Messa della DOMENICA DI CRISTO RE (2019)

Messa per la festa di CRISTO RE (2019)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

DOMENICA In festo Domino nostro Jesu Christi Regis ~ I. classis

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V: 12; 1:6
Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum.[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]
Ps LXXI: 1
Deus, iudícium tuum Regi da: et iustítiam tuam Fílio Regis.
[Dio, da al Re il tuo giudizio, ed al Figlio del Re la tua giustizia] –


Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum…
[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza. Forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in dilécto Fílio tuo, universórum Rege, ómnia instauráre voluísti: concéde propítius; ut cunctæ famíliæ géntium, peccáti vúlnere disgregátæ, eius suavissímo subdántur império: Qui tecum … [Dio onnipotente ed eterno, che ponesti al vertice di tutte le cose il tuo diletto Figlio, Re dell’universo, concedi propizio che la grande famiglia delle nazioni, disgregata per la ferita del peccato, si sottometta al tuo soavissimo impero: Egli che …].

Commemoratio Dominica XX Post Pentecosten V. Octobris

Orémus.

Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant. [Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 12-20
Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.]

Graduale

Ps LXXI: 8; LXXVIII: 11
Dominábitur a mari usque ad mare, et a flúmine usque ad términos orbis terrárum. [
Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra]

V. Et adorábunt eum omnes reges terræ: omnes gentes sérvient ei. [Tutti i re Gli si prosteranno dinanzi, tutte le genti Lo serviranno].

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Dan VII : 14.
Potéstas ejus, potéstas ætérna, quæ non auferétur: et regnum ejus, quod non corrumpétur. Allelúja. [
La potestà di Lui è potestà eterna che non Gli sarà tolta e il suo regno è incorruttibile]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. – Joann XVIII: 33-37
In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.  Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”].

OMELIA

[Giov. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi – Soc. Edit. Vita e Pesiero, Milano, VI ed. 1956]

II

CRISTO RE DEI CUORI

Il vecchio Giacobbe, presagendo imminente la sua fine, chiama dattorno i suoi dodici figliuoli. Non era giusto che portasse con sé nel secreto della tomba la gran promessa che Dio gli aveva fatto. Per ciò, prima di morire sentì il bisogno di confidarla ai figli e parlò loro con accento profetico : « Venite e ascoltate, figliuoli di Giacobbe; ascoltate vostro padre ». E dopo aver predetto ad alcuni il proprio avvenire, si rivolse a Giuda: «Giuda, mio piccolo leone! tu regnerai sopra i tuoi fratelli, e la tua mano premerà la cervice dei tuoi nemici. Regnerai; ma fin quando verrà colui che deve venire. Tutte le genti lo aspetteranno, allora; sarà di una bellezza sovrumana; avrà gli occhi più fulvi del vino e i denti più bianchi del latte. Giuda, tu gli cederai il tuo scettro e il tuo impero » (Genesi, XLIX). – I dodici capi delle dodici tribù, con gli occhi aperti, sognavano il gran re, che sarebbe venuto, ed il loro cuore balzava, attraverso i secoli, incontro a Lui. Da Giacobbe, tutti i patriarchi prima di morire chiamavano i figli e i nipoti per richiamare in loro la speranza del re venturo, poi in pace chiudevano gli occhi nella morte. E Noè benedirà Sem perché nei suoi padiglioni nascerà il gran re. E Mosè dirà al popolo di non piangere per la sua morte, perché verrà un condottiero, più grande di lui. Quando i tempi furono maturi, quando tutte le generazioni erano in attesa, il gran re venne: Gesù Cristo. Ma i Giudei lo rifiutarono e lo condussero davanti a Pilato, che gli disse: « Sei tu il re dei Giudei? » Risponde Gesù : « Lo dici da te, o perché altri te l’ha suggerito? » Risponde Pilato: « Forse ch’io son Giudeo? È la tua gente, sono i tuoi sacerdoti che ti hanno trascinato a me: che hai fatto? ». Risponde Gesù: « Il mio regno non è di questo mondo. Se fosse di questo mondo, vedresti come i miei sudditi, con le armi, mi strapperebbero dalle mani dei Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù ». Allora Pilato gli domanda: « Dunque, tu sei Re? Risponde Gesù: « Tu lo dici: io lo sono ». – Fu un urlo brutale che salì dalla folla aizzata: « Non sappiamo che farne di questo re. Vogliamo Barabba ». Gesù Cristo allora patì il più acerbo dei suoi dolori, e la più bassa delle sue ingiurie: il re era tra i suoi sudditi, e i sudditi non lo volevano. In propria venit et sui eum non receperunt (Giov., I , 11). Ma oggi i popoli hanno compreso lo sbaglio fatale di quel branco di Giudei. È passata la guerra che ci ha fatto piangere e sanguinare tanto, ed ognuno ha sentito il bisogno di un re, che non ha regno nelle ingiustizie e nelle iniquità di questo mondo, di un re che comprenda i nostri dolori e le nostre aspirazioni e ci voglia bene, di un re di pace. Princeps pacis (Isaia). E tutti i popoli nell’anno santo andarono a Roma dal Papa a contare i propri bisogni, e passando sotto al Vaticano, tutti gridavano la parola di S. Paolo: « Questo abbiam bisogno; che Egli regni ». Pio XI comprese; e nella sua enciclica, dell’11 dicembre 1925 impose che si facesse una festa a Cristo Re, ogni anno, all’ultima Domenica di Ottobre, e tutti consacrassero il proprio cuore a Lui. Cristo è Re, e Re dei cuori!

« O popoli, battete le mani; tutti! Cantate un canto di gioia. Il Signore altissimo, il Signore terribile, il Re grande su tutta la terra finalmente regna ». (Salm., XLVI, 1-3). –

1. CRISTO È RE

Davide vide il Messia seduto sopra un trono di maestà e di gloria nell’atto d’umiliare la baldanza sciocca dei suoi nemici; e l’udì pronunciare queste parole: «Io sono stato costituito re da Dio. Il Signore mi ha detto: tu sei il figlio mio: oggi ti ho generato. Domandalo, e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini di tutta la terra » (Salm., II). – Se Dio stesso l’ha creato re, chi oserà contestargli la dignità regia? Cristo è re perché ne ha tutti i diritti: di nascita e di conquista. È re perché lo hanno proclamato i profeti, e lo proclamano oggi tutti i popoli del mondo.

