ESAME DI COSCIENZA (2) – S. Alfonso Rodriguez

TRATTATO VII. (2)

CAPO VI.

Che non si deve mutar facilmente la materiadell’esame particolare; e quanto tempo starà bene il farlo sopra la stessa cosa.

Bisogna qui avvertire, che non abbiamo da mutar facilmente la materia dell’esame, prendendo ora una cosa ed ora un’altra; perché questo è un andare, come si suol dire, raggirandosi, e non far viaggio; ma abbiamo da procurare di proseguir una cosa sino al fine, e poi mettersi dietro ad un’altra. – Una delle cagioni per cui alcuni cavano poco frutto dall’esame particolare, suol essere questa; perché non fanno altro, per così dire, che dare certi furiosi assalti, facendo l’esame sopra una cosa per otto o quindici giorni, o per un mese, e subito si straccano e se ne passano ad un’altra, senza aver conseguito quello che pretendevano nella prima: e così danno un impetuoso assalto, e poi un altro. Siccome uno che pigliasse per impresa il tirar su per le coste d’un monte fino alla cima di esso una pietra grossa, e dopo averla tirata su un pezzo si straccasse, e libera la lasciasse rotolare sino al basso, e di poi tornasse una e più altre volte a fare l’istesso; giammai, per molto che s’affaticasse, non finirebbe di collocare la pietra nel luogo preteso; così avviene a coloro i quali cominciano a far l’esame d’una cosa, e prima di condurla al fine e di conseguire il primo intento, la lasciano, e ne pigliano un’altra e poi un’altra. Questo è straccarsi e non finir mai: Semper dìscentes, et numquam ad scientias veritatis pervenientes (II. ad Tim. III, 7). Questo negozio della perfezione non si acquista per via di certi impeti furiosi che presto finiscono; ma bisogna con molta perseveranza insistere e pigliare a petto prima una cosa e poi l’altra, facendo sforzo sino a riuscire con essa, ancorché ci costi assai. Il beato S. Gio. Crisostomo (D. Chrys. hom. 5 sup. Gen.) dice: Siccome quei che scavano cercando qualche tesoro, o qualche miniera d’oro o d’argento, non lasciano di scavare, di buttar fuori la terra, e di levare via tutti gl’impedimenti che trovano, e di affondar otto o dieci pertiche, sino al trovare il tesoro che cercano; così noi altri, che cerchiamo le vere ricchezze spirituali e il vero tesoro della virtù e perfezione, non abbiamo da riposarci sino ad averlo trovato, vincendo tutte le difficoltà, senza che da cosa alcuna ci lasciamo impedire. Persequar inimicos meos, et comprehendam illos, et non convertar, donec deficiànt (Psal. XVII, 38) : Perseguiterò i miei nemici, dice il Profeta, e non mi straccherò né ritornerò indietro fino a che non abbia riportata vittoria di essi. Questa santa e forte perseveranza è quella che vince il vizio e acquista la virtù, e non già il dare quegl’impetuosi assalti, e poi ritirarsi. – Facciamo ora i nostri conti. Di quante cose hai tu fatto l’esame particolare, da che ti sei dato a questo esercizio? Se sei riuscito in tutte, sarai già perfetto; ma se non riuscisti neppure in una di esse, perché la lasciasti? Mi dirai, che in quel particolare la cosa non ti riusciva bene: ma per questo non ti riesce bene perché vai mutando materia e non hai perseveranza nel condurre una cosa a fine. Se facendo esame di quella cosa e standovi su con particolar attenzione e vigilanza, dici, che non ti riusciva; peggio andrà il negozio, non facendo più esame sopra di essa. Perché, siccome dice quel Santo, se colui che propone, manca molte volle; che farà colui che tardi, o non mai, propone? Quel proporre la mattina, al mezzo giorno e la sera, ti servirà pure di qualche freno per non cader tante volte. E benché ti paia, di non finir mai d’emendarti, né di far cosa alcuna, non ti perder d’animo per questo, né lasciar l’impresa, ma umiliati e confonditi nell’esame, e torna a proporre e a cominciar di nuovo: che perciò permette Dio le cadute e che resti qualche Jebuseo nella terra dell’anima tua, acciocché finisca di conoscere, che non puoi niente colle tue forze, ma che ogni cosa ti ha da venire dalla mano di Dio, e così abbi ricorso a Lui e stii sempre dipendente da Lui. Molte volte con questo ha uno più fervore e usa più diligenza nel suo profitto, che se subito il Signore gli desse quello che desidera. Ma mi dirà qualcuno; quanto tempo sarà bene far l’esame particolare sopra una cosa? S. Bernardo ed Ugo di S. Vittore (D. Bern., Hugo de S. Vict, locis citatis, c. 1) trattano questa questione; quanto tempo sarà bene combattere contra un vizio? E dicono, che sin a tanto che il vizio stia tanto in declinazione, che subito che ricomincia a farsi vedere, tu lo possa facilmente reprimere e soggiogare colla ragione. Di maniera che non bisogna aspettare, che tu non senta più la tale o tal altra passione, la tale o tal altra ripugnanza; che questo sarebbe un non finir mai: ed Ugo di S. Vittore dice, che questa è più cosa da Angeli che da uomini. Basta che quel vizio, o passione, non ti sia più molesto né ti dia molto che fare; ma che subito che si muove tu la getti per terra e la scacci da te facilmente: allora potrai passar oltre a combattere e a far l’esame sopra qualche altra cosa. Per fin Seneca disse colà: Contra vìlia pugnamus, non ut penitus vincamus, sed ne vincamur (Seneca ad Lucili). Non è necessario, che giungiamo a non sentire più il vizio di sorta alcuna: basta che sia vicino ad esser vinto; sicché non ci sia d’impedimento né di disturbo per quello che ci conviene. Per affrontar meglio in questo particolare, il mezzo più espediente è, comunicarlo ciascuno col suo Padre spirituale; essendo questa una delle cose principali nelle quali fa bisogno di consiglio. Perciocché vi sono alcune cose sopra delle quali basta far l’esame poco tempo, come abbiamo detto di sopra (cap. 3); ed altre ve ne sono nelle quali è bene impiegato l’esame di un anno ed anche di molti. Se ogni anno, dice quel Santo, estirpassimo un vizio, presto diventeremmo uomini perfetti (Thomas a Kempis 1. c. 11, n. 5). E vi sono altre cose rispetto alle quali tutta la vita sarà molto bene impiegata in una di esse; quando questa è tale, che sola potrebbe bastare ad uno per acquistare la perfezione. E cosi abbiamo conosciuto alcuni i quali si presero a petto una cosa, e sopra di quella fecero esame particolare quasi tutta la vita loro, e con ciò diventarono insigni in essa; chi nella virtù della pazienza; chi in una profondissima umiltà; chi in una gran conformità alla volontà di Dio; chi in far tutte le cose puramente per Dio. Ora in questa maniera ancora abbiamo da procurare noi altri di farci eminenti in qualche virtù, insistendo e perseverando in quella sino ad averla perfettamente conseguita. Né questo toglie l’interrompere alcune volte questo esame; anzi conviene far così, tornando a far esame per otto o quindici giorni sopra il silenzio, sopra il far bene gli Esercizi spirituali, sopra il dir bene di tutti, sopra il non dir parola che possa offender alcuno in nessuna maniera, e sopra altre cose simili che sogliono tornare a germogliare e a rinverdirsi in noi altri, e poi ritornarcene subito all’esercizio di prima, e proseguir il nostro intento principale, sino a riuscire con quello che pretendiamo.

