LA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE (1)

[P. Alfonso RODRIGUEZ S. J.: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane – S. E. I. Torino; rist. 1948]

TRATTATO II.

DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE (1)

CAPO I.

Come il nostro profitto e la nostra perfezione, consiste in far le nostre operazioni ordinarie ben fatte.

1. L’abito non fa il monaco – 2. Ma le opere. – 3. Quali opere ci facciano santi.- 4. In una stessa opera quanta diversità di meriti. – 5. Perfezione è fare quel che Dio vuole e come vuole. – 6. Visione di S. Bernardo.

1. Juste, quod justum est, persequeris disse il Signore al suo popolo (Deut. XVI, 20): Quel che è giusto e buono, fa che sia fatto bene, giustamente e compiutamente. Il negozio del nostro profitto e della nostra perfezione non consiste in far le cose, ma in farle bene: siccome né anche consiste nell’esser uno Religioso, ma nell’essere buon religioso. S. Girolamo, scrivendo a Paolino, dice: Non Jerosolymis fuisse, sed Jerosolymis bene vixisse laudandum est(D. Hieron. ep. ad Paul. de instit. mon.] Grande stima aveva questo Paolino di San  Girolamo: e assai lo lodava per questo stesso, perché abitava in quei santi luoghi  nei quali Cristo nostro Redentore operò i misteri della nostra Redenzione: e S. Girolamo su questo gli risponde: Non è da lodarsi il vivere in Gerusalemme, ma il vivere in essa bene; e va comunemente attorno questo detto, per avvertire i Religiosi, che non si diano per contenti per questo solo, perché stanno nella Religione: perché siccome l’abito non fa il Monaco, così né anche lo fa il luogo, ma sì bene la buona e santa vita; di maniera che tutto il punto sta non in essere Religioso, ma in essere buon Religioso; e non in far esercizi della Religione, ma in farli bene. In quel Bene omnia fecitche, come tra l’evangelista S. Marco, si diceva di Cristo (Marc. VII, 37); cioè aver Egli fatte tutte le cose bene; sì in quel Bene omnia fecitche dir si possa anche di noi consiste ogni nostro bene.

2. Certa cosa è, che ogni nostro bene ed ogni nostro male sta nell’esser buone o cattive le opere nostre: imperocché tali saremo noi, quali saranno le nostre operazioni. Queste parlano e manifestano chi è ciascuno. Dal frutto si conosce l’albero: e S. Agostino dice, che l’uomo è l’albero, e le opere sono il frutto che l’albero produce; e così dal frutto delle opere si conosce ciascuno chi è (D. Aug. de serm. Dom. in monte, secundam Matth. 1. 2). E perciò Cristo nostro Redentore disse di quegl’ipocriti e falsi predicatori: A fructibus eorum cognoscetis eos(Matth. VII, 16): Dal frutto delle opere loro conoscerete quel ch’essi siano. E per lo contrario dice di sé medesimo: Opera, quæ ego facto in nomine Patris mei, hæc testimonium perhibent de me(Jo. X, 25): Le opere ch’io fo rendono testimonianza di me: Et si mihi non vultis credere, operibus credite(Ibid. 38). E se non volete credere a me, credete alle opere mie, ch’elle dicono chi sia io. E non solo dicono e mostrano le opere quel che ciascuno è in questa vita; ma anche quei che di lui ha da essere nell’altra: imperciocché tali saremo eternamente nell’altra vita, quali saranno in questa le nostre operazioni; avendo Dio N. S. da premiare e rimunerare ciascuno secondo le opere sue. siccome la divina Scrittura lo replica tante volte sì nel vecchio come nel nuovo Testamento: Reddes unicuique juxta opera sua(Psal. LXI, 13; Matth. xvi, 27): e l’apostolo S. Paolo: Quæ seminaverit homo, hæc et metet(Ad Rom., II 6; I. ad Cor. III, 8; ad Gal. vi, 8): Quel che l’uomo avrà seminato, quello raccoglierà.

