DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2019)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël [O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël [O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]
Oratio
Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus. [Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,
LA GRATITUDINE VERSO DIO
“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”. (I Cor. 1, 4-8).
Questo brano è tolto dall’introduzione alla prima lettera di San Paolo a quei di Corinto. Nei primi versetti, saluta i Corinti nella sua qualità di Apostolo, e augura loro da Dio la grazia e la pace. Poi — come vediamo dalle parole riportate — assicura che ringrazia continuamente Dio per la grazia concessa a quei di Corinto per mezzo di Gesù Cristo. Grazia che non fu senza frutto; perché, mediante la loro unione con Gesù Cristo, i Corinti ebbero grande abbondanza di doni spirituali; in modo particolare ebbero la rivelazione delle verità del Vangelo, e la loro profonda intelligenza. Spera, poi, che Dio li assista per tutta la vita, così che si trovino con la coscienza monda nel giorno del giudizio. Il ringraziamento che l’Apostolo fa a Dio per l’abbondanza dei doni fatti ai Corinti ci ricorda il dovere della gratitudine verso Dio.
1. Dobbiamo esser grati a Dio per i benefici ricevuti;
2. Non a fior di labbra solamente;
3. Ci disporremo così a ricevere maggiori favori.
1.
Fratelli : lo rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù. L’apostolo fa tanto conto della gratitudine che si deve a Dio per i doni di cui ricolma gli uomini che ringrazia senza interruzione Dio, per l’abbondanza di grazie di cui ha favorito i Corinti. L’obbligo di ringraziare debitamente chi è largo dei suoi doni spetta in modo particolare a coloro stessi che hanno ricevuto il dono. E nessuno mette in dubbio che, venendo meno a questo obbligo, si fa cosa biasimevole. Sarà meno biasimevole l’ingratitudine se riguarda i benefici ricevuti da Dio? Eppure, nessuno è più pagato d’ingratitudine che nostro Signore. Chi può enumerare i benefìci da Lui ricevuti e apprezzarli in tutta la loro grandezza! La nostra esistenza, la conservazione, l’intelligenza, la santità, il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, la terra che ci porta, tutto quantoricrea e ci solleva sono dono di Dio. Se parliamo delle grazie e dei doni spirituali, con i quali ci ricolma per i meriti di Gesù Cristo, non troviamo parole sufficienti a celebrare la sua larghezzaverso di noi. Cerchi l’uomo, se può, qualche cosa che non abbia ricevuto da Dio: cercherà invano. Una cosa sola troverà che non abbia ricevuto da Dio: il peccato. E troverà che, nonostante i suoi peccati, Dio lo ha sopportato. Egli ha abbandonato il Signore, ma il Signore, non ha abbandonato lui. “Se pensassi a ciò, ti sentiresti certamente obbligato al tuo Dio, dal quale tieni tutto quello che possiedi di buono; e dalla cui misericordia ti vien rimesso tutto quello che hai di cattivo” (S. Agostino, in En. in Ps. XLIX, 21). Non solo è un beneficio di Dio la remissione dei peccati, che abbiamo commessi, ma anche la preservazione da più numerose cadute. « Se ci sentiamo in dovere di mostrare il nostro grato animo agli amici, quando ci aiutano a liberarci da qualche noia, da qualche condizione scabrosa o da qualche pericolo che si sovrasta, molto più dobbiamo esser pronti all’ossequio quando vediamo i molti pericoli cui siamo sfuggiti, perché Dio ce ne ha liberati » (S. Giov. Crisostomo. In Epist. ad Tit. I, 1). È più ancora dobbiamo esser spinti all’ossequio e a dimostrare il nostro grato animo a Dio, se pensiamo che i suoi benefici non sono una retribuzione o una ricompensa, ma effetto di pura generosità. «Che cosa fece l’uomo in precedenza, se non peccare?» (S. Agostino. En. In Ps. CXV, 4). Egli si era meritati castighi e non doni. E neppure Dio ci ha largito i suoi doni, perché avesse bisogno di qualche cosa| da parte nostra. « Come potrebbe aver bisogno delle cose nostre quegli, per il quale esiste tutto ciò che è nostro »(S. Ilario, De Trin. L. 3, 7). E d’altronde noi non potremmo mai rendere a Dio la ricompensa dovuta per i suoi doni. Questo però non ci dispensa dall’obbligo della gratitudine: anzi, deve risvegliarne maggiormente i sentimenti nei nostri cuori. Davide si domanda : « Che renderò al Signore per tutti i benefici da lui ricevuti? Prenderò il calice di salute invocando il nome del Signore » (Salm. CXV, 12-13). Questo dobbiamo fare anche noi: rendere a Dio il sacrificio del ringraziamento e della lode. –
2.