CAPO VII.

Come si ha a fare l’esame particolare.

La seconda cosa principale che abbiamo proposto di trattare, è, come s’ha da fare questo esame. Ha l’esame particolare tre tempi (D Ign. lib. Exerc. spirit. in prim. hebdom. titul. Exam.Partic.), benché poi l’esaminarsi si abbia a fare solo due volte. Il primo tempo è, subito che ciascuno si leva la mattina, e allora ha da proporre di guardarsi con ispecial diligenza da quel vizio, o difetto particolare, del quale si vuol correggere ed emendare. Il secondo tempo è al mezzo giorno, nel quale s’ha da fare il primo esame che contiene tre punti. Il primo è, domandar grazia al Signore di ricordarsi quante volte si è caduto in quel difetto del quale si fa l’esame particolare. Il secondo è, dimandar conto all’anima sua di quel difetto, o vizio, pensando da quell’ora in cui ciascuno si levò, e in cui fece quel particolare proposito, sino all’ora presente, quante volte è caduto in esso: e si hanno a far tanti punti in una linea d’un quadernuccio o librettino, che a quest’effetto ha da avere presso di sé, quante volte troverà esservi caduto. Il terzo punto è concepire un gran dolore d’esser caduto e domandarne perdono a Dio, proponendo di non cadervi più, particolarmente in quel resto del giorno, colla grazia del Signore. Il terzo tempo è la sera, prima di andare a letto, e allora si ha da far l’esame la seconda volta, né più né meno che al mezzo giorno, tenendo i medesimi punti, e riflettendo come sieno andate le cose dall’ultimo esame passato sin a quell’ora; e notando in un’altra seconda linea tanti punti, quante volte troverassi che si è caduto. E per poter estirpare più facilmente e più presto quel difetto, o vizio, sopra del quale facciamo l’esame particolare, il nostro S. Padre mette quattro avvertimenti ch’egli chiama Addizioni. La prima, che ciascuna volta che l’uomo cade in quel vizio, o difetto particolare, se ne penta, mettendosi la mano al petto ; il che si può fare ancorché si stia in presenza d’altri, senza che s’accorgano di quello che si fa. La seconda è, che la sera dopo fatto l’esame, confronti i punti dell’esame della mattina con quelli dell’altro esame della sera, per vedere se vi è stata qualche emendazione. La terza e quarta, che confronti anche il giorno d’oggi con quello di ieri, e la settimana presente con la passata per lo medesimo effetto. Tutta questa dottrina è cavata da’ Santi. Il beato Antonio abbate, come si riferisce nell’Istoria Ecclesiastica, dava per consiglio, che si notassero in iscritto i mancamenti che nell’ esame trovavansi di essere stati commessi; acciocché in questo modo l’uomo si vergognasse più, e più si impegnasse per l’emendazione, vedendo e considerando i suoi mancamenti. Il medesimo dice S. Giovanni Climaco (D. Jo. Clim. c. 4), il quale non solamente la sera e nel tempo dell’esame, ma a tutte le ore vuole che vada ciascuno notando il mancamento che commette subito che cade in esso, acciocché così possa far meglio l’esame: in quella guisa che il buon banchiere, o mercatante, e il buono spenditore, subito nota in un quadernetto di memorie quello che vende, o compera, acciocché non resti dimenticata cosa alcuna e la sera possa far meglio i suoi conti. S. Basilio e S. Bernardo espressamente notano e consigliano il confrontare un giorno coll’altro; acciocché in questo modo possa la persona conoscer meglio il profitto, o scapito, che fa, e procuri con diligenza di diventar ogni giorno migliore e più simile agli Angeli (2). S. Doroteo dà per consiglio il confrontare una settimana coll’altra e un mese coll’altro (D. Dorot. doc. 10). È il modo che ci propone il nostro S. Padre di farci a procurare l’emendazione del nostro mancamento e difetto, a tratto a tratto, e a poco a poco, da mezzo giorno a mezzo giorno, e non più, è un mezzo che mettono ancora S. Gio. Crisostomo, S. Efrem e S. Bernardo (D. Chrys. Berm. contra concubinarios; D. Bern. in quadam formula bene vivendi Canonico et Vicar. e 24.), come efficacissimo per isradicare qualsivoglia vizio, o difetto che abbiamo: e lo mette anche colà Plutarco (Plutarc. in dìal, de cohib. iracundia.), apportando l’esempio di colui il quale essendo per natura molto collerico e sentendo grandissima difficoltà nel ritenersi, si mise all’impegno di non adirarsi per un giorno, e così passò un giorno senza che si adirasse: e il dì seguente disse: Neanche oggi mi voglio adirare, l’osservò, perché nemmeno quel giorno s’adirò: il medesimo continuò a fare un altro e poi un altro giorno, sinché divenne molto mansueto e piacevole. Or questo è il modo che c’insegna e il disegno che ci propone il nostro S. P. nell’esame particolare, acciocché il combattere e vincere qualunque vizio ci riesca più facile. All’infermo che sta con nausea si dà il cibo a poco a poco, acciocché possa mangiarlo: se gli fosse posta innanzi tutta intera la gallina, gli parrebbe impossibile l’aver a mangiare tutta quella roba, e non potrebbe mandar giù boccone; ma gliene tagli un pochetto alla volta, e glielo porgi, tenendo nascosto il resto fra due piatti; e in questo modo, a poco a poco, bocconcino a bocconcino gli fai mangiare quanto gli basta. Nell’istessa maniera ci vuol guidare il nostro S. P. nell’esame particolare, come infermi e deboli, a poco a poco, da mezzo giorno a mezzo giorno, acciocché lo possiamo tollerare: perché, se pigliassi la cosa tutta insieme, dicendo, non voglio parlare in tutto l’anno, in tutta la vita mia voglio andare cogli occhi bassi, tanto raffrenato e con tanta modestia, solo a pensarvi potrebb’essere che ti straccassi, e ti paresse di non poterlo tollerare, e che sarebbe una vita mesta e malinconica; ma per un mezzo giorno, per una mattina, sin all’ora del pranzo, chi sarà quegli che non vada composto e tenga la lingua a freno? Di poi a mezzo giorno proponi solamente sino alla sera, perché il giorno seguente sa Dio quel che sarà: e che sai tu se vi arriverai? e quando bene vi arrivi, non sarà più d’un giorno, e non ti rincrescerà domani di esser proceduto oggi con questo riguardo, né ti troverai stracco per essere stato oggi accurato e diligente; anzi ti troverai di ciò molto allegro e più disposto a farlo tuttavia meglio e con maggiore facilità e soavità. Credo, che alle volte alcuni manchino in non far bene tutta la forza in questo, proponendo solamente per questo mezzo giorno; che se ciò facessero, molto ciò gli aiuterebbe a proporre con maggior efficacia. Nelle Cronache di S. Francesco (P. 2, lib. 6, c. 38 hist. Min.) si racconta di fraGiunipero, che, sebben egli parlava sempre molto poco, nondimeno una volta per sei mesi continui osservò perpetuo silenzio in questa maniera: il primo giorno propose di non parlare, e di farlo ad onore del divin Padre; il secondo ad onore del Figliuolo; il terzo ad onore dello Spirito santo; il quarto per amore della santissima Vergine: e così scorreva per tutti i Santi, osservando ogni giorno il silenzio con nuovo fervore e divozione per amore di alcuni di essi. In questa maniera la persona si anima maggiormente ad emendarsi di quella cosa sopra della quale fa l’esame particolare, e si vergogna anche e confonde più de’ mancamenti ed errori che commette; poiché per così poco tempo non ha potuto metter in esecuzione il suo proponimento. E così per ogni banda ci aiuterà assai questo mezzo.