Re per diritto di nascita. — Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo: due nature in una persona. Come Dio è figlio di Dio e possiede tutto quello che Dio possiede. Per ciò è padrone di tutte le cose e regna dall’uno all’altro mare. Dominabitur a mari usque ad mare. (Ps., LXXI, 8). Anzi non solo è re, ma il Re dei re, per il quale soltanto i re possono regnare; perché ogni potestà viene da Lui. Come uomo, Gesù è figlio di re e discende direttamente da Davide. Ecco perché l’Arcangelo nell’Annunciazione dirà alla Vergine : « Il Signore lo porrà sul trono di Davide, padre suo » (Lc., I, 32).

Re per diritto di conquista. — Il peccato d’origine ci aveva resi schiavi e figli della maledizione: Gesù Cristo ci ha conquistati, tutti, non sborsando oro e argento come un vile mercenario, ma tutto il suo sangue, generosamente come non saprebbe il più coraggioso dei re (1 Petr., I , 18).

Re per diritto di proclamazione. — I patriarchi, i profeti, i re lo proclamano. Isaia dice che nascerà bambino, che gli porranno sulle spalle l’imperio, e sarà un imperio di pace (IX, 6-7). E Davide canta che ai piedi di questo re si prostreranno gli Etiopi, e i suoi nemici davanti a lui lambiranno la polvere. I re di Tarso e gli abitanti dell’isola gli offriranno doni; i monarchi degli Arabi e di Saba gli faranno offerte. Tutti i re della terra lo adoreranno; tutti i popoli della terra si metteranno sotto il suo impero (Salm. LXXII). Oggi la magnifica profezia si è avverata: in quest’ultima domenica di ottobre, di qua e di là dei mari, un coro unisono s’eleva: « Viva Cristo re ».

2. RE DEI CUORI

I Dori, con arma e con incendio, invadevano l’Attica. In fretta s’arruolarono uomini per arrestare l’invasore: e già gli eserciti erano schierati a battaglia. Narra la leggenda che sia gli Atticesi che i Dori consultarono l’oracolo sul risultato dell’impresa e n’ebbero in risposta che la vittoria sarebbe toccata a quella parte il cui re fosse morto in guerra. Re d’Attica era Codro. Costui fu preso da tanto amore per i suoi che si travestì da contadino, si insinuò nel campo nemico e si fece uccidere. Quando i Dori seppero che il re d’Attica era morto, si spaventarono e fuggirono urlando. – Codro è una favola; Gesù Cristo è una realtà. Egli ha dato la sua vita per noi. E perché potesse morire per la nostra salute, da Dio si è travestito da vero uomo, si è cacciato in mezzo ai suoi nemici, che l’hanno messo in croce. Ma la sua morte fu la vittoria: il demonio vinto ritornò nell’inferno. Ma che re può essere quello che dà la vita per i suoi, se non un re d’amore? Cristo allora è re d’amore; re dei cuori. Osservate. Quando Gesù venne al mondo fu posto in una greppia vicino a due animali. Pure si capi’ che era un re. Una gran luce attraversò il cielo nel cuor della notte, gli Angeli cantarono, occorsero i pastori, accorsero tre re. Una bella occasione per cominciare il suo regno, se Gesù avesse voluto regnare con soldati e con oro. Ma re di questo mondo, Cristo non ha voluto esserlo: e lasciò tornare, per un’altra via i re magi. Quando Gesù nel deserto moltiplicò i pani e sfamò migliaia di persone, tutto il popolo delirante d’entusiasmo per la sua persona lo proclamava re. Bella occasione se avesse voluto regnare come un re dei corpi, che sa nutrirli prodigiosamente. Ma re dei corpi, Cristo non ha voluto esserlo; e fuggì a nascondersi in mezzo alle montagne. Quando Gesù fu mostrato al popolo dal litostrato di Pilato aveva in testa una corona, ma di spine; aveva sulle spalle e sul petto la porpora, di sangue suo; stringeva nelle mani lo scettro, ma di canna. Pilato gridò al popolo : « Ecco il vostro Re». Ecce rex vester (Giov., XIX, 14). Il popolo ghignava. Bella occasione di far piovere fuoco e zolfo, di soffocare eternamente quegli uomini crudeli. Ma re di terrore di strage, Cristo non ha voluto esserlo, mai. Cristo è Re, e Re del cuore. Eccolo in trono: sulla croce. In alto in diverse lingue sta scritta la sua dignità, re dei Giudei. Porta la corona di spine, la porpora di sangue, decorazioni di piaghe atroci. Un soldato, con la lancia gli trapassa il petto, gli mostra il cuore. Ora veramente è re. Dominus regnavit a ligno. – Guardiamolo, Cristiani, il nostro Re sopra quel legno! Dal suo lato perforato esce un grido regale: « Figlio, dammi il tuo cuore! ».

CONCLUSIONE

So di un’anima, di una giovane anima che, durante la persecuzione messicana del 1927, gli ha risposto: «Sì, Cristo re, il mio cuore te lo do ». Il suo nome, che bisogna dire con venerazione come quello dei martiri, è Juan Sanchez dello stato di Ialisco nel Messico. Ricco e nobile di famiglia, più ricco e più nobile per sentimenti cattolici, fu arrestato dai legionari di Calles. Pretendevano che apostatasse. Pubblicamente gli fu imposto di rinunciare alla Religione; egli rispose: «Viva Cristo Re». Il martirio fu cruento e degno dei carnefici, i quali cominciarono a tagliargli un orecchio poi l’altro e quindi ad amputargli le gambe. Ma benché immerso nel suo sangue non cessava d’acclamare a Cristo Re. – Con un vero furore satanico i carnefici gli squarciarono la gola: ma dalla gola squarciata insieme al gorgoglio del sangue usciva un rantolo: «Viva Cristo Re!». Non potevano farlo tacere, e gli strapparono la lingua. E fu finita («Civiltà Catt. » 16 luglio 1927). – Appena compiuto il truce misfatto la folla si precipitava sulla salma martoriata per intingere in quel sangue i pannolini; né minacce, né colpi, né scoppi valsero a trattenerla. – Poveri barbari che strappate le lingue! Se anche le lingue tacessero, lo griderebbero le pietre. Anzi, e meglio, voi stessi lo griderete, in un giorno non lontano: « Galileo, hai vinto! ». E noi preghiamo perché Cristo Re li vinca nella forza del suo amore e non in quella della sua vendetta.