Se l’Apostolo ringrazia Dio per i doni elargiti ai Corinti, questi non rimangono inerti. Ringraziano Dio coi fatti, non lasciando infruttuose le grazie ricevute. Mediante la fede e la carità essi si mantengono in intima unione con Gesù Cristo, e in questa unione sono arricchiti d’ogni cosa. Nulla vi manca — dice l’Apostolo — rispetto a qualsiasi grazia; rispetto alle grazie necessarie alla salute propria, e rispetto alle grazie che rendono utile agli altri chi le possiede. I Corinti sapevano usar bene delle grazie ricevute, e il buon uso delle grazie è già un ringraziamento; è un ringraziamento che si dimostra con le opere. Noi ringraziamo il Signore con le opere, mostrandogli la nostra gratitudine, quando diamo a Lui quanto gli aspetta. A lui dobbiamo dare il nostro tempo, impiegandolo nel suo servizio almeno i giorni stabiliti; a Lui dobbiamo dare la nostra intelligenza, sottomettendola docilmente alle verità della nostra santa fede; dobbiamo dare la nostra volontà conformandola alla sua legge; a Lui dobbiamo dare il nostro corpo, con una vita lontana dalle impudicizie, dalle crapule, dalle ubriachezze; a Lui dobbiamo dare la nostra lingua, non imbrattandola con discorsi meno belli, con mormorazioni, con bestemmie. – Si mostra a Dio la nostra gratitudine, servendolo senza tristezza. Siamo tristi perché giudichiamo che altri siano più favoriti che noi. Con questa nostra tristezza veniamo a giudicare l’operato del Signore. Crediamo di non esser trattati bene come gli altri, e non ci sentiamo di accettare la misura da Lui stabilita nella distribuzione dei suoi favori. Gli operai chiamati per primi a lavorare nella vigna, come è detto nella parabola del Vangelo, invece di ringraziare il padrone, quando alla fine della giornata fa distribuire la paga convenuta, brontolano come fossero trattati ingiustamente, perché il padrone ha creduto bene di abbondare con quelli venuti a lavorare per ultimi. Così facciamo anche noi, quando giudichiamo di essere trattati meno generosamente degli altri. Siamo tristi perché ci consideriamo retribuiti al di sotto dei nostri meriti. Quanto abbiamo da Dio, sia tanto, sia poco, è tutto dono di Lui: e dobbiamo in ogni tempo e in ogni luogo mostrarci lieti e contenti della sua generosità. Si mostra pure gratitudine a Dio accettando con animo tranquillo, sottomesso alla sua volontà, i dolori con cui ci purifica. L’uomo che nutre sentimenti di gratitudine verso Dio, datore di ogni bene, in queste circostanze pensa: I miei peccati meritano forse una ricompensa? È vero, Dio mi prova; ma le mie mancanze meritano ancor di più: Dio è pur buono con me. Con questi dolori mi dà modo di espiare i miei peccati: io gli devo esser grato.
3.
