I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 2 Novembre, COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI

2 Novembre.

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.

(PRIMO SERMONE).

Venit nox, quando nemo potest operati.

Vien la notte, in cui niuno può lavorare.

(S. GIOVANNI IX, 4).

Tal’è, miei fratelli, la crudele e terribile condizione, in cui si trovano adesso i nostri padri e le nostre madri, i nostri parenti e i nostri amici, che sono usciti da questo mondo senza aver interamente soddisfatto alla giustizia di Dio. Li ha condannati a passare lunghi anni nel carcere tenebroso del purgatorio, ove la sua giustizia rigorosamente s’aggrava su loro, finché le abbiano interamente pagato il loro debito. «Oh! com’è terribile, dice San Paolo, cader nelle mani di Dio vivente! » (Hebr., X, 31) Ma perché, fratelli miei, sono oggi salito in pulpito? Che cosa vi dirò? Ah! vengo da parte di Dio medesimo; vengo da parte de’ vostri poveri parenti, per risvegliare in voi quell’amore di riconoscenza, di cui siete ad essi debitori: vengo a rimettervi sott’occhio tutti i tratti di bontà e tutto l’amore ch’ebbero per voi, quand’erano sulla terra: vengo a dirvi che bruciano tra le fiamme, che piangono, che chiedono ad alte grida il soccorso delle vostre preghiere e delle vostre opere buone. Mi par d’udirli gridare dal fondo di quel mare di fuoco che li tormenta: « Ah! dite ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri figliuoli e a tutti i nostri parenti, quanto sono atroci i mali che soffriamo. Noi ci gettiamo a’ loro piedi per implorare l’aiuto delle loro preghiere. Ah! dite ad essi che da quando ci separammo da loro, siamo qui a bruciar tra le fiamme! Oh ! chi potrà rimaner insensibile al pensiero di tante pene che soffriamo? » Vedete voi, miei fratelli, e udite quella tenera madre, quel buon padre, e tutti quei vostri congiunti che vi tendono le mani? « Amici miei, gridano gemendo, strappateci a questi tormenti, poiché lo potete ». Vediamo dunque, fratelli miei:

1° la grandezza de’ tormenti che soffrono le anime nel purgatorio;

2° quali mezzi abbiamo di sollevarli, cioè le nostre preghiere, le nostre opere buone, e soprattutto il santo Sacrificio della Messa.

