DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam. [Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam. [Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.
[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6
“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in saecula sæculórum. Amen.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA FAMIGLIA CRISTIANA

“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”

L’epistola di quest’oggi è una continuazione di quella della domenica scorsa. L’Apostolo, ricordato agli Efesini che devono vivere in modo consono alla grande dignità di Cristiani, alla quale furono chiamati, scende al particolare, e viene a parlare dell’unione degli animi che deve regnare tra di loro. Essi devono conservare l’unione, perché uno solo è il corpo mistico a cui appartengono, la Chiesa; uno solo è lo spirito che anima questo corpo, lo Spirito Santo; uno solo è il fine per il quale sono stati chiamati, la speranza di trovarsi uniti con Dio in cielo; uno solo è il Signore al quale credono con una stessa fede; uno solo è il Battesimo che li ha fatti entrare nella Chiesa. Vi è un solo Dio. che è il Padre comune. Se, per tutti i motivi addotti, deve regnare una perfetta armonia nella famiglia cristiana, quest’armonia non dev’essere minore nelle singole famiglie, che formano la società. E questa armonia non manca:

1. Se ciascuno adempie i suoi obblighi con spirito di fede,

2. Se c’è pazienza e mansuetudine,

3. Se c’è carità.

1.

Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati. Gli Efesini, come tutti i Cristiani,sono stati chiamati a far parte della grande famiglia diDio. La grande dignità di questa condizione esige che essivivano, non più secondo le norme del mondo pagano, mache vivano santamente, corrispondendo alle grazie ricevute.La grande famiglia cristiana è formata da tantepiccole famiglie che richiedono, da coloro che la compongono,l’adempimento di particolari doveri, che dovrebberoessere come il santuario dell’armonia e della pace,e sarebbero tali, se si imitassero le mirabili virtù con lequali Gesù ha consacrato la vita domestica.La condizione di chi è senza famiglia non è rosea. Facompassione l’orfanello senza la guida e il sostegno deigenitori; muove a pietà il vecchio abbandonato; ci fa pena l’infermo che non ha un congiunto che vegli al suo letto, e lenisca i suoi dolori. Ma non è neppur rosea la condizione di tante famiglie nelle quali invece dell’armonia e della pace, si trova l’inferno. Chi è a capo della famiglia non pensa: sono in questa condizione per volontà di Dio; devo, dunque, diportarmi in maniera degna della mia vocazione, e vedere, quindi, ciò che Dio stabilisce in proposito. — Dio stabilisce, per bocca dell’Apostolo – «Le donne siano soggette ai mariti come al Signore, poiché l’uomo è il capo della donna, come Cristo è il capo della Chiesa, essendo il Salvatore del suo corpo» (Ef. V, 22-23.). Qui è stabilita l’autorità del marito nella famiglia, e gli è posto davanti il modello da imitare nell’esercizio di questa autorità: Gesù Cristo. Egli ha salvato la Chiesa, sacrificandosi per essa, la conserva, l’assiste, la governa. Così il marito è capo della moglie, non per tiranneggiarla o maltrattarla, ma per guidarla, proteggerla, e prestarle quegli aiuti e quell’assistenza di cui potrebbe abbisognare. Il marito non deve considerare la casa come un luogo di gioie, di vantaggi, senza voler portarne i pesi, le amarezze, le disillusioni. – Da Dio son stabiliti anche i privilegi e i doveri della moglie. «Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così ancora le donne ai loro mariti in ogni cosa» (Ef. V, 24.). Essa non deve pretendere di dominare, usurpando l’autorità del marito, e molto meno deve pretendere di comandare a lui. La sua libertà è limitata. «Egli ti comanderà», aveva già detto Dio a Eva (Gen. III,16). Questo però non vuol dire che la moglie debba vivere da serva o da schiava. La sua soggezione al marito è basata sull’amore, sull’esempio della soggezione della Chiesa a Gesù Cristo. Perciò l’Apostolo soggiunge: «I mariti devono amar le mogli come i propri corpi» (Ef. V, 28). – Anche le relazioni tra i figli e i genitori sono stabilite da Dio: «Figliuoli, siate ubbidienti ai vostri genitori nel Signore; perché ciò è giusto. Onora il padre tuo e la madre tua: ecco il primo comandamento della promessa, affinché tu sii felice, e abbia lunga vita sulla terra» (Ef. VI, 1-3). Purtroppo l’ubbidienza ai genitori è generalmente trascurata, e l’onore si confonde, il più delle volte, con una confidenza illimitata, poco dignitosa, che presto diventa padronanza, e cambia le parti nella famiglia. Si preferiscono gli insegnamenti della moda a quelli dello Spirito Santo. – I genitori hanno anch’essi tracciata la norma rispetto ai figli. «E voi, padri, non irritate i vostri figliuoli, ma allevateli nella disciplina e negli ammonimenti del Signore » (Efes. VI, 4). I genitori amino sinceramente i loro figli, non passino la misura nel corregerli, lasciandosi guidare dalla passione, invece che dalla ragione; l’affetto paterno, però, non impedisca di osservare i loro difetti e di correggerli, di avvezzarli all’obbedienza e alla mortificazione, e di allevarli nel timor di Dio. – Prima condizione, dunque, per vivere in pace e armonia nella vita domestica è il regolarsi secondo le norme che Dio ha stabilito per i vari membri della famiglia.