[Lettera Enciclica “Quas primas” di S. S. Pio XI]

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiæ caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe,, eche dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale». – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra». A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo». E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra»; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto». E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine  vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re, e pubblicamente confermò di essere Re  e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno? – Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra», porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti». Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale, è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici. – Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità . Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio». Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali».

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso l’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia”  offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

[Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.]

Credo … https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps II: 8.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, et possessiónem tuam términos terræ.
[Chiedi a me ed Io ti darò in eredità le nazioni e in dominio i confini della terra]

Secreta

Hóstiam tibi, Dómine, humánæ reconciliatiónis offérimus: præsta, quǽsumus; ut, quem sacrifíciis præséntibus immolámus, ipse cunctis géntibus unitátis et pacis dona concédat, Jesus Christus Fílius tuus, Dóminus noster:Qui tecum …[Ti offriamo, o Signore, la vittima dell’umana riconciliazione; fa’, Te ne preghiamo, che Colui che immoliamo in questo Sacrificio, conceda a tutti i popoli i doni dell’unità e della pace: Gesù Criato Figliuolo, nostro Signore, Egli …]

Præfatio
de D.N. Jesu Christi Rege

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui unigénitum Fílium tuum, Dóminum nostrum Jesum Christum, Sacerdótem ætérnum et universórum Regem, óleo exsultatiónis unxísti: ut, seípsum in ara crucis hóstiam immaculátam et pacíficam ófferens, redemptiónis humánæ sacraménta perágeret: et suo subjéctis império ómnibus creatúris, ætérnum et universále regnum, imménsæ tuæ tráderet Majestáti. Regnum veritátis et vitæ: regnum sanctitátis et grátiæ: regnum justítiæ, amóris et pacis. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigénito, Gesú Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacífica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XXVIII:10;11
Sedébit Dóminus Rex in ætérnum: Dóminus benedícet pópulo suo in pace.[Sarà assiso il Signore, Re in eterno; il Signore benedirà il suo popolo con la pace]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimóniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriámur, cum ipso, in cœlésti sede, júgiter regnáre póssimus: Qui
[Ricevuto questo cibo di immortalità, Ti preghiamo o Signore, che quanti ci gloriamo di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo in cielo regnare per sempre con Lui: Egli che …]

Preci leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/26/domenica-xx-dopo-pentecoste-2019/

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.
[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]
Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ. [In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes V: 15-21
Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

LA PRUDENZA

“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. (Ef. V, 15-21).”

S. Paolo aveva esortato gli Efesini a vivere come figli della luce, nella pratica delle buone opere, e a non seguire, anzi a riprovare le opere delle tenebre. Ora li esorta a diportarsi con prudenza, approfittando del tempo che ci è concesso per fare la volontà di Dio. Non devono provare altra ebbrezza che quella che viene dallo Spirito Santo: si radunino tutti assieme a lodare il Signore con i cantici sacri, rendendo grazie al Padre, nel nome di Gesù. L’ammonimento dell’Apostolo agli Efesini vale anche per noi, che dobbiamo, mediante la prudenza, virtù «che da pochi si osserva»,

1. Riflettere sulle nostre azioni,

2. Approfittare d’ogni circostanza per arricchirci di meriti

3. Allontanarci dalle occasioni.

1.

Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti.

Qui è raccomandata la prudenza cristiana; la prudenza virtù cardinale, cioè una delle quattrovirtù su cui si basano tutte le altre. «La prudenza ci fadistinguere il bene dal male» (S. Agost. En. in Ps. LXXXIII, 11). È, quindi, la regola delle nostre azioni, o, come dice il Catechismo: È la virtù che dirige gli atti al debito fine e fa discernere e usare i mezzi buoni. Il fine del Cristiano è la vita eterna, e la prudenza ci fa riflettere come dobbiamo diportarci per arrivarvi. Nelle cose importanti noi non ci fidiamo del solo nostro modo di vedere; domandiamo i suggerimenti e i consigli degli altri. Così, il Cristiano prudente prega il Signore che lo illumini sullo stato di vita a cui lo chiama, perché possa raggiungere il suo ultimo fine. Messosi in questo stato prega costantemente Dio «Padre dei lumi» (Giac. 1, 17) perché illumini i suoi passi nella via intrapresa, avendo sempre di mira il maggior bene spirituale, anziché l’accontentamento dei propri gusti. Quando un esploratore vuol raggiungere mete assai lontane, sa benissimo che lo attendono incognite di ogni genere. Ed egli riflette a lungo, prima di mettersi in viaggio. Calcola tutti gli incidenti che gli possono capitare da parte della natura del luogo, da parte degli elementi, da parte delle fiere, da parte degli uomini, e prende tutte le precauzioni necessarie per non essere impedito di raggiungere la meta. – Tra le precauzioni che prende, importantissima è quella del rifornimento dei viveri. Il Cristiano, che ha considerato tutta l’importanza della via spirituale che ha da percorrere, vede che tra le precauzioni più necessarie c’è quella di nutrirsi del cibo spirituale, affinché non venga meno per via. A questo scopo frequenta i Sacramenti. La prudenza gli suggerisce di nutrirsi spesso del pane dei forti; e di risorgere subito col mezzo della Confessione, se lungo la via fosse caduto nel peccato. La prudenza insegna a non aspettar tutto dagli altri, « Poiché  se noi saremo vigilanti non avremo bisogno dell’aiuto altrui. Se, al contrario, dormiamo a nulla ci giova l’aiuto degli altri» (S. Giov. Grisost. In Epist. 1 ad Thess. Hom. 1, 3). Alla meta cui siamo avviati dobbiamo arrivare con l’opera nostra, guidata e sostenuta dalla grazia del Signore. Pretendere di arrivare in paradiso dolcemente, dormendo, sulle spalle degli altri, sarebbe un vero assurdo. Non si va in paradiso a dispetto dei Santi. Le vergini prudenti della parabola evangelica si danno cura di provvedere da sé la scorta d’olio per la lampada. Le vergini stolte non si scomodano di procurarsi la scorta d’olio. E quando viene lo sposo non possono prender parte al banchetto. Ricorrono alle vergini prudenti per avere parte della loro scorta, ma non l’ottengono. Le loro lampade rimangono spente, ed esse sono escluse dal banchetto (S. Matt. XXV, 1-13). Se vogliamo arrivare al banchetto celeste dobbiamo cercare d’arrivarvi, aiutati da Dio, con le opere nostre e non con le opere degli altri; se non vogliamo correre il pericolo di rimanerne esclusi.