3. Ma veniamo più al particolare, e vergiamo un poco che opere sono queste, nelle quali sta ogni nostro bene e ogni nostro profitto e perfezione. Dico, che sono quelle operazioni ordinarie che facciamo ogni giorno: in fare, che la nostra orazione ordinaria sia ben fatta; che gli esami che facciamo siano ben fatti: in udir Messa, o in dirla come dobbiamo: nel dir le nostre Ore e le nostre divozioni con riverenza ed attenzione; in esercitarci continuamente nella penitenza e nella mortificazione: nel soddisfar bene al nostro ufficio e a quello che l’ubbidienza c’impone. Sefaremo queste opere con perfezione, saremo perfetti; e se le faremo imperfettamente, saremo imperfetti. E così questa è la differenza che passa fra il buono e perfetto Religioso, e l’imperfetto e tiepido: non istà la differenza nel far uno altra sorta di cose o più cose che l’altro; ma nel far quel che fa con perfezione o con imperfezione. Perciò quegli è buono e perfetto Religioso, perché fa queste cose bene; quell’altro perciò è imperfetto, perché le fa molto tiepidamente e negligentemente: e quanto più la persona si estenderà e andrà in avanti in questo, tanto sarà più perfetta o più imperfetta. –

4. In quella Parabola del Seminatore, che uscì a seminare la sua semenza, dice il sacro Evangelio (Matth. XIII, 8, 23), che anche la semenza buona è buttata in buon terreno, in qualche luogo fe’ frutto a ragione di trenta, in qualche altro di sessanta, e in qualche altro di cento. Nel che dicono i Santi, che si denotano i tre gradi di coloro che servono Dio; cioè di Principianti, di Proficienti e di Perfetti. Tutti noi altri seminiamo una medesima semenza; perché tutti facciamo le medesime opere ed osserviamo una medesima regola; tutti abbiamo un istesso tempo di orazione e di esami; e dalla mattina sino alla sera stiamo occupati per ubbidienza; ma con tutto ciò. nomini homo quid præstat? quanta differenza vi è, come suol dirsi, da Pietro a Pietro? e quanta da un Religioso ad un altro? Perciocché in uno queste opere che semina rendono il centesimo, atteso che le fa con ispirito e con perfezione; e questi tali sono i Perfetti: in un altro non rendono tanto, ma il sessagesimo; e questa sono i Proficienti, che vanno profittando: in un altro rendono solamente il trigesimo: e questi sono i Principianti, che cominciano a servir Dio. Guardi ora ciascuno da quali egli sia. Guarda, se tu sei di quelli del trigesimo; ed anche, piaccia a Dio, che nessuno sia di quelli che dice l’Apostolo (1 ad Cor. III, 12,13) che sopra il fondamento della Fede alzano legne, fieno e paglia, da esser tutto gettato sul fuoco nel giorno del Signore. Guarda, che tu non faccia le cose per vanità e per rispetti umani, per dar gusto agli uomini, e per esser tenuto da qualche cosa; perché questo è fabbricare con legne, fieno e paglia, acciocché arda almeno nel purgatorio; ma procura di far bene e perfettamente quel che fai; e sarà questo un alzar la fabbrica con argento, oro e pietre preziose.

5. Si conoscerà bene, che in questo sta il profitto e la perfezione nostra dalla seguente ragione. Ogni nostro profitto e perfezione consiste in due cose, in fare quel che Dio vuole che facciamo, e in farlo nel modo ch’Egli vuol che sia fatto; parendo, che più di questo non vi sia che potersi pretendere né desiderare. Or la prima cosa, cioè il far quel che Dio vuole che facciamo, già per sua divina misericordia l’abbiamo nella Religione: e questo è uno de’ maggiori beni e una delle maggiori consolazioni che godiamo noi altri che viviamo sotto ubbidienza; perché siamo certi, che quello che facciamo e quelle cose nelle quali ci occupiamo per l’ubbidienza, sono quelle che Iddio vuole da noi: e questo è come Primo principio nella Religione, cavato dall’Evangelio e dalla dottrina de’ Santi, come diremo quando tratteremo dell’ ubbidienza.Qui vos audii, me audit(Luc. X, 16): Ubbidendo al Superiore, ubbidiamo a Dio, e facciamo la sua divina volontà; perché quello è quel che Dio vuole che facciamo allora. Non vi resta se non la seconda condizione, di far le cose nel modo con cui Iddio vuole che le facciamo; cioè di farle bene e perfettamente; perché in questa maniera vuole Egli che si facciano: e questo è quello che andiam dicendo.