2.

Nella grande famiglia cristiana non ci può essere unione, se domina lo spirito della superbia e dell’ira; perciò l’Apostolo vuole che i Cristiani si diportino con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza. Questo contegno è necessario soprattutto nella vita domestica. I motivi di contrasto si hanno maggiormente con chi ci sta vicino. C’è la diversità di carattere. Per quanto due caratteri si assomiglino, non si accordano mai in tutto; e poi c’è sempre qualche circostanza che può metterli in urto tra di loro. Purtroppo la diversità di carattere è il pretesto più frequente della disunione e della rovina delle famiglie. – Dopo un po’ di tempo cominciano gli screzi, poi vengono i contrasti aperti, poi uno diventa uggioso all’altro. La famiglia non è più un dolce nido, è diventata una casa di punizione. Le conseguenze ciascuno può immaginarle. Quasi sempre però si potrebbero evitare se almeno uno dei coniugi fosse stato educato di buon’ora a vincer se stesso con l’esercizio della pazienza. La Beata Anna Maria Taigi visse col suo sposo, sotto i medesimo tetto, per quarant’anni continui, senza che da una parte o dall’altra ci fossero risentimenti o rimpianti, tanta era l’unione degli spiriti. Eppure si trattava di due caratteri disparatissimi. Lei dolce, soave, composta; lui aspro, rozzo, inquieto, e talvolta anche violento. Ma la Beata non si offese mai di questi modi, né mai la si vide contendere con lui. Egli, come dicevano i vicini, aveva un carattere da cagionare continui incendi, ma la dolcezza e il tatto della santa consorte sapeva evitare l’incendio e mantenere l’armonia nella casa (Mons. Carlo Salotti. La Beata Anna Maria Taigi madre di famiglia. Roma 1924, p. 89-90). Sopportiamo il carattere dei compagni di lavoro, sopportiamo il carattere delle persone con cui si tratta per affari o per ufficio, perché non dobbiamo sopportare il carattere di quei che compongono la nostra famiglia? « Quel dovere che ti obbliga verso gli estranei — dice S. Ambrogio al marito — t’incombe maggiormente verso la moglie, col tollerarne e correggerne la condotta » (Exp. S. Evang. sec. Lucam, L. 8, n. 4). Lo stesso si dica della moglie rispetto al marito. Pazienza vince in tutte le guerre. – Nella vita domestica o un momento o l’altro vengono le ore grigie. Con le lamentele, con le imprecazioni, con lo scoraggiamento non si rimedia. Il rimedio più efficace, l’unico rimedio che il capo famiglia deve adottare è quello di una grande pazienza. Deve in quei momenti ricordarsi in modo speciale delle parole del Salvatore: «imparate da me », e sull’esempio di Lui, che governa la gran famiglia cristiana dalla croce, guidare, rassegnato e da forte, la propria famiglia con grande spirito di sacrificio. – Nel cielo della famiglia può sorgere qualche leggera nuvola. Ma questa nuvola bisogna procurare di fugarla subito. « Il sole — dice S. Paolo — non tramonti sul vostro sdegno» (Ef. IV, 26). E ‘ una scena abbastanza brutta, vedere in una casa, al medesimo desco, gente che non parla, facce che si voltano per non incontrarsi negli sguardi, visi corrucciati e fronti tristi. Non è abbastanza pesante la vita che si conduce fuori di casa, per volerla triste anche tra le pareti domestiche? Non dovrebbe mai tramontare il sole prima che la pace familiare sia riacquistata, primi che i malintesi siano dissipati, prima che le piccole tempeste siano sedate.