2.

L’Apostolo vuole che gli Efesini camminino da prudenti utilizzando il tempo. La prudenza non solo ci deve far distinguere quel che si deve fare o non fare; ma ci spinge all’opera. Essa ci fa essere buoni economi del tempo, facendoci cercare e trovare l’opportunità di fare il bene. Un industriale avveduto non tralascia viaggi, ricerche; non si stanca di assumere informazioni e di darne; di mettersi al corrente di tutte quelle innovazioni, che adottate migliorerebbero e accrescerebbero la produzione delle sue industrie. E un Cristiano prudente non deve lasciarsi sfuggire circostanza alcuna, senza usarne per arricchirsi di meriti. – Colui che prudentemente spera di venire a capo dell’opera da lui intrapresa, non si lascia abbattere dal nessuna difficoltà. Quanto più esse sono numerose, tanto più si sente spinto ad operare per vincerle. Noi diciamo che le circostanze sono troppo difficili per poter fare il bene, che gli ostacoli sono troppo forti; ma ci dimentichiamo d’una cosa: «che tutto coopera a bene per quelli che amano Dio» (Rom. VIII, 28). E il tempo delle difficoltà da superare è appunto il tempo più opportuno per ammassare meriti che ci accompagnino in paradiso. Una fatica sopportata per amor di Dio, un sollievo recato a chi soffre, la difesa di un perseguitato, l’appoggio dato a un oppresso, una persecuzione sostenuta, un offesa perdonata, un’umiliazione accettata sono tutte azioni preziose all’occhio di Dio, son tutti mezzi che ci fanno percorrere a gran passi sicuri la via che conduce al paradiso. Una vecchia mendica, la quale era stata più volte beneficata da S. Elisabetta d’Ungheria, che l’aveva assistita inferma e medicata con le proprie mani, vedendo un giorno la sua antica benefattrice avanzare guardinga lungo una sottile striscia di pietre che attraversava un fangoso ruscello, invece di tirarsi in disparte e lasciarla passare, la urtò brutalmente facendola cadere nella fanghiglia, poi aggiunse beffandola: «Tu non hai voluto vivere da duchessa; eccoti ora povera e nel fango; ma io non verrò a tirartene fuori». Con le vesti inzuppate, le mani infangate, contuse e sanguinanti, la Santa si alza e dice con gran calma: «Questo per le acconciature e gli ornamenti e le gioie che portavo un tempo» (Emilio Horn. S. Elisabetta d’Ungheria Trad. ital. di Bice Facchinetti. Milano 1924 p. 157). Ecco, come si può utilizzare qualsiasi circostanza per arrichire di beni spirituali. La prudenza c’insegna non solo a metterci con impegno nell’esercizio del bene, ma vuole che vi ci mettiamo subito. L’uomo d’affari se può conchiudere un buon affari oggi, non aspetta domani: domani potrebbe mancare l’occasione che oggi è ottima. Domani si potrebbe non essere più in tempo. La prudenza cristiana c’insegna a non rimandare in avvenire l’adempimento dei nostri doveri, l’esercizio delle virtù, la rinuncia al peccato, il ritorno a Dio. Sappiamo noi qualche cosa del nostro avvenire? Il futuro è nelle mani di Dio. Generalmente i nostri calcoli sull’avvenire hanno la sorte di quelli del ricco del Vangelo, il quale non avendo più posto da riporvi il raccolto disse: « Ecco quel che farò; demolirò i miei granai, ne fabbricherò dei più vasti e quivi raccoglierò tutti i miei prodotti e i miei beni, e dirò alla mia anima: O anima mia, tu hai messo in serbo molti beni per parecchi anni; riposati, mangia, bevi e godi. Ma Dio gli disse: — Stolto, questa stessa notte l’anima tua ti sarà ridomandata, e quanto hai preparato di chi sarà? — Così è di chi tesoreggia per sé e non arricchisce presso Dio» (Luc. XII, 18-21). Altrettanto stolto è chi cerca di vivere quest’oggi tranquillamente in ozio, e rimanda all’avvenire il tesoreggiare per il cielo. Sarà in tempo?

3.