I Corinti, finché saranno su questa terra avranno, come tutti i Cristiani, da combattere contro nemici d’ogni genere, ma l’Apostolo spera che Dio li fortificherà con la sua assistenza, mantenendoli saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo. Senza l’assistenza di Dio nessuno potrà perseverare sino all’ultimo. Il mostrarsi grati dei benefici ricevuti è un mezzo efficace per assicurasi questa assistenza. Dopo un luogo periodo di pioggia si invoca un vento di tramontana, che spazzi via le nubi e riconduca il sereno. Ma se il vento è troppo forte e duri a lungo, distrugge presto i benefici della pioggia disseccando il terreno. L’ingratitudine è precisamente come un vento impetuoso che asciuga la sorgente dei benefici. « Perciò è un grave pericolo per gli uomini mostrarsi ingrati a Dio, obliarne i benefici, non far penitenza dopo il castigo, e non rallegrarsi del perdono» (S. Leone Magno: Serm. 84, 1). – Al contrario, la gratitudine predispone il benefattore a concedere nuovi benefici. La gratitudine è lo sprone dei benefìzi, dice un proverbio tedesco. Fermiamoci nel campo della gratitudine verso Dio. Apriamo il Vangelo. Un giorno Gesù, nel recarsi a Gerusalemme attraverso la Samaria e la Galilea, è incontrato da dieci lebbrosi, che da lontano alzano la voce dicendo: «Gesù Maestro, abbi pietà di noi». E Gesù, mosso a pietà, li guarisce. Di questi dieci, uno solo, un Samaritano, si mostra grato del beneficio ricevuto, prostrandosi ai piedi di Gesù, e ringraziandolo. Gesù, che biasima il contegno dei nove lebbrosi i quali non hanno sentito il dovere della gratitudine, apprezza la dimostrazione di riconoscenza di questo estraneo. Il guarito è un Samaritano, cioè appartiene a gente odiatissima dai Giudei, e Gesù ne fa l’elogio: «Non si è trovato chi tornasse a dar gloria a Dio, salvo questo straniero». Gli richiama alla mente quale fu la causa della sua guarigione: «La tua fede ti ha salvato»; e gli apre la via anche alla salvezza dell’anima, mediante la fede in Gesù Cristo (Luc. XVII,11-19). – Come l’ingratitudine ha per base la superbia, perché l’ingrato stima che tutto quello che ha gli sia dovuto, così la gratitudine ha per base l’umiltà, poiché tutto quanto si possiede è riconosciuto come dono della bontà di Dio, a cui da parte nostra non si ha alcun diritto. E Dio predilige in modo particolare gli umili, come attesta la S. Scrittura: «Dio resiste ai superbi, ma agli umili dà grazia» (Giac. IV, 6). Il ringraziamento, fatto non a fior di labbra soltanto, ma accompagnato da umili sentimenti interni, è come un soave fumo d’incenso che, salendo a Dio, si trasforma in pioggia di nuovi benefici. Assuefiamoci a ringraziar Dio tutti i giorni, assuefiamoci a ringraziarlo fin dai primi anni della vita. Quando il Card. Mercier, sottraendosi per qualche giorno ai profondi studi e alle gravi cure amministrative, si ritirava in campagna a Braine-D’Alleud, incontrava tal volta, nella passeggiata serale attraverso i campi, qualche gruppo di bambini di ritorno dalla scuola. Egli li fermava additando loro le colline rivestite d’oro e di porpora sotto i raggi del sole morente, e diceva: «Guardate, piccini, che bellezza! Chi ha fatto tutto questo? — Il buon Dio. — Si, bambini; ma bisogna ringraziarlo d’avervi fatto così bei doni, e soprattutto bisogna amarlo » (Mgr. Laveille, Le Cardinal Mercier, Paris 1927, p. 116-117). – L a Chiesa, in certe circostanze dell’anno, specialmente nell’ultimo giorno, ci chiama a ringraziar Dio per i benefici ricevuti. Chi sente l’obbligo della gratitudine, non aspetta queste circostanze: lo ringrazia ogni giorno e in ogni luogo, perché in ogni giorno e in ogni luogo trova da ammirare i benefici di Dio. È un dovere di giustizia ed è nostro interesse. Perciò la Chiesa va ripetendo ogni giorno: «E’ veramente cosa degna e giusta, conveniente e salutare, che sempre e in ogni luogo noi ti rendiamo grazie, Padre Onnipotente, Eterno Iddio, per Cristo Signor nostro» (Prefazio com. della Messa).
Graduale
Ps CXXI: 1; 7
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.
Alleluja
V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja
Ps CI: 16
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XLVI
“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la podestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini”.