3.

Tutti i membri della società cristiana, e, più ancora tutti i membri di una famiglia devono sforzarsi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Questo si ottiene con la carità. «La pace e la carità sono sorelle senza bisogni e senza cure». Quando nella famiglia domina la carità, tutto si appiana. Il marito cerca di provvedere a tutto. Non solo trova ragionevoli i sacrifici che gli si domandano, ma sa indovinare e comprendere anche quelli che non gli si domandano; e, per quanto sta in lui, accontenta e previene. Egli sa apprezzare la parte importante e delicata che in seno alla famiglia compie la moglie, e cerca di alleggerirne i pesi con le sue premure. Quando nella famiglia domina la carità, la moglie non si acciglia se il marito è di malumore, soprappensiero. Il lavoro giornaliero, l’andamento degli affari, le preoccupazioni per la famiglia possono spiegare benissimo questi momenti tristi. Essa conosce la propria missione: addolcire, mitigare, rasserenare. Quando nella famiglia domina la carità, i figli non vengono considerati come un peso; non ci si disinteressa di loro. Si ringrazia Dio che li dona e si trattano come li trattava Gesù quando le madri glieli conducevano perché li benedicesse. Egli li trattava come tesori preziosi. Minacciava chi avesse tentato di scandalizzar questi innocenti i cui Angeli vedono continuamente la faccia del Padre celeste, e che hanno diritto al regno del cielo. E quando i genitori considerano i loro figli come tesori preziosi, loro affidati da Dio,usano tutte le precauzioni per tenerli lontani da tutto quello che potrebbe renderne l’anima meno bella agli occhi dei loro Angeli custodi; li correggono quando prendono cattiva piega. Sarebbe un grave errore credere che il castigo escluda l’amore. È questione di lasciarsi guidare dall’amore e non dall’ira. «Non credere di amar tuo figlio, quando non lo castighi… ; — dice San Agostino — questa non è carità, ma languore» (In Epist. Ioannis Tract. 7, 11). – E quando i figli sono trattati con amore illuminato, non rimangono insensibili. Il ripicco, il puntiglio, la cocciutaggine sono rari: è più facile che traggano profitto dalla correzione, rientrando in se stessi. Se vogliamo che nella famiglia regni veramente, come dovrebbe regnare, l’armonia e la pace, non prendiamo per guida gli insegnamenti della moda, ma il santo timor di Dio: nei contrasti, nelle difficoltà non perdiamo mai la calma, in tutto e sempre siamo animati dalla carità. La nave, quando il mare è in tempesta, procede male anche lontana dagli scogli: nella calma, fila sicura anche tra gli scogli, se chi la guida ha occhio attento e cuor generoso.

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.
[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja [Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogáre”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLV.

“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.

Il divin Redentore si trovava in Gerusalemme dopo il suo ingresso trionfale in quella città, epperciò qualche giorno appena prima della sua passione e morte. E i suoi nemici, gli uni dopo gli altri, gli si appressavano facendogli con maligna insistenza varie domande affine di confonderlo se fosse stato possibile. Ma in quella vece alle domande, che gli erano fatte, Gesù Cristo rispondeva in modo, che restavano confusi i suoi nemici. Egli aveva allora allora chiusa la bocca ai Sadducei, specie di materialisti di quel tempo, che negavano la resurrezione, quando, come ci narra il Vangelo d’oggi, i Farisei avendo ciò saputo si unirono insieme; quindi uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? E Gesù rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge e i profeti. Così rispose il Divino Maestro a quel Dottore, e così insegnò anche a noi. Oggi perciò prendiamo questo importantissimo ammaestramento.