CAPO VIII.

Che nell’esame abbiamo da insistere e trattenerciprincipalmente nel dolore e nel proponimentodell’emendazione.

Quel che in particolare si deve grandemente avvertire circa il modo di far l’esame, si è, che de’ tre punti che ha, i due ultimi sono i principali; cioè il dolerci e pentirci delle nostre colpe e negligenze, e il far fermo proponimento di emendarcene, secondo quello che diceva il Profeta: In cubilibus vestris compungimini ( Psal. IV, s. 5): Compungetevi nei vostri letti. In questa compunzione e pentimento, e in questo fermo proponimento di non tornare a cadere, sta tutta la forza e l’efficacia dell’esame per emendarci: onde in questo s’ha da spendere la principal parte del tempo. Una delle cagioni principali per cui molti fanno poco frutto e poco si emendano cogli esami, è, perché tutto quel tempo se la passano nell’andare cercando quante volte sono caduti ne’ mancamenti e negli errori, e appena hanno finito questo punto, che finisce ancora il tempo dell’esame e fanno il resto superficialmente, né si trattengono nel dolore e pentimento delle lor colpe, né nel confondersi e chiederne perdono a Dio, né in far fermi proponimenti d’emendarsi la sera, o il dì seguente, né in domandare a Dio grazia e forze per farlo. Di qua procede, che quante volte sei caduto oggi, tante altre cadi domani; perché nell’esame non hai fatto altro che pensare e ridurti a memoria quante volte sei caduto: e questo non è mezzo per emendarti; ma è il primo punto dell’esame e il fondamento sopra del quale hanno da cadere gli altri due punti principali. Il mezzo efficace per emendarti è il dolerti e pentirti molto da vero delle tue colpe e il proporre fermamente l’emendazione con chiedere al Signore grazia per farlo: e se non fai questo non ti emenderai. Stanno tanto affratellate fra di sé queste due cose, dolor del passato ed emendazione nell’avvenire, che al passo che cammina una cammina anche l’altra: perché è cosa certa, che quando abborriamo una cosa da vero, usiamo diligenza per non incontrarci in essa. Ogni giorno diciamo e predichiamo questo a’ secolari: sarà cosa ragionevole, che lo pigliamo anche per noi medesimi. Qual è la cagione, diciamo noi, che quelli del mondo così facilmente tornano a ricadere ne’ medesimi peccati dopo tante confessioni? sapete qual è? questa comunemente, che non gli hanno odiati e abborriti da vero, né vengono alle confessioni con proponimenti fermi di non tornar mai più a peccare: e siccome il cuor loro non finisce mai di rivolgersi totalmente a Dio, ma solamente a mezza faccia, come suol dirsi; così facilmente ritornano a quello che non hanno mai lasciato affatto. Che se da vero fosse lor dispiaciuto e avessero avuto in odio e in abbominazione il peccato, e fatto avessero un fermo proponimento di non tornare mai più a peccare; non vi sarebbero tornati così facilmente subito usciti dalla confessione, come se non si fossero confessati. Or per questo ancora voi altri incorrete la sera ne’ medesimi mancamenti ed errori ne’ quali siete incorsi la mattina, e oggi nei medesimi di ieri, perché non avete avuto vero dolore di essi: non gli avete odiati di cuore: non avete fatto fermo proponimento di emendarvene: né vi siete trattenuti in questo: che se ciò aveste fatto, non sareste ritornati ad essi così facilmente né così presto: perciocché non siamo soliti noi altri di far tanto facilmente quelle cose che abbiamo abborrite, e che ci ha recato dolore e dato pena l’averle fatte. – Il dolore e il pentimento de’ peccati, quando è vero, non solo toglie via i peccati passati ma è anche medicina preservativa per l’avvenire, come abbiamo detto di sopra (Vide supra tract. 