anima sola, una sola vita, ecco quello che si vorrebbe da coloro che amano, ciò che vorrebbe una madre dal suo figlio diletto. Epperò quando le circostanze della vita crudelmente esigono che il figlio si abbia a separare ed allontanare da lei, chi potrà pienamente comprendere lo schianto del suo cuore? Allora, questa madre, che sta per cadere nella più profonda desolazione, non potendo seguire il figlio e pur volendo restare a lui vicino prende un suo ritratto, una ciocca de’ suoi capelli, un fiore da lei raccolto, una memoria qualsiasi e dandola al figlio: Prendi, gli dice, questa mia memoria, ponila sopra il tuo cuore, e quando la sentirai battere sopra di esso, ricordati, figliuol mio, che la tua madre col suo amore si trova mai sempre dappresso al tuo cuore. Ecco quello che allora dice e fa una madre. È tutto ciò che ella può fare e può dire. Ma se ella potesse fare di più, se ella potesse dire efficacemente; Figlio, tu vai: non importa: io raddoppio la mia presenza e mentre resto in questo luogo, ove mi è d’uopo restare, pure io vado con te, ti seguo dappertutto, ovunque sarò al tuo fianco; potete voi dubitare che una madre non direbbe e non farebbe questo? Anzi; se una madre, contemplando il suo figlio potesse dirgli: Sia che tu rimanga presso di me, sia che tu vada in capo al mondo, io non soffro alcun affanno, perché io potrò sempre e dappertutto unirmi a te nel modo più intimo, trasfondere in te la mia vita, alimentarti del mio sangue, farti vivere di me, credetelo, o miei cari, una madre lo direbbe e lo farebbe. E se vi ha chi dubita di questa mia asserzione, no, non ne dubitano punto le venerande madri che mi ascoltano. Ma perché ho detto io le madri?… Un padre non farebbe lo stesso? Non lo fa continuamente? Perciocché a che intisichisce egli in un officio, od a che si logora in un’officina o tra i solchi, se non per far vivere di sé, delle sue fatiche e de’ suoi sudori i figli amati? E quando a sostentare la vita dei figli non bastassero più le sue fatiche, i suoi sudori, ma ci volesse il suo sangue, lo dico fidamente, egli con una lama si aprirebbe tosto le vene, e le farebbe lor succiare. Ecco la natura e la forza dell’amore. – Quando si impossessa di u cuore, lo fa tendere con una prepotenza indicibile ad unirsi e a darsi all’oggetto amato nel modo più intimo che sia possibile. Ora il Cuore Santissimo di Gesù ci ha amati, ma ci ha amati sino alla fine: cum dilexisset suos, in finem dilexit eos. (Io. XIII, l) Non già sino alla fine della sua vita mortale soltanto, ma giusta l’interpretazione di S. Tommaso sino all’ultimo termine dell’amore, usque ad ultimum finem amoris; ed amandoci per siffatta guisa sentì ancor Egli il bisogno di unirsi, di darsi a noi, di alimentarci di sé, di farci vivere della sua vita. E a questo anelito del suo Cuore divino ei soddisfece appunto col dire : « Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue! » Ah! miei cari, si potranno ben chiamare strani, oscuri, impenetrabili i misteri di nostra fede, quando non si conoscono punto, ma se si studiano per poco vi si scorge tosto il lato luminoso, splendido, che ci invita, ci sforza anzi a ripetere umilmente: Credo e adoro! Qui tuttavia, o miei cari, non basta dire: Credo e adoro: ci vuole qualche cosa di più. Se Gesù Cristo con l’Eucaristia ebbe in mira di soddisfare le nostre e le sue brame, Eivuole altresì ottenere questo scopo. Ed è perciò che non solo ci esorta, ma ci impone di accostarci a riceverlo sotto pena di escluderci per sempre dall’eterna felicità. No, non è soltanto la Chiesa che ci comandi la Comunione, benché al vero Cristiano ciò dovrebbe bastare più che mai; la Chiesa non fa altro che applicarci praticamente il precetto di Gesù Cristo, il quale ha detto chiaramente, come attesta S. Giovanni: Nisi manducareritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in nobis: se non mangerete la mia Carne non avrete la vita in voi. Obbedite adunque al precetto di Gesù Cristo. Voi, o anime appassionate dei Santi tabernacoli, continuate a fare la vostra delizia nel venire a congiungere con le adorazioni degli Angeli le adorazioni vostre al SS. Sacramento; nell’accostarvi anche quotidianamente a ricevere questo pane di benedizione e di vita. E voi, o anime di buon volere, ma troppa indecise,soverchiamente timide, vincete coraggiosamente le vostre perplessità, seguite il consiglio dell’Angelo visibile che vi guida nelle vie della salute e frequentate ancor voi la mensa Eucaristica. Ma forse vi saranno anche qui di coloro che è da dieci, venti, trent’anni, che di questa mensa non fanno più conto. Ahimè! Benché essi si vantino forse di essere vivi, giacciono tuttavia in potere della morte! Che costoro massimamente ascoltino la voce amorevole e potente di Colui che è la resurrezione e la vita: che questi Lazzari più che quatriduani con una pronta e dolorosa confessione, susseguita da una santa Comunione, balzino fuori dal sepolcro ignominioso e fetente della loro indifferenza e della loro corruzione per ripigliare la vita, e più rigogliosa di prima: ut vitam habeant, et abundantius habeant. (Io. X, 10)

E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che nell’istituzione della SS. Eucaristia ci avete dato una prova così grande del vostro amore per noi, degnatevi ancora con la vostra grazia di illuminare sempre meglio le nostre menti, perché sempre meglio riconosciamo una tale carità, e di toccare sempre più i nostri cuori, perché sempre più con l’adempimento dei vostri voleri nella frequenza di un tanto Sacramento abbiamo a corrispondere ai vostri immensi benefizi.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.