1. Gesù Cristo stesso adunque nella risposta data a quel dottore, che lo interrogava solo per tentarlo, fece chiaramente intendere che il primo, il più grande dei nostri doveri, quello in cui sono compresi tutti quanti gli altri prescritti dalla legge divina ed insegnatici dai profeti, si è quello di amare Iddio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, e con tutto il nostro spirito. Dal che è facile comprendere come la carità è la massima tra le virtù, e che di quanto l’oro sopravanza gli altri metalli, il sole vince le stelle, i Serafini superano gli Angeli, di tanto la carità è superiore alle altre virtù. Perciò non bisogna meravigliarsi che S. Paolo abbia scritto: Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli e non avessi la carità, sarei come un bronzo sonante o come un cembalo che squilla. E quando avessi il dono della profezia, quello dell’intelligenza di tutti i misteri e tanta fede da trasportare le montagne, mancando di carità sarei niente. E se pur distribuissi in nutrimento ai poveri tutte le mie facoltà e sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità nulla mi giova. No, che S. Paolo abbia scritte queste cose non bisogna meravigliarsi, perché dove non è la carità, non giova neppure alcun’altra virtù, ma dove la carità si trova, si trovano pure tutte le altre virtù, essendo essa una regina, a cui tutte le virtù fanno corteo. Essa è l’oro prezioso e purgato, col quale si compra il cielo, è un fuoco celeste, che infiamma i cuori, è una virtù angelica, che cangia gli uomini in Serafini. Tanto è grande la carità, che ci unisce così intimamente a Dio da formare in certo modo una sola cosa con Lui: poiché l’amore cangia in certa guisa colui che ama in quello che è amato. Da tutto ciò apparisce chiaramente quanto importi amare il nostro Dio. E come non amarlo, o cari Cristiani e cari giovani? Non è Egli degno di tutto quanto il nostro amore? Egli è la santità, la potenza, la sapienza, la bontà, la misericordia, la scienza infinita. Dio sorpassa all’infinito non pure tutto ciò che esiste con tutte le sue perfezioni e qualità, ma ancora tutte le cose possibili ed immaginarie; e le sorpassa non di cento, non di mille, non di milioni di gradi, ma infinitamente al di sopra di ogni calcolo. E ben a ragione esclamava Davide nei suoi salmi: Grande è il Signore e al di sopra di ogni lode. Dunque non è Egli infinitamente amabile? Ma bisogna in secondo luogo amare Iddio, perché Egli ci ha sovranamente amati, secondochè già aveva detto per Geremia: Io vi ho amati di un amor eterno, perciò vi ho attirati a me nella mia misericordia. E che necessità aveva Egli di amarci fin dall’eternità? Nessuna. Quale utilità ne ritrae a suo riguardo? Quali meriti vi erano in noi, perché ci rivolgesse il suo amore? Ah! che nient’altro che la bontà infinita di Dio è la base e la ragione dell’averci Egli amato e dell’amarci tanto ancora. E come Egli immensamente ci ama, così immensamente ci benefica. A quella guisa che il sole saetta i suoi benefici raggi per ogni parte affine di illuminare, di scaldare, di vivificare e di fecondar la natura, così Iddio spande su tutte le creature, ma specialmente sugli Angeli e sugli uomini i divini raggi della sua beneficenza, affine di illuminarli col lume della sua sapienza, di scaldarli del fuoco del suo amore e vivificarli della vita della grazia e della gloria. Ed in vero non è Dio, che ci ha creati, che ci ha redenti col Sangue preziosissimo del suo Divin Figlio? Non è Egli che ci conserva la vita, che ci dà ogni giorno il pane, che più ancora con la sua grazia e co’ suoi Sacramenti mira a santificarci per darci infine la prova suprema del suo amore nel Paradiso? Amiamo adunque, miei cari, amiamo un Dio, che tanto ci ama. Ma amiamolo a fatti e non a parole soltanto. Quegli pertanto, che ama davvero Iddio, non consentirà giammai ad offenderlo, ad oltraggiarlo, a violar la sua legge. E se pure gli accade di essere tentato ad offendere Iddio, la carità lo ha da rendere come invincibile. Sì l’amor di Dio deve essere come un fuoco, che consumi ed annienti il peccato stesso e renda come impeccabili. Ed è in questo senso che s. Agostino sentenziava: Ama e poi fa quel che ti piace. I martiri animati da questo santo fuoco, resistettero ai più acerbi tormenti inventati dai loro persecutori e carnefici. I santi tutti abbonavano per tal modo dal peccato da essere pronti a morire mille volte anziché commetterlo una volta sola. E quanti fra di loro sul fior della vita, mentre il mondo colle sue lusinghe, co’ suoi piaceri e coi suoi inganni cercava di attirarli a sé e guadagnarli al demonio, gli diedero risolutamente l’addio e spinti dalla divina carità si consacrarono tosto al Signore servendolo con ogni diligenza! Quanti non paghi di provvedere alla salvezza della loro anima si diedero ancora, benché assai giovani, alla salvezza delle anime altrui e per amor di Dio lasciarono la patria, i parenti, gli amici e varcando i mari si portarono tra i selvaggi e gli infedeli a far conoscere Gesù Cristo! O miei cari, diciamo con S. Agostino: Se questi e quelli hanno fatto tanto per amor di Dio, perché non faremo qualche cosa anche noi? E perché non faremo qualche cosa di grande? E voi, o giovani, mentre siete nel più bello della vostra vita, accendete in voi questa santa fiamma, accrescetela ogni giorno con la preghiera e con la frequenza dei Sacramenti, e proverete con la vostra stessa esperienza quanto sia soave il Signore e quanta gioia si provi nell’amarlo. E così se il Signore stesso vi conserverà lungo tempo sopra di questa terra, non vi accadrà nella vostra vecchiaia di dover con rincrescimento ripetere le parole di S. Agostino: « Troppo tardi ti ho conosciuto, o Signore, troppo tardi ti ho amato ».

