SALMO 48: Audite hæc, omnes gentes
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET
MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES
TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES
PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati,
interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni
seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori
cattolici più rinomati da …]
Par M.
l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE
L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence
sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons,
Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME PREMIER.
PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 48 (1)
In finem, filiis Core. Psalmus.
[1] Audite hæc, omnes gentes;
auribus percipite, omnes qui habitatis orbem:
[2] quique terrigenæ et filii hominum, simul in unum dives et pauper.
[3] Os meum loquetur sapientiam, et meditatio cordis mei prudentiam.
[4] Inclinabo in parabolam aurem meam; aperiam in psalterio propositionem meam.
[5] Cur timebo in die mala? Iniquitas calcanei mei circumdabit me.
[6] Qui confidunt in virtute sua, et in multitudine divitiarum suarum gloriantur.
[7] Frater non redimit, redimet homo: non dabit Deo placationem suam,
[8] et pretium redemptionis animae suæ. Et laborabit in æternum;
[9] et vivet adhuc in finem.
[10] Non videbit interitum, cum viderit sapientes morientes. Simul insipiens et stultus peribunt; et relinquent alienis divitias suas;
[11] et sepulchra eorum domus illorum in æternum, tabernacula eorum in progenie et progenie; vocaverunt nomina sua in terris suis.
[12] Et homo, cum in honore esset, non intellexit. Comparatus est jumentis insipientibus, et similis factus est illis.
[13] Haec via illorum scandalum ipsis; et postea in ore suo complacebunt.
[14] Sicut oves in inferno positi sunt: mors depascet eos. Et dominabuntur eorum justi in matutino; et auxilium eorum veterascet in inferno a gloria eorum.
[15] Verumtamen Deus redimet animam meam de manu inferi, cum acceperit me.
[16] Ne timueris cum dives factus fuerit homo, et cum multiplicata fuerit gloria domus ejus;
[17] quoniam, cum interierit, non sumet omnia, neque descendet cum eo gloria ejus.
[18] Quia anima ejus in vita ipsius benedicetur; confitebitur tibi cum benefeceris ei.
[19] Introibit usque in progenies patrum suorum; et usque in æternum non videbit lumen.
[20] Homo, cum in honore esset, non intellexit. Comparatus est jumentis insipientibus, et similis factus est illis.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XLVIII (1)
Esortazione a
seguir la virtù e scampar dal vizio.
Per la fine; ai figliuoli di Core.
1. Udite queste cose, o nazioni quante
voi siete; porgete le vostre orecchie, tutti voi abitatori della terra;
2. E voi di stirpe oscura, e voi di
nobil lignaggio: il povero insieme ed il ricco.
3. La mia bocca parlerà sapienza, e la
meditazione del mio spirito parole di prudenza.
4. Terrò intente le orecchie alla
parabola; esporrò sul salterio il mio tema.
5. Per qual ragione sarò io timoroso nel
cattivo giorno? l’iniquità dell’opere mie mi premerà d’ogni parte.
6. Cosi quelli che si confidano nella loro
potenza, e si gloriano dell’abbondanza dì ricchezze.
7. Il fratello non riscatta, e un altr’uomo
riscatterà? nessuno darà a Dio cosa atta a placarlo,
8. Né il prezzo di riscatto per l’anima
sua: ed ei sarà eternamente nell’afflizione,
9. E tuttavia vivrà perpetuamente.
10. Non vedrà egli la morte, mentre ha veduto
che muoiono i saggi? L’insensato e lo stolto perirà egualmente.
11. E lasceranno le loro ricchezze ad estranei; e i loro sepolcri saranno le loro case in eterno. E i loro tabernacoli per tutte le generazioni; diedero essi i loro nomi alle loro terre.
12. E l’uomo, posto in nobile
condizione, ha avuto discernimento; è stato paragonatp ai giumenti senza
ragione, ed è divenuto simile ad essi.
13. Questo far di costoro è per essi uno
scandalo, e quelli che vengono dopo, si compiaceranno de’ lor dettati.
14. Sono stati messi nell’inferno a gregge, come le pecore; saran pascolo della morte. E i giusti, al mattino, avran dominio sopra di essi; e dopo la loro gloria ogni soccorso verrà meno per essi nell’inferno.
15. Iddio pero riscatterà l’anima mia
dal potere dell’inferno, quando egli mi prenderà.
16. Non ti faccia specie, quando un uomo
sia diventato ricco e sia cresciuta in gloria la casa di lui.
17. Imperocché, morto che sia, non
porterà nulla seco, e non andrà dietro lui la sua gloria.
18. Imperocché sarà benedetta l’anima di
lui, mentre ei viverà; ti loderà quando tu gli avrai fatto del bene.
19. Andrà fin laggiù a trovare la
progenie dei padri suoi, e non vedrà lume in eterno.
20. L’uomo, posto in nobile condizione,
non ha avuto discernimento; è stato paragonato ai giumenti senza ragione ed è
divenuto simile ad essi.
(1) – Questo salmo
molto difficile secondo il giudizio di tutti gli interpreti, sarebbe secondo M.
Le Hir (Les Psaumes, etc.), uno di quelli della vulgata che si
allontana in più punti dal testo ebraico. Noi non di meno siamo rimasti fedeli
alla traduzione della Vulgata, ed il senso che essa presenta è stata la
sorgente delle idee più belle e delle più serie considerazioni, come si potrà
giudicare dagli estratti dei Santi Padri che noi qui riportiamo.
Sommario
analitico
Il
Profeta considerando la breve durata della potenza degli empi, il loro giudizio
e la loro rovina eterna,
I. – Propone il soggetto che vuol
trattare:
1° invita
tutti gli uomini, di ogni nazione, di ogni classe, ad intenderlo (1);
2°
eccita l’attenzione del corpo e dello spirito – a) per la natura del soggetto
che sta per trattare: egli è pieno di saggezza e di prudenza e avviluppato da
una oscurità misteriosa (3); – b) per la maniera con cui lo tratterà; egli lo
propone dopo averlo meditato ed aver prestato orecchio a Dio che lo istruisce
(4).