Non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza

… dice S. Paolo, e a ragione. Si cerca l’ebbrezza nel vino e, attraverso la stoltezza e la sfacciataggine, si finisce nella libidine. È quello che avviene di tutte le occasioni. Si finisce dove non si credeva d’arrivare. Sansone non avrebbe mai pensato che l’eccessiva confidenza con Dalila l’avrebbe condotto alla perdita della sua forza prodigiosa, degli occhi, della libertà. Davide non si sarebbe mai immaginato che uno sguardo imprudente l’avrebbe condotto all’adulterio, all’omicidio, all’indurimento nel peccato. L’uomo prudente non si mette mai nelle occasioni prossime libere; non diffida mai abbastanza di certe compagnie, di certi ritrovi, di certi divertimenti, di certi giornali, di certi libri.Il viandante prudente schiva tutte quelle vie lungole quali potrebbe trovare degli intoppi o dei pericoli. Seuna via è interrotta da una frana, da una valanga, dalla caduta d’un ponte, da un’alluvione, si rassegna a fare un giro un po’ più lungo, passando alla larga, pur di arrivare alla meta. Se sa che qualche punto della via è pericoloso, perché battuto dai grassatori, cerca di passarlo in pienogiorno, senza indugiarvisi. Nel cammino della vita spirituale non mancano degli ostacoli che cercano di fermarci, delle occasione che vorrebbero farci interrompere ilcammino. Giriamo alla larga, se non vogliamo dimenticarci del nostro fine; se non vogliamo lasciarci cogliere dalle passioni che, depredandoci della grazia, ci facciano cadere nel peccato. «Non è un timor vano né una precauzione inutile questa, che provvede alla via della nostra salvezza» (S. Cipriano. Lib. de hab. Virg. 4). – Certi strappi sono dolorosi, certi distacchi costano, l’abbandono di certe abitudini ci sembra impossibile. Eppure la prudenza insegna che tra due mali bisogna scegliere il minore. Chi ha una mano o un piede incancrenito sceglie la loro amputazione, anziché lasciar incancrenire tutto il corpo. Il navigante che vede la nave affondare per troppo peso, è pronto a gettar la sua merce in mare, anziché lasciarsi ingoiar lui dalle onde. Tra la perdita di Dio e la perdita dell’amicizia degli uomini; tra il sacrificio di certe abitudini e la perdita del paradiso; tra i piaceri terreni e i godimenti eterni la scelta non dovrebbe lasciare un istante di titubanza. Lasciamo, dunque, l’ebbrezza che viene dai piaceri, e scegliamo l’ebbrezza che viene dallo Spirito Santo. È un’ebbrezza senza rimorsi, senza turbamenti. Manifestiamo questa ebbrezza con salmi e inni e cantici spirituali; manifestiamola, prendendo parte con assiduità e fervore alle funzioni sacre; manifestiamola ovunque, non fosse altro, salmeggiando al Signore nei nostri cuori ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo.

Graduale

Ps CXLIV:15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne. [Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno. V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.
[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠  sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLVIII.

“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figlinolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa” (Jo. IV, 46-53)

Quando Gesù con la sua predicazione e co’ suoi miracoli si andava facendo nella Giudea un gran numero di discepoli, i farisei cominciarono a sentire e dispiegare verso di Lui una grande invidia e gelosia. E sapendolo Gesù, che era tanto mansueto, per non irritare troppo i suoi nemici lasciò la Giudea e s’avviò verso la Galilea, Per istrada passando per la Samaria, andò ad assidersi presso al pozzo di Giacobbe, dove convertì la Samaritana. Quindi fermatosi due giorni in Sichem, pregato dai concittadini di quella donna, dove molti credettero in Lui per averlo udito a parlare, prosegui il suo viaggio per la Galilea. Ma invece di recarsi a Nazaret, ben sapendo il poco rispetto che gli avrebbero usato i suoi compatrioti, si recò nella Galilea superiore, dove fu accolto con grande gioia. E percorrendo questa regione andò in Cana, dove aveva operato il suo primo miracolo convertendo l’acqua in vino. E fu in questa piccola città che operò il nuovo miracolo narrato dal Vangelo di questa domenica.

1. Eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo quegli sentito a dire, che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Gliinterpreti non sono d’accordo nel dirci chi fossequesto regolo: alcuni vedono in lui un principedella reale famiglia di Erode Antipa, tetrarcadella Galilea, altri vogliono che fosse soltanto unuffiziale della corte, ed altri pretendono che fosse un piccolo re. Ma comunque sia la cosa, voi vedete come anche i grandi e i potenti della terra, quando sono travagliati da qualche sventura, allora pensano a Gesù, riconoscono chi Egli sia, ed a Lui si rivolgono per essere consolati. Difatti quel regolo ha un figlio, oggetto della più cara sua speranza, e questo figlio è prossimo a morire: i medici disperano, l’umana scienza è impotente; l’infelice padre vede la morte che si avanza, che sta per varcare le soglie della sua casa e colpire nel fior degli anni il diletto suo figliuolo. Egli ha udito a parlare di un personaggio straordinario che opera dei prodigi; sa che quel personaggio è a Cana: da Cafarnao a questa città vi ha più d’una giornata di cammino…. Che importa?…. L’uffiziale si mette in viaggio. Purché incontri quel Gesù ed ottenga da lui il compimento de’ più cari suoi voti: ecco tutto il pensiero del suo cuore. Senza dubbio se costui non fosse stato minacciato nelle sue più care speranze, non si sarebbe dato pensiero del Salvatore e l’avrebbe lasciato pacificamente continuare il corso delle sue mirabili predicazioni. Così, o miei cari, lo sprone della sventura ridesta sovente un’anima addormentata, e la spinge ad indirizzarsi a Colui che solo può sollevarla e guidarla. Voi, vi lagnate d’una croce che sopravviene, d’una prova che vi accade. E Dio non ha permesso quella pena passeggera che per ricondurvi a sentimenti migliori, e darvi occasione di meritare la felicità dell’eterna vita. Oh come il dolore serve efficacemente ad illuminare le nostre anime! Vi è una moltitudine di cose, che l’uomo, che non ha patito non conosce, ed un’altra moltitudine che non sarà mai capace di conoscere, se per impossibile continuasse a vivere senza patire. Al contrario non vi ha alcun uomo il quale, nell’ora che soffre, voglia o non voglia, non sia condotto alla conoscenza della verità. La nostra vita sopra la terra è tutta piena di fantastiche illusioni, le quali tanto più si moltiplicano ed hanno forza per sedurci, quanto più siamo allegri e viviamo nella prosperità. Oh quante vane sicurezze e quanta presunzione nell’uomo, dal momento che non sente più nulla che lo molesti o lo affligga! quante cose dimentica! quante altre ne immagina! qual compiacenza prende nel suo stato! Ah! se egli sgraziatamente rimane così, senza alcuna sofferenza né fisica, né morale, anche solo per qualche anno, la terra avrà per lui tali incanti da fargli impallidire e persino eclissare quelli del Paradiso. Quest’uomo insomma diventerà del tutto cieco non vedendo più né il suo fine, né la strada che vi conduce. Ma viene il dolore, ed allora che succede? Ecco, i fantasmi svaniscono, ricompaiono le realtà e ripigliano sulla sua mente l’imperio loro dovuto. Vedete quel povero giovane? Novello prodigo abbandonò la casa paterna per gettarsi tra le braccia dei falsi amici, sognando nella loro compagnia una felicità sconosciuta. Stoltamente seguì i loro consigli, accontentò i loro desideri, dissipò con loro i suoi averi, il suo onore, la sua vita; ma quando rimasto a mani vuote credette di appoggiarsi sopra la loro amicizia, essi erano scomparsi dal suo fianco per non comparirgli innanzi mai più. Il dolore della sua miseria gli rischiarò allora la mente e al baglior di quella luce divina egli conobbe quanto è vera la parola del Savio: che nulla vi ha di più raro che un vero amico; che assai meglio si sta l’ultimo nella casa paterna sotto l’obbedienza dei genitori, che il cuore non si appaga tra le creature, che solo è beato riposando in Dio. – Ed oh quanti altri ancora, i quali non brancicando che nelle tenebre degli onori, dei piaceri e delle ricchezze se ne vivevano lontani affatto da Dio, perseguitati al fine dalla passione, colpiti dalla calunnia, spogliati d’un tratto d’ogni loro avere, sopraffatti dal dolore, apersero gli occhi alla luce della verità ed esclamarono compunti: Ci siamo ingannati: Erravimus a via veritatis (Sap. V. 6): Bisogna ritornare sul retto sentiero. Miei cari, il dolore illumina. Esso fa toccar con mano la vanità del mondo, il nulla dei beni temporali, la stoltezza di ogni vita che non ha Iddio per fine, ed illuminandoci in sulla vanità delle cose terrene ci conduce a quel Dio, a quel caro Gesù, che solo può confortarci e far paghi i nostri cuori. Quando perciò le afflizioni verranno a travagliare l’anima nostra, seguiamo pure l’esempio del regolo di Cafarnao: non esitiamo un istante di recarci ai piedi di Gesù Cristo, di aprirgli il nostro cuore e di invocare il suo soavissimo conforto.