I. — Non voglio trattenermi a dimostrarvi l’esistenza del Purgatorio: sarebbe tempo perduto. Niuno di voi ha su questo punto alcun dubbio. La Chiesa, a cui Gesù Cristo ha promesso l’assistenza del suo Santo Spirito, e che non può quindi né ingannarsi né ingannare, ce l’insegna in modo ben chiaro ed evidente. È certo e certissimo che v’è un luogo ove le anime dei giusti finiscono d’espiare i loro peccati prima d’essere ammesse alla gloria del paradiso per esse sicura. Sì, miei fratelli, ed è articolo di fede: se non abbiam fatto penitenza proporzionata alla gravezza e all’enormità de’ nostri peccati, sebben perdonati nel santo tribunale della penitenza, saremo condannati ad espiarli nelle fiamme del purgatorio. Se Dio, essenziale giustizia, non lascia senza premio un buon pensiero, un buon desiderio e la minima buona azione, neppur lascerà impunita una colpa, per quanto leggera; e noi dovremo andare a patire in Purgatorio, onde finir di purificarci, per tutto il tempo che esigerà la divina giustizia. Gran numero di passi della santa Scrittura ci mostrano che, quantunque i nostri peccati ci siano stati perdonati, pure Iddio c’impone anche l’obbligo di patire in questo mondo per mezzo di pene temporali, o nell’altro tra le fiamme del Purgatorio. Vedete che cosa accadde ad Adamo: essendosi pentito dopo il suo peccato. Dio l’assicurò che gli aveva perdonato, e tuttavia lo condannò a far penitenza per oltre 900 anni (Gen. III, 17-19); penitenza che sorpassa quanto può immaginarsi. Osservate ancora (II Re, XXIV): David, contro il beneplacito di Dio, ordina il novero de’ suoi sudditi; ma, spinto dai rimorsi della sua coscienza, riconosce il suo peccato, si getta con la faccia per terra e prega il Signore a perdonargli. E Dio, impietosito pel suo pentimento, gli perdona di fatto; ma tuttavia gli manda Gad che gli dica: « Principe, scegli uno de’ tre flagelli, che Dio ti ha apparecchiato in pena del tuo peccato: la peste, la guerra e la fame ». David risponde: «Meglio è cadere nelle mani del Signore, di cui tante volte ho sperimentato la misericordia, che in quelle degli uomini ». Scegli quindi la peste che durò tre giorni e gli tolse 70000 sudditi: e se il Signore non avesse fermato la mano dell’Angelo, già stesa sulla città, tutta Gerusalemme sarebbe rimasta Spopolata. David, vedendo tanti mali cagionati dal suo peccato, chiese in grazia a Dio che punisse lui solo, e risparmiasse il suo popolo ch’era innocente. Ohimè! miei fratelli, per quanti anni dovremo soffrire nel purgatorio noi che abbiam commesso tanti peccati: e che, col pretesto d’averli confessati non facciamo penitenza alcuna e non li piangiamo? Quanti anni di patimenti ci aspettano nell’altra vita! Ma come potrò io farvi il quadro straziante delle pene che soffrono quelle povere anime, poiché i SS. Padri ci dicono che i mali cui esse son condannate in quel carcere, sembrano pari ai dolori che Gesù Cristo ha sofferto nel tempo della sua passione? E tuttavia è certo che se il minimo dei dolori che ha patito Gesù Cristo fosse stato diviso tra tutti gli uomini, sarebbero tutti morti per la violenza del dolore. Il fuoco del Purgatorio è il fuoco medesimo dell’inferno, con la sola differenza che non è eterno. Oh! bisognerebbe che Dio. nella sua misericordia permettesse ad una di quelle povere anime, che ardono tra quelle fiamme, di comparir qui a luogo mio, circondata dal fuoco che la divora, e farvi essa il racconto delle pene che soffre. Bisognerebbe, fratelli miei, ch’essa facesse risuonar questa chiesa delle sue grida e de’ suoi singhiozzi; forse ciò riuscirebbe alfine ad intenerire i vostri cuori. « Oh! quanto soffriamo, ci gridano quelle anime; o nostri fratelli, liberateci da questi tormenti: voi lo potete! Ah! se sentiste il dolore d’essere separate da Dio! » Crudele separazione! Ardere in un fuoco acceso dalla giustizia d’un Dio! Soffrir dolori che uomo mortale non può comprendere! Esser divorato dal rammarico, sapendo che potevamo si agevolmente sfuggirli! «Oh! miei figliuoli, gridan quei padri e quelle madri, potete abbandonarci? Abbandonar noi che vi abbiam tanto amato? Potete coricarvi su un soffice letto e lasciar noi stesi sopra un letto di fuoco? Avrete il coraggio di darvi in braccio ai piaceri e alla gioia, mentre noi notte e giorno siam qui a patire ed a piangere? Possedete pure i nostri beni e le nostre case, godete il frutto delle nostre fatiche, e ci abbandonate in questo luogo di tormenti, ove da tanti anni soffriamo pene si atroci?… E non un’elemosina, non una Messa che ci aiuti a liberarci!… Potete alleviar le nostre pene, aprir la nostra prigione e ci abbandonate! Oh! son pur crudeli i nostri patimenti! » Si, miei fratelli, in mezzo alle fiamme si giudica ben altrimenti di tutte codeste colpe leggere, seppure si può chiamar leggero ciò che fa tollerare sì rigorosi dolori. « O mio Dio, esclamava il Pe-profeta, guai all’uomo, anche più giusto, se lo giudicate senza misericordia! » (Ps. CXLII, 2). « Se avete trovato macchie nel sole e malizia negli Angeli, che sarà dell’uomo peccatore? » (I Piet. IV, 18). E per noi che abbiam commesso tanti peccati mortali, e non abbiamo ancor fatto quasi nulla per soddisfare alla giustizia divina, quanti anni di purgatorio!… – « Mio Dio, diceva S. Teresa, qual anima sarà tanto pura da entrare in cielo senza passare per le fiamme vendicatrici? » Nella sua ultima malattia essa ad un tratto esclamò: «O giustizia e potenza del mio Dio, siete pur terribile! » Durante la sua agonia Dio le fece vedere la sua santità, quale la vedono in cielo gli Angeli e i Santi, il che le cagionò sì vivo terrore, che le sue suore, vedendola tutta tremante e in preda ad una straordinaria agitazione, gridarono piangendo: « Ah! madre nostra, che cosa mai vi è accaduto? Temete; ancora la morte dopo tante penitenze, e lacrime sì copiose ed amare? » — « No, mie figliuole, rispose S. Teresa, non temo la morte; anzi la desidero per unirmi eternamente al mio Dio ». — « Vi spaventano dunque i vostri peccati dopo tante macerazioni? » — « Sì, mie figliuole, rispose, temo i miei peccati, ma temo più ancora qualche altra cosa ». — « Forse il giudizio? » — « Sì, rabbrividisco alla vista del conto che dovrò rendere a Dio, il quale in quel momento sarà senza misericordia; ma vi è oltre a questo una cosa il cui solo pensiero mi fa morire di spavento ». Quelle povere suore grandemente si angustiavano. « Ohimè! Sarebbe mai l’inferno? » — « No, disse la santa, l’inferno, per grazia di Dio, non è per me: Oh! sorelle mie, è la santità di Dio! Mio Dio. abbiate pietà di me! La mia vita dev’essere confrontata con quella di Gesù Cristo medesimo! Guai a me, se ho la minima macchia, il minimo neo! Guai a me, se ho pur l’ombra del peccato! ». — « Ohimè! esclamarono quelle povere religiose, qual sarà dunque la nostra sorte?…  E di noi che sarà, fratelli miei, di noi che forse con tutte le nostre penitenze ed opere buone non abbiamo ancor soddisfatto per un solo peccato perdonatoci nel tribunale della penitenza? Ah! quanti anni e quanti secoli di tormenti per punirci!… Pagheremo pur cari tutti quei falli che riguardiamo come un nulla, come quelle bugie dette per divertimento, le piccole maldicenze, la non curanza delle grazie che Dio ci fa ad ogni momento, quelle piccole mormorazioni nelle tribolazioni ch’Egli ci manda! No, miei fratelli, non avremmo il coraggio di commettere il minimo peccato, se potessimo intendere quale offesa fa a Dio, e come merita d’esser punito rigorosamente anche in questo mondo. – Leggiamo nella santa Scrittura (III Re, XII) che il Signore disse un giorno ad uno de’ suoi profeti: « Va’ a mio nome da Geroboamo per rimproverargli l’orribilità della sua idolatria: ma ti proibisco di prendere alcun nutrimento né in casa sua, né per via ». Il profeta obbedì tosto, e s’espose anche a sicuro pericolo di morte. Si presentò dinanzi al re, e gli rimproverò il suo delitto, come gli aveva detto il Signore. Il re, montato in furore perché il profeta aveva avuto ardire di riprenderlo, stende la mano e comanda che sia arrestato. La mano del re rimase tosto disseccata. Geroboamo, vedendosi punito, rientrò in se stesso; e Dio, mosso dal suo pentimento, gli perdonò il suo peccato e gli restituì sana la mano. Questo benefizio mutò il cuore del re, che invitò il profeta a mangiare con lui. « No, rispose il profeta, il Signore me l’ha proibito: quando pure mi donaste metà del vostro regno, non lo farò ». Mentre tornava indietro, trovò un falso profeta, che si diceva mandato da Dio, il quale l’invitò a mangiar seco. Si lasciò ingannare da quel discorso, e prese un poco di nutrimento. Ma, uscendo dalla casa del falso profeta, incontrò un leone d’enorme grossezza, che si gettò su lui e lo sbranò. Or se chiedete allo Spirito Santo, quale sia stata la cagione di quella morte, vi risponderà che la disobbedienza del profeta gli meritò tal castigo. Vedete pure Mosè, che era sì caro a Dio: per aver dubitato un momento della sua potenza, battendo due volte una rupe per farne zampillar l’acqua, il Signore gli disse: « Aveva promesso di farti entrare nella terra promessa, ove latte e miele scorrono a rivi; ma per punirti d’aver battuto due volte la rupe, come se una sola non fosse stata bastante, andrai fino in vista di quella terra di benedizione, e morrai prima d’entrarvi » (Num. XX, 11, 12). Se Dio, miei fratelli, punì così rigorosamente peccati così leggeri, che cosa sarà d’una distrazione nella preghiera, del girare il capo in chiesa, ecc.?.. Oh! siam pur ciechi! Quanti anni e quanti secoli di Purgatorio ci prepariamo per tutte queste colpe che riguardiam come cose da nulla! … Come muteremo linguaggio, quando saremo tra quelle fiamme ove la giustizia di Dio si fa sentire così rigorosamente!… Dio è giusto, fratelli miei, giusto in tutto quello che fa. Quando ci ricompensa della minima buona azione, lo fa oltre i confini di ciò che possiamo desiderare; un buon pensiero, un buon desiderio, cioè il desiderar di fare qualche opera buona, quand’anche non si potesse fare, Ei non lascia senza ricompensa; ma anche quando si tratta di punirci, lo fa con rigore, e quando pur fossimo rei d’una sola colpa leggera, saremmo gettati nel Purgatorio. Quest’è verissimo, perché leggiamo nelle vite de’ Santi che parecchi sono giunti al cielo sol dopo esser passati per le fiamme del Purgatorio. S. Pier Damiani racconta che sua sorella stette parecchi anni nel purgatorio per avere ascoltato una canzone cattiva con qualche po’ di piacere. – Si narra che due religiosi si promisero l’un l’altro che, chi morisse pel primo, verrebbe a dire al superstite in quale stato si trovasse; infatti Dio permise al primo che morì di comparire all’amico, egli disse ch’era stato quindici giorni al purgatorio per aver amato troppo di far la propria volontà. E siccome l’amico si rallegrava con lui perché vi fosse stato sì poco : « Avrei voluto piuttosto, gli disse il defunto, esser scorticato vivo per diecimila anni continui; perché un simile tormento non avrebbe potuto ancora paragonarsi a ciò che ho patito tra quelle fiamme ». Un prete disse ad uno de’ suoi amici che Dio l’aveva condannato a più mesi di purgatorio per aver tardato ad eseguire un testamento in cui si disponeva per opere buone. Ohimè! miei fratelli, quanti tra quei che mi ascoltano debbono rimproverarsi un simile fatto! Quanti forse da otto o dieci anni ebbero da’ loro parenti od amici l’incarico di far celebrar Messe, distribuir limosine, e han trascurato tutto! Quanti, per timore di trovar l’incarico di far qualche opera buona, non si vogliono dar la briga neppur di guardare il testamento fatto a favor loro da parenti o da amici! Ohimè! quelle povere anime son prigioniere tra quelle fiamme, perché non si vogliono compiere le loro ultime volontà! Poveri padri e povere madri, vi siete sacrificati per mettere in miglior condizione i vostri figli o i vostri eredi; avete forse trascurato la vostra salute per accrescere la loro fortuna: vi siete fidati sulle opere buone, che avreste lasciate per testamento! Poveri parenti! Foste pur ciechi a dimenticare voi stessi! – Forse mi direte: « I nostri parenti son vissuti bene, erano molto buoni ». Ah! quanto poco ci vuole per cader tra quelle fiamme! Udite ciò che disse su questo proposito Alberto Magno, le cui virtù splendettero in modo straordinario: rivelò un giorno ad un amico che Dio l’aveva fatto andare al purgatorio, perché aveva avuto un lieve pensiero di compiacenza pel suo sapere. Aggiungete (cosa che desta anche maggior meraviglia) che vi son Santi canonizzati, i quali dovettero passare pel purgatorio. S. Severino, Arcivescovo di Colonia, apparve ad uno de’ suoi amici molto tempo dopo la sua morte, e gli disse ch’era stato al Purgatorio per aver rimandato alla sera certe preghiere che doveva dire al mattino. Oh! quanti anni di purgatorio per quei Cristiani, che senza difficoltà differiscono ad altro tempo le loro preghiere, perché han lavoro pressante! Se desiderassimo sinceramente la felicità di possedere Iddio, eviteremmo le piccole colpe, come le grandi, poiché la separazione da Dio è tormento sì orribile a quelle povere anime! – I santi Padri ci dicono che il Purgatorio è un luogo vicino all’inferno; il che si capisce agevolmente, perché il peccato veniale è vicino al peccato mortale; ma credono che non tutte le anime per soddisfare alla giustizia divina sian chiuse in quel carcere, e che molte patiscano sul luogo stesso ove hanno peccato. Infatti S. Gregorio Papa ce ne dà una prova manifesta. Riferisce che un santo prete infermo andava ogni giorno, per ordine del medico, a prender bagni in un luogo appartato; e ogni giorno vi trovava un personaggio sconosciuto, che l’aiutava a scalzarsi e, fatto il bagno, gli presentava un panno per asciugarsi. Il santo prete mosso da riconoscenza, tornando un giorno da celebrare la santa Messa, presentò allo sconosciuto un pezzo di pane benedetto. « Padre mio, gli rispose egli, voi m’offrite cosa di cui non posso far uso, quantunque mi vediate rivestito d’un corpo. Sono il Signore di questo luogo, che faccio qui il mio purgatorio». E scomparve dicendo: «Ministro del Signore, abbiate pietà di me! Oh! quanto soffro! Voi potete liberarmi; offrite, ve ne prego, per me il santo Sacrifizio della Messa, offrite le vostre preghiere e le vostre infermità. Il Signore mi libererà ». Se fossimo ben convinti di questo, potremmo sì facilmente dimenticare i nostri parenti, che ci stanno forse continuamente d’intorno? Se Dio permettesse loro di mostrarsi visibilmente, li vedremmo gettarsi a’ nostri piedi. « Ah! figli miei, direbbero quelle povere anime, abbiate pietà di noi! Deh! non ci abbandonate! ». Sì, miei fratelli, la sera andando al riposo, vedremmo i nostri padri e le madri nostre richiedere il soccorso delle nostre preghiere; li vedremmo nelle nostre case, nei nostri campi. Quelle povere anime ci seguono dappertutto; ma, ohimè! son poveri mendicanti dietro a cattivi ricchi. Han bell’esporre ad essi le loro necessità e i loro tormenti; quei cattivi ricchi sgraziatamente non se ne commuovono punto. « Amici miei, ci gridano, un Patere un Ave! una Messa! » Ecché? Saremo ingrati a segno da negare ad un padre, ad una madre una parte sì piccola dei beni che ci hanno acquistato o conservato con tanti stenti? Ditemi, se vostro padre, vostra madre o uno de’ vostri figliuoli fossero caduti nel fuoco, e vi tendessero le mani per pregarvi a liberarli, avreste coraggio di mostrarvi insensibili, e lasciarli ardere sotto i vostri occhi? Or la fede c’insegna che quelle povere anime soffrono tali pene cui nessun uomo mortale sarà mai capace di intendere Se vogliamo assicurarci il cielo, fratelli miei, abbiamo gran divozione a pregar per le anime del Purgatorio. Può ben dirsi che questa divozione è segno quasi certo di predestinazione, ed efficace motivo di salute. La santa Scrittura nella storia di Gionata ci mette sott’occhio un mirabile paragone (1 Re XIV). Saul, padre di Gionata, aveva proibito a tutti i soldati, sotto pena di morte, di prendere alcun nutrimento prima che i Filistei fossero stati interamente disfatti. Gionata, che non aveva udito quella proibizione, sfinito com’era dalla fatica, intinse in un favo di miele la punta del suo bastone e ne gustò. Saul consultò il Signore per sapere, se alcuno aveva violato la proibizione. Saputo che l’aveva violata suo figlio, comandò che mettessero le mani su Gionata, dicendo: « Mi punisca il Signore, se oggi non morrai ». Gionata. vedendosi dal padre condannato a morte, per aver violato una proibizione che non aveva udita, volse lo sguardo al popolo, e, piangendo, pareva rammentare tutti i servigi che gli aveva reso, tutta la benevolenza che aveva loro usata, il popolo si gettò subito ai piedi di Saul: « Ecché? Farai morir Gionata, che ha poc’anzi salvato Israele?Gionata che ci ha liberati dalle inani de’ nostri nemici? No, no: non cadrà dal suo capo un capello: troppo ci sta a cuore conservarlo: troppo bene ci ha fatto, e non è possibile dimenticarlo sì presto ». Ecco l’immagine sensibile di ciò che avviene all’ora della morte. Se, per nostra buona ventura, avremo pregato per le anime del purgatorio, quando compariremo d’innanzi al tribunale di Gesù Cristo per rendergli conto di tutte le nostre azioni, quelle anime si getteranno ai piedi del Salvatore dicendo: «Signore, grazia per questa anima! Grazia, misericordia per essa! Abbiate pietà, mio Dio, di quest’anima così caritatevole, che ci ha liberate dalle flamine, e h a soddisfatto per noi alla vostra giustizia! Mio Dio, mio Dio, dimenticate, ve ne preghiamo le sue colpe, com’essa vi ha fatto dimenticare le nostre! » Oh! quanto efficaci son questi motivi per ispirarvi una tenera compassione verso quelle povere anime sofferenti! Ohimè! esse ben presto sono dimenticate! Si ha pur ragione di dire che il ricordo de’ morti svanisce insieme col suono delle campane. Soffrite, povere anime, piangete in quel fuoco acceso dalla giustizia divina; ciò non giova a nulla; nessuno vi ascolta; nessuno vi porge sollievo!… Ecco dunque, fratelli miei, la ricompensa di tanta bontà e di tanta carità ch’ebbero per noi mentre ancora vivevano. No, non siamo nel numero di questi ingrati; poiché lavorando alla loro liberazione, lavoreremo alla nostra salute.