II. – Mostra che i ricchi empi debbano
temere:
– 1°
a causa della morte, a) quando i loro peccati li circonderanno e li accuseranno
(5); b) quando le speranze che avevano riposte nelle loro ricchezze saranno
annientate (6); c) quando nessuno prenderà le loro difese, né i loro parenti o
i loro amici, né Dio irritato, né le loro ricchezze, ed occorrerà
necessariamente subire l’impero della morte (7-11).
– 2°
A causa delle sequele della morte: – a) le loro ricchezze perdute (10); – b) i
loro corpi vittime della corruzione della tomba (11); – c) le loro case passate
ad altri proprietari; – d) il loro nome caduto nell’oblio con le loro terre
(11).
3° A
causa dei castighi che li attendono nell’inferno: – a) essi riceveranno la
giusta punizione per i crimini enormi che hanno commesso: 1) privando il loro
spirito della luce della ragione; 2) turbando la loro volontà e corrompendo le
loro azioni (12); 3) glorificando la loro condotta criminale (13). – b) Essi
saranno rigorosamente castigati: 1) dai demoni che li precipiteranno negli
inferi come un vile capro; 2) dalla morte di cui saranno preda e che li
divorerà (14).
III. – Egli dimostra come gli empi non
siano da temere:
1°
Né nell’altra vita, ove a) il dominio degli empi farà posto a quelli dei giusti
(14); ove b) i giusti saranno liberati e riuniti a Dio (15);
2°
Né in questa vita, ove: – a) essi hanno beni ed onori in abbondanza, ma dei
quali non gioiranno a lungo e non oltre la tomba (16, 17); – b) essi
riceveranno quaggiù gli elogi e le lodi degli adulatori, ma questi elogi e
queste adulazioni non li salveranno né dalla morte né dalla dannazione, e non
li eleveranno al di sopra degli animali ai quali sono divenuti simili (18-20).
Spiegazioni
e Considerazioni
I. – 1-4.
ff. 1, 2. – Il Re-Profeta sta per darci in questo salmo delle grandi
e misteriose lezioni; egli infatti non inviterebbe il mondo intero per venire
ad ascoltarlo, non sceglierebbe l’universo come teatro, se non avesse da farci
conoscere delle grandi ed importanti verità, degne di essere insegnate ad una
sì vasta assemblea. Non solo ai Giudei egli parla come Profeta, ma si indirizza
come Apostolo, come Evangelista, all’intero genere umano. La legge non
indirizzava i suoi insegnamenti che ad una sola nazione, in un solo angolo
della terra; ma la predicazione evangelica si è diffusa su tutta le superficie
del pianeta, si è estesa fino alle estremità del mondo abitato ed ha percorso
tante contrade quante il sole ne ha illuminato con i suoi raggi. La lezione è solenne,
l’insegnamento è grave: Dio raduna la terra intera, tutte le fortune, tutte le
condizioni devono egualmente ascoltare (S.
Bas.; S. Chrys.). – Dopo questo richiamo, egli reprime l’orgoglio che
la vista della loro grande moltitudine poteva ispirare. E come reprime la loro
vana sufficienza? Con il ricordo della loro comune natura. « Voi tutti che
abitate la terra », e che nei vostri sogni orgogliosi, misconoscete la vostra
origine, la vostra vita effimera, la vostra morte sempre pronta, le forme
mortali della polvere alla quale devono rapidamente ritornare, senza distinzioni
di onore e di fortuna: considerate cosa sia la vostra madre, e questa
considerazione smorzi in voi ogni sentimento di orgoglio. Abbassate ed umiliate
questi pensieri superbi, considerate che « … voi siete polvere e tornerete
nella polvere » (Gen. III, 49),
e così stornerete da voi ogni arroganza, ed ecco l’uditore che mi abbisogna. Io
vorrei ispirarvi sentimenti di moderazione, per rendervi più idonei a
comprendere le mie parole, « ricchi e poveri ». Voi vedete qual sia la nobiltà
e la generosità della Chiesa. E come negare questa nobiltà, quando la
differenza di condizione non è punto per essa un motivo di eccezione di persona
tra i suoi discepoli, ma che noi vediamo spandere indistintamente la sua
dottrina sul povero e sul ricco, per farli sedere entrambi ad una tavola
comune? Dopo aver mostrato il legame che li unisce, cioè l’aver mostrato la
terra come origine comune, l’essere tutti figli degli uomini ed avere una
medesima natura, occorre vedere che la distinzione che fuoriesce dalla
differenza delle condizioni sociali sia nulla, chiamati come sono tutti
indistintamente ad ascoltare le sue parole. Io vi invito tutti in generale,
poiché noi abbiamo tutti una comune natura, perché la terra intera è la nostra comune
città. Voi avete introdotto ancora un’altra distinzione, e con questa, un’altra
ineguaglianza, fondata sulla povertà e la ricchezza; io le respingo ugualmente:
io non ammetto che i ricchi respingano i poveri, e non ammetto affatto che i
poveri respingano i ricchi, io li convoco tutti senza distinzione, e nel
richiamo che faccio loro, non c’è né primo né ultimo: tutti sono chiamati nello
stesso tempo. L’assemblea, il discorso, gli uditori, tutto è comune. Voi siete
ricco, ma non siete uscito che dallo stesso fango, ed avevo avuto lo stesso
ingresso nel mondo, la stessa origine del povero: voi siete figlio degli uomini,
egli lo è ugualmente. Dappertutto allora io cerco inutilmente questa
uguaglianza tra il ricco ed il povero: essa non esiste né nei tribunali, né nei
palazzi, né nelle riunioni politiche, né nei banchetti; qui il ricco è onorato,
il povero non raccoglie che disprezzo; l’uno ha ogni libertà, l’altro è coperto
di onta. In questa assemblea non è affatto così: io non voglio queste
distinzioni insensate, e propongo a tutti una dottrina comune (S. Chrys.). – Tutti sono
semplicemente chiamati, perché la sorgente della saggezza è aperta
abbondantemente a tutti; non la si compra affatto col denaro, perché essa è
senza prezzo, superiore a tutti i tesori della terra. Così il ricco non è
allontanato, il povero non è escluso; poiché la saggezza non distingue lo stato
di fortuna, ma le volontà; essa non dà preferenza che a colui che è primo per
l’afflizione del cuore e più vicino per la regolarità della vita (S. Ambr.).