5, c. 5): perché chi sta odiando il peccato, sta anche lontano da ricader in esso. Per sin quel Filosofo (Da Demost. ref. Aulus Gollius; lib. 1, c. 8) colà conobbe l’efficacia e la forza di questo mezzo per non cader in peccato; poiché domandandogli una donna di mala vita certo prezzo eccessivo per peccare con essa, egli rispose: Ego tanti pœnitere non emo: Io non compro tanto caro il pentirmi e il dolermi. Notisi questa ragione, poiché è degna non solo di un Filosofo, ma anche d’un uomo Cristiano e Religioso. Mi metto alcune volte a considerare la sciocchezza e lo sproposito di quelli che ardiscono di peccare, con dire: Mi pentirò poi, e Dio mi perdonerà. Come e in qual cervello può mai entrare, che per soddisfar ora al tuo appetito e per ricevere un brevissimo gusto che passa via in un momento, ti elegga e ti compri per tutta la vita un perpetuo dispiacimento e pentimento d’aver soddisfatto ad esso? – Perché sebben è vero, che Dio ti perdonerà poi questo peccato, pentendoti tu di esso; nondimeno, acciocché ti perdoni, bisogna pur alla fine che tu ti penta e senta gran dolore d’averlo commesso. Ha gran forza questa ragione, anche di qua parlando, come suol dirsi, dal tetto in giù, benché non vi fosse di mezzo l’amor di Dio che ha poi sempre ad essere il motivo principale che ci ha a ritenere; ma solamente il nostro gusto e amor proprio. Non voglio far quello che so che dopo m’ha da cagionare gran dispiacere e gran dolore d’averlo fatto: il gusto di farlo passa via in un momento; e il dispiacere e il dolore di averlo fatto ha da durare per tutta la vita; di maniera che già mai non ne posso più avere né gusto né compiacimento: Ego tanti pœnitere non emo. Grande sciocchezza è eleggersi un sì grave e diuturno dispiacimento per un sì piccolo e momentaneo piacere. Lo disse anche meglio l’Apostolo : Quem fructum habuistis tunc in illis, in quibus nunc erubescitis (Rom. VI, 21)? Che frutto cavaste voi da quelle cose delle quali ora v’arrossite e vi vergognate? Che ha che fare quel gusterello che v’avete preso col disgusto e dispiacere che vi rimane ad avere di poi? Questo si ha da considerare innanzi tutto, prima di cadere; quando viene la tentazione, allora hai da far questo conto e dire: Non voglio far una cosa della quale mi ho poi da vergognare e a pentire per tutta la mia vita. Anche di qua, quando vuoi persuadere ad uno, che non faccia una qualche cosa, gli dici, Guarda, che poi ti pentirai d’averla fatta; e colui risponde: Non me ne pentirò: perché se pensasse, che se n’avesse a pentire, egli stesso vedrebbe, che sarebbe uno sproposito far quello che sapesse che dipoi gli avesse a dispiacere e a dar gran dolore. Ho detto questo, acciocché si vegga quanto efficace mezzo sia per non tornar a cadere nelle colpe il dolore e vero pentimento di esse, e acciocché si conosca quanto importi trattenersi in questo quando si fanno gli esami. È vero, che può uno aver dolore e proponimento vero d’emendarsi, e con tutto ciò tornar di poi a cadere; perciocché non siamo Angeli, ma uomini deboli e di creta, la quale si può rompere e disfare, e subito tornarsi a rifare: ma siccome quando uno, finito che ha di confessarsi, ritorna subito ai medesimi giuramenti e ai medesimi desideri e peccati poco prima confessati, siamo soliti comunemente di dire, che non ne dovette avere né vera contrizione, né vero dolore, né fermo proponimento d’emendarsene, poiché così presto è tornato a cadervi; così anche è grand’indizio e argomento, che a te non è dispiaciuto da vero quando hai fatto l’esame al mezzo giorno, o la sera, l’aver rotto il silenzio, e che non hai avuto fermo proponimento d’emendartene, il vedere, che subito la sera, o il giorno seguente, lo rompi nell’istesso modo come se non avessi fatto esame. E l’istesso dico degli altri mancamenti, errori e difetti, sopra dei quali fai l’esame. Anche alla presenza de’ tuoi fratelli hai vergogna di dire una colpa, o di essere per essa ripreso e penitenziato, quando l’hai già detta tre o quattro altre volte; quanto maggiormente avresti vergogna di comparire recidivo avanti di Dio, se da vero avessi detestata la tua colpa avanti di lui, pentendotene di cuore, chiedendogliene perdono, e promettendone l’emendazione, non tre o quattro volte, ma più di tre o quattro dozzine di volte. Non è dubbio, che ci emenderemmo d’altra maniera, e faremmo altro profitto, se ci pentissimo ed avessimo vero dolore, e facessimo fermo proponimento di emendarci.

CAPO IX

Che aiuta grandemente l’aggiungere all’esamequalche penitenza.