II. — Ma, direte forse, come possiamo sollevarle e condurle al cielo! Se desiderate prestar loro soccorso, fratelli miei, vi farò vedere che è cosa facile il farlo; 1° per mezzo della preghiera e dell’elemosina; 2° per mezzo delle indulgenze; 3° soprattutto col santo sacrificio della Messa.

Dico primieramente per mezzo della preghiera.

Quando facciamo una preghiera per le anime del purgatorio, cediamo loro ciò che Dio ci concederebbe se la facessimo per noi; ma ohimè! quanto poca cosa sono le nostre preghiere, poiché è pur sempre un peccatore che prega per un colpevole! Mio Dio. Deve esser pur grande la vostra misericordia! … Possiamo ogni mattina offrire tutte le azioni della nostra giornata e tutte le nostre preghiere pel sollievo di quelle povere anime sofferenti. È ben poca cosa, certamente; ma ecco: facciamo ad esse come ad una persona, che abbia le mani legate e sia carica d’ un pesante fardello, a cui si venga di tratto in tratto a togliere qualche po’ di quel peso; a poco a poco si troverà libera del tutto. L’istesso accade alle povere anime del purgatorio, quando facciamo per esse qualche cosa: una volta abbrevieremo le loro pene di un’ora, un’altra volta d’un quarto d’ora, sicché ogni giorno avviciniamo al cielo.

Diciamo in secondo luogo che possiamo liberare le anime del purgatorio con le indulgenze, le quali a gran passi le conducono verso il paradiso. Il bene che loro comunichiamo è di prezzo infinito perché applichiamo ad essi i meriti del Sangue adorabile di Gesù Cristo, delle virtù della SS. Vergine e dei Santi, i quali han fatto maggiori penitenze che non richiedessero i loro peccati. Ah! se volessimo, quanto presto avremmo vuotato il purgatorio, applicando a queste anime sofferenti tutte le indulgenze che possiamo guadagnare!… Vedete, fratelli miei, facendo la Via Crucis, si possono guadagnare quattordici indulgenze plenarie (Congr. d. Indul. 1742). E si fa in più modi … (Nota del Santo andata persa – nota degli edit. francesi). Oh! siete pur colpevoli per aver lasciato tra quelle fiamme i vostri parenti, mentre potevate così bene e facilmente liberarli!

Il mezzo più efficace per affrettare la loro felicità è la santa Messa, poiché in essa non è più un peccatore che prega per un peccatore, ma un Dio eguale al Padre, che non saprà mai negargli nulla. Gesù Cristo ce ne assicura nel Vangelo; dicendo; « Padre, ti rendo grazie perché mi ascolti sempre ! » (Joan. XI, 41-42). Per meglio persuadercene, vi citerò un esempio dei più commoventi, da cui intenderete quanto grande efficacia abbia la santa Messa. È riferito nella storia ecclesiastica che, poco dopo la morte dell’imperator Carlo (Carlo il Calvo), un sant’uomo della diocesi di Reims, per nome Bernold, essendo caduto infermo e avendo ricevuto gli ultimi Sacramenti stette quasi un giorno senza parlare, e appena appena si poteva riconoscere che ancor vivesse; finalmente aprì gli occhi, e comandò a chi lo assisteva di far venir al più presto il suo confessore. Il prete venne tosto, e trovò il malato tutto in lacrime, il quale gli disse: «Sono stato trasportato all’altro mondo, e mi son trovato in un luogo ove ho veduto il Vescovo Pardula di Laon, che pareva vestito di cenci sudici e neri, e pativa orribilmente tra le fiamme; ei m’ha parlato così: « Poiché avete la buona sorte di tornare in terra, vi prego d’aiutarmi e darmi sollievo; potete anzi liberarmi, e assicurarmi la grande felicità di vedere Iddio ». — « Ma, gli ho risposto, come potrò procurarvi tale felicità? ». — « Andate da quelli che nel corso della mia vita ho beneficato, e dite loro che in ricambio preghino per me, e Dio mi userà misericordia ». Dopo fatto ciò che mi aveva comandato l’ho riveduto bello come un sole: non pareva più che soffrisse, e, nella sua gioia mi ringraziò dicendo: « Vedete quanti beni e quante felicità mi han procurato le preghiere e la santa Messa » . Poco più in là ho veduto re Carlo, che mi parlò così: « Amico mio, quanto soffro! Va dal Vescovo Iucmaro, e digli che son nei tormenti per non aver seguito i suoi consigli; ma faccio assegnamento su lui perché m’aiuti ad uscire da questo luogo di patimenti; raccomanda pure a tutti quelli i quali ho beneficato nel corso della mia vita che preghino per me, ed offrano il santo Sacrificio della Messa, e sarò liberato » . Andai dal Vescovo che si apparecchiava a dir Messa, e che, con tutto il suo popolo, si mise a pregare con tale intenzione. Rividi poi il re, rivestito dei suoi abiti regali, e tutto splendente di gloria: « Vedi, mi disse, qual gloria m’hai procurata: ormai eccomi felice per sempre » . In quell’istante sentii la fragranza d’uno squisito profumo, che veniva dal soggiorno de’ beati. « Mi ci accostai, dice il P. Bernold, e vidi bellezze e delizie, che lingua umana non è capace di esprimere » (V. Fleury T. VII, anno 877). Ciò dimostra quanto siano efficaci le nostre preghiere e le nostre opere buone, e specialmente la S. Messa, per liberar dai loro tormenti quelle povere anime. Ma eccone un altro esempio tratto anche questo dalla storia della Chiesa: è anche più meraviglioso. Un prete, informato della morte d’un suo amico, che amava solo per Iddio, non trovò mezzo più potente per liberarlo che andar tosto ad offrire il santo Sacrificio della Messa. Lo cominciò con tutto il possibile fervore e col dolore più vivo. Dopo aver consacrato il Corpo adorabile di Gesù Cristo, lo prese tra mano, e levando al cielo le mani e gli occhi, disse: « Eterno Padre, io vi offro il Corpo e l’Anima del vostro carissimo Figliuolo. Eterno Padre! Rendetemi l’anima dell’amico mio, che soffre tra le fiamme del Purgatorio! Sì, mio Dio, io son libero d’offrirvi o no il vostro Figliuolo, voi potete accordarmi ciò che vi domando! Mio Dio facciamo il cambio; liberate l’amico mio e vi darò il vostro Figliuolo: ciò che vi offro val molto più di ciò che vi domando ». Questa preghiera fu fatta con fede sì viva, che nel punto stesso vide l’anima dell’amico uscir dal purgatorio e salire al cielo. Si narra pure che, mentre un prete diceva la S. Messa per un’anima del Purgatorio, si vide venire in forma di colomba e volare al cielo. S. Perpetua raccomanda assai vivamente di pregare le anime del purgatorio. Dio le fece vedere in visione suo fratello che ardeva tra le fiamme, e che pure era morto di soli sette anni, dopo aver sofferto per quasi tutta la vita d’un cancro che lo faceva gridar giorno e notte. Essa fece molte preghiere e molte penitenze per la sua liberazione e lo vide salire al cielo splendente come un angelo. Oh! son pur beati, fratelli miei, quelli che hanno di tali amici! A mano a mano che quelle povere anime s’avvicinano al cielo, par che soffrano anche di più. Sono come Assalonne: dopo essere stato qualche tempo in esilio torna a Gerusalemme, ma col divieto di veder suo padre che l’amava teneramente. Quando gli si annunziò che rimarrebbe vicino a suo padre, ma non potrebbe vederlo, esclamò: « Ah! vedrò dunque le finestre e i giardini di mio padre e non lui? Ditegli che voglio piuttosto morire, anziché rimaner qui, e non aver la consolazione di vederlo. Ditegli che non mi basta aver ottenuto il suo perdono. ma è ancor necessario che mi conceda la sorte felice di rivederlo » [II Re, XIV — Veramente le parole qui citate furon dette da Assalonne, non quando udì la sentenza del Re, ma due anni dopo. (Nota del Traduttore)]. Così quelle povere anime, vedendosi tanto vicine a uscire dal loro esilio, sentono accendersi così vivamente il loro amor verso Dio, e il desiderio di possederlo, che pare non possano più resistervi. « Signore, gridano esse, rimirateci con gli occhi della vostra misericordia: eccoci al fine delle nostre pene ». — « Oh! siete pur felici, gridano a noi di mezzo alle fiamme che le tormentano, voi che potete ancora sfuggire questi patimenti! … ». Mi pare anche d’udir quelle povere anime, che non han né parenti, né amici: Ah! se vi resta ancora un poco di carità, abbiate pietà di noi, che da tanti anni siamo abbandonate in queste fiamme accese dalla giustizia divina! Oh! se poteste comprendere la grandezza de’ nostri patimenti, non ci abbandonereste come fate! Mio Dio! nessuno dunque avrà pietà di noi? È certo, miei fratelli, che quelle povere anime non possono nulla per sé; possono però molto per noi. E prova di questa verità è che nessuno ha invocate le anime del purgatorio senza aver ottenuta la grazia che domandava. E ciò s’intende agevolmente: se i Santi, che sono in cielo e non han bisogno di noi, si danno pensiero della nostra salute, quanto più le anime del purgatorio che ricevono i nostri benefìci spirituali a proporzione della nostra santità. « Non ricusate, o Signore, (dicono) questa grazia a quei Cristiani che si adoperano con ogni cura a trarci da queste fiamme! » Una madre potrà forse far a meno di chiedere a Dio qualche grazia per figli, che ha tanto amato e che pregano per la sua liberazione? Un pastore, che in tutto il corso della sua vita ebbe tanto zelo per la salute de’ suoi parrocchiani, potrà non chieder per essi, anche dal purgatorio, le grazie, di cui hanno bisogno per salvarsi? Sì, miei fratelli, quando avremo da domandar qualche grazia, rivolgiamoci con fiducia a quelle anime sante e saremo sicuri d’ottenerla. Qual buona ventura per noi avere, nella divozione alle anime del purgatorio, un mezzo così eccellente per assicurarci il cielo! Vogliamo chiedere a Dio il perdono de’ nostri peccati? Rivolgiamoci a quelle anime che da tanti anni piangono tra le fiamme le colpe da loro commesse. Vogliamo domandare a Dio il dono della perseveranza? Invochiamole, fratelli miei, che esse ne sentono tutto il pregio; poiché solo quei che perseverano vedranno Iddio. Nelle nostre malattie, nei nostri dolori volgiamo le nostre preghiere verso il Purgatorio, ed otterranno il loro frutto. Che cosa concluder, miei fratelli, da tutto questo? Eccolo. È certo molto scarso il numero degli eletti, che sfuggono interamente le pene del purgatorio; e i patimenti a cui quelle anime sono condannate, son molto superiori a quanto potremo intenderne. È certo pure che sta in nostra mano quanto può dar sollievo alle anime del Purgatorio, cioè le nostre preghiere, le nostre penitenze, le nostre elemosine e soprattutto la santa Messa. Finalmente siam certi che quelle anime, così piene di carità, ci otterranno mille volte più di quello che loro daremo. Se un giorno saremo nel Purgatorio, quelle anime non lasceranno di chiedere a Dio l’istessa grazia che avremo ad esse ottenuto; poiché han pur sentito quanto si soffre in quel luogo di dolori e quanto è crudele la separazione da Dio. Nel corso di quest’ottava consacriamo qualche momento ad opera sì bene spesa. Quante anime andranno in paradiso pel merito della santa Messa e delle nostre preghiere!… Ognun di noi pensi a’ suoi parenti, e a tutte le povere anime da lunghi anni abbandonate! Sì, fratelli miei, offriamo in loro sollievo tutte le nostre azioni. Cosi piaceremo a Dio che ne desidera tanto la liberazione, e ad esse procureremo la felicità del godimento di Dio. Il che io vi desidero.