ff. 3, 4. – Dopo aver detto:
« la mia bocca pronuncerà delle parole di saggezza », per farvi comprendere che
ciò che esce dalle sue labbra prende origine nel suo cuore, egli aggiunge: « … e
dalla meditazione del cuore uscirà l’intelligenza » (S. Agost.). – Secondo la dottrina dell’Apostolo, « bisogna
credere col cuore per ottenere la giustizia, e confessare con la bocca per
ottenere la salvezza » (Rom. X, 10), e questi due atti uniti
formano la perfezione. È per questo che il salmista aggiunge qui l’azione della
bocca alla meditazione del cuore; perché se il bene non esiste dapprima in
fondo all’anima, come colui che non possiede il buon tesoro nel segreto del suo
cuore, potrà produrlo all’esterno con la sua bocca? (S. Bas.). – Il dottore che insegna agli altri non deve
essere che l’organo della sapienza di Dio. Egli non deve dire niente che non abbia
a lungo meditato nel fondo del suo cuore, e prima che scopra loro quel che
vuole proporre, deve aver cura di rendere egli stesso le sue orecchie attente
alle lezioni dello Spirito Santo, cioè a tutti i misteri della sua verità, coperti
dai veli dell’allegoria (S. Bas.).
– « … Io presterò orecchio alle parabole ». Ma dov’è il legame con ciò che
precede? In luogo di un dottore, io vedo ora un discepolo. Voi ci chiamate per
venire a ricevere degli insegnamenti utili e, quando abbiamo tutti risposto al
vostro appello e siamo tutti riuniti intorno a voi, dopo averci promesso di
farci ascoltare le parole di saggezza, in luogo di tenerci questo linguaggio,
voi lasciate l’ufficio di dottore per prendere quello di discepolo: « Io
presterò – egli dice – l’orecchio per ascoltare le parabole. » Cosa significano
queste parole? Esse sono perfettamente in rapporto con ciò che le precede. Io
voglio – egli ha detto – farvi intendere il linguaggio della sapienza, ma non
immagini nessuno che sia un linguaggio umano, e che questa meditazione del mio
cuore sia un’invenzione personale. Le parole che state per ascoltare sono
divine; io non dirò nulla da me stesso e non vi trametterò se non gli
insegnamenti che io stesso ho ricevuto. Io ho inclinato il mio orecchio per
intendere le parole di Dio, e sono queste parole discese dal cielo nella mia
anima che devo fare intendere tutte a mia volta. È ciò che Isaia esprimeva in
questi termini: « Il Signore mi ha dato un linguaggio sapiente per distinguere
il tempo in cui io devo parlare, ed ha preparato il mio orecchio per ascoltarlo
» (Isai. L, 4; S. Chrys.). –
Non siate dunque sorpresi da questa espressione. « La meditazione del mio cuore
». Il Re-Profeta meditava continuamente gli insegnamenti che aveva ricevuto
dallo Spirito-Santo, e li ripassava nella sua anima, e solo dopo lunga
meditazione li trasmetteva agli altri. (S. Chrys.). – Il predicatore può
raccogliere qui delle lezioni molto importanti: – 1° Egli deve predicare la
saggezza di Dio contenuta nelle sante Scritture, e non negli insegnamenti di
una saggezza tutta umana. – 2° Se egli vuole che Dio lo riempia di questa
saggezza, occorre che la distribuisca al popolo. Una sorgente che non si spande
si corrompe e si esaurisce, ma al contrario più essa si espande, più diviene
abbondante e pura. – 3° La meditazione è la madre della prudenza: essa è
indispensabilmente necessaria al predicatore per riempire il suo spirito di
luce divina, e fare che non gli sfugga alcuna parola imprudente o temeraria nel
corso dei suoi insegnamenti.
II. — 5-14.
ff. 5. – Il giorno del giudizio: « giorno di collera, giorno
di tristezza e di spasimi del cuore, giorno di afflizione e di miseria, giorno
di tenebre ed oscurità, giorno di nubi e di tempeste »; in una parola: « Giorno
cattivo », particolarmente per « coloro che si trovano avvolti nell’iniquità
delle loro vie » (Dug.). Nei
giudizi degli uomini, si può temere la seduzione, la frode, l’insidia, ma nel
giudizio di Dio la sola cosa che sia spaventevole, è il trovarsi invischiati
nel peccato. E perché il peccato è così terribile in questo momento? È perché esso
condanna il peccatore alle pene eterne dell’inferno. (S. Chrys.). – Questo
cattivo giorno, è il giorno della morte, il giorno del giudizio, nel quale
ciascuno sarà come circondato dai suoi pensieri e dalle sue azioni. Se il dire spesso:
« verrà per me un giorno cattivo nel quale alla mia apparente tranquillità
della vita presente succederanno il dolore e l’angoscia, in cui il mondo
sparirà tutto ad un tratto dai miei occhi, con tutte le sue illusioni che hanno
così spesso abusato del mio spirito, e mi lascerà da solo di fronte alla morte.
Che avrò allora da temere? Le tracce dell’iniquità che si sono attaccate alle
mie vie. Durante questa vita essa mi seguiva, si nascondeva sotto le mie vie.