Tutte le opere diverse, che fa Iddio, non sono tali che esigano nella loro diversità maggiore o minore potere. Qualunque sia la loro esteriore solennità, esse non costano di più a Dio, e tanto per creare un atomo come per creare milioni di splendentissimi soli non occorre altro che un atto solo della sua onnipotente volontà. Quindi è che a Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, era lo stesso il rimettere ad un uomo i suoi peccati ed il guarirlo istantaneamente da una sua grave infermità. Ma se queste due azioni non erano l’una più divina dell’altra, tuttavia l’effetto della prima, vale a dire della remissione dei peccati, non era visibile all’esterno, né potevasi perciò verificare come l’effetto della seconda, cioè la guarigione istantanea da una infermità. Or bene Gesù Cristo volendo comprovare che Egli, come vero Dio, aveva la potestà di rimettere i peccati, dopo di averla esercitata di fatto verso un povero paralitico, lo guarì ancora e subito dalla sua infermità. – È questa appunto la storia, che ci narra il Vangelo di questa Domenica. Facciamoci a considerarla.
1. Dice anzi tutto il Vangelo che Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Era già da più di un anno, che il Salvatore evangelizzava la Giudea, quando salendo su d’una barca passò all’altra sponda del lago di Genezaret per andare al paese dei Geraseni. Colà Egli guarì due uomini che erano ossessi. Ma ben tosto fu pregato da quelli di quel paese di allontanarsi da loro. Poiché Gesù nel cacciare i demoni aveva permesso che essi entrassero in alcuni porci, i quali, come ne furono invasi, divenuti furiosi, si erano precipitati nel mare, dove tutti rimasero affogati. Sicché le genti di quei luoghi, benché avessero riconosciuta la grande potenza di Gesù, mossi tuttavia dal vile interesse, avevano pregato Gesù che si allontanasse dai loro confini. E Gesù senza dir nulla montato di nuovo su una barca e ripassato il lago andò nella sua città, vale a dire non a Betlemme, dove era nato, neppure a Nazaret, dove aveva dimorato durante la sua vita privata, ma a Cafarnao, che Gesù aveva eletto come sua speciale dimora. Non appena si seppe quivi che Egli era venuto, la gente, ben diversa da quella dei Geraseni, si venne affollando intorno alla casa in cui Egli si era ridotto, facendo così gran festa per il suo arrivo. E con quanta ragione! Direte voi. Potevasi avere maggior fortuna, che accogliere nella propria città, anzi nelle proprie case Gesù Cristo? Tuttavia, o miei cari, mentre qui ammiriamo i Cafarnaiti, non dimentichiamo che noi possiamo essere anche più fortunati di loro, essendoché possiamo ricevere ed avere Gesù non solo nelle nostre città, e nei nostri paesi, non solo nello nostre chiese, ma eziandio nel nostro cuore per mezzo della Santa Comunione. Se non che, mentre certi giovani e certi Cristiani potrebbero benissimo procacciarsi assai di spesso una tale fortuna con l’accostarsi appunto frequentemente alla Santa Comunione, e ne avrebbero anche un certo qual desiderio, a differenza di tanti cattivi Cristiani che a ciò non pensano punto, se ne astengono tuttavia. E per quale ragione? Ecco. Non pochi di costoro si pensano, che per poter frequentare la Santa Comunione più di quel che non facciano, bisognerebbe essere già grandi santi. Ora questo è uno dei molti inganni, di cui si serve il demonio per tenerli lontani appunto da ciò che è il gran mezzo per arrivare alla santità. – È fuor d’ogni dubbio, che per comunicarsi degnamente v’è bisogno d’una certa santità: ma quale dovrà essere? Forse, quella sì perfetta, che trovavasi ne’ grandi santi, e nei martiri? No di certo; la santità che richiedesi per la frequente Comunione, è alla portata di tutti i Cristiani chiunque siano; poiché essa consiste semplicemente nello stato di grazia insieme con la sincera volontà d’evitare il peccato, e servire a Dio meglio che si possa. Il che non è cosa al tutto semplice ed elementare? e non sentite in cuore che Dio la richiede da voi? Ei vi domanda tanto quanto è assolutamente necessario ad esser vero Cristiano. Difatti, qual Cristiano egli è mai