2. Se il primo comandamento è quello d’amar Iddio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, immediatamente dopo questo e simile a questo è, per attestazione di Gesù Cristo medesimo, quello di amare il nostro prossimo come noi medesimi. E ciò a tal punto, che il Divin Redentore lo chiama in altra circostanza il suo precetto, cioè il precetto, che più gli sta a cuore e del quale più raccomanda l’adempimento. Vicino ad immolarsi sul Calvario per la salute degli uomini, Egli riunisce solennemente i suoi discepoli per dettare loro le sue ultime volontà e, « Miei figli, dice loro con l’accento della più viva carità, Io non ho più che poco tempo a rimanere tra voi; prima di lasciarvi, Io vi do un precetto nuovo, ed è che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amati; e per la vicendevole carità che vi unirà, si riconoscerà che voi siete miei discepoli. » Pertanto la carità verso del prossimo, per attestazione stessa di Gesù Cristo è il distintivo dei suoi veri discepoli. Gesù Cristo ha fatto con noi ciò che suole praticarsi dai nobili signori nelle loro case, che pongono indosso ai loro staffieri la livrea, acciocché tutti li conoscano per gente di loro servizio; ed ha voluto che la divisa per cui ci distinguiamo dagli idolatri, dagli infedeli e dai barbari e siamo da tutti ravvisati per suoi fedeli, sia la carità reciproca.Quindi ebbe a dire S. Giovanni Grisostomo: Molti sono i caratteri del Cristiano, ma quello che lo esprime al più vivo è lo scambievole affetto di una vera carità. Ecco perché gli Apostoli nelle loro lettere tanto raccomandarono l’amore reciproco e tra gli altri S. Giovanni, essendo già molto vecchio non faceva altro che dire: Figliuoli miei, amatevi gli uni gli altri. Vi furono di coloro, che al sentirlo a ripetere sempre la stessa cosa se ne lagnarono con lui; ma egli rispose: Se voi fate questo, fate tutto quello che dovete fare, perché questo è il precetto del Signore. Ma quale è la natura e l’estensione della carità, che deve unire insieme i cuori degli uomini? I maestri della vita spirituale paragonano questa carità, nella sua natura e nei suoi effetti, all’unione ed alla corrispondenza che, secondo l’osservazione di S.Paolo, esiste tra le diverse membra del corpo umano. S. Agostino spiega questa verità in una maniera ammirabile: Supponiamo, egli dice, che il piede cammini sopra una spina; che vi ha di più lontano dagli occhi che il piede? Esso è, per verità, molto lontano per la sua situazione; ma è molto vicino per la corrispondenza vicendevole di tutte le membra; appena dunque che il piede è stato punto dalla spina, gli occhi si mettono a cercarla, il corpo si curva per trovarla, la lingua domanda dov’è, e la mano si mette in dovere di cavarla. Frattanto gli occhi, la mano, il corpo, la testa e la lingua non provano alcun dolore, e lo stesso piede non ha male che in una sola parte; ma egli è perché tutte le membra si interessano le une per le altre. Ecco in qual modo noi dobbiamo regolarci verso i nostri fratelli; fa d’uopo che abbiamo tanta cura di essi quanta di noi medesimi; che ci rallegriamo dei loro vantaggi come