Né anche si contentava il nostro S. Padre del dolore, del pentimento e dei proponimenti interiori; ma di più, acciocché la persona possa riuscir meglio in quel che desidera, leggiamo nella sua Vita (Lib. 5, c. 10 Vitæ P. N. Ign.), che consigliava l’aggiungere all’esame particolare qualche penitenza, imponendoci da noi stessi certa pena ed eseguendola in noi tutte le volte che cadremo in qualche mancamento, o errore, sul quale facciamo l’esame. Il padre fraLuigi di Granata apporta esempi di ciò in alcuni servi di Dio che egli conobbe: d’uno dei quali dice, che quando nell’esame della sera trovava, che avesse ecceduto in qualche parola sconcia, si metteva una morsa alla lingua per penitenza di essa; e di un altro, che faceva una disciplina sì per questo come per qualsiasi altro difetto nel quale fosse caduto. Si dice del santo abbate Agatone, che per lo spazio di tre anni portò in bocca un sasso per acquistare la virtù del silenzio (Befert Bollaterr. lib. 1, Autroph.). Siccome usiamo di portare un cilicio per mortificar la carne, e perché ci serva di svegliatoio per conservare la castità; così portava quel Santo un sassetto sotto la lingua, acciocché fosse il suo cilicio, e gli servisse di ricordo e di svegliatoio per non parlar più di quel che era necessario. E del nostro S. Padre leggiamo (Lib. 5, c. 10 Vita P. N. Ign.), che essendo nel principio della sua conversione molto tentato di riso, vinse quella tentazione a forza di replicate discipline, dandosi ogni notte tante sferzate, quante volte aveva riso in giorno, per leggiero che fosse stato il riso. E suol essere di gran giovamento questo ingiungere qualche penitenza all’esame; perché con la penitenza l’anima resta castigata o intimorita di maniera, che non ardisce di commettere un’altra volta quella colpa. Collo sprone la bestia cammina, per pigra e lenta che siasi. Giova tanto lo sprone, che solo l’accorgersi ella, che v’è, benché non la pungano con esso, la fa camminare. – Se ciascuna volta che uno rompe il silenzio avesse da fare una disciplina in pubblico, ovvero avesse per tre giorni da star solamente a pane ed acqua, che era la penitenza che anticamente veniva ingiunta nelle Regole a quei che rompevano il silenzio, al sicuro che questo ci ritrarrebbe molto dal parlare. – Oltre di ciò, ed oltre il merito e la soddisfazione che suol essere in questa cosa, v’è un altro gran bene, ed è, che Dio Signor nostro veggendo la penitenza colla quale uno si castiga ed affligge, suol esaudire la domanda e il desiderio suo. E questo è uno degli effetti della penitenza e mortificazione esteriore che notano i Santi, e l’apporta il nostro S. Padre nel libro degli Esercizi (D. Ign. lib. Exerc. spir. in Addit.). Disse l’Angelo a Daniello: Ex die primo, quo posuisti cor tuum ad intelligendum, ut te affligeres in conspectu Dei tui, exaudita sunt verba tua (Dan. X, 12): Dal primo giorno che ti deliberasti d’affliggerti dinanzi al Signore, fu esaudita la tua orazione. Aggiunse il profeta Daniello all’orazione il digiuno e la mortificazione della sua carne, e così impetrò la libertà del suo popolo, e che Dio gli manifestasse misteri grandi, e gli facesse altri benefizi molto particolari. Onde vediamo, che ò ed è stato sempre molto usato nella Chiesa di Dio questo mezzo per impetrare e conseguire il favore di Dio nei travagli e nelle necessità. Quando il fanciullino chiede alla madre il latte del quale ha necessità, e lo chiede solamente col desiderio significato per mezzo di qualche segno, molte volte la madre glielo nega, o differisce il darglielo; ma quando lo chiede piangendo e affliggendosi, non si può la madre contenere dal darglielo subito. Così quando l’uomo chiede a Dio la virtù dell’umiltà, della pazienza, della castità, ovvero la vittoria di qualche tentazione, o altra cosa simile, se chiede orando solamente col desiderio e con le parole, molte volte non ottiene quel che domanda, ovvero gli è differito assai: ma quando con l’orazione si congiunge la penitenza e la mortificazione della nostra carne, e ci affliggiamo ancora nel cospetto di Dio, allora otteniamo molto meglio quello che domandiamo, e con maggior certezza e prestezza. Ama Dio grandemente i giusti, e vedendogli afflitti ed in pena per conseguir quello che chiedono, li compatisce e usa loro maggior misericordia. Dice la Scrittura divina del patriarca Giuseppe, che non si poté contenere, vedendo l’afflizione e le lacrime dei fratelli, ma si scoprì loro e li fece partecipi di tutti i suoi beni : Non se poterat ultra cohibere Joseph…. et dixit fratribus suis: Ego sum Joseph (Gen. XLV, 1). Che farà quegli che ci ama più di Giuseppe, e che è più che un nostro fratello, vedendo l’afflizione e il dolor nostro? Per ogni banda ci aiuterà grandemente questo mezzo. – S’accorda molto bene con questo quello che dice Cassiano (Cass. coll. 5, abb. Serap. c. 14), trattando dell’accuratezza e diligenza con cui abbiamo da procedere in questa guerra ed esame particolare. Se l’esame e il combattimento particolare ha da essere, come abbiamo detto (sup. cap. 2), in riguardo a quella cosa della quale abbiamo maggiore necessità; se ha da essere di sradicare quella passione, o cattiva inclinazione, che regna più in noi altri, e ci tira più dietro a sé, ci mette in maggiori pericoli, e ci fa cadere in maggiori mancamenti ed errori; se ha da essere di vincere qualche vizio, il quale ove sia vinto, resteranno vinti tutti gli altri; o d’acquistare quella virtù colla quale avremo fatto acquisto di tutte le altre; quanta sollecitudine e diligenza vorrà la ragione che usiamo in una cosa che tanto c’importa? Sai quanta? dice Cassiano: Adversus illud arripiat principale certamen, omnem curam mentis ac sollicitudinem erga illius impugnationem observationemque defigens, adversus illud quotidiana iejuniorum dirìgens spicula, contra illud cunctis momentis cordis suspiria crebraque gemituum tela contorquens, adversus illud vigiliarum labores ac meditationem sui cordis impendens, indesinentes quoque orationum ad Deum fletus fundens, et impugnationes sua; extinctionem ab illo specialiter ac jugiter poscens (Cass. ubi sup.). Non abbiamo da contentarci d’usar questa sollecitudine e diligenza solamente nell’esame; ma dobbiamo anche usarla nell’orazione: e non solamente nell’orazione mentale della mattina, ma molte volte fra giorno abbiamo da alzar il cuore a Dio Signor nostro con orazioni giaculatorie e con sospiri e gemiti del cuore: Signore, umiltà: Signore, castità: Signore, pazienza. A questo effetto abbiamo da visitare spesso il santissimo Sacramento, chiedendo al Signore con grande istanza, che ci conceda grazia di acquistare una cosa che tanto c’importa. Abbiamo ancora da ricorrere alla beatissima Vergine e ai Santi, acciocché siano nostri intercessori. – A questo abbiamo da indirizzare i nostri digiuni, i nostri cilicci, le nostre discipline, e aggiungervi alcune divozioni e offrire alcune mortificazioni particolari. Sempre abbiamo da portar quella cosa fitta nel cuore, poiché c’importa tanto. Se procedessimo in questo modo e usassimo questa sollecitudine e diligenza nell’esame particolare, ne sentiremmo presto il frutto; perché il Signore vedrebbe la nostra afflizione, esaudirebbe la nostra orazione e soddisferebbe al desiderio del nostro cuore. E si deve notar bene tutto questo, per valercene anche in altre tentazioni e necessità gravi che occorrono. S. Bonaventura dice, che la Madonna santissima disse a S. Elisabetta d’Ungheria, che nessuna grazia spirituale viene all’anima, regolarmente parlando, se non per mezzo dell’orazione e delle afflizioni del corpo (D. Bonav. in Vit. Christ. c. 3).