quello che vive in istato di peccato mortale, e si compiace del male? Adunque perché vi comunichiate degnamente, nostro Signore in sostanza altro non vuole se non che siate veramente Cristiani e animati verso di Lui da una sincera e buona volontà. Avete voi questa buona volontà? Rispondete coscienziosamente. Ove non l’abbiate è d’uopo acquistarla, poiché senza di essa precipitereste nell’inferno. Se poi l’avete, perché non andate a comunicarvi per sempre più rafforzarla ed accrescerla? È questo il ragionamento chiaro ed ineluttabile, con cui il grande arcivescovo e dottore S. Giovanni Grisostomo stringeva già un tempo i fedeli di Costantinopoli. O siete in grazia di Dio, diceva loro, o no? Se siete in grazia di Dio, perché non accostarvi alla santa Comunione istituita appunto perché vi manteniate in grazia? Se poi siete in istato di peccato, perché non cercate di pacificarvi con Dio per mezzo d’una buona Confessione, e andare poi alla Eucaristica Mensa, donde pigliereste forza a non più ricadere? Ma ad ogni modo, dicono ancora certi Cristiani, noi non siamo proprio degni della Comunione frequente. Or bene, costoro hanno maggior ragione? Niente affatto, perché se questa ragione valesse, non bisognerebbe comunicarsi mai, dice S. Ambrogio. Chi non è degno di comunicarsi spesso potrà forse esserlo di comunicarsi fra un anno? Voi dite d’essere indegni; ma non sapete che quanto più vi tenete lontani da Gesù Cristo tanto più divenite indegni d’appressarvi a Lui? che le vostre colpe si vanno aumentando a proporzione che v’astenete dai Sacramenti? Lasciate da parte questa pregiudizievole umiltà, La Chiesa sa benissimo, non essere voi degni di comunicarvi; e nondimeno v’invita a comunicarvi spesso, anzi spessissimo. Essa è sì persuasa, che né voi, né altri è degno della Santa Comunione, da imporre a tutti i suoi figli, a tutti i suoi ministri, e persino ai Vescovi di dire prima di comunicarsi non una sola, ma tre volte e con tutto il cuore: Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: Signore, in non son degno che voi veniate nella mia casa. Pertanto quando il confessore vi ha dato il permesso di accostarvi più volte alla settimana ed anche quotidianamente alla Santa Comunione, lasciate da parte ogni scrupolo ed accostatevi con una santa libertà, e così ancor voi potrete rallegrarvi che Gesù benedetto venga non solo nella vostra città, nella vostra casa, ma anzi nel vostro cuore istesso.
2 . Entrato adunque Gesù in una casa di Cafarnao ed essendo ivi circondato da una grande moltitudine di gente, nonché da molti Scribi e Farisei, ecco che alcuni uomini gli presentarono un paralitico, giacente nel letto. L’Evangelista S. Matteo non ci dice le circostanze, che accompagnarono tale presentazione. Ma ben le sappiamo dagli Evangelisti S. Marco e S. Luca, Ed essi ci narrano come i quattro portatori di quel paralitico volevano entrare nella casa, dove era Gesù, ma non essendo loro possibile per la gran calca della gente per la scala esterna salirono sopra il tetto. Là giunti ne scopersero quanto era necessario per farvi passare il letto con l’infermo, quindi assicurato quello con delle funi lo calarono giù innanzi a Gesù. E Gesù veduta la loro fede, disse al paralitico: Figliuolo, confida: ti sono perdonati i tuoi peccati. E come mai, domanderete voi, mentre quegli uomini di buon cuore andarono a chiedere a Gesù la guarigione di quel povero paralitico, Egli volle prima di guarirlo dalla sua infermità, rimettergli i peccati? Perché, risponde S. Girolamo, il divino Maestro volle insegnarci che le malattie del corpo sono bene spesso il castigo dei peccati dell’anima. Epperò sebbene nulla ci autorizzi a dire di ogni infermità che sia il castigo d’una colpa commessa dal malato, tuttavia ben possiamo credere che in generale i peccati siano la causa dei nostri mali. Ed invero il Signore non aspetta sempre nell’altra vita a castigare chi lo offende, ma castiga molte volte anche quaggiù in modo terribile. Adamo si ribellò a Dio, e tosto gli animali, la terra, si ribellarono a lui, ed entrò nel mondo la morte con ogni sorta di mali. Al