dei nostri, e soprattutto che i  loro mali e i loro dispiaceri, non ci tocchino meno che le nostre proprie afflizioni, perciocché Gesù Cristo nel Vangelo di quest’oggi ci dice chiaro che dobbiamo amare il nostro prossimo come noi stessi. Epperciò tutto quello che noi non faremmo a noi stessi, non dobbiamo assolutamente farlo agli altri, e tutto quello che giustamente desidereremmo che gli altri facessero a noi, è quello che, potendo, noi dobbiamo fare agli altri, compresi gli stessi nostri nemici, poiché anche ad essi Iddio vuole che si estenda il nostro amore. Dare adunque dei buoni consigli, correggere in bel modo chi manca ai suoi doveri, consolare quelli che si trovano nell’afflizione, fare elemosina ai poveri secondo le proprie facoltà, perdonare facilmente i nostri offensori, soffocare qualsiasi sentimento di odio e di invidia, sono tutti doveri impostici dalla carità. Ma per praticare convenientemente questo gran precetto dobbiamo badare soprattutto ad evitare la discordia. Vi ha una cosa, scrive Salomone, che Iddio abbomina sovra tutte, ed è colui che mette risse tra i fratelli, che semina discordie. Questo passo della Sacra Scrittura dice aperto quanto grave delitto sia la discordia e quanto contraria alla carità fraterna. Ed in vero la discordia genera le imprudenze, le derisioni, le satire, i sarcasmi, le maledizioni. Essa irrita colui del quale si scoprono i vizi, che alla sua volta cerca di svelar quelli del suo avversario, ed allora da una parte e dall’altra si fa a gara a chi più propali, ingrossi ed inventi dei brutti fatti, a chi insomma parli più male e con maggiore malignità.Quanto importa adunque per la pratica della carità fraterna tener lontana da noi la discordia. Ma in qual modo vi si riuscirà facilmente? Ecco. Sorse contesa tra i mandriani d’Abramo e quei di Lot, dice la Genesi; allora Abramo così parlò a Lot: Io ti prego che non si levino risse tra me e te, tra i miei pastori e i tuoi; perché siam fratelli. Pertanto coloro che sono facili alla discordia, rammentino questo mirabile esempio, e si riducano a mente che siamo tutti fratelli in Gesù Cristo, e che Egli del reciproco amore e perdono ci ha fatto un assoluto comando. Perciò quando taluno ci facesse qualche ingiuria, sappiamo farci violenza e sopportare quell’ingiuria in pace. L’ingiuria, dice Sant’Agostino, l’ingiuria ricevuta e ripercossa con lo scudo della pazienza, ritorna a colui che l’ha lanciata, lasciando voi sani e salvi. Osservare il silenzio è anche un altro potente mezzo per soffocar le discordie. Il volto dell’uomo litigioso, che monta in furia divien fuoco, dice S. Basilio, e allora voi mantenetevi calmi; i suoi occhi girano scintillanti, voi guardatelo con ciglio sereno; alza la voce, e voi rispondetegli con dolcezza, o meglio non rispondetegli punto. Animo, adunque. Il venerabile Beda ci esorta ancora a sopportar mansuetamente le persone irascibili e litigiose, osservando che non c’è Abele, là dove non c’è un Caino che ne metta a prova la virtù e la pazienza; e nei Proverbi si legge, che quegli il quale si tien lungi dalle contese e dalle risse s’acquista onore.