6. Nelle Croniche dell’Ordine Cisterciense si narra, che stando a Mattutino il glorioso S. Bernardo co’ suoi Monaci, vide molti Angeli, i quali stavano notando e scrivendo quel che ivi i Monaci facevano e in che modo lo facevano; e che di alcuni quei che scrivevano lo scrivevano con oro, di altri con argento, di altri con inchiostro, di altri con acqua, secondo l’intenzione e lo spirito con che ciascuno orava e cantava; e d’altri non iscrivevano niente, perché sebbene stavano ivi col corpo, nondimeno col cuore e col pensiero stavano molto lungi e divertiti in cose impertinenti. E dice ancora, che vide, come principalmente al Te Deum laudamuserano gli Angeli molto solleciti, acciocché si cantasse molto devotamente; e che dalle bocche d’alcuno che lo cominciavano, usciva come una fiamma di fuoco. Veda ora ciascuno qual sia la sua orazione; e se merita d’essere scritta con oro, o con inchiostro, o con acqua, o di non essere scritta in nessuna maniera. – Vedi se quando stai in orazione, escono dal tuo cuore e dalla tua bocca fiamme di fuoco; o pure non fai altro che sbadigliare e stiracchiar i nervi. Vedi, se stai ivi solamente col corpo, ma con la mente stai nello studio, o nell’ufficio, o nel negozio, o in altre cose niente allora appartenentisi.

CAPO II.

Che ci deve animar grandemente alla perfezione l’avercela Iddio posta in una cosa molto facile.

1. La perfezione è facile. — 2. Prove della Scrittura e dei Santi. — 3. Rinnovarci nelle azioni ordinarie ottima fra le preparazioni alle solennità.

1. Il P. Natale, uomo insigne della nostra Compagnia per la sua grande dottrina e virtù, quando venne a visitare le provincie di Spagna, tra le altre cose che più raccomandate lasciò, questa fu una, che s’insegnasse spesso questa verità: che ogni nostro profitto e perfezione consisteva nel far bene le cose particolari ordinarie e quotidiane che abbiamo per le mani. Di maniera che il profittare e il migliorare la vita non sta nel moltiplicare altre opere straordinarie, né in fare altri uffici alti ed eminenti; ma nel fare perfettamente le opere ordinarie della religione e gli uffici nei quali ci metterà l’ubbidienza, ancorché siano i più vili del mondo; perché questo è quello che Dio vuole da noi. Onde in questo abbiamo da metter gli occhi, se vogliamo fargli cosa grata e acquistare la perfezione. Or qua consideriamo e ponderiamo quanto poco ci abbia a costare l’esser perfetti; poiché colla stessa cosa che facciamo, senza aggiunta d’altre opere, possiamo esser tali. Questa è una cosa di grande consolazione per tutti e che ci deve animare grandemente alla perfezione. Se si ricercassero da te, per esser perfetto, certe cose squisite e straordinarie, certe elevazioni e contemplazioni molto alte; potresti aver qualche scusa e dire che non puoi, o che non ti basta l’animo di salir tant’alto. Se si ricercasse che ti disciplinassi ogni giorno a sangue, o che digiunassi a pane ed acqua, o che andassi scalzo, o che portassi perpetuamente un cilicio, potresti dire che non ti senti forze da far cose simili. Ma non ti si ricercano queste cose né sta in esse la tua perfezione; sta solo in far bene quello che fai. Colle medesime opere che fai, se tu vuoi, puoi esser perfetto: già è fatta la spesa, non hai bisogno d’aggiungere altre opere. Chi sarà che con questo non si faccia animo per procurare di essere perfetto, consistendo la perfezione in cosa tanto alla mano e domestica, facilmente eseguibile?

2. Diceva Dio al suo popolo, per animarlo al suo servizio e all’osservanza della sua legge: « Questo comandamento, che oggi io ti intimo, non è sopra di te, né  lungi da te, né è posto nel cielo, onde tu possa dire: Chi di noi può salire al cielo per recarcelo, affinché lo ascoltiamo e lo mettiamo in opera? Né è posto di là dal mare, onde tu trovi pretesto e dica: Chi di noi potrà traversare il mare e portarcelo, onde possiamo udirlo e fare quello che è comandato? Ma questo comandamento è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel cuore tuo, affinché tu lo eseguisca » (Deut. XXX, 11 e segg.). Lo stesso possiamo dire della perfezione, della quale ora trattiamo. E così Sant’Antonio, con questo esortava e animava i suoi discepoli alla perfezione. I Greci, diceva, per far acquisto della filosofia e delle altre scienze, fanno grandi viaggi e lunghe navigazioni, esponendosi a fatiche e pericoli grandi; ma noi altri, per acquistar la virtù e la perfezione, che è la vera sapienza, non abbiamo bisogno di esporci a queste fatiche e pericoli, né meno d’uscire fuori di casa nostra, perché dentro di essa la troveremo, ed anche dentro di noi medesimi. Il regno di Dio è dentro di voi. In coteste cose ordinarie e quotidiane che fate sta la vostra perfezione.