SACRO CUORE DI GESÙ (24): Il Sacro Cuore di Gesù, e l’Eucaristia

(A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXIV

Il Sacro Cuore di Gesù e l’Eucaristia

Quando Iddio ebbe creato il cielo e la terra con tutte le loro meraviglie, gettando uno sguardo complessivo sopra di esse le riconobbe tutte buone assai : Viditque Deus cuncta quæ fecerat, et erant valde bona. (Gen. I, 31) Sì, tutte le opere della creazione erano belle, erano grandi, erano perfette, e non solamente i cieli dovevano farsi a narrare la gloria di Dio, e il firmamento ad annunziare il lavoro delle sue mani, ma il giorno ancora doveva imprendere a dire questa parola all’altro giorno, e la notte a darne cognizione all’altra notte, affine di far conoscere a tutti i secoli, che le opere di Dio sono perfette: Dei perfecta sunt opera. (Deut. XXXII, 4). Ora, quello che Dio Creatore poté vedere di tutte le opere della creazione, è quello che Gesù Cristo Redentore poté vedere di tutte le opere della redenzione; perciocché tra le opere di Gesù Cristo ve ne ha forse qualcuna che non sia buona, che non sia bella, che non sia grande, che non sia perfetta?! Ma pure, o miei cari, come i grandi geni hanno dato quasi sempre una piena manifestazione della loro forza creativa In un’opera speciale, che però si eleva al di sopra di tutte le altre, così ha fatto il Genio di tutti i geni, nostro Signor Gesù Cristo. E l’opera che costituisce per eccellenza il suo capolavoroè la SS. Eucaristia. Già lo cantava migliaia di anni innanzi il santo Profeta: Memoriam fecit mirabilium suorum misericors et miserator Dominus, escam dedit timentibus se (P«. CX, 4), il Signore pieno di bontà e di misericordia ha fatto il memoriale delle sue meraviglie, apprestando il cibo divino a coloro che lo temono. Sì, fra tutti i Sacramenti, che Gesù Cristo nella sua infinita carità per gli uomini ha fatto uscire dalla ferita del suo Sacratissimo Cuore, questo tiene il primo posto, perché in esso non vi ha soltanto un segno della grazia, ma si trova l’Autore stesso della grazia, perché è la perfezione, il centro, il fine a cui tutti gli altri Sacramenti sotto ordinati, perché in sé solo raccoglie le virtù, le prerogative e le grazie di tutti gli altri. Quale prova adunque dell’amore di Gesù Cristo per noi in questo Sacramento! Senza dubbio, ad imitazione della Chiesa, è sopra di questa specialissima prova, che nella divozione al Sacro Cuore di Gesù Cristo dobbiamo fermare l’attenzione nostra. Pertanto cominciamo oggi a riconoscere come per la SS. Eucaristia Gesù Cristo ci abbia dato veramente una prova suprema di amore.