2. Se non che alla preghiera, che quel regolo venne a fare a Gesù di recarsi a casa sua per guarirgli il figliuolo infermo, Gesù benedetto rispose: Voi se non vedete miracoli e prodigi, non credete. E ben a ragione. Imperciocché, come nota S. Gregorio, bisognava ben che quel regolo avesse una certa fede, giacché veniva a trovare Gesù e a domandargli la guarigione di suo figlio; ma tale fede doveva essere ben imperfetta giacché stimava necessario che il Salvatore si recasse a Cafarnao per guarire il malato, non pensando che egli lo poteva fare anche da lungi. Se infatti costui avesse avuto una fede perfetta, avrebbe saputo, che essendo Iddio dappertutto non ha bisogno di trasferirsi da un luogo all’altro per far quel che gli piace, e non si sarebbe così stranamente ingannato, attribuendo alla corporale presenza del Salvatore una virtù, che apparteneva alla sua divinità. Era ben altrimenti viva la fede del centurione, che con umiltà sì profonda domandava la guarigione del suo servo. Ora a quello il Salvatore proponeva di portarsi a trovar l’infermo, ed il centurione rispondeva: Signore, io non son degno che entriate nella mia casa, ma dite una parola delle vostre labbra, e il mio servo sarà guarito. Il regolo adunque non credeva ancora alla divinità del Salvatore; lo riguardava come un profeta, che coll’imporre le mani o con la recita di qualche preghiera potesse restituire la sanità al suo figlio. Quindi il divin Redentore ben a ragione gli rivolse quel rimprovero affine di dar alla sua fede quell’energico stimolo, di cui abbisognava affine di perfezionarsi. Ai nostri giorni, o miei cari, quanti Cristiani meriterebbero il rimprovero che Gesù rivolse a quel regolo! Ancora essi chiedono dei prodigi: se vedessi, se comprendessi, allora sì crederei, ci ripetono del continuo, e rimangono intanto nella loro indifferenza e nel loro induramento. Ma il Salvatore risponde loro: « Beati coloro che non han veduto, e credettero » E noi potremmo ancor soggiungere: Pigliate il Vangelo, e vedete ciò che accadeva, son ormai diciannove secoli; la verità non invecchia. Voi domandate dei miracoli! Eccone di quelli che furono operati in presenza d’una nube di testimoni, e di testimoni che han versato il loro sangue e dato la loro vita per confermare la sincerità della loro testimonianza. Non sono essi numerosi assai ed assai forti per convincervi? Mirate anche questo perpetuo miracolo d’una Religione sempre combattuta, sempre perseguitata, sempre maledetta dalle potenze infernali; eppure sempre giovane, sempre bella, invincibile sempre, sempre segnata in fronte col suggello dell’immortalità. Non domandate dunque dei nuovi prodigi. I soli che restano a farsi, che voi dovete desiderare, che dovete sollecitare, eccoli: sono i miracoli dell’ordine spirituale, che possono cangiare e convertire le anime vostre. Udite S. Gio. Grisostomo: « Se da avaro ch’eravate, divenite generoso, avete guarito una mano inaridita, che non si poteva stendere per dare l’elemosina. Se rinunziate al teatro, al divertimento, alla festa mondana per intervenire alle nostre chiese, avete guarito uno zoppo e l’avete fatto dirittamente camminare. Se ritirate i vostri sguardi da tutti gli oggetti pericolosi per non aver più in avvenire che sguardi casti, avete reso la vista ad un cieco. Se detestate le infami canzoni per non cantare in avvenire che dei cantici spirituali, avete fatto parlare un mutolo. Ecco le meraviglie che sono veramente stimabili; ecco i miracoli che vi auguro. Questi, o miei cari, non solo vi permetto di domandare, ma ve ne consiglio e v’invito. Né chiedeteli una volta soltanto, ma chiedeteli con perseveranza, direi quasi con importunità, somiglianti al regolo che senza fermarsi alla risposta del Signore, si affrettò a dirgli: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia ».