3. Si suol domandare molto ordinariamente nelle conferenze spirituali, quando s’avvicina qualche tempo di devozione, come di Quaresima, d’Avvento, di Pentecoste o di rinnovazione dei voti, di che mezzi ci varremo per disporci e prepararci a questa rinnovazione, o per questa Quaresima, e per ricevere lo Spirito Santo, o il Bambino Gesù, nato di fresco. Ti sentirai propor molti mezzi e molte considerazioni, e tutte buone: ma il mezzo principale, nel quale dobbiamo insistere, è questo del quale andiamo trattando: perfezionarci in quello che ordinariamente facciamo. Va tu levando via i tuoi difetti e le tue imperfezioni circa le cose ordinarie e quotidiane, e procura d’andarle facendo ogni dì meglio e con meno difetti; e questa sarà una buonissima preparazione, o la migliore, per qualsivoglia solennità. Metti in questo principalmente gli occhi, e tutti gli altri mezzi e considerazioni siano indirizzate per aiutarti a far questo.

CAPO  III.

In che consiste la bontà e la perfezione delle nostre opere e d’alcuni mezzi per farle bene.

1. Farle con buona intenzione. — 2. Il meglio che possiamo. —3. Alla presenza di Dio. — 4. Gran mezzo questo. — 5. Epraticato dai Santi. — 6. Così sta del continuo in orazione.

1. Ma vediamo un poco in che cosa consista il far bene le nostre opere, acciocché possiamo ricorrere a i mezzi che ci aiuteranno a farle bene. Dico brevemente che consiste in due cose. La prima e principale è, che le facciamo puramente per Dio. S. Ambrogio dOmanda qual è la ragione, per cui nella creazione del mondo, creando Dio le cose corporali e gli animali, subito le lodò tutte. Crea le piante, e subito dicesi: « E Dio vide che ciò era buono ». Crea gli animali, gli uccelli, i pesci, e subito dicesi: « E Dio vide che ciò era buono ». Crea i cieli e le stelle, il sole e la luna, e dicesi subito: « E Dio vide che ciò era buono » [Gen. I, 10 e segg.]1 Tutte queste cose loda il Signore subito che ha finito di crearle: ma arrivato che è alla creazione dell’uomo, pare che esso solo se ne resti senza lode; perché qui il sacro testo non soggiunge: « E Dio vide che ciò era buono », come lo soggiungeva dopo la creazione di tutte le altre cose. Che mistero è questo, e quale sarà di ciò la cagione? Sai quali? dice il Santo: la cagione si è, che la bellezza e la bontà delle altre cose corporali e degli animali sta in quell’esteriore che apparisce al di fuori, e non vi è maggior perfezione di quella che si vede cogli occhi, e perciò viene subito la lode; ma la bontà e la perfezione dell’uomo non sta in quell’esteriore che apparisce al di fuori, ma nell’interiore, che sta nascosto colà dentro. « Tutta la gloria della figlia del re è interiore » [Ps. XLIV, 14 filiæ regis ab intus ];cioè tutta la bellezza dell’uomo, il quale è figliuolo di Dio, sta dentro; e questo è quello che piace agli occhi di Dio. « L’uomo infatti vede le cose che danno negli occhi, ma il Signore mira il cuore » 3, come disse Dio a Samuele [I Reg. XVI, 7]. Gli uomini vedono solamente le cose esteriori che appariscono al di fuori, e queste piacciono o dispiacciono loro; ma Dio vede l’intimo del cuore, guarda il fine e l’intenzione con cui ciascuno opera; e per questo non loda l’uomo subito che l’ha creato, come fa delle altre creature. L’intenzione è la radice e il fondamento della bontà e della perfezione di tutte le opere nostre. Le fondamenta non si vedono, ma esse sono quelle che sostengono tutta la fabbrica; e così è dell’intenzione.