tempo del diluvio, gli uomini fecero i sordi alla voce di Noè, che minacciavali della giustizia divina, e perirono tutti. I Sodomiti non vollero dare ascolto a Dio ed una pioggia di fuoco e zolfo li sterminava. Faraone s’ostinò a non obbedire a Dio, e ben dieci piaghe, una più grave dell’altra, vennero a travagliare tutto il suo popolo. E perché non bastarono neppur queste a rattenere gli Egiziani dal disobbedire ai comandi del Signore, furono precipitati come piombo in fondo al mare. Core, Datan ed Abiron commisero un sacrilegio e la terra si aperse e li inghiottì con quanto loro apparteneva. Samuele disse a Saul: Il Signore vuole che s’obbedisca al suo cenno, perché l’obbedienza gli riesce più accetta del sacrifizio. Ora perché tu hai postergato la parola del Signore, Egli ti rigetta, affinché tu non sii più re. Così per il peccato, osserva S. Gregorio, Saul cadde e perdette la gloria e l’alta dignità, di cui era vestito, menò il restante della vita in continua agitazione e finì di mala morte. E lo stesso Davide? Glorioso per molte vittorie, trovandosi pacifico possessore del suo trono, s’invogliò di sapere il numero de’ suoi sudditi. Di questa superba curiosità si sdegnò il Signore, che gli mandò un profeta a proporgli la scelta di tre castighi: o sette anni di carestia, o tre mesi di guerra disastrosa, o tre giorni di pestilenza. Davide riconoscendo il suo mancamento, volle scegliere quel castigo dal quale potesse più difficilmente ripararsigli, vale a dire la pestilenza. La mortalità fu terribile; la strage fu di settanta mila vite, e avrebbe infierito anche più, se Davide pentito non avesse placato Iddio con orazioni e con sacrifizi, onde il flagello del tutto cessò. E quante altre volte il Signore mandò sulla terra la peste, il colera ed altre gravi malattie epidemiche a mietere a centinaia, a migliaia le vittime! Quanti furono e sono colpiti da Dio di qualche grave infermità o di qualche altra disgrazia, propriamente perché gli hanno recata qualche offesa e menano una vita di peccato! Temiamo adunque santamente che la mano di Dio si aggravi anche su di noi. Epperciò se vogliamo sfuggire il castigo non solo nell’eternità, ma anche nella vita presente, teniamone lontana la causa.
3. Ma, tornando al Vangelo, dopoché Gesù ebbe detto al paralitico: Confida, ti son rimessi i tuoi peccati; subito alcuni degli Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia: (imperciocché non volevano credere che Gesù Cristo era Dio, al quale solo si appartiene di rimettere i peccati). E avendo Gesù veduti i loro pensieri disse: perché pensate male in cuor vostro! Che è più facile, di dire: ti sono perdonati i tuoi peccati, o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la podestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Così adunque Gesù Cristo, con la guarigione di questo paralitico, comprovò la sua divinità e la conseguente potestà di rimettere i peccati. Ma ora, lasciando questa ed altre riflessioni, che si potrebbero fare su di ciò, accontentiamoci di osservare come il divin Redentore dopo aver rimesso a questo paralitico i suoi peccati, nel modo con cui lo guarì dalla sua infermità corporale, gli fece intendere altresì come non avrebbe più dovuto ricadere in quella spirituale. Ed in vero il dirgli: Sorgi, piglia il tuo letto, e vattene a casa tua; secondo che nota S. Pier Crisologo, fu un dirgli: sorgendo da’ tuoi peccati, porta quello che ti portava, cioè cangia interamente condotta, mena una vita diversa da quella di prima. Ed ecco il migliore e più sicuro contrassegno della guarigione spirituale dell’anima nostra nel Sacramento della penitenza, la mutazione della vita, il cambiamento dei costumi, o almeno una notabile emendazione. Oh si! Questa è veramente la pietra di paragone per giudicare della sincerità delle nostre disposizioni. Ecco i frutti di penitenza, di cui parla Gesù Cristo nel Vangelo e che esso pretende dal peccatore convertito. Non foglie e fiori di sole parole, di promesse, di vane apparenze e dimostrazioni, ma frutti veri e solidi di fatti e di operazioni. – Si legge pure nel santo