In questo giorno funesto essa si svelerà e diventerà per la mia anima una veste
che la circonderà da ogni parte. Non si presenterà alcun accusatore se non le
opere della vostra vita, ciascuna con il proprio carattere e con le circostanze
distintive » (S. Bas.).
ff. 6. – Il profeta non biasima qui il possesso della potenza
e delle ricchezze, ma soltanto la falsa fiducia dei potenti e dei ricchi del
secolo, che non conoscono come veri beni se non quelli della vita presente,
come vere gioie, se non quelle dei piaceri della terra, che immaginano che le
loro ricchezze siano sufficienti, che non serva loro nessun’altra redenzione,
che la loro gioia sarà interminabile ed il loro avvenire assicurato. Il
salmista ci insegna di conseguenza ad intravedere, nell’acquisizione ed nel
possesso dei beni temporali, la fine dei nostri giorni, alfine di non dare a
questi beni l’importanza che essi non meritano. Colui che pensa alla morte
arricchisce senza ambizioni e possiede senza orgoglio; egli sa che un giorno lo
splendore inseparabile dall’opulenza svanirà, e ricorda l’esempio di tanti
ricchi che sono entrati nella notte della tomba, e hanno portato con sé se non
ciò che non è stato rifiutato al più miserabile dei mortali, un sudario, una
bara e sei piedi di terra. Il ricco pieno di questi pensieri cerca di osservare
i precetti dell’Apostolo (Tim. VI, 17-19): di non essere
orgoglioso, di non porre la sua fiducia nelle ricchezze incerte, ma nel Dio
vivente, che ci dà con abbondanza ciò che è necessario alla vita; di essere
caritatevole e benefattore, ricco in buone opere, di dare di buon cuore, di far
parte dei propri beni i poveri, a farsi così un tesoro ed un fondamento solido
per l’avvenire al fine di abbracciare la vera vita (Berthier).
ff. 7, 9. – Ci sono di coloro che presumono dei loro amici, di
coloro che presumono dei loro fratelli, ed altri delle loro ricchezze. È la
presunzione di ogni uomo che non mette in Dio solo la sua fiducia. Ciò che è
detto della forza personale, quello che è detto delle ricchezze, è detto
egualmente degli amici: « … se il fratello non redime suo fratello, un uomo forse
lo redimerà? » Aspettate forse che un uomo vi riscatti dalla collera che
giungerà? Se non vi riscatta un vostro fratello, vi potrà riscattare mai un
uomo? (S. Agost.). – Dov’è qui la sequenza delle idee? Essa non potrebbe
essere più stretta e lampante. Il Re-Profeta parlava del giudizio, del
terribile conto che dobbiamo rendere, e di questa sentenza che niente può
corrompere. Ora, come nei giudizi della terra ci sono molti che hanno corrotto
la giustizia e che sono sfuggiti al supplizio comprando i giudici in cambio di
denaro, egli proclama che la giustizia divina è inaccessibile ad ogni
corruzione, ed accresce il timore che ha cercato di inspirare dimostrando di aver
avuto ragione nel dire che non c’era che una sola paura legittima: quella che
viene dal peccato! Perché davanti a questo tribunale, la giustizia non può
essere corrotta al prezzo di denaro, le regalie non possono liberare dai
supplizi dell’inferno, e non c’è protezione, né eloquenza, né alcun altro mezzo
capace di salvarci. Sia che siate ricco, potente, o conosciuto da personaggi
influenti, tutto questo sarà inutile: solo le vostre opere saranno qui la causa
del vostro castigo o della vostra ricompensa (S. Chrys.). – Nessuna
creatura è capace di riparare l’ingiuria infinita che è stata fatta a Dio con
il proprio crimine. I teologi lo provano molto bene con ragioni invincibili; ma
è sufficiente dirvi che è una legge pronunziata in cielo e resa nota a tutti i
mortali dalla bocca del santo salmista: « nessuno può riscattare se stesso, né
rendere a Dio il prezzo della propria anima! ». Egli può sottomettersi alla sua
giustizia, ma non può ritirarsi dalla sua servitù (Bossuet, II Serm. Pour le Vendredi-Saint). – Il pensiero del
Profeta è lo stesso di Gesù-Cristo nel suo Vangelo: « … Che darà l’uomo in
cambio della sua anima? » Il mondo intero stesso non sarà sufficiente a suo
riscatto (S. Chrys.). – In questo momento decisivo per la nostra
eternità, nessuna protezione, nessun favore, nessuna opulenza, nessuna sapienza
puramente umana potranno costituire un prezzo di riscatto. Solo l’uomo
arricchito dalle buone opere potrà comparire con sicurezza presso il tribunale
del Giudice sovrano (Berthier). – Dopo che l’anima sarà
separata dal corpo, essa continuerà a vivere, perché essa non perirà con il
corpo, ma le sarà conservata la vita per soffrire, fino a che, riunita di nuovo
al suo corpo, essa sarà sprofondata con esso nei tormenti eterni. (S.
Agost. – S. Girol.).
ff. 10. – Egli non comprenderà ciò che è la morte quando vedrà
il saggio morire. Egli dice in effetti a se stesso: colui che era saggio, nel
quale abitava la saggezza e che praticava la pietà verso Dio, non è forse morto?
Allora io mi tratterò bene finché vivrò, perché se coloro che avevano altri
gusti possedevano qualche potere, essi non sarebbero morti. Egli vede morire il
saggio, e non vede ciò che cosa sia la sua morte (S. Agost.). – È l’accecamento deplorevole, ma
ordinario dei ricchi attaccati ai beni di questo mondo. Essi vedono tutti i
giorni i giusti, che sono i veri saggi, morire davanti a loro, e non credono
che questa morte li riguardi. Essi la guardano in qualche modo, senza vederla,
e così non lasceranno di perire per l’eternità (Duguet). – « L’imprudente e l’insensato periscono insieme ».
Chi è l’imprudente? Colui che non sa provvedersi per l’avvenire. Chi è
l’insensato? Colui che non comprende il cattivo stato in cui si trova. Quanto a
voi, cercate di comprendere in quale posizione cattiva vi trovate, e sappiate
per l’avvenire portarvi verso una posizione più felice. Comprendendo il vostro
stato spiacevole, non sarete più insensato; prevedendo il vostro avvenire, non
sarete più imprudente (S. Agost.).