CAPO X.

Dell’esame generale della coscienza.

L’esame generale della coscienza ha cinque punti. Il primo è ringraziar Dio dei benefizi ricevuti. – Si mette nel primo luogo il ricordarci dei ricevuti benefizi, acciocché contrapponendo a questi i mancamenti e i peccati che abbiamo fatti noi in contraccambio di tanti benefizi, pigliamo da ciò motivo di maggiormente confonderci e di sentirne maggior dolore. Così Natan profeta rappresentò a David i benefizi che Dio gli aveva fatti, per fargli maggiormente conoscere e comprendere la bruttezza del peccato che aveva commesso. – Il secondo punto è, chiedere grazia al Signore di conoscere i mancamenti e i peccati nei quali siamo caduti. – Il terzo domandar conto all’anima nostra di quanto ha fatto, cominciando dall’ora in cui proponemmo di guardarci da ogni mancamento, ed esaminare come siano andate le cose, discorrendo primieramente per i pensieri, secondariamente per le parole, e terzo per le operazioni. .- Il quarto punto è, chiedere al Signore il perdono dei mancamenti ed errori che troveremo aver fatti, dolendocene e pentendocene. – Il quinto, far proponimento di emendarci con la grazia del Signore, e finire con un Pater noster. –Questo esame generale s’ha da far sempre insieme col particolare: perché subito che la mattina ci leviamo, abbiamo da offerir al Signore tutto quello che faremo quel giorno. Siccome dice il nostro S. Padre dell’esame particolare, che subito che ci leviamo abbiamo da far proponimento di guardarci da quel vizio particolare del quale ci vogliamo emendare, e questo è il primo tempo dell’esame particolare; così ancora abbiamo allora da offerire a Dio tutti i pensieri, parole e operazioni di quel giorno, che tutto sia a gloria sua, proponendo di non offenderlo, e chiedendogli grazia per questo: ed è ben conveniente, che tutti abbiano per costume il fare così. Di poi due volte il giorno, al mezzo dì e alla sera, abbiamo da fare l’esame generale insieme col particolare. E tale è l’usanza della Compagnia fondata nelle nostre Costituzioni, e l’abbiamo espressamente nella prima delle Regole comuni: Ciascuno dia ogni giorno con ogni diligenza nel Signore ai due esami di coscienza quel tempo che gli sarà ordinato (4 p. Const. c. 4, § 3 et 4, et reg. 1 com.). Siccome s’accomoda l’oriuolo e s’alzano i suoi contrappesi due volte il giorno, la mattina e la sera, acciocché vada giusto; così abbiamo da accomodare l’oriuolo del nostro cuore con l’esamela mattina e la sera, acciocché vada sempre concertato e ben ordinato. Di maniera che siccome al mezzo giorno ci esaminiamoe a noi stessi domandiam conto di quante volte abbiamo mancato in quella cosa sopra della quale facciamo l’esame particolare, cominciando da quell’ora che proponemmo di non fare mancamenti circa essa, che fu subito che ci levammo dal letto, sino a quell’ora del mezzo dì in cui ci esaminiamo; così ancora abbiamo da esaminarci e domandar conto a noi stessi di quello che abbiamo mancato, o errato, circa i nostri pensieri, parole ed opere, d’allora che ci levammo sino a quella, in cui facciamo l’esame; e indi abbiamo da confonderci e pentirci di tutto quello in cui troveremo di aver mancato, o errato, tanto circa la materia dell’esame particolare, quanto circa la materia del generale; e di tutto insieme abbiamo a fare fermi proponimenti di emendarcene per tutto il rimanente di quel giorno sino alla sera. Allo stesso modo dobbiamo la sera fare l’esame generale insieme col particolare, cominciando però questo nuovo scrutinio di noi medesimi solamente dall’esame precedente del mezzo giorno.La principal cosa che si ha d’avvertire circa il modo di far questo esame generale, è l’istessa che abbiamo detta del particolare, cioè, che tutta la forza ed efficacia di esso sta in quei due ultimi punti; l’uno di pentirci e confonderci delle colpe nelle quali siamo caduti, l’altro di far fermo proponimento dell’emendazione per la sera, o per la mattina. E in questo consiste il far bene l’esame e il cavarne frutto. Il P. Maestro Avila (M. Avil. c. 62 de Audi filia), trattando di questo esame, dice così: Hai da far conto, che ti sia stato dato in governo il figliuolo d’un principe, acciocché tu abbia continua cura di esso, e di educarlo nei buoni costumi, e tenerlo lontano dai cattivi, con fargli ogni giorno i conti addosso. Se tu avessi questo carico, è cosa chiara, che la forza per la sua emendazione non la metteresti nel dirti egli quante volte sia oggi caduto e quante abbia errato; ma nel suo errore e mancamento, nella riprensionee nei ricordi che gli daresti, e nel ricavare da lui fermi proponimenti, procurando, che ti desse parola, da quel figliuolo che egli è, di emendarsi. Or in questo modo hai da aver cura dell’anima tua, come di cosa della quale Dio ti ha dato il carico, e così hai da procedere con essa nel domandarle conto dei suoi portamenti: in questo hai da mettere la forza del tuo esame e della tua emendaizione, non in ridurti a memoria gli errori e i mancamenti commessi, e quante volte sei caduto; ma in confonderti, e in pentirtene, e riprendertene, come riprenderesti un’altra persona della quale tu avessi cura; e in fare fermi proponimenti di non tornare a cader più in quelle colpe. E per ciò fare molto ci gioverà il riflettere, che l’esame generale è la disposizione e preparazione propria e legittima per la confessione: e questo è il titolo che gli dà il nostro S. Padre nel libro degli Esercizi spirituali: Examen conscientiæ generale ad purgationem anima; et ad peccatorum confessionem utilissimum (In lib. Exerc. spir. hebd. 1, timi. Exam. conscient.). E la ragione è manifesta; perché due sono le cose principali che si ricercano per la confessione: la prima è l’esame delle colpe; la seconda il dolor di esse: e queste si fanno compiutamente nell’esame della coscienza; onde se faremo bene questo esame, faremo anche bene la confessione. E bisogna avvertire, che il dolore necessario per la confessione, siccome dicono il Concilio di Trento (Sess. XIV, c. 4) e quello di Fiorenza, include due