3. Allora Gesù gli disse: va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi in che ora avesse cominciato a star meglio. E quegli risposero: Ieri all’ora settima lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padrone che quella era la stessa ora in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliuolo vive; e credette egli e tutta la sua casa.. E qui ponderiamo bene, o mieicari; quello che Gesù si degnò di rispondere a quelregolo: Va, il tuo figliuolo vive: che fu come un dirgli: Va, che non è necessario che Io venga con te. Esaudirò la tua preghiera, ma non nel modo che tu chiedi. S’Io ti accompagnassi alla tua casa, la tua fede non diverrebbe già più viva: senza dubbio si raddoppierà quando saprai che da lontano ho potuto sanare il figliuol tuo. Vedete, omiei cari, come nostro Signore tratta le anime giusta i bisogni di ciascuna di esse. Il centurione chiede la guarigione del suo servo; e per far risaltare la sua fede e la sua umiltà, il Salvatore gli dice: Andrò e lo sanerò. No, no, Signore, questo non è necessario, ed io non lo merito; dite una parola e il mio servo sarà guarito. Qui all’opposto l’uffiziale gli dice: Venite, Signore, affrettatevi. Ed il Salvatore vedendo questa fede così debole, la fortifica, la perfeziona, ricusando un viaggio inutile pel compimento del prodigio. Di fatti, dice il venerabile Beda, la fede che in quel regolo aveva cominciato, quando andò a trovare Gesù per domandargli la guarigione del figlio, crebbe poi quando credette alla parola di colui che gli disse: Il tuo figlio vive; ma fu perfetta quando alla relazione che gli fecero i suoi servi conobbe ch’era stato guarito all’ora stessa che Gesù aveagli detto: Filius tuus invit.Ecco adunque come il medico celeste dà a ciascun’anima ciò che le torna meglio per la sua eterna salute. Questo pertanto deve essere lo spirito, che animi le nostre preghiere: domandare a Dio le grazie di cui abbisogniamo, ma disposti interamente a rimetterci alla sua santa volontà, la quale è sempre il meglio per noi. Anzi, non solo le nostre preghiere devono essere animate da un tale spirito, ma tutta quanta la nostra vita. Tutta la perfezione dell’amor verso Dio consiste nell’uniformar la nostra alla divina volontà; ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quelch’Egli disse in entrare nel mondo, come scrive l’Apostolo: « Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch’Io vi sacrifichi con la morte questo corpo, che mi avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà ».E ciò più volte dichiarò, dicendo ch’Egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre. Quindi poi aggiunge ch’Egli riconosceva per suoi solamente coloro che facessero la divina volontà.Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta per fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l’illuminò e lo convertì. Il Santo allora altro non fece, che offrirsi a fare il voler divino: Signore, che volete ch’io faccia? Ed ecco che Gesù Cristo subito lo dichiarò vaso d’elezione, e Apostolo delle genti! Chi fa digiuni, fa limosine, chi si mortifica per Iddio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto. E questo è quel tutto che Dio ci domanda, il cuore, cioè la volontà. Questa insomma ha da essere la mira di tutti i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni e di tutte le altre buone opere, l’adempiere la divina volontà. Questo ha da essere lo scopo di tutte le nostre preghiere, l’impetrare la grazia di eseguire non quello che piace a noi, ma quello che Iddio vuole da noi. Ma bisogna uniformarci non solo nelle cose prospere, ma anche in quelle avverse, e non solo nelle avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini come le infamie, i dispregi, le ingiustizie, e tutte le altre sorta di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba o nell’onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà. Narra Cesario che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri non di meno faceva molti miracoli. Di ciò meravigliandosi l’abbate, gli domandò un giorno quali divozioni egli praticasse. Rispose, che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno, ripigliò il superiore, che giorni or sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr’Egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò L’abbate conobbe la santità di questo buon religioso. Lo stesso dobbiamo far noi quando ci accadono le cose avverse; accettiamole tutte dalle divine mani non solo con pazienza, ma persino con allegrezza. Ed in vero che maggior contento dovremmo avere che soffrire qualche croce, e sapere che abbracciandola noi diamo gusto aDio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da oggi innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre intutto ciò che ci avviene: Signore, cosi è piaciuto a voi, cosi sia fatto. A questo fine indirizziamo tutte quante le opere nostre, e del continuo offriamo noi stessi al Signore sempre dicendo: Mio Dio, eccomi, fate di me quello che vi piace. E così sarà certo che se non sempre Iddio disporrà della nostra vita in quel modo che piace a noi, ne disporrà sempre tuttavia nel modo più giovevole per il bene dell’anima nostra e per la nostra eterna salute.

Credo …https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.
[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent. [O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.
[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.
[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (83)

LO SCUDO DELLA FEDE (83)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CONSEGUENZE DEL PERDERE LA S. FEDE E MODI DI PREVENIRLE

CAPITOLO VI.

COME DEBBONO DIPORTARSI QUEI CHE SONO TENTATI DAI PROTESTANTI CON LIBRI MALVAGI.