I . — Uno fra i più prepotenti bisogni del cuor dell’uomo è quello, senza dubbio, d’avere a sé vicino Iddio. Perciocché l’uomo creato da Dio non può non tendere a Lui e farne a meno. Epoiché egli nel suo essere è anima e corpo, perciò non è coll’anima soltanto che egli tende ad avere a sé dappresso Iddio, ma ancora col corpo. No, l’uomo non è, non può essere del tutto contento di possedere Iddio nella sua intelligenza per la fede e nel suo cuore per la grazia; egli vuole altresì vederlo coi suoi occhi, toccarlo con le sue mani, stringerlo nelle sue braccia, badarlocolle sue labbra, trovarsi insomma anche in relazioni sensibili con Lui, vivere anche corporalmente in unione e in compagnia di Lui. E la verità e realtà di queste tendenze dell’uomo riguardo a Dio sono comprovate dalla stessa idolatria, che per quasi quattromila anni trionfò in pressoché tutte le parti del mondo. Poiché sebbene colpevolmente gli uomini siano giunti a tale stravaganza da fabbricarsi con le loro mani degli idoli di metallo, di legno e di pietra e poi curvarsi davanti agli stessi esclamando: Ecco i nostri Dei; tuttavia questa inescusabile insensatezza non era altro maggiormente che la manifestazione di questo prepotente bisogno dell’uomo, d’aver Iddio a sé realmente presente, non era altro di più che il grido lanciato in alto dall’umanità follemente ingannata: « O Dio, discendi in mezzo a noi, sii marmo, sii legno, sii metallo, piuttosto di star lontano da noi. » Imperciocché sebbene l’orgoglio dei regnanti, l’interesse dei falsi sacerdoti, l’ignoranza dei popoli e il fascino delle passioni, l’astuzia e la potenza di satana, siano cause reali del culto degli idoli, tuttavia questa immensa aberrazione dello spirito umano non sarebbesi resa così universale, né sarebbe durata così a lungo so non era di questo bisogno, così intimo, così violento e indistruttibile per l’uomo di avere a sé presente Iddio. Se pertanto questo è un bisogno del cuore umano, è senza dubbio Iddio stesso che lo ha creato, ed egli non crea nel cuor nostro alcun bisogno senza soddisfarlo. Soddisfece adunque anche a questo. Lo soddisfece sul principio del mondo con Adamo ancor innocente, scendendo nel Paradiso terrestre a passeggiare con lui all’aura meridiana e facendosi a parlargli come ad amico. Lo soddisfece in seguito, anche dopo la caduta del nostro progenitore, apparendo di tanto in tanto ai Patriarchi, ai Profeti, ai Condottieri del suo popolo. Lo soddisfece discendendo in una nube misteriosa sopra del tabernacolo a riempierlo della sua gloria, a far sentire la sua voce e ad operare i più strepitosi prodigi, tanto che gli Ebrei esclamavano con alterezza: Non v’ha certo altra nazione, per grande che ella sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei, come il Dio nostro è presente a tutte le nostre preghiere: Non est alia natio tam grandis, quæ habeat deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest cunctis obsecrationibus nostris. (Deut. IV, 7). Con tutto ciò quella sublime tendenza, di cui parliamo, non era ancora pienamente soddisfatta: Iddio non aveva ancora adempiuta del tutto quella promessa da Lui fatta agli uomini, quando disse: Camminerò tra di voi: Ambulabo inter vos. (Levit. XXVI). Ma ecco che alla fine, per tutta quanta la “terra e sino agli estremi suoi confini, esce il suono di una voce che grida: È apparsa la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Iddio: Apparuit benignitàs et hunanitas Salvatoris nostri Dei,” (Tit. III) e questo grido; non è altro che l’eco del più grande, del più sublime, del più inenarrabile degli avvenimenti, l’incarnazione di Dio: Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. (Io. I) Allora gli uomini, come dice S. Giovanni, l’ebbero udito, l’ebbero veduto, l’ebbero toccato con le stesse loro mani: Quod audivimus, quod vidimus, quod manus nostræ contrectaverunt de verbo vitæ. Se non che, trentatrè anni di vita passati nella piccola terra di Palestina, che cosa sono mai se non un fuggevole lampo attraverso lo spazio di tanti secoli e di tutto il mondo? E dopo che Iddio incarnato, Gesù Cristo, con la sua gloriosa umanità è salito al cielo, la terra ricadrà in una oscurità più profonda di quell’antica, che pure di tanto in tanto era diradata dalle luminose apparizioni di Dio? E questa nuova era, cui sospiravano i Patriarchi, che vagheggiavano i Profeti, che Dio stesso inaugurava scendendo dal cielo ed incarnandosi, sarebbe stata perciò inferiore alla prima? Ah no! o miei cari. Iddio in tutte quante le sue opere esteriori si è dimostrato mai sempre eminentemente progressista, e tale eziandio si dimostrò nelle sue comunicazioni con gli uomini. Dapprima, nei tempi antichi, comunicò per mezzo del Divin Verbo incarnato e fatto uomo, che abitò tra gli uomini di un paese privilegiato; ed ora nei nuovi tempi con un prodigio inaudito e perenne, che al dire di S. Agostino, esaurisce la sua potenza, la sua sapienza, la sua bontà, pur non privando il cielo della sua umanità sacrosanta e gloriosa, rimane e rimarrà sempre realmente presente con il suo corpo, con il suo sangue, con la sua anima e con la sua divinità in mezzo a pressoché tutti gli uomini sino alla consumazione dei secoli. Ma qual è questo prodigio? Dov’è la reale presenza del nostro Dio? Dov’è? Udite. Vi sono due piante di assai meschino aspetto, ma l’una e l’altra di preziosa virtù. La prima di esse, erba sottile e fragile, non spicca né per ragion delle foglie, né del suo fiore, né della sua fragranza; l’altra è un legno inutile, non atto neppure a farne una caviglia. E non pertanto queste due piante senza vigore e senza vaghezza, il grano e la vite mantengono la forza dell’uomo e gli spargono in cuore la gioia. Chi oserà ancora sprezzare la loro umiltà? Fortunato colui che abbonda dei frutti di queste umili piante! Con tale abbondanza suole Iddio non di rado benedire colui che lo ama e lo teme e fedelmente osserva la sua santa legge. Maledetto invece colui che disprezza od abusa del pane e del vino. Il volgo stesso capisce il motivo di questa maledizione, quando di chi sciupa il pane ed il vino dice nel suo energico linguaggio che disprezza la grazia di Dio. Eppure che il pane ed il vino formino la base del nostro alimento non è ancora il tutto. Essi hanno una destinazione ben più sublime, e quale? O ammirabile procedere del Signore, chi può intendere le sue vie? Il pane ed il vino sono destinati ad essere tramutati nel Sacramento dell’Eucarestia nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signor Gesù Cristo! Il Sacerdote, che nella sacra ordinazione ne ha ricevuto la possanza, a nome di Gesù Cristo pronunzia sopra del pane queste singolari parole: Hoc est Corpus meum: questo è il mio corpo; e sopra del vino queste altre: Hic est calix Sanguinis mei, questo è il calice del mio Sangue: ed a queste semplici parole per la potenza che Gesù Cristo ha loro comunicato, il pane cessa di essere pane: il vino lascia di essere vino: e diventano il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo: quel vero Corpo nato da Maria Vergine, quel vero Sangue sparso sulla croce per la nostra salute. Rimangono è vero le specie ossia le apparenze di pane e di vino, la loro figura, il loro colore, odore, sapore, ma il pane ed il vino più non vi sono; essi diventano tanto l’uno quanto l’altro, tutto intero il Corpo Sacratissimo e tutto quanto il Preziosissimo Sangue del divin Redentore congiunti alla sua Anima ed alla sua Divinità. – Ah! io so bene che dinanzi ad un tanto mistero la ragione si arresta esterrefatta ed esclama: Possibile? Ma pure o negare addirittura la veracità del Vangelo e la Divinità di Gesù Cristo, od ammettere senz’altro quello che è, ancorché con la ragione non si comprenda. Perciocché tanto le parole con cui Gesù Cristo promise, quanto quelle con cui istituì l’Eucaristia sono di una chiarezza insuperabile. Ed in vero in quel dì in cui Gesù Cristo prese a promettere questo grandissimo dono che cosa disse alle turbe dei Giudei? « Io sono il Pane vivo disceso dal cielo, epperò chi mangerà di questo pane vivrà in eterno. E questo pane che Io darò a mangiare è la mia carne, questo corpo istesso che Io esporrò alla morte per la salute del mondo. » E siccome a queste parole i Giudei si posero tra di loro a litigare dicendo: Come potrà costui darci a mangiare la sua carne? Gesù Cristo ribadendo ciò che già aveva detto, soggiunse: « In verità, in verità vi dico, che se non mangerete la mia carne e non berrete il mio Sangue, non avrete in voi la vita: chi mangerà la mia carne ha la vita eterna ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. » – Ora poteva Gesù Cristo adoperare parole più. chiare per farci capire che realmente Egli avrebbe lasciato tra di noi, affine di essere cibo dell’anima nostra e restare in nostra compagnia, il suo Corpo e il suo Sangue? Per certo gli stessi Giudei credettero così, ma essendo essi troppo carnali e non potendo capire come Gesù Cristo avrebbe effettuato la sua promessa in un modo miracoloso, essi si spaventarono al pensiero di una scena d’antropofagia; epperò credendo che Gesù Cristo non potesse altrimenti compiere ciò che prometteva che con lo squartare il suo corpo e col darne a mangiare la sua carne sanguinante, perciò appunto presero a litigare fra di loro domandandosi vicendevolmente come mai fosse possibile una tal cosa. Anzi continuando Gesù a riaffermare la stessa asserzione molti di essi, dicendo che quel discorso era troppo duro e che non lo si poteva capire, gli voltarono le spalle e da quel dì cessarono di essere suoi seguaci. Ma non perciò Gesù Cristo corresse o modificò quanto aveva detto; anzi lasciando andare quei Giudei, si volse ancora agli Apostoli dicendo loro: Volete andarvene anche voi? E cioè: Non volete credere neppur voi che Io darò veramente in cibo la mia Carne e in bevanda il mio Sangue? Se non volete credere, Io non intendo di sforzarvi, epperò potete seguire l’esempio di coloro che mi hanno lasciato; ma se volete restarvi presso di me, se volete continuare ad essere miei discepoli è assolutamente necessario che crediate quanto Io ho asserito. Or dite, se Gesù Cristo che era via, verità e vita, se Egli che era tanto zelante nell’istruire i Giudei affine di salvarli, se Egli che era così voglioso di salvare le animo per modo da non perdonarla né a fatiche, né a disagi di sorta, se anzi per la salvezza delle anime egli sarebbe morto sopra una croce, dite, al vedersi abbandonato da molti, che pure avevano già incominciato ed essere suoi seguaci, propriamente perché prendevano le sue parole nel senso più ovvio e naturale, qualora Egli nel promettere l’Eucarestia non avesse inteso di dare realmente il suo Corpo e il suo Sangue, ma soltanto un’immagine od una figura del medesimo, non avrebbe Egli rattenuti quei Giudei, non avrebbe egli detto loro: « Fermatevi e calmatevi; voi non mi avete inteso? Nel dirvi che Io vi darò in cibo il mio Corpo e in bevanda il mio Sangue non ho già inteso di dirvi che ve li darò in modo reale; oh no per certo! Ma ho inteso unicamente di dirvi che vi darò una figura, un’immagine del mio Corpo e del mio Sangue. Continuate adunque ad essere miei discepoli, e non abbandonatemi per un malinteso. Questo mio discorso, poiché è questo propriamente che intendo di dire, non è alla fin fine troppo duro, troppo difficile a capirsi. » Non vi pare che così veramente si sarebbe regolato Gesù Cristo in tale circostanza? Ma no, Egli tenne una condotta del tutto contraria; epperò la condotta da Lui tenuta non è una prova evidentissima della sua reale presenza nella SS. Eucaristia? – Ma non meno evidente è la prova che ne risulta dalle parole, con cui Gesù Cristo istituiva l’Eucaristia. Ed in vero ci riferiscono gli evangelisti che Gesù Cristo nell’ultima cena prese del pane, lo benedisse e lo spezzò e dandolo ai suoi discepoli disse: Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, che per voi sarà dato: Accipite et comedite, hoc est corpus meum quod prò vobis tradetur; e che avendo preso un calice, resegrazie e lo diede agli stessi Apostoli dicendo: Bevete tutti diquesto: Bibite ex hoc omnes; perciocché questo è il Sangue miodel nuovo testamento, che sarà versato per molti in remissionedei peccati: hic est enim sanguis meus novi testamenti, qui prò multis effundetur in remissionem peccatorum. Or vi sono parolepiù chiare di queste? Non insegna apertamente Gesù Cristoper mezzo di esse che nell’Eucaristia vi ha quello stesso Corpo,che doveva essere per noi offerto in croce e quello stesso Sangue, che ivi pure doveva essere sparso? E se sulla croce offerseil suo Corpo e versò il suo Sangue non già in figura o sottoqualche immagine, ma il suo Corpo vero e reale, il suo vero ereale Sangue, come si potrà credere ed asserire che Gesù Cristonel dire agli Apostoli: Prendete e mangiate, questo è il mioCorpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue, abbia intesodi dire: Prendete e mangiate, questo pane è una figura delmio Corpo; prendete e bevete, questo vino è una figura delmio Sangue?Per certo gli Apostoli come non avevano esitato a prenderenel loro vero significato le parole di Gesù Cristo quando promisel’Eucaristia, così non esitarono punto a prendere nel lorovero senso queste altre, con cui Gesù Cristo la istituì, epperòsenza dubbio cibandosi di quel pane e bevendo di quel vinoche Gesù Cristo loro diede, credettero fermamente, che sebbenedi pane e di vino conservassero l’apparenza, non eranopiù tali, ma in quella vece erano stati realmente tramutati nelvero Corpo e nel vero Sangue del loro adorabile Maestro. Secosì non fosse, l’apostolo Paolo che aveva appreso tutto ciòdagli altri Apostoli, dopo di avere egli stesso brevemente narratola istituzione di questo divin Sacramento, toccando lacommovente circostanza che Gesù Cristo lo istituì in quellanotte medesima, in cui veniva tradito per cominciar la suapassione, in qua nocte tradebatur, dopo di aver notato che Gesùnon si contentò di dare il Suo Corpo e il suo Sangue agliApostoli, ina volle ancora farne dono a tutti i suoi credenticomunicando a’ suoi Apostoli ed ai loro successori nel sacerdoziola facoltà di fare la stessa cosa che Egli aveva fatto fino aquel dì, in cui Egli visibilmente ritorni su questa terra, se cosìnon fosse, dico, questo Apostolo avrebbe in proposito in dirizzatoai Cristiani questa raccomandazione e questa sentenza: Probet autem se ipsum homo et sic de pane illo edat et de calice bibat: Si esamini adunque l’uomo, e solo dopo essersi esaminatoed aver riconosciuto di essere in grazia di Dio, solo allora siaccosti a mangiare di questo pane e a bere di questo vino.Perciocché chiunque mangerà di questo pane o berrà di questocalice indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue di GesùCristo, e si mangia e si beve la sua condanna: quicumque enim manducaverit panem hunc vel biberit calicem Domini indigne, reus erit Corporis et Sanguinis Domini ? ( I Cor. XI). Oh no, certamente S. Paolo non sarebbe arrivato al punto dadir parole sì terribili, da dichiarare nientemeno che reo deldisprezzo del Corpo e del Sangue di Cristo chi prende indegnamentel’Eucaristia, e da sentenziare che costui si mangiae si beve la sua stessa condanna. Perciocché avrebbe avutoin animo di ingenerare nei Cristiani tanto orrore al prendere