– Sembra che il Profeta consideri maledetti coloro i cui beni passano in mane
estranee: quindi è felice colui che li lascia ai propri figli. Io vedo in
effetti morire molti malvagi che hanno come successori i loro figli, e la
scrittura non ha potuto eliminare, nelle sue parole, ogni idea di sofferenza da
coloro dei quali riprova la vita; così, non pensate che ritenga che ogni
malvagio lasci le proprie ricchezze a degli estranei? Come i figli di un uomo
possono essere degli estranei per lui? I figli dei malvagi sono degli estranei
per essi; perché noi troviamo che un estraneo sia divenuto il prossimo di un uomo
solo per essergli stato utile. Se una dei vostri non vi serve a nulla, egli è
un estraneo per voi. Perché il Profeta dice « … a degli estranei », benché siano
dei figli ed eredi naturali? Perché questi eredi non possono essere utili in
nulla, anche nelle cose che sembrano essergli utili (S. Agost.).
ff. 11. – Il Profeta dà alle loro tombe il nome di « case »,
perché esse sono dei veri edifici; infatti voi sentite il ricco dire: … io ho
una casa di marmo che dovrò lasciare, e non penso a costruirmi la casa eterna
che non lascerò mai. Quando egli pensa di costruirsi una tomba marmorea,
riccamente scolpita, la concepisce come una dimora eterna, come se in essa
dovesse abitarvi. Se egli vi restasse, non sarebbe bruciato negli inferi.
Bisogna pensare al luogo ove dimora lo spirito di colui che fa il male, e non
al luogo ove si depone il corpo materiale (S.
Agost.). – In effetti il nome degli empi non è scritto nel libro dei
viventi, non è contato nell’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei
cieli; ma siccome essi hanno preferito in questa vita breve e passeggera i
tabernacoli eterni, i loro nomi dimorano nelle loro terre. Non vedete dunque
che coloro che costruiscono città, piazze pubbliche, edifici, acquedotti, che
tracciano strade, dànno i loro nomi a queste costruzioni? (S. Bas.). – « Essi hanno dato i loro nomi alle loro terre
perché le loro opere erano corruttibili e terrestri »; i loro nomi sono dunque
iscritti là dove essi hanno preferito vivere (S. Ambr.). – « Essi hanno dato i loro nomi alle loro terre »,
essi dànno i loro nomi e i loro titoli alle loro dimore, alle loro proprietà,
ai loro luoghi. Questa vana soddisfazione è per essi di gran consolazione, e
perseguono così l’ombra, invece della verità. Se volete immortalare il vostro
ricordo, o uomo, non iscrivete il vostro nome o i vostri titoli sulle vostre
case, ma elevate trofei composti dalle vostre buone opere, che preserveranno
quaggiù il vostro nome dall’oblio, e vi meriteranno nella vita futura un riposo
eterno. Questi monumenti al contrario, non solo non vi daranno alcuna
celebrità, ma faranno di voi l’oggetto di risate generali e perpetueranno, nel
corso dei tempi, il ricordo della vostra avarizia (S. Chrys.). – Gli
adoratori delle grandezze umane saranno forse soddisfatti della loro fortuna
quando vedranno che in un momento la loro gloria passerà al loro nome, i loro
titoli alle loro tombe, i loro beni a degli ingrati e le loro dignità forse a
coloro che li invidiano? (Bossuet,
Or. fun. de la Duch. D’Or.).
ff. 12. – Che parole sanguigne contro gli uomini che non hanno
compreso l’uso che dovevano fare delle loro ricchezze durante la loro vita, e si
credevano felici per sempre, possedendo come dimora eterna una ricca tomba di
marmo, e se i loro figli, eredi dei loro beni, avessero dato il loro nome alle
loro terre. Il loro nome è iscritto sulle loro terre, ma è un nome senza calore
e senza vita. Essi dovevano al contrario prepararsi, con le loro buone opere,
una casa eterna, acquistare una vita immortale, farsi precedere dalle loro
ricchezze, non entrare nella loro eternità se non con le buone opere. Ciò che
non ha compreso l’uomo elevato da onori, cioè fatto ad immagine e somiglianza
di Dio, l’uomo elevato ad un rango molto superiore a quello degli animali (S.
Agost.). – Ecco dunque che è così che Dio punisce l’infedeltà di coloro
che, essendo stati rigenerati dal Battesimo cristiano, essendo investiti dalla
luce rivelata, avendo conosciuto infine Dio mediante il Vangelo del Figlio suo Gesù-Cristo,
non vogliono di conseguenza glorificarlo… Troppo spesso, dei gaudenti orgogliosi, dalla
ragione fiera ed indipendente, cadono fino a grossolane voluttà. Non volendo
slanciarsi fino alle regioni pure e serene alle quali li conduce la fede, essi
scivolano nella direzione in pendenza, il preteso saggio cede alle passioni
dell’ignominia; e colui che in pubblico proclama le massime più severe
nell’ordine morale, ricadendo su se stesso, sporca il proprio corpo con il
peccato, la sua anima con i cattivi desideri, ed a volte la mani con
l’iniquità. E così si compie la parola del Salmista: « … l’uomo costituito in
gloria, non ha compreso la propria dignità »; egli è caduto e nella propria
caduta non ha potuto arrestarsi in una regione intermedia impossibile da
abitare: « … egli è caduto fino al livello delle bestie che non hanno
intelletto, ed è divenuto simile a loro », ed avendo vissuto della vita dei
sensi, è stato trovato degno di morte, che consiste anche nella pena eterna del
senso colpevole (Mgr. Pie, Inst. sur.
les princip. erreurs, etc., t. II, p. 441). – L’uomo, l’immagine di
Dio, quest’uomo marchiato dal sigillo di Dio, quest’uomo al di sopra della
bestia per il dono dell’intelligenza e per il raggio della luce che Dio gli ha
comunicato, dimenticando il carattere della sua grandezza, si è vergognosamente
degradato da sé medesimo; si è ridotto al rango dei bruti insensati, e come?