cose; dispiacere e pentimento di quel che è passato, e proponimento di non tornar più a peccare; e o l’una o l’altra che manchi, non vi sarà bastante disposizione per la confessione. Si pensano alcuni, che solamente quando lasciano di confessar qualche peccato per vergogna non sono ben confessati; ma io credo, che siano molto più le confessioni mal fatte, sacrileghe e nulle, per mancamento di vero dolore e di vero proponimento dell’emendazione. Ecco quanto è necessaria questa preparazione, e quanto importa l’assuefarci e far bene l’esame, e l’esercitarci e il trattenerci in questo dolore delle colpe, e in questo proponimento di non tornar più a cadere in esse. E così dico, che di tre punti principali che sono nell’esame, che gli altri sono come preamboli: la principal parte del tempo l’abbiamo da spendere nei due ultimi, cioè nel chiedere perdono a Dio, pentendoci e confondendoci delle nostre colpe, e nel fare proponimenti di emendarci; e la minor parte s’ha da spendere nel discorrere e ridurci a memoria i mancamenti ne1 quali siamo caduti. Per questo, che è uno dei tre punti, basta la terza parte del tempo dell’esame; e le altre due parti siano per questi altri due punti; poiché sono i principali e nei quali sta la forza ed efficacia dell’esame, e il frutto di esso. – Ma mi dirà qualcuno, come potremo in tanto poco tempo, quanto è la terza parte d’un quarto d’ora, discorrere pel numero delle volte che siamo caduti nella materia dell’esame particolare, e anche per i mancamenti ed errori commessi nelle materie del generale, co’ pensieri, parole ed opere, che anche tutto il quarto d’ora per ciò fare par poco? Il miglior mezzo per questo è portarsi già fatto il primo punto quando andiamo all’esame. Si dice del nostro santo P. Ignazio (Lib. 5, c. 5 Vita P. N. Ign.), che ciascuna volta che mancava in quella materia della quale faceva l’esame particolare, faceva un nodo in una coreggiuola che per questo effetto portava attaccata alla cintura; e di poi dal numero dei nodi sapeva il numero delle volte che aveva mancato, senza aversi a trattenere in questo più che tanto: e per quel che toccava l’esame generale, non lasciava passar ora del giorno nella quale non si raccogliesse entro di sé ed esaminasse la sua coscienza, licenziando ogni altra cosa. E se per sorte gli occorreva qualche negozio tanto grave, o qualche occupazione tanto urgente, che in quell’ora non gli concedesse di poter soddisfare a questa sua divozione, suppliva nella seguente, ovvero subito che l’occupazione glielo permetteva. Molto buona divozione sarebbe questa di dare un’occhiata alla nostra coscienza ogni volta che l’oriuolo suona l’ora. Alcuni ancora sogliono esaminarsi dopo ciascuna loro operazione. Ma se parrà troppo il far questo a ciascuna ora, o dopo ciascuna operazione, sarà bene farlo almeno dopo ciascuna delle principali operazioni che facciamo tra giorno; e di alcune già abbiamo ordine, che subito che le abbiamo finite, ne facciamo l’esame, come abbiamo detto di sopra (Vide enpra tract. 5, c. 27). – S. Bonaventura dice, che il servo di Dio s’ha da esaminare sette volte il giorno. E se nell’esame particolare osserveremo quell’Addizione di metterci la mano al petto ciascuna volta che facciamo mancamento, o errore, facilmente ci ricorderemo per questa via quante volte saremo caduti. Sebbene il nostro S. Padre non mette quest’Addizione, acciocché ci ricordiamo dei mancamenti, ma acciocché subito ci pentiamo di essi: e perciò vi pone questo segno, di mettersi la mano al petto, che è quanto dire: Signore, ho peccato. Ma in fine se osserveremo quest’Addizione, ci aiuterà assai a poterci poi ricordar facilmente quante volte siamo caduti. S’aggiunge a questo, che quando uno ha buona cura di se stesso, ed è sollecito in quel che tocca il suo profitto, subito che fa qualche mancamento, o errore, sente un certo rimorso di coscienza, che è il migliore svegliatoio che possa avere per ricordarsene. – Con questo si è risposto a due sorta di persone: perché ve ne sono alcune alle quali par anche poco tempo tutto il quarto d’ora per ricordarsi delle colpe nelle quali sono cadute; e a queste già abbiamo dato il rimedio di portarsi quasi fatto questo primo punto; acciocché così facendo resti loro tempo da occuparsi negli altri due ultimi. Altre poi al contrario ve ne sono alle quali par lungo il quarto d’ora dell’esame, e non trovano in che spenderlo; e a queste possiamo più facilmente soddisfare. Perché già abbiamo detto, che sì al mezzo giorno, come la sera, s’ha da far l’esame generale insieme col particolare, e dopo aver veduti i mancamenti e gli errori nei quali siamo caduti sì nell’uno come nell’altro esame, ci abbiamo da trattenere in confonderci e pentirci di essi, in chiederne perdono, in far fermo proponimento d’emendazione, e in domandar al Signore grazie per questo: nel che quanto più ci tratterremo, tanto meglio sarà. – Aggiunge qui S. Doroteo un ricordo molto giovevole, dicendo, che nell’esame non solo si ha da tener conto dei mancamenti ed errori nei quali cadiamo; ma anche, e molto più, della radice di essi, esaminando le cagioni e occasioni delle cadute, per istar avvertiti e guardarcene per l’avvenire (D. Doroth. serm. 12). Come sarebbe, se per uscir della mia stanza io ruppi il silenzio, o mormorai; ho da proporre di non uscirne più nell’avvenire senza necessità; ed allora uscirne coll’andar sull’avviso e preparato: e così di altre cose simili. Perché altrimenti ci avverrà come a colui che inciampa in un sasso, e perché passa oltre senza far riflessione nell’occasion dell’inciampo, vi inciampa anche domani; o come a colui che si pensasse di rimediar ad un albero guasto con levar solamente da esso alcuni rami e i frutti marci e verminosi. Se faremo in questo modo gli esami, non ci parrà lungo, ma corto, il tempo assegnato per essi.

CAPO XI.

Che l’esame della coscienza è mezzo per metterein esecuzione tutti gli altri mezzi, ricordi eavvertimenti spirituali: e che la cagione dinon far profitto è il non far l’esame comesi deve.