2. La seconda cosa che si ricerca per la perfezione delle opere è, che facciamo in esse quanto possiamo e quanto è dal canto nostro per farle bene. Non basta che la tua intenzione sia buona, non basta che ti dica, che le fai per amor di Dio; ma bisogna che procuri di farle quanto meglio potrai, per piacere più a Dio con esse. Sia dunque questo il primo mezzo per far le opere bene, cioè il farle puramente per Dio; perché  questo ce le farà far bene e nel miglior modo a noi possibile, per poter con esse piacere maggiormente a Dio, ancor che non ci vedano i Superiori, e ancor che non siamo veduti dagli uomini: in una parola, farle come chi le fa per amore di Dio. Domandò una volta il nostro S. Padre Ignazio ad un fratello, il quale era alquanto negligente nel suo Officio: Fratello, per chi fai tu questo? E rispondendo egli, che lo faceva per amor di Dio, gli replicò il santo Padre: Or io t’assicuro, che se per l’avvenire lo farai in questa maniera, ti darò una molto buona penitenza. Perché se tu lo facessi per gli uomini, non sarebbe gran mancamento il farlo con cotesta negligenza; ma facendolo per un Signore tanto grande, è troppo gran mancamento farlo nella maniera che fai

3. Il secondo mezzo che i Santi propongono come molto efficace per questo, è il camminare alla presenza di Dio. Perfin Seneca diceva che l’uomo desideroso della virtù e di far le cose ben fatte si ha da immaginare d’avere avanti di sé qualche persona di grande venerazione, alla quale portasse gran rispetto; ed ha da fare e dire tutte le cose come le farebbe e direbbe se realmente stesse alla presenza di quella tal persona [Sen. Ep. 25] . Or se questo sarebbe un mezzo bastante per far le cose bene; quanto più efficace mezzo sarà il camminare alla presenza di Dio, e l’averlo sempre dinanzi agli occhi, considerando che Egli ci sta mirando. Specialmente non essendo questa una immaginazione, come quella di Seneca, ma cosa la quale veramente e realmente passa così; come tante volte ce lo replica la Scrittura. « Gli occhi del Signore sono più luminosi assai del sole, e mirano attorno tutte le vie degli uomini e l’abisso profondo, e vedono i cuori umani fino nei luoghi più riposti » Eccli. XXIII, 28].

4. Tratteremo appresso distintamente e più a lungo di questo esercizio di camminare alla presenza di Dio, e diremo quanto eccellente ed utile sia e quanto stimato e raccomandato dai Santi: adesso solamente ne caveremo al nostro proposito, di quanta importanza esso sia per far le opere ordinarie ben fatte. È di tanta importanza che, come ivi diremo, il camminare alla presenza di Dio non serve per fermarci in essa, ma perché ci sia mezzo per far bene le opere che facciamo. E se per istar noi attenti all’essere Dio presente ci trascurassimo e fossimo negligenti nelle opere che facciamo e commettessimo in esse mancamenti, questa non sarebbe buona divozione, ma illusione. E anche aggiungono alcuni qualche cosa di più, e dicono che quella presenza di Dio con la quale abbiamo da camminare, e quella che dalla sacra Scrittura e dai Santi ci viene tanto raccomandata; è il procurare di far le opere in tal maniera e tanto ben fatte, che possano comparire dinanzi a Dio, e che non sia in esse cosa indegna dei suoi occhi e della sua presenza. In una parola, che siano fatte come da chi le fa dinanzi a Dio, che lo sta rimirando. – E questo pare che ci volesse significare l’Evangelista S. Giovanni nella sua Apocalisse [Apoc. IV, 8], ove, riferendo le proprietà di quei santi animali, che vide stare dinanzi al trono di Dio, pronti ai suoi comandamenti, dice che dentro e fuori e all’intorno erano pieni d’occhi: occhi nei piedi, occhi nelle mani, occhi nelle orecchie, occhi nelle labbra e occhi negli stessi occhi; per significarci che quelli i quali vogliono servire Iddio perfettamente ed esser degni della sua presenza, hanno in ogni cosa a tener gli occhi aperti a mirar bene, per non far cosa indegna della presenza di Dio. Hai da esser pieno d’occhi dentro e fuori, e vedere come operi, come cammini, come parli, come odi, come vedi, come pensi, come vuoi, come desideri; acciocché in tutte le cose tue non ve ne sia alcuna che possa offendere gli occhi di Dio, nel cui cospetto stai.