indegnamente l’Eucaristia, quando egli e gli altri Apostoli e tutti i Cristiani di quel tempo avessero creduto che nell’Eucaristia non vi è altro che una figura, un’immagine di Gesù? Ah senza dubbio è pur un mancar di rispetto a Gesù Cristo disprezzando la sua figura e la sua immagine, ma come mai  un tal mancamento si avrebbe a ritenere così grave da diventare nel commetterlo rei non solo della figura e dell’immagine ma del medesimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo, e da meritare per ciò di essere dannati? Voi lo vedete adunque, le parole della promessa e dell’istituzione della SS. Eucaristia sono sì semplici, sì chiare, sì esplicite da non lasciarci il minimo dubbio sulla realtà della cosa. Epperò lo stesso Martin Lutero dopo di aver passata una notte intera con la febbre indosso su di queste parole, torturandole quanto più era possibile affine di cavarne fuori qualche cosa d’altro che non fosse la reale presenza di Gesù Cristo, non vi riuscì affatto. Ma Lutero, come tutti gli altri novatori, Carlostadio, Zuinglio, Ecolampadio, Bucero e Calvino, che anche più radicalmente di Lutero negarono la reale presenza, erano giunti troppo in ritardo per insegnare anche a questo riguardo una fede diversa da quella degli apostoli. La Chiesa in tutti i secoli a loro antecedenti aveva mai sempre con una costante ed universale tradizione ritenuto ed insegnato quanto avevano appreso da Gesù Cristo ed insegnato ai primitivi Cristiani gli Apostoli. Ma che dico la Chiesa? È l’umanità che ha creduto: l’umanità cristiana, la più grande, la più forte, la più sensata, la più libera, la più intelligente che sia esistita. No, non sono già orde barbare erranti in steppe sconosciute: non sono società degradate nelle vergogne del feticismo e dell’idolatria e che avrebbero trovato in questa credenza l’alimento e la scusa della loro corruzione, sono le anime più belle, più pure, più tenere e più forti, che siano venute al mondo. Sono i Padri, i Dottori della Chiesa, i Santi tutti; S. Ignazio, S. Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Giovanni Grisostomo, e via via sino a S. Bernardo, a S. Francesco di Sales, a S. Alfonso Maria de’ Liguori, e a quanti altri Santi vi saranno fino alla fine del mondo. Dunque: Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui: Inchiniamoci venerabondi davanti all’augustissimo Sacramento dell’Eucarestia: Iddio realmente presente tra gli uomini Egli è là. Via le figure, i segni, le profezie dell’antico patto; il figurato, il significato, il profetato, Egli è là: Ut antiquum documentum novo cedat ritui: è vero, i miei occhi non vedono che pane, le mie mani non toccano che pane, i miei sensi tutti non sentono che pane; ma venga la fede a supplire al difetto dei miei occhi, delle mie mani e de’ miei sensi: Præstet fides supplementum sensuum defectui, e sotto di quelle specie io vedrò, toccherò, sentirò realmente Iddio. Sì, per l’Eucarestia e nell’Eucarestia Gesù Cristo, nostro divin Salvatore, Dio e uomo, si trova sopra dei nostri altari, nelle più superbe basiliche e nelle più povere chiese, nei più magnifici templi e nelle più umili cappelle, nelle città e nelle campagne, nelle contrade più incivilite ed anche in quelle più selvagge; e per l’Eucarestia e nell’Eucarestia Egli passeggia trionfalmente per le nostre vie e per le nostre piazze tra il profumo degli incensi e l’olezzo dei fiori, tra la soavità delle musiche e la letizia dei cantici, benedicendo agli uomini che distendono i bei drappi e si inchinano riverenti al suo passaggio; per ‘Eucarestia e nell’Eucarestia col seguito modesto di poche persone e di pochi lumi, tra il mormorio di devote preci va a trovare il Cristiano ammalato per consolarlo, il fedele moribondo per farsi ancora suo compagno nel viaggio dal tempo all’eternità, dalla terra al cielo; per l’Eucarestia e nell’Eucarestia collocato nelle crociere degli ospedali consola i poveri infermi, che a lui volgono lo sguardo dal letto dei loro dolori; per l’Eucarestia e nell’Eucarestia chiuso in una teca di argento conforta i Pontefici, (un Pio VI, un Pio VII, un Pio IX) allorché per la nequizia dei tempi sono costretti a fuggire dalla loro sede per una terra di esilio; per l’Eucaristia e nell’Eucarestia solleva dalla sua cupa mestizia il misero che geme nel carcere avvinto di catene, che come un Silvio Pellico vive più rassegnata la vita, se attraverso le sbarre della sua dimora può allungare lo sguardo sino all’umile chiesuola, ove sta il Carcerato d’amore; per l’Eucarestia, nell’Eucarestia insomma Dio è in mezzo a noi, vicino a noi e con noi, e noi abitiamo vicino a Dio e con Dio; noi troviamo dappertutto Iddio, ma sotto le specie sacramentali, nell’attitudine dell’umiltà e della dolcezza, la più acconcia a ingerirci la fiducia, a ispirarci l’amore a incoraggiarci a trattarlo con la medesima famigliarità con cui Egli stesso si degna di trattare con noi, sempre pronto a ricevere le nostre visite e a testimoniarci la sua bontà, a raccogliere i nostri omaggi e a spandere sopra di noi le sue misericordie, a udire le nostre suppliche e ad arricchircidelle sue grazie, ad ascoltare i nostri gemiti e a concederci le sue consolazioni, a gradire i trasporti della nostra divozione ed a largire a noi le sue tenerezze, le sue gioie, la sua vita! Oh bontà immensa di Gesù Cristo! Nel suo infinito amore per gli uomini cavando fuori dalla ferita del suo Cuore il SS. Sacramento dell’Eucaristia ha soddisfatto anzitutto ad uno dei più prepotenti bisogni dell’uomo, quello cioè d’avere a sé realmente presente Iddio.

II. — Ma v’ha di più ancora: col gran dono dell’Eucaristia Gesù Cristo ha appagato la fame che gli uomini sentivano di un cibo divino. Quel Signore, il quale ha creato tutte le cose dal nulla, volle che le medesime avessero incremento e vita mediante la nutrizione. Però, « tutte le creature, come dice Davide, aspettano dal Signore il cibo nel tempo opportuno ed Egli apre la mano e tutte le sazia con la sua benedizione. Omnes a te expectant ut des illis escam in tempore; aperis tu manum tuam et imples omne animal benedictione.( Ps. CXLIV).  Così la creazione può paragonarsi ad un immenso banchetto, dove seggono incessantementemilioni di convitati pascendosi dal mattino alla sera deidoni della Divina Provvidenza. La pianta va cercando nellaterra e persino sull’arida roccia i succhi che essa aspira; nell’atmosferava cercando la luce, i gaz, la rugiada ch’essa avidamentebeve. L’animale più esigente ancora, a mano a manoche la sua vita si svolge, va cercando il suo cibo nei prodottidelle piante e non di rado nelle carni stesse di un altro animale.E l’uomo sfuggirà egli a questa legge? No, certamente.Anzi egli sarà il re del convito, come è il re della creazione.Per questo Dio gli dié la possanza e l’assoluto impero su tuttele piante e su tutti gli animali: non solo perché usufruissedei loro prodotti e delle loro attitudini, ma ancora perché dei loro frutti e delle loro carni a suo talento si cibasse. Se non che, basterà forse all’uomo questo cibo terreno? No,miei cari. Se l’uomo, essere animale per ragion del corpo può sostenere e crescere la sua vita corporea col cibo materiale,essere immateriale ed immortale per ragione dell’anima ha bisogno di altro cibo, che risponda alla natura incorporea dell’animae che l’anima valga a nutrire, abbellire e corroborare,finché giunga alla sua perfezione. E questo cibo, che rispondealla natura dell’anima è costituito dal vero, dal bello, dal buono,dall’ordine, dalla virtù; e più l’uomo si nutre di tal ciboe più si fa grande e fecondo nella sua intelligenza, più si faelevato ne’ suoi pensieri, più si fa saldo e vigoroso nel suogiudizio, più si fa retto nella sua volontà, più si fa delicatonella sua coscienza, in una parola, più egli si fa uomo.Tuttavia, o miei cari, ciò non è ancor tutto per compierela grandezza dell’uomo. Per la sua costituzione soprannaturalel’uomo è un essere divino. Egli ha un’anima creata nel soffiodi Dio, destinata ad avere per suo fine Iddio medesimo, acontemplarlo, a possederlo, ad essere felice di Lui ed in Luiper sempre. E sebbene vi sia stato il peccato di Adamo e ne siano derivate le sue fatali conseguenze, tuttavia la vita divinaper l’uomo fu riconquistata dal Sangue di Gesù Cristo ed essarientra nella nostra natura scaduta per la virtù rigeneratricedel Battesimo, e si corrobora e si arricchisce pei doni delloSpirito Santo nella Confermazione. No, S. Pietro non è statopunto esagerato, quando ha detto che noi siamo divinæ contortes naturæ: (II PETR. I, 4) partecipi della divina natura; e S. Agostino quando ha sentenziato: Si filii Dei facti sumus, et dii facti sumus: se siamo divenuti figli di Dio, siamo divenutidei altresì; non ha fatto altro che trarre la conseguenzadi una bella e giusta asserzione di S. Paolo. Or bene, di chesi nutrirà questa vita divina, che vi ha nell’uomo? Non  sentiràegli il bisogno di sostentarla con un cibo che non solo nonsia materiale, ma con un cibo che sia soprannaturale, celestee divino, con un cibo che sia Iddio medesimo? Domanda strana,direte voi, o per lo meno assai ardita. Eppure, no! Perché larisposta affermativa è già data; e l’hanno data gli uomini ditutti i tempi e di tutti i luoghi. Davide non fa altro che parlare a nome di tutta l’umanità quando esclama: Come un cervositibondo sospira il fonte delle acque, così, o mio Dio, l’animamia sospira a te: Quæmadmodìim desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus. Sitivit anima mea ad fontem vivum: l’anima mia arde di dissetarsi in te,fonte viva. (Ps. XLI) Ed in vero leggete la storia, non soloquella del popolo ebreo, ma quella altresì degli Egizi, dei Caldei,dei Persiani, dei Greci, dei Romani, dei Germani e deiGalli; investigate le tradizioni degli stessi popoli selvaggi;andate insomma a sorprendere i popoli di tutte le età e ditutti i luoghi nel momento solenne, in cui compiono dei sacrificiad onore della divinità, e voi li vedrete sempre dopod’aver offerto delle vittime, agnelli, vacche, buoi e talvoltapersino poveri bambini, o uomini sventurati, dividersi gli avanzidi quella vittima immolata in onor di Dio e mangiarne devotamente,pensando così che col mangiare della vittima consacrataa Dio, si mangiasse qualche cosa di soprannaturale, diceleste, di divino, qualche cosa come se fosse Dio medesimo,e che per conseguenza mangiando della divinità si diventassesimile a lei. Perciocché qual è mai in fondo in fondo la ragionedi questa fame e sete di Dio se non la brama di rendersia Lui somigliante più che sia possibile? E per operarel’assimilazione di un essere qual mezzo più atto, che il mangiarne,se ciò è possibile senza recargli del male? Guardatela madre, che tanto ama il suo bambino, non solo se lo stringeal seno, non solo lo accarezza in mille guise, non solo lo accostamille e mille volte alle sue labbra e lo bacia e lo ribaciasenza stancarsi mai, ma molte volte abbocconandogli ancora leguance o le mani, grida e rigrida: Ti mangio, ti mangio. Espressionevolgare, se volete, ma pur piena di senso e di filosofia:perché dimostra chiaramente che questo si vorrebbe fare,se fosse possibile, quando si brama di essere una cosa solacon alcun altro, o di essergli almeno simile. Or dunque, Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus:ciò che si è fatto da tutti gli uomini, in tutti i tempi, in tutti i luoghi, non dubitatenepunto, è una legge della umanità, una legge che sta nel fondo stesso della natura umana, un bisogno cioè che Iddiomedesimo ha creato nel cuor dell’uomo. Questo bisogno, è vero, noi non lo comprendiamo, ma tuttavia lo sentiamo. Anche rispettoa questo noi siamo come bambini appena nati; quasi modo geniti infantes. (I PETR. II). Il bambino appena nato noncomprende che cosa sia la fame, il bisogno del cibo, ma purlo prova e lo manifesta con le sue contorsioni, con le sue grida,con le sue lagrime; e buon per lui che la madre dalla divinaProvvidenza fornita di intelligenza e di attitudine acconcia albisogno del suo neonato, con tutti gli sforzi lo attacca al suoseno, e cibandolo del suo latte sazia in lui quella fame chesente. Così, noi nell’ordine spirituale, a guisa di bambini appenanati, non arriviamo a comprendere questa fame e questasete misteriosa, che abbiamo di Dio medesimo, ma pur la sentiamoe la manifestiamo eziandio in quel non essere mai paghidelle cose terrene, fossimo pur anco padroni di tutto il mondo.Or bene poiché l’uomo sente questo bisogno di mangiaredi Dio, ed è Dio stesso, che glielo fa sentire, non avrà poiegli pensato a soddisfarlo? Oh sì, senza alcun dubbio, giacché,come già vi diceva, se Iddio crea dei bisogni nel cuor dell’uomonon è che per soddisfarli. Certamente non lo ha soddisfattopienamente nei tempi antichi, perché sebbene dica l’ApostoloPaolo che tutti i giusti dell’antico Testamento bevevanodella pietra che li avrebbe seguiti, e che questa pietra eraCristo: Bibebant omnes de spiritali sequenti eos petra; petra autem erat Christus, tuttavia e per la manducazione dell’Agnello pasquale, e dei pani di Proposizione, e degli avanzi delle vittime immolate a Dio non partecipavano che per la fede e in una certa misura al banchetto della grazia di Dio. Ma poiché sono venuti i tempi nuovi, e Dio si è incarnato e fatto uomo per soddisfare pienamente a tutti i bisogni dell’uomo, ha pienamente soddisfatto anche a questo e vi ha soddisfatto con la istituzione del Sacramento dell’Eucaristia, per mezzo del quale Egli si dà veramente, realmente, sostanzialmente in cibo alle anime nostre. Poiché badate bene alle parole con cui Gesù Cristo promette l’Eucaristia, e a quelle con cui la istituisce, e che già vi ho recitate, e poi vedrete come a ragione la Chiesa nel distribuire la Eucaristia esclama e deve esclamare: O sacrum convivium in quo Christus sumitur: O sacro convito nel quale si prende per cibo Gesù Cristo istesso! Sì, Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo: Gesù Cristo seconda Persona della SS. Trinità; epperò, poiché una Persona divina non può stare senza le altre, insieme con Gesù Cristo il Divin Padre, che da tutta l’eternità e per tutta l’eternità lo genera nello splendore dei Santi, e il Divino Spirito, che da tutta l’eternità e per tutta l’eternità procede dal Padre e dal Figliuolo. Che cosa dobbiamo desiderare di più? Quando le antiche Sibille si mostravano invase dall’ispirazione, esclamavano: Deus, ecce Deus: Dio, ecco Dio. Ma quando noi ci appressiamo alla mensa eucaristica, gli Angeli ci gridano con verità: Attollite portas: aprite le porte del vostro cuore; et introibit rex gloriæe vi entrerà il Re della gloria; Deus, ecce Deus: Dio, ecco Dio fatto vero cibo delle anime nostre! Così adunque la bontà del Cuore Sacratissimo di Gesù per noi, nell’istituzione dell’Eucaristia si rivela veramente infinita, giacché per essa ha soddisfatto al bisogno che noi avevamo della reale presenza di Dio, ed ha appagato la fame e la sete che sentivamo di Dio stesso.