Per un vergognoso asservimento alla carne! (Bourd., Sur le Temp. chrét.). – Quando l’uomo si fa prendere
dall’ambizione, è un uomo che pecca, ma pecca come un Angelo, e perché? Perché
l’ambizione è un peccato tutto spirituale e di conseguenza, è proprio degli
Angeli. Quando egli soccombe all’avarizia ed alla tentazione dell’interesse, è
un uomo che pecca, che pecca da uomo, perché l’avarizia è uno sconvolgimento
della lussuria che non riguarda che l’uomo. Ma quando si abbandona ai desideri
della carne, egli pecca da bestia, perché segue il movimento di una passione
predominante nelle bestie. Ora, se pecca da bestia, non ha più la luce dello
spirito che lo distingue dalle bestie, è degradato dalla sua condizione, ed è
anche al di sotto della condizione delle bestie, perché tra le bestie e lui non
c’è alcun’altra differenza, se non che egli è criminale nel suo comportamento,
cosa che le bestie non possono essere. È il ragionamento di San Bernardo, e
l’esperienza lo giustifica tutti i giorni, perché noi vediamo questi uomini
schiavi della loro sensualità, nel momento in cui la passione li sollecita,
chiudere gli occhi a tutte le considerazioni divine ed umane. Non convengono
più di cose di cui essi erano precedentemente persuasi, non credono più in ciò
in cui essi credevano, non credono più in niente di ciò che temevano, non sono più
capaci di rimostranze. Agire senza regole e senza condotta, è divenire brutali
ed insensati (Bourd., Sur l’impur).
– Il Re-Profeta dice che il peccatore si porta al livello delle bestie
senza intelligenza. Ma, diciamolo con forza, per certi eccessi di crimini ai
quali l’uomo si abbandona, l’espressione è troppo debole. Sì, egli è ancora più
in basso, in un abisso più oscuro, in un fango più ignominioso, e discende più
in basso del bruto, tenuto dal suo istinto nei limiti che la sua destinazione e
le sue funzioni gli hanno fissato.
ff. 13. – Questa strada per la quale essi marciano, queste cure
frettolose, questi vani lavori, questa passione insensata per le ricchezze,
questo amore insaziabile di gloria e di piaceri, ecco che, prima dei castighi
dell’altra vita, divengono per essi quaggiù, occasione di scandalo e di rovina;
« … questa via è per essi occasione di scandalo », cioè si incatenano da se
stessi e creano degli ostacoli che impediscono loro di avanzare (S. Chrys.). – Questi
attaccamenti eccessivi ai beni ed ai godimenti della terra è pietra d’inciampo
per essi, perché questo attaccamento fa loro compiere delle cadute continue. Un
ricco stordito dalla sua opulenza, non si rifiuta nessuna soddisfazione, e
piomba in tutti gli eccessi che la passione gli suggerisce (Berthier). « … E non tralasciano
di compiacersene ». Ecco per essi il colmo del dolore e la causa di ogni altro
male. Coloro che si rendono colpevoli di questi vizi, si proclamano felici e
degni di invidia, si compiacciono delle loro azioni malvagie, si gloriano dei
loro smarrimenti e si vantano di ciò di cui dovrebbero umiliarsi (S. Chrys.). La loro indifferenza
è ai loro occhi quasi una grandezza d’animo, la loro incredulità una prova di
forza di spirito. La follia del loro linguaggio eguaglia la follia della loro
condotta, « … Essi si compiacciono nelle loro parole » (S. Chrys.).
ff. 14. – « Essi sono come le pecore poste nell’inferno; la
morte sarà il loro pastore ». Di chi la morte è il pastore? Di coloro che non
hanno voluto Gesù-Cristo come pastore (S. Ambr.); di coloro per i quali la
vita è occasione di caduta. Di chi ancora? Di coloro che non si preoccupano che
del presente ed affatto dell’avvenire; di coloro che non curano che questa
vita, la quale a buon diritto è chiamata col nome di morte. Non è dunque senza
ragione che, simili a pecore rinchiuse nell’inferno, essi hanno la morte come
pastore (S. Agost.). – Essi sono divenuti simili alle bestie, e saranno
trattati come bestie. Essi saranno precipitati nell’inferno con la stessa
facilità con la quale un pastore fa entrare le sue pecore nell’ovile; la morte
li divorerà con la stessa facilità con cui un lupo affamato divora una pecora;
essi saranno la preda eterna della morte, senza essere mai consumati, essendo,
secondo la parola del Figlio di Dio (Marco,
IX, 47), salati con questo fuoco come vittime eterne della divina
giustizia (Duguet). – « … Essi
saranno avviati come pecore ». Quale caduta per questi uomini così arroganti,
sì fieri, sì dominatori. Essi regnano, essi sono opulenti, occupano i posti
elevati, le loro volontà sono leggi, tutto si inchina davanti alla loro parola,
tutto cede al loro potere assoluto; poi tutto ad un tratto, la morte li
sconvolge, la morte diventa loro pastore; essa li caccia, li conduce senza
resistenza, li dirige con tutti gli altri nella tomba. « Ed i giusti domineranno
su di essi, quando sarà venuto il mattino »; questo vuol dire che la morte non
sarà sola a dominarli: i giusti li domineranno prontamente e per sempre, e non
avranno perciò bisogno né di tempo, né di sforzi, né di attesa; perché è nella
natura delle cose che il vizio subisca l’impero della virtù che teme e da cui è
terrorizzato, malgrado il trucco da cui è ricoperto ed i suoi numerosi camuffamenti,
e quand’anche la virtù sarà spogliata dalle sue brillantezze esterne e ridotta
alle sue proprie forze (S. Chrys.).
– « I giusti saranno i loro dominatori, quando sarà giunto il mattino ».