Il beato S. Basilio dopo aver dato ai Monaci molti ricordi e avvertimenti spirituali, conchiude con questo: che ogni sera, prima d’andar a dormire, facciano l’esame della coscienza, parendogli, che questo lor basterebbe per osservar tutto quello che avea detto loro e per perseverare in esso (D. Basii, homil. 5 de instit. Mon.). Ora con questo vorrei anch’io conchiudere questo trattato, raccomandando a tutti grandemente questo esame; perocché questo solo, con la grazia del Signore, basterà per mettere in esecuzione tutti gli altri ricordi e avvertimenti spirituali, e per rimediare a tutti i nostri difetti. Se allenterai nell’orazione, se ti trascurerai, o sarai negligente nell’obbedienza, se ti dissiperai nel parlare, se comincerai a pigliarti un poco di libertà; subito, mediante il favor del Signore, con l’esame si troncherà e si rimedierà a tutto questo. Chi farà ogni giorno quest’esame della coscienza ben fatto, potrà far conto d’aver seco un aio, un Maestro de’ Novizi, un Superiore, che ciascun giorno e in ciascun ora gli stia domandando conto e avvisandolo di quello che ha da fare, e riprendendolo subito che erra in qualche cosa. Il padre maestro Avila (M. Avila de Audi filia, c. 62) dice così: Non potranno durar molto i tuoi difetti, se durerà in te quest’esame, e questo rivedere i tuoi conti, e riprenderti ogni giorno e ogni ora: e se i difetti durano, e a capo di molti giorni, e forse anche anni, ti trovi tanto mal mortificato, e tanto vivo e risentito nelle tue passioni, quanto al principio; la cagione, perché non usi come devi questi mezzi che abbiamo per nostro profitto: perché se da vero pigliassi a petto il voler levar da te un difetto, o il voler acquistare una virtù, e procedessi in ciò con sollecitudine e diligenza, facendo buoni proponimenti tre volte il giorno almeno, la mattina, il mezzodì e la sera, confrontando ogni giorno i mancamenti e gli errori della sera con quelli della mattina, e quei d’oggi con quelli di ieri, e quei di questa settimana con quelli della passata, pentendoti e confondendoti d’esser tante volte caduto, e chiedendone aiuto a Dio e ai Santi per emendarti; come sarebbe possibile, che a capo di tanto tempo non ti fosse riuscito il migliorarti in qualche cosa? Ma se la persona se ne va all’esame per usanza o per complimento, senza aver vero dolore delle sue colpe, e senza far fermi proponimenti d’emendarsi, questo non è esame, ma cerimonia e trattenimento. Quindi è, che gli stessi vizi e gli stessi mali abiti e le male inclinazioni che uno portò seco dal secolo, ritiene anche per molti anni dopo. Se era superbo, superbo è adesso; se era impaziente e iracondo, il medesimo è adesso; se era avvezzo a dir parole aspre e mortificative, le dice anche adesso: di così mala natura è al presente, come il primo giorno: tanto voglioso, tanto capriccioso e tanto amico delle sue comodità; e piaccia a Dio, che anche in cambio di profittare e di crescere in virtù, non sia cresciuta in alcuni la mala natura; e che con l’anzianità non sia cresciuta la libertà; e che dovendo esser più umili, non abbiano maggior presunzione e non cadano in quella perversità che dice S. Bernardo: Quodque perversum est, plerique in domo Dei non patiuntur haberi contemptui, qui in sua nonnisi contemptìbiles esse potuerunt (D. Bern. hom. 4 sup. Missus est.): vi sono molti dei quali colà nel mondo non si sarebbe fatto conto alcuno, e qui vogliono essere stimati;  e i quali colà non avrebbero avute le cose necessarie, e qui cercano le delicate. – Da quello che si è detto si può ancora vedere quanto frivola scusa sia quella che allegano alcuni dei loro mancamenti e difetti, dicendo, tal essere il lor naturale. Anzi questa è cosa degna di maggior riprensione, che sapendo uno d’aver questa, o altra cattiva qualità naturale, quando dovrebbe aver applicata ogni sua sollecitudine e diligenza in corroborare questa parte debole, acciocché non s’abbia da perder per essa, se ne stia in quella a capo di tanto tempo così vivo e immortificato come il primo giorno. Rientri dunque in sé chiunque tratta di servir Dio; che con tutti parliamo qui; e cominci come di nuovo e da capo, procurando per l’avvenire di far tanto bene l’esame della coscienza, che se ne possa vedere in lui il frutto. Siamo uomini e abbiamo de’ difetti, e n’avremo finché staremo in questa vita: ma abbiamo da procurar con l’esame tre cose. La prima, che se i difetti erano assai, per l’avvenire sian pochi. La seconda, che se erano grandi, siano minori. La terza, che non siano sempre i medesimi: perché il reiterare molte volte un istesso difetto, o errore, arguisce gran trascuraggine e negligenza. – Narra Eugenio in un libro che fa della conversazione e degli esercizi corporali dei Monaci, che un santo Monaco diceva: Io non so che i demonii m’abbiano colto due volte in una medesima colpa (Refertur in Hist. Eccles. p. 2, lib. 6, c. 1). Costui faceva bene l’esame della coscienza, si pentiva da vero, e faceva fermi proponimenti di emendarsi: or così abbiamo da fare noi altri. Per questo mezzo Dio guidò il nostro santo padre Ignazio e l’alzò a tanta perfezione. Leggiamo di lui nella sua Vita (Lib. 5, cap. 1 Vitæ S. Ign.), che confrontando egli il giorno di ieri con quello d’oggi, e il profitto presente col passato, andava ogni giorno profittando più, e guadagnando terreno, o per dir meglio, cielo, in tal grado, che in sua vecchiaia venne a dire, che quello stato nel quale visse in Manresa e il quale nel tempo de’ suoi studi egli soleva chiamare la sua primitiva Chiesa, era stato come il suo noviziato; e che ogni giorno andava Dio nella sua anima colorendo, abbellendo e perfezionando quel disegno di cui in Manresa non aveva fatto altro che in lui tirarne i primi lineamenti. Usiamo dunque noi altri come dobbiamo questo mezzo che il Signore in sì particolar modo ci ha dato; e abbiamo gran fiducia, che per esso ci condurrà alla vera perfezione che desideriamo.

[Fine]