III. — Ma ciò non è tutto. Perché se Gesù Cristo con l’istituire l’Eucaristia per una parte ha soddisfatto agli aneliti del cuor nostro, per l’altra ha pur soddisfatto agli aneliti del Cuor suo. Bossuet ha detto bene che non vi sono due amori, ma uno solo, cioè che l’amore che vi ha nel cuor dell’uomo è quello che vi ha nel Cuor di Dio, con questo divario tuttavia che nel Cuor di Dio è infinito. Or bene l’amore, questa forza arcana e meravigliosa è di tal natura, che fa tendere colui che ne è preso all’unione più intima con l’oggetto amato. Aver sempre al fianco le persone più care, non doverne soffrir mai la separazione, abbracciarle, stringerle, possederle, formare con esse un cuor solo, un’anima sola, una sola vita, ecco quello che si vorrebbe da coloro che amano, ciò che vorrebbe una madre dal suo figlio diletto. Epperò quando le circostanze della vita crudelmente esigono che il figlio si abbia a separare ed allontanare da lei, chi potrà pienamente comprendere lo schianto del suo cuore? Allora, questa madre, che sta per cadere nella più profonda desolazione, non potendo seguire il figlio e pur volendo restare a lui vicino prende un suo ritratto, una ciocca de’ suoi capelli, un fiore da lei raccolto, una memoria qualsiasi e dandola al figlio: Prendi, gli dice, questa mia memoria, ponila sopra il tuo cuore, e quando la sentirai battere sopra di esso, ricordati, figliuol mio, che la tua madre col suo amore si trova mai sempre dappresso al tuo cuore. Ecco quello che allora dice e fa una madre. È tutto ciò che ella può fare e può dire. Ma se ella potesse fare di più, se ella potesse dire efficacemente; Figlio, tu vai: non importa: io raddoppio la mia presenza e mentre resto in questo luogo, ove mi è d’uopo restare, pure io vado con te, ti seguo dappertutto, ovunque sarò al tuo fianco; potete voi dubitare che una madre non direbbe e non farebbe questo? Anzi; se una madre, contemplando il suo figlio potesse dirgli: Sia che tu rimanga presso di me, sia che tu vada in capo al mondo, io non soffro alcun affanno, perché io potrò sempre e dappertutto unirmi a te nel modo più intimo, trasfondere in te la mia vita, alimentarti del mio sangue, farti vivere di me, credetelo, o miei cari, una madre lo direbbe e lo farebbe. E se vi ha chi dubita di questa mia asserzione, no, non ne dubitano punto le venerande madri che mi ascoltano. Ma perché ho detto io le madri?… Un padre non farebbe lo stesso? Non lo fa continuamente? Perciocché a che intisichisce egli in un officio, od a che si logora in un’officina o tra i solchi, se non per far vivere di sé, delle sue fatiche e de’ suoi sudori i figli amati? E quando a sostentare la vita dei figli non bastassero più le sue fatiche, i suoi sudori, ma ci volesse il suo sangue, lo dico fidamente, egli con una lama si aprirebbe tosto le vene, e le farebbe lor succiare. Ecco la natura e la forza dell’amore. – Quando si impossessa di u cuore, lo fa tendere con una prepotenza indicibile ad unirsi e a darsi all’oggetto amato nel modo più intimo che sia possibile. Ora il Cuore Santissimo di Gesù ci ha amati, ma ci ha amati sino alla fine: cum dilexisset suos, in finem dilexit eos. (Io. XIII, l) Non già sino alla fine della sua vita mortale soltanto, ma giusta l’interpretazione di S. Tommaso sino all’ultimo termine dell’amore, usque ad ultimum finem amoris; ed amandoci per siffatta guisa sentì ancor Egli il bisogno di unirsi, di darsi a noi, di alimentarci di sé, di farci vivere della sua vita. E a questo anelito del suo Cuore divino ei soddisfece appunto col dire : « Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue! » Ah! miei cari, si potranno ben chiamare strani, oscuri, impenetrabili i misteri di nostra fede, quando non si conoscono punto, ma se si studiano per poco vi si scorge tosto il lato luminoso, splendido, che ci invita, ci sforza anzi a ripetere umilmente: Credo e adoro! Qui tuttavia, o miei cari, non basta dire: Credo e adoro: ci vuole qualche cosa di più. Se Gesù Cristo con l’Eucaristia ebbe in mira di soddisfare le nostre e le sue brame, Eivuole altresì ottenere questo scopo. Ed è perciò che non solo ci esorta, ma ci impone di accostarci a riceverlo sotto pena di escluderci per sempre dall’eterna felicità. No, non è soltanto la Chiesa che ci comandi la Comunione, benché al vero Cristiano ciò dovrebbe bastare più che mai; la Chiesa non fa altro che applicarci praticamente il precetto di Gesù Cristo, il quale ha detto chiaramente, come attesta S. Giovanni: Nisi manducareritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in nobis: se non mangerete la mia Carne non avrete la vita in voi. Obbedite adunque al precetto di Gesù Cristo. Voi, o anime appassionate dei Santi tabernacoli, continuate a fare la vostra delizia nel venire a congiungere con le adorazioni degli Angeli le adorazioni vostre al SS. Sacramento; nell’accostarvi anche quotidianamente a ricevere questo pane di benedizione e di vita. E voi, o anime di buon volere, ma troppa indecise,soverchiamente timide, vincete coraggiosamente le vostre perplessità, seguite il consiglio dell’Angelo visibile che vi guida nelle vie della salute e frequentate ancor voi la mensa Eucaristica. Ma forse vi saranno anche qui di coloro che è da dieci, venti, trent’anni, che di questa mensa non fanno più conto. Ahimè! Benché essi si vantino forse di essere vivi, giacciono tuttavia in potere della morte! Che costoro massimamente ascoltino la voce amorevole e potente di Colui che è la resurrezione e la vita: che questi Lazzari più che quatriduani con una pronta e dolorosa confessione, susseguita da una santa Comunione, balzino fuori dal sepolcro ignominioso e fetente della loro indifferenza e della loro corruzione per ripigliare la vita, e più rigogliosa di prima: ut vitam habeant, et abundantius habeant. (Io. X, 10)

E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che nell’istituzione della SS. Eucaristia ci avete dato una prova così grande del vostro amore per noi, degnatevi ancora con la vostra grazia di illuminare sempre meglio le nostre menti, perché sempre meglio riconosciamo una tale carità, e di toccare sempre più i nostri cuori, perché sempre più con l’adempimento dei vostri voleri nella frequenza di un tanto Sacramento abbiamo a corrispondere ai vostri immensi benefizi.

FESTA DI TUTTI I SANTI (2019)

MESSA PER

LA FESTA DI TUTTI I SANTI (2019)

Beati pauperes spiritu: quoniam ipsorum est regnum caelorum.

Beati mites: quoniam ipsi possidebunt terram.

Beati qui lugent: quoniam ipsi consolabuntur.

Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam: quoniam ipsi saturabuntur.

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati mundo corde: quoniam ipsi Deum videbunt.

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam : quoniam ipsorum est regnum caelorum.

Beati estis cum maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum adversum vos mentientes, propter me: gaudete, et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis. [Matth. V, 3-12]

Santa MESSA

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei [Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]
Ps XXXII: 1.
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.
[Esultate nel Signore, o giusti: ai retti si addice il lodarLo.]

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei [Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui nos ómnium Sanctórum tuórum mérita sub una tribuísti celebritáte venerári: quǽsumus; ut desiderátam nobis tuæ propitiatiónis abundántiam, multiplicátis intercessóribus, largiáris.
 [O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di celebrare con unica solennità i meriti di tutti i tuoi Santi, Ti preghiamo di elargirci la bramata abbondanza della tua propiziazione, in grazia di tanti intercessori.]