Lasciate passare la notte con pazienza, desiderate il mattino. Non crediate che
la notte possegga la vita, e che il mattino non la possegga. I giusti ozieranno
ancora nella loro sofferenza, ma perché? Perché è ancora notte. Che vuol dire:
è notte? Il meriti dei giusti non appaiono, e non si parla per così dire che
della felicità degli empi. L’erba sembra più bella dell’albero finché dura
l’inverno. In effetti l’erba cresce durante l’inverno, mentre l’albero è come
disseccato; ma quando al ritorno dell’estate, il sole produce il suo calore,
l’albero che in inverno sembrava arido, si copre di foglie e produce i suoi
frutti, mentre l’erba risecca; allora vedrete l’albero in tutta la sua
bellezza, mentre l’erba è arida. Così i giusti soffrono finché non arriva
l’estate. La vita è rinchiusa nella radice, e non sembra apparire nei rami. Ora
la nostra radice è la carità. È notte, non si vede ancora cosa possediamo. Le
nostre mani non siano dunque inattive nelle buone opere … il nostro lavoro
apparirà al mattino, e con lui, al mattino, appariranno i frutti di questo
lavoro, di modo che coloro che soffrono ora avranno allora il riposo, e coloro
che ora si vantano e si inorgogliscono, saranno allora nella dipendenza (S. Agost.). –
« Ed
il loro supporto invecchierà nell’inferno », cioè sarà ridotto all’estrema
debolezza. Non solo saranno facilmente vincibili, in assenza di ogni soccorso
ed appoggio, e saranno esposti ai colpi di tutti i loro nemici, ma non
troveranno nessuno che li difenda, che porti loro soccorso, che tenda loro una
mano e li consoli in mezzo alle sofferenze (S. Chrys.). – « … E la forza che era il loro soccorso
invecchierà nell’inferno, dopo la gloria di cui avranno goduto ». Ora essi
possiedono la gloria, ma invecchieranno nell’inferno. E qual era questa forza che
faceva loro da soccorso? Il soccorso del loro denaro, dei loro amici, della
loro potenza (S. Agost.).
III. 15-20.
ff. 15. – Ascoltate la voce di colui che spera nell’avvenire: «
… ma Dio riscatterà la mia anima ». Forse è la voce di un uomo che desidera
essere liberato dall’oppressione? Un uomo chiuso in prigione grida: « Dio
riscatterà la mia anima ». E che dice ancora un uomo esposto ai pericoli del
mare, sballottato dai flutti e da una tempesta furiosa? Dio riscatterà la mia
anima. La liberazione che essi chiedono non concerne che questa vita. Tale non
è il pensiero del Profeta: « Dio, egli dice, riscatterà la mia anima dalle
potenze dell’inferno, quando mi avrà ricevuto ». Egli parla della redenzione di
Cristo (S. Agost.). – « Il
fratello non riscatta suo fratello, ha detto in precedenza, l’uomo estraneo
forse lo riscatterà? » Ma Gesù-Cristo ci ha riscattato veramente dalla
maledizione della legge (Gal. III, 13).
Noi abbiamo la redenzione dal suo sangue, e con essa la piena remissione dei
peccati (Efes. I, 7). Ecco
dunque il fatto positivo, effettivo, della redenzione del genere umano in
Gesù-Cristo: liberazione, guarigione, riscatto e remissione del peccato con il
suo Sangue. – Io so, dice il Profeta, che il mio corpo dovrà entrare nella
tomba, e che non ci sarà in questo nessuna differenza tra i peccatori e me; ma
io so che il Signore salverà la mia anima, questa parte così essenziale di me e
che la prenderà sotto la sua protezione. Io so che essa ha meritato la morte
eterna allontanandosi dalle vie della giustizia; ma io ho un Redentore che ha
pagato la mia cambiale, ed è in questo prezzo inestimabile che metto la mia
speranza (Berthier).
ff. 16. – Perché dirvi: « non temete? » – « Perché quando egli
morirà non porterà con sé tutti i suoi beni ». Voi lo vedete mentre egli vive;
pensate a ciò che sarà quando morirà. Voi notate ciò che ora possiede, ma
rimarcate anche ciò che porterà con sé. Cosa porterà con sé? Egli ha molto oro,
molti soldi, molte terre e molte aziende; egli muore e lascia tutti i beni
senza sapere a chi; perché se li lascia a chi vuole, non li conserva a chi
vuole. Tutte queste cose restano dunque e cosa porta con sé? Egli porta con sé,
direte voi, elevare una ricca tomba di marmo, destinata a perpetuare la sua
memoria; ecco cosa porta con sé. Ed io gli rispondo: neanche questo porta con
sé, perché queste cose sono date ad un essere insensibile … l’uomo alla morte
non porta con sé tutti i suoi beni, e non porta nemmeno ciò che è dato alla sua
sepoltura; perché dove c’è sensibilità, là c’è l’uomo; ove non c’è sensibilità,
non c’è l’uomo. A terra è steso il vaso che conteneva l’uomo, la casa che
racchiudeva l’uomo. Noi possiamo chiamare il corpo la casa dell’uomo e lo
spirito l’abitante della casa. Lo spirito è tortutato negli inferi; a cosa gli
serve il corpo avvolto in preziose lenzuoli, che riposa su profumi ed aromi? (S. Agost.). – La fortuna dei
ricchi ispira spesso terrore, quasi sempre la gelosia, ma è un’illusione.
Aspettate, dice S. Crisostomo, la morte viene, taglia fino alla radice e
l’albero cade con tutti i suoi rami. Allora colui che aveva ammassato tanti
tesori, che aveva tanti domestici a suo servizio, che possedeva tanti terreni,
tante case, se ne va solo, nessuno lo accompagna; egli non porta neanche gli
abiti di cui era coperto, e lascia ai vermi un cadavere ripugnante come cibo (S.