5. Questo è un modo molto buono di camminare alla presenza di Dio. E così l’Ecclesiastico e l’Apostolo San Paolo, a proposito di quello che si dice nel Genesi di Enoch, che « camminò con Dio e disparve, perché il Signore lo rapì » [Gen. V, 14], dicono:, « Enoch fu caro a Dio, e fu trasportato nel paradiso » [Eccli. XIV, 16]; dimostrandoci chiaramente che è una cosa stessa il camminar sempre con Dio, o alla presenza di Dio, ed il piacere a Dio, poiché dichiarano una cosa con l’altra. E S. Agostino e Origene [Quæst. In Pentat.] dichiarano in questa stessa maniera quel che dice la sacra Scrittura nell’issopo, che quando Jetro andò a vedere il suo genero Mosè, si unirono Aronne e tutte le persone più gravi d’Israele « per mangiare con lui dinanzi a Dio » Lo dichiarano, dico, in questa maniera, dicendo: Non vuol dire che si unirono per mangiare dinanzi al Tabernacolo, o dinanzi all’Arca, perché non v’era ancora; ma che si unirono per far festa e mangiare e bere e passarsela lietamente con Lui; ma però con tanta pietà e santità, e con sì religiosa compostezza, come chi mangiava dinanzi a Dio; procurando che non vi fosse cosa che potesse offendere i suoi occhi divini. In questo modo camminano i giusti e i perfetti alla presenza di Dio in tutte le cose loro, anche nelle indifferenti e nelle necessarie alla vita umana. « I giusti banchettino e giubilino alla presenza di Dio, e godano nell’allegrezza », dice il Profeta [Ps. Lvii, 4]. Sia ciò di maniera tale, che ogni cosa possa comparire dinanzi agli occhi di Dio, né vi sia cosa indegna della sua presenza.

6. In questo modo anche dicono molti Santi che si adempie quello che nel Vangelo si legge che disse Cristo nostro Redentore: « Si deve sempre pregare, né mai lasciar di pregare » [Luc. XVIII, 1]; e S. Paolo ai Tessalonicesi: « Pregate senza intermissione » [1 Tess. V, 17]. Dicono cioè che sempre prega colui il quale sempre opera bene. Così pure S. Agostino sopra quelle parole del Salmista: « E la mia lingua andrà celebrando la tua giustizia, le tue lodi tutto il giorno » [Ps. XXXIV, 28]; vuoi, dice egli, un mezzo molto buono per stare tutto il giorno lodando Dio? « Tutto ciò che farai, fallo bene; e così starai tutto il giorno lodando Dio » [S. Aug. En. in Ps. XXXIV]. Lo stesso dice S. Ilario: « In questo modo avviene che da noi si preghi senza interruzione, quando, per mezzo delle opere che a Dio siano gradite e compiute sempre per la sua gloria, la vita tutta d’un qualsiasi sant’uomo diventa orazione; e per tal modo vivendo di giorno e di notte secondo il prescritto della legge, la stessa vita notturna e diurna si converto in meditazione della legge » E S. Girolamo, sopra quel verso: « Lodatelo voi, sole e luna; lodatelo tutte, o fulgide stelle » ]Ps. CXLVIII, 3], domanda in che modo lodano Dio il sole e la luna, la luce e le stelle? e risponde: Sai come lo lodano? Perché mai non cessano di far molto bene l’ufficio loro: sempre stanno servendo Dio e facendo quelle cose per le quali furono creati; e questo è star sempre [Hieron. Brev. In Ps CXLVIII, 3] lodando Dio 19. D i maniera che colui che fa molto bene le cose quotidiane e ordinarie della religione, sempre sta lodando Dio e sta sempre in orazione. E possiamo confermar questo con quel che dice lo Spirito Santo per mezzo del Savio: « Fa molte oblazioni chi osserva la legge: sacrifizio di salute è il custodire i comandamenti e allontanarsi da ogni iniquità » [Eccli. XXV, 1]. Con questo dunque si vedrà bene di quanta importanza e perfezione sia il far le cose ordinarie che facciamo ben fatte; poiché questo è moltiplicare l’orazione, e questo è uno star sempre in orazione e alla presenza di Dio, e questo è un sacrificio molto salutifero e che piace grandemente a Dio.

(1- continua …)