Vangelo, come Gesù Cristo dopo aver sanato quell’altro paralitico, che da 38 anni se ne stava alla Piscina, avendolo poscia incontrato nel tempio, gli diede questo gran ricordo: Ecco che sei guarito; ma bada di non peccar più, perché non ti avvenga qualche cosa di peggio. Lo stesso vale per colui che col Sacramento della penitenza non solo è guarito nell’anima, ma richiamato da morte a vita. Guai a lui se presto ritorna di nuovo ai peccati! Con ciò egli fa molto temere della sincerità di sua penitenza; e ad ogni modo ei si porrebbe con le sue ricadute in uno stato ancor più funesto di prima, andando così di male in peggio. L’albero, dice Gesù Cristo, che non dà frutti buoni, sarà tagliato e gettato al fuoco. Però se dopo la Confessione non si vede nessuna riforma di vita, nessuna emenda, nessuna premura ed attenzione per evitar i peccati, per durarla stabilmente in grazia di Dio, se invece si torna, poco più poco meno, alle solite colpe come prima, alle bestemmie, alle disonestà, alle collere, allo maldicenze, ai furti, ai nefandi pensieri, ai discorsi osceni come prima, convien dire che non vi è stata sincerità nel dolore, né fermezza nel proponimento, e che in tali confessioni non vi fu che apparenza, superficialità ed illusione. Così la intendono i santi Padri, che un dopo l’altro affermano, che chi ritorna al peccato, che prima ha detestato, non è un penitente, ma un ingannatore che si burla di Dio. Quando non si vede emenda, è segno che il pentimento non ò stato vero; così afferma S. Isidoro. E Tertulliano dice: Vana è la penitenza quando è contaminata dal peccato, che lo tien dietro. Chi mette insieme lagrime e peccati, non merita perdono. E Sant’Agostino: Niente giova il pentimento se si torna alle colpe; né vale il domandar perdono del male commesso, e poi commetterlo di nuovo. Per questo è invalsa quella sentenza fatta già comune e popolare che dice: Confessarsi e non emendarsi è la strada di dannarsi. Molti si pentono, scrive S. Alfonso Liguori, ma non si convertono. Hanno un certo rincrescimento della loro vita sconcertata, ma non si convertono davvero a Dio. Si confessano, si battono il petto, promettono di emendarsi, ma non fanno una ferma risoluzione di mutar vita. Chi fermamente risolve di mutar vita, si mette all’opera e si mantiene, almeno per un tempo notevole, in grazia di Dio. Ma quei che dopo la confessione presto ricadono, danno a vedere che si sentono pentiti, ma non convertiti, o al più pentiti e convertiti solo in parte e per metà, e quindi non a sufficienza, conservando tuttora più che mai vivo nel cuore l’attacco maledetto a qualche grave peccato, a cui si sentono più inclinati. Ora Iddio per perdonare non si contenta d’una conversione dimezzata, ma la vuole completa, con tutto il cuor nostro; giacché dice il Savio, che non riceve la misericordia di Dio chi solamente confessa i suoi peccati, ma chi li confessa e li lascia. O cari Cristiani e cari giovani, ponete adunque un grande studio per ricavare profitto dalle vostre Confessioni. Confessarsi e confessarsi sovente è cosa bellissima e santa; ma ricadere sempre negli stessi peccati e doversi sempre confessare degli stessi è cosa assai brutta e pericolosa. Proponiamo perciò di imitare tutti la condotta del paralitico del Vangelo di oggi, ed al comando che Dio ci fa, sorgiamo anche noi dalle nostre colpe, liberiamoci dall’infermità delle nostre passioni, e camminando per la via diritta del bene disponiamoci a poter entrare al fin della vita nella nostra vera casa, che è il Cielo.
Credo …
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël. [Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]
Secreta
Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur. [O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]
Communio
Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus. [Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]
Postcommunio
Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias. [Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]
Per l’Ordinario vedi:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/