Chrys.). – Meditate la forza di questa espressione: « la sua gloria
non scenderà con lui ». La gloria del secolo non discende con il peccatore, ma
la gloria della virtù sale con l’innocente. E per riassumere, la gloria
dell’uomo sale con colui che sale e non discende con colui che scende. Quanto è
il frutto della grazia e della virtù sale. Si sale in paradiso, si discende
nell’inferno (S. Ambr.).
ff. 17. – È a coloro che lo spettacolo dell’ineguale
distribuzione dei beni di questa vita scandalizza e fa talvolta dubitar questa
potenza e del governo provvidenziale di Dio, particolarmente a coloro che
quaggiù hanno come porzione le privazioni e la povertà, che il Salmista si
indirizza qui: « non temete se vedete un uomo divenuto ricco ». I poveri in
effetti, hanno soprattutto bisogno di consolazione e di incoraggiamento per non
temere coloro che sono ricchi e potenti. Queste ricchezze, questa potenza non
saranno loro di nessuna utilità, poiché non potranno portarle con essi; il solo
beneficio che ne ricaveranno, sarà quello di essere considerati felici quaggiù
dai loro adulatori. Ma alla morte lungi dal portare con sé tutta questa
opulenza, avranno con sé appena un sudario per coprire il loro cadavere, ed
ancora saranno alla mercè dei servitori che li seppelliranno. Sarà già molto
per essi se si accorda loro un piccolo pezzo di terreno, per una commiserazione
e per un certo ripetto per la nostra comune natura. Non abbiate dunque timore
alcuno alla vista di queste cose presenti, ma attendete la vita eterna e
felice. Allora vedrete la povertà, l’ignominia e la privazione delle gioie di
questa vita, divenute per il giusto una fonte di felicità; voi sentirete il
Signore dire al ricco: « voi avete ricevuto i beni durante la vostra vita » (Luc. XVI, 25), mentre voi poveri
non avete che ricevuto male ed ora voi sarete consolati ed il ricco tormentato
(S. Bas.).
ff. 18. – I ricchi cercheranno con alacrità gli applausi del
popolo, gli sguardi e le attenzioni della moltitudine, le lodi del pubblico,
gli elogi mentitori della folla. Essi stimano essere al colmo del benessere
quando sono applauditi al loro ingresso in teatro, ai banchetti, ai tribunali;
quando sentono il loro nome ripetuto da bocca a bocca, quando sono considerati
oggetto di invidia. Ma vedete ancora come il Re-Profeta tolga ogni valore a
queste gioie, a causa della loro breve durata. Durano la sua vita, egli dice,
vale a dire che questo sguardi, queste lodi non vanno al di là di questa vita;
esse spariscono con tutti gli altri beni, anch’essi di natura passeggera e
deperibili. Ma ancora, a questi elogi puramente gratuiti succedono spesso dei
sentimenti completamente opposti, quando la morte ha fatto cadere la maschera
del terrore: “egli vi loderà quando gli farete del bene”. Vedete come ol
Re-Profeta condanna finanche i loro benefici. Voi li lusingate, prodigate loro
ogni sorta di onori, affettando per tempo sguardi esteriori e menzogneri. Essi
ve ne saranno riconoscenti, compreranno da voi ben caro, il diritto di dettarvi
ciò che a loro aggrada. Tale è il senso di queste parole: « egli vi loderà
quando voi gli avrete fatto del bene ». Egli non dice: quando avrete per lui
qualcosa di utile, quando gli avrete reso un servizio, ma: quando avrete fatto
quel che a lui aggrada; azione che rende doppiamente colpevole e le
testimonianze menzognere di riconoscenza ed i servizi pericolosi che ne sono la
causa (S. Chrys.). « Perché la sua anima riceverà la benedizione
durante la sua vita ». Finché è vissuto è stato bene. Tutti gli uomini parlano
così, ma non è vero. Questo bene era nel pensiero di colui che credeva di
trattarsi bene, ma non era così! Cosa dite in effetti di questo ricco? Che egli
ha mangiato ed ha bevuto, che ha fatto tutto ciò che ha voluto, che si è
compiaciuto nei suoi splendidi festini; che di conseguenza è vissuto bene? Io
invece dico: egli si è fatto del male, e non sono io che lo dico ma il Cristo.
Egli si è fatto del male. In effetti, questo ricco, ogni giorno si compiaceva
dei suoi ricchi festini, credendo di farsi del bene; ma quando ha cominciato a
bruciare negli inferi allora ha trovato che quel che credeva essere un bene,
era al contrario del male … perché ciò che aveva mangiato sulla terra, lo
doveva digerire negli inferi. Io parlo dell’iniquità che egli mangiava, dalla
bocca del suo corpo, egli mangiava dei cibi di grande valore; dalla bocca del
suo cuore, mangiava l’iniquità. Ciò che aveva mangiato sulla terra con la bocca
del suo cuore, egli lo digerisce ora nei supplizi dell’inferno; e ciò che aveva
mangiato in modo tutto passeggero, lo doveva digerire con dolori atroci in
eterno (S. Agost.).
ff. 19, 20. – « Egli entrerà nei luoghi della dimora dei
suoi padri » ; vuol dire che egli imiterà i suoi vizi e riceverà l’eredità
della loro perversità, come ha ricevuto da essi l’eredità della vita (S.
Chrys.). – « Egli prenderà posto nella discendenza dei suoi padri »,
cioè imiterà i suoi padri. I malvagi di oggi hanno dei fratelli e dei padri; i
malvagi dei secoli passati sono i padri del malvagi di oggi, e coloro che oggi
sono i malvagi, saranno i padri dei malvagi avvenire (S. Agost.). – Razza di
empi e riprovati che si saldano l’un l’altro e spesso cieca. Queste guide
cieche cadono alfine dopo essi negli abissi delle tenebre (Dug.). – « E per tutta
l’eternità non vedrà la luce ». Anche quando viveva quaggiù egli era nelle
tenebre, ponendo la sua gioia nei falsi beni, non avendo amore per i veri beni,
ed è per questo che, all’uscita da questo mondo, andrà nell’inferno, e dalle
tenebre di questo sonno, passerà nelle tenebre dei supplizi. Perché questa
sorte spaventosa? Il profeta ridice qui, alla fine del salmo, ciò che aveva già
detto prima. « L’uomo nella prosperità non comprende, etc. » (S. Agost.).