Lectio

Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli.
Apoc VII: 2-12
In diébus illis: Ecce, ego Joánnes vidi álterum Angelum ascendéntem ab ortu solis, habéntem signum Dei vivi: et clamávit voce magna quátuor Angelis, quibus datum est nocére terræ et mari, dicens: Nolíte nocére terræ et mari neque arbóribus, quoadúsque signémus servos Dei nostri in fróntibus eórum. Et audívi númerum signatórum, centum quadragínta quátuor mília signáti, ex omni tribu filiórum Israël, Ex tribu Juda duódecim mília signáti. Ex tribu Ruben duódecim mília signáti. Ex tribu Gad duódecim mília signati. Ex tribu Aser duódecim mília signáti. Ex tribu Néphthali duódecim mília signáti. Ex tribu Manásse duódecim mília signáti. Ex tribu Símeon duódecim mília signáti. Ex tribu Levi duódecim mília signáti. Ex tribu Issachar duódecim mília signati. Ex tribu Zábulon duódecim mília signáti. Ex tribu Joseph duódecim mília signati. Ex tribu Bénjamin duódecim mília signáti. Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumeráre nemo póterat, ex ómnibus géntibus et tríbubus et pópulis et linguis: stantes ante thronum et in conspéctu Agni, amícti stolis albis, et palmæ in mánibus eórum: et clamábant voce magna, dicéntes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes Angeli stabant in circúitu throni et seniórum et quátuor animálium: et cecidérunt in conspéctu throni in fácies suas et adoravérunt Deum, dicéntes: Amen. Benedíctio et cláritas et sapiéntia et gratiárum áctio, honor et virtus et fortitúdo Deo nostro in sǽcula sæculórum. Amen. – 
[In quei giorni: Ecco che io, Giovanni, vidi un altro Angelo salire dall’Oriente, recante il sigillo del Dio vivente: egli gridò ad alta voce ai quattro Angeli, cui era affidato l’incarico di nuocere alla terra e al mare, dicendo: Non nuocete alla terra e al mare, e alle piante, sino a che abbiamo segnato sulla fronte i servi del nostro Dio. Ed intesi che il numero dei segnati era di centoquarantaquattromila, appartenenti a tutte le tribú di Israele: della tribú di Giuda dodicimila segnati, della tribú di Ruben dodicimila segnati, della tribú di Gad dodicimila segnati, della tribú di Aser dodicimila segnati, della tribú di Nèftali dodicimila segnati, della tribú di Manasse dodicimila segnati, della tribú di Simeone dodicimila segnati, della tribú di Levi dodicimila segnati, della tribú di Issacar dodicimila segnati, della tribú di Zàbulon dodicimila segnati, della tribú di Giuseppe dodicimila segnati, della tribú di Beniamino dodicimila segnati. Dopo di questo vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, uomini di tutte le genti e tribú e popoli e lingue, che stavano davanti al trono e al cospetto dell’Agnello, vestiti con abiti bianchi e con nelle mani delle palme, che gridavano al alta voce: Salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono e agli anziani e ai quattro animali, si prostrarono bocconi innanzi al trono ed adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione e gloria e sapienza e rendimento di grazie, e onore e potenza e fortezza al nostro Dio per tutti i secoli dei secoli.]

Omelia I

(Omelia di S. S. Gregorio XVII – S. Messa 1973)

Cari fedeli, oggi, festa di tutti i Santi, abbiamo ascoltato dal Vangelo (Mt V, l-12a) il codice della santità, perché il codice della santità è questo. Mi sia concesso di invitarvi a considerare che molte altre cose che si dicono non sono il codice della santità [soprattutto quel che si dice dal Vaticano II in poi! – ndr.-]; il codice sta qui nelle otto beatitudini, non altrove. Ma non è sul Vangelo che oggi voglio attirare la vostra attenzione, bensì sulla prima lettura. La prima lettura è tolta dal capitolo VII (vv. 2-4.9-14) del libro dell’Apocalisse di Giovanni l’Apostolo. È una visione che lo stesso Giovanni ha avuto nell’isola di Patmos; fa parte di un gruppo di cinque visioni. – Questa visione è reale nel senso che il veggente vide realmente queste cose che avete sentito, ma è simbolica perché le cose che Giovanni ha visto e riferisce sono semplicemente il simbolo di altre e più alte. Ho detto: sono simboliche; che cosa è il simbolo? Il simbolo è una cosa che si vede, ma richiama in mente un’altra che è invisibile, e nel caso nostro è invisibile perché è troppo grande, non perché è nascosta, ma perché sta ad un livello diverso da quello nel quale stiamo noi e le nostre potenze conoscitive. Pertanto, quello che vorrei farvi notare, data la definizione del simbolo, è che quello che è indicato dalla visione concessa all’Apostolo è immensamente più alto, più grande. Quando siamo dinnanzi a questi simboli, siamo lanciati verso l’infinito e l’eterno, e questo fa capire perché nell’orazione mentale, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, non c ‘ è una sponda sulla quale ci si debba arrestare, perché possiamo camminare nell’orazione mentale meditativa tutta la vita senza toccare le sponde, tanto è grande quello che è messo in nostra cognizione da Dio. – Ma messo chiaro questo, dico: questa visione dell’Evangelista che cosa presenta a noi? Mi riferisco alla seconda parte. Nella seconda parte l’Evangelista riferisce la liturgia eterna, cioè porta l’anima nostra – non dico lo sguardo – a ripensare alla vita eterna, al Paradiso, nel quale stanno i Santi. La vita eterna non è essenzialmente un luogo; lo potrà essere in tanto in quanto ci sono delle cose estense, quantitative – come è il corpo umano di Gesù Cristo e della Vergine Santissima assunta in Cielo -, ma il Paradiso, la vita eterna, non è tanto un luogo, quanto uno stato, un modo di essere. E noi qui abbiamo assistito a questa liturgia eterna. Noi potremmo pensare indefinitamente a quello che abbiamo sentito nel libro dell’Apocalisse, ma attenti: la sponda non la tocchiamo! Oggi, il giorno dei Santi – e sotto questo punto di vista la festa dei Santi ha una ragione di principato su tutta la liturgia dell’anno – invita a pensare al Paradiso. – Vedete, cari, le cose che ci aspettano, se meriteremo di salvarci l’anima, sono talmente grandi che le cose più stupende, che possono essere chieste dalla nostra immaginazione e della nostra fantasia, sono soltanto dei simboli. Diceva bene S Francesco d’Assisi: “Tanto è il bene ch’io mi aspetto che ogni pena mi è diletto”. Aveva ragione! E la vita eterna dove sono i Santi – anche i nostri parenti che sono santi sono tra i Santi -, la vita eterna è cosa che trascende ogni simbolo della stessa Sacra Scrittura ed è il vero riferimento della vita umana. Vedete: quando si pensa alla vita eterna – e qui si vede il crimine che compiono coloro che non ne parlano! [cioè i falsi cattolici modernisti –ndr.] -non c’è più nessuna difficoltà ad osservare la legge di Dio; tutto diventa incredibilmente piccolo; le difficoltà vengono perché non si pensa alla liturgia eterna, alla quale un giorno arriveremo anche noi. Non c’è più difficoltà a portare la croce, non c’è più difficoltà ad abbracciarla, abbracciarla come il centro delle nostre delizie: cambia proporzione e volto ogni esperienza di questo mondo. Ma tutto ciò accade nella misura in cui questa liturgia eterna è presente a noi. Quando Giovanni ha visto la visione ed è lì tutto trasecolato, poveretto anche lui – allora, non ora! -, il vegliardo gli chiede: “Hai visto, hai capito?” E dà la risposta: “Costoro con le vesti bianche sono coloro che vengono dalla grande tribolazione”. Evidentemente Giovanni alludeva non solo a tutti i Santi, ma ai molti martiri delle due persecuzioni che già erano passate, quella di Nerone e quella di Diocleziano, della quale fino a un certo punto era stata vittima lui stesso. Traduciamo in forma teorica. Cosa dice il Vecchio? Dice questo: la vita eterna è il riflesso di quello che è stato portato, accettato, sofferto, nella vita presente; dà il concetto della vita. Che vale questa vita destinata a morire, se non perché si riflette tutta nella vita eterna, tutta? I momenti fissati dal merito, gli atti decorati dalla libertà cosciente, il tempo e le circostanze assunte dai medesimi riflessi nell’eternità: questo è il concetto della vita. Al di fuori di questo concetto, o prima o poi, o in superficie o in profondità, non c’è che la disperazione, che è quella che leggiamo negli occhi di troppi nostri fratelli ai quali vogliamo bene. – Cari, il giorno dei Santi ci porta lassù. Con la mente sarà bene restarci e, possibilmente, non discenderne mai!

Graduale

Ps XXXIII: 10; 11
Timéte Dóminum, omnes Sancti ejus: quóniam nihil deest timéntibus eum.
V. Inquiréntes autem Dóminum, non defícient omni bono.
[Temete il Signore, o voi tutti suoi santi: perché nulla manca a quelli che lo temono.
V. Quelli che cercano il Signore non saranno privi di alcun bene.]

Alleluja

(Matt. XI: 28)
Allelúja, allelúja – Veníte ad me, omnes, qui laborátis et oneráti estis: et ego refíciam vos. Allelúja.
[Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi: e io vi ristorerò. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt V: 1-12
“In illo témpore: Videns Jesus turbas, ascéndit in montem, et cum sedísset, accessérunt ad eum discípuli ejus, et apériens os suum, docébat eos, dicens: Beáti páuperes spíritu: quóniam ipsórum est regnum cœlórum. Beáti mites: quóniam ipsi possidébunt terram. Beáti, qui lugent: quóniam ipsi consolabúntur. Beáti, qui esúriunt et sítiunt justítiam: quóniam ipsi saturabúntur. Beáti misericórdes: quóniam ipsi misericórdiam consequéntur. Beáti mundo corde: quóniam ipsi Deum vidébunt. Beáti pacífici: quóniam fílii Dei vocabúntur. Beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam: quóniam ipsórum est regnum cælórum. Beáti estis, cum maledíxerint vobis, et persecúti vos fúerint, et díxerint omne malum advérsum vos, mentiéntes, propter me: gaudéte et exsultáte, quóniam merces vestra copiósa est in cœlis.”

[In quel tempo: Gesú, vedendo le turbe, salí sulla montagna. Sedutosi, ed avvicinatisi a Lui i suoi discepoli, cosí prese ad ammaestrarli: beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché possederanno la terra. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di questi è il regno dei cieli. Beati siete voi, quando vi malediranno, vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno di voi ogni male per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.]

Omelia II

Mirabilis Deus in Sanctis suis. (Ps. LXVII, 36)

[A. Carmignola: Stelle Fulgide; SEI. –Torino, 1904]

https://www.exsurgatdeus.org/2017/11/01/festa-di-tutti-i-santi/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/11/01/festa-di-tutti-i-santi-2018/

Vedi anche: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/31/i-sermoni-del-curato-dars-1-novembre-festa-di-tutti-i-santi/

Credo … 

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Sap III: 1; 2; 3.
Justórum ánimæ in manu Dei sunt, et non tanget illos torméntum malítiæ: visi sunt óculis insipiéntium mori: illi autem sunt in pace, allelúja.
[I giusti sono nelle mani di Dio e nessuna pena li tocca: pàrvero morire agli occhi degli stolti, ma invece essi sono nella pace.]

Secreta

Múnera tibi, Dómine, nostræ devotiónis offérimus: quæ et pro cunctórum tibi grata sint honóre Justórum, et nobis salutária, te miseránte, reddántur. [Ti offriamo, o Signore, i doni della nostra devozione: Ti siano graditi in onore di tutti i Santi e tornino a noi salutari per tua misericordia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Matt V: 8-10
Beáti mundo corde, quóniam ipsi Deum vidébunt; beáti pacífici, quóniam filii Dei vocabúntur: beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam, quóniam ipsórum est regnum cœlórum.
[Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio: beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.]

Postcommunio

Orémus.
Da, quǽsumus, Dómine, fidélibus pópulis ómnium Sanctórum semper veneratióne lætári: et eórum perpétua supplicatióne muníri.
[Concedi ai tuoi popoli, Te ne preghiamo, o Signore, di allietarsi sempre nel culto di tutti Santi: e di essere muniti della loro incessante intercessione.]

Preghiere leonine: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/