Oltre ai discorsi, impiegano i Protestanti anche il mezzo dei libri per trascinare nell’errore. Vi presentano certi libricciuoli galanti, pieni zeppi di veleno e ve li danno anche gratis, tanta è la loro carità. Questi libri sono: primieramente la Scrittura Sacra, ma tradotta male dal Diodati, come già vi ho detto; poi certi scritterelli di varii Apostati come il De Sanctis, il Borella e simili: libri che contengono molte empietà, contro la Chiesa, il Sommo Pontefice, il Sacerdozio, i Sacramenti, ec. che mettono in derisione le cose più sante della fede e della pietà. Ora voi potreste facilmente essere presi di curiosità a volerli almeno conoscere, almeno percorrere. Però ricordatevi che non si possono né leggere né ritenere. Se Eva non cominciava a rimirare il pomo con curiosità, non sarebbe stata alfine sedotta come purtroppo fu. Né vi muovano la eleganza, la bellezza ed i titoli pomposi con cui si inorpellano, perché sono veleno e non meno micidiale perché racchiuso in coppa d’oro. – Il solo ritenere quei libri è già un peccato, ricordatevene bene, è un altro peccato il leggerli, è un altro peccato il farli leggere anche ad altri. La S. Chiesa che ha legittima autorità sopra di noi, li ha proibiti sotto grave colpa e così non si possono tenere. – Il dire che la S. Chiesa non ha autorità di proibirceli è già un errore da Protestanti. Ma infine non sarebbe meglio il conoscere anche quel che dicono i nemici della S. Chiesa? Così sapremmo l’una e l’altra parte. Né la dottrina Cattolica, se è vera, deve temere il confronto. A questi sofismi ecco quello che io vi replicherò. Se voi trovate che è un’ingiustizia il non lasciarvi conoscere gli errori, perché non dite anche che è un’ ingiustizia il non lasciarvi assaggiare il veleno? E che? se noi prendiamo il veleno, abbiamo anche in pronto il contravveleno. Vi acconcereste voi a lasciarvi mordere da uno scorpione, perché avete in casa l’olio che ve ne guarirà? Mangereste volentieri un’insalata di cicute, quando sapeste di avere poi in pronto la panacea? Vi fareste così per trastullo una ferita in una mano o in un braccio, perché avete del balsamo che vi può risanare? Eh sono queste proposizioni da pazzo. Ma e perché non dite l’istesso rispetto alla vostra fede? Mentre per misericordia di Dio l’avete sana ed intatta nel cuore, si ha da permettere che essa riceva una ferita dalla lettura di quei libracci sul pretesto che sentirete l’una e l’altra parte? Chi ha mai detto che per istar meglio in salute bisogna provare anche l’infermità? Eppure si dice così rispetto all’anima. Che pazzia è mai questa! Molto più che forse pei mali del corpo potrete trovare un qualche rimedio: ma se leggete quei libri il rimedio forse non lo troverete mai: perocché, parliamo chiaro, siete voi tanto istruiti che possiate render conto dei misteri che credete, dei dommi che professate, di tutte le verità che vi propone la S. Chiesa? Ma e quando avete fatti cotesti studii? Avete imparato da fanciullo un poco di Catechismo e l’avete appreso con molta svogliatezza e però con molta superficialità. Fatta poi la prima Comunione avete sentito qualche spiegazione di Vangelo, qualche poco di Predica, e dico poco perché il più delle volte anche non v’interveniste, e non vi ricordate già più quasi di niente: e con questo bel corredo di scienza vi mettete a leggere un libro perverso? Ma come farete a scoprire le frodi e le fallacie che sono in essi senza una cognizione alquanto ampia della dottrina Cattolica? Se avete in mano un orologio che non cammina, conoscete voi perciò il motivo per cui non cammina? Eh bisogna aver pratica di tutto il suo meccanismo interiore per iscoprire dove stia il difetto. Lo stesso è a dirsi nel caso nostro. Dovreste conoscere tutta la Scrittura con tutti i suoi fondamenti per ravvisare subito in che siano riposti gli errori che essi v’insinuano, e non avendo voi mai fatti quegli studii, beverete grosso yutto quello che essi vi presenteranno; troverete buoni tutti i sofismi, vi parranno verità tutti gli errori, e riuscendovi al tutto impossibile di conoscere le frodi, le arti, le insidie che quei perversi mettono in campo, rimarrete alla fine miseramente sedotti. Ecco quello che è accaduto ad altri, ed ecco quello che avverrà anche a voi. Aggiungete che voi dite di voler conoscere l’una e l’altra parte: ma nel fatto poi non è vero. Vi conducete volentieri a leggere quei sofismi, ma quando è che leggete poi la verità? Su qual libri, a quale scuola l’apprendete? Anche nelle città dove vi è maggior copia di libri e d’istruzione, l’esperienza insegna che non si leggono né punto né poco i libri che espongono la S. Fede, che la illustrano, che la difendono, che ne mostrano i saldissimi fondamenti, che questi libri non si conoscono e non si vogliono conoscere: tanto che si giudica sempre della S. Fede da quel che ne dicono i nemici di lei: ma nelle campagne non solo non si fa nessuno studio della Religione, perché non si trova il tempo, ma non vi è pur possibilità alcuna di farlo perché mancano al tutto i libri opportuni. Laonde se si beve il veleno, il contravveleno affatto non vi è. – E ciò per non dir nulla di quel che accade molte volte, che Dio per gastigo della disobbedienza fatta alla Chiesa quando si legge quello che essa divieta, permette poi che chi si fidava di sé provi con l’esperienza la sua debolezza e venga a prevaricare. Che se non si giunge sino a quest’ultimo eccesso, la Fede rimane almeno indebolita, sorgono poi dei dubbi, delle angustie, e così o l’anima resta molto tempo travagliata oppure si apre una strada funesta che può mettere col tempo sino all’incredulità. Ma le vostre precauzioni in fatto di libri non si hanno a restringere solamente a quelli che apertamente malvagi assaltano senza riguardo la S. Fede; si deve stendere anche a quelli, che il fanno forse con maggior efficacia, perché più copertamente. Iovoglio significare con ciò una turba di Romanzi i quali avventano qua e là come di passaggio i loro colpi contro la Chiesa, certe storie maligne che mettono sotto false vedute le gesta dei Romani Pontefici, certe novelle scostumate che deridono i Sacerdoti ed i Religiosi, certe gazzette maligne che ne’ racconti infami delle loro appendici non rispettano nulla di quello che è più venerando in cielo ed in terra: tutte queste letture feriscono se non sempre direttamente, almeno indirettamente la S. Fede e le tolgono la vivezza, il lustro e lo splendore che dovrebbe avere. Il perché ricordatevi bene che avete obbligo strettissimo di rigettare quei libri funesti non accettandoli né conservandoli presso di voi, non leggendoli né prestandoli a leggere a veruno. E se siete padroni di casa, capi di bottega, padri di famiglia o in qualunque modo superiori ad altri, non dovete e non potete permettere ai vostri figliuoli. ai vostri subordinati e dipendenti che li tengano o comunque li leggano. Sapete quel che dice il proverbio? Tanto ne va a chi ruba quanto a chi tiene il sacco: tanto ne va a chi tiene come a chi scortica. E questo giudizio si pronunzia nell’altro mondo non meno che in questo.