3. Ma se a praticare la carità verso il nostro prossimo dobbiamo mettere tanto impegno a fuggire la discordia, non dobbiamo poi metterne meno per fuggire un altro male, che alla carità è essenzialmente contrario, vale a dire il male delle scandalo. Si, lo scandalo è essenzialmente contrario alla carità cristiana, siccome quello che danneggia il prossimo in ciò che riguarda l’affare suo più importante, cioè la sua eterna salute. Ed ecco perché Iddio nel quinto comandamento, in cui ci ordina l’amore al nostro prossimo e ci proibisce tutto ciò che a un tale amore è contrario, non fu pago di proibire che si togliesse la vita del corpo. Egli vietava anche tutto ciò che può nuocere all’anima, specialmente lo scandalo, col quale si toglie al prossimo la vita spirituale. Perciocché lo scandalo consiste nel trarre altri a peccare, o nel distorglierli dalla virtù; e forma una seconda specie di omicidio, col quale non sono colpiti i sensi, ma che agli occhi della fede non è meno reale, né meno grave innanzi a Dio. Dal che è facile comprendere perché Gesù Cristo faccia le più terribili minacce a chi porge scandalo ed occasione di peccato ai propri fratelli. Guai – dice Egli – a coloro dai quali proviene lo scandalo! Per chi scandalizza uno di questi pargoli che in me credono, tornerebbe meglio l’essere precipitato in fondo al mare. Ed invero chi può dire l’enormità del peccato di scandalo! Che cosa fa lo scandaloso? Si oppone alla volontà che ha Dio di salvare gli uomini. È volere del Padre mio Celeste, dice Gesù Cristo, che nessuno di questi pargoli perisca. Tutti se li ha addottati come figli, e tutti vuole salvarli; ma con lo scandalo, s’impedisce questa sua volontà, perché si fanno perire quelli che Dio voleva felici. Gesù Cristo discese sulla terra per salvar le anime; per esse spargeva tutto il suo sangue; ma queste anime con lo scandalo gli sono tolte; gli viene rapita quella conquista che gli costò sì cara; si rende inutile il prezzo del suo sangue; si espone ad un’eterna miseria chi Gesù Cristo aveva preparato per la felicità dei Santi. – Ecco, ad esempio, un giovane di virtuose inclinazioni, docile ai genitori, ai superiori ed ai maestri, raccolto nella preghiera, intento sempre ai propri doveri, che forma l’oggetto della compiacenza del Signore. Gli capita la sventura di incontrarsi con un giovane libertino, che si gloria di non aver pietà, che alla religione dà titoli odiosi e ridicoli, che motteggia chi è religioso. Il giovine buono, sedotto da tali discorsi, soccombe facilmente sotto il timore delle derisioni e censure di costui, vergognandosi delle sue virtù. Allora il libertino passa più innanzi; vomita alla sua presenza parole licenziose, dà pessimi consigli, che corrobora con pessimi esempi, sicché il giovane buono apprende il male che ignorava, ha le più funeste impressioni e finisce col darsi in braccio ai medesimi disordini. Eccolo così fatto schiavo delle stesse passioni, soggetto agli stessi vizi del giovane malvagio. Dio voleva salvar quest’anima comprata dal sangue di Cristo, ma lo scandaloso la fece perdere: quest’anima era destinata all’eterna gloria, ma lo scandaloso la trasse in una eterna sventura. Quali castighi non deve dunque aspettarsi chi scandalizza? Vi ha forse per lui pena troppo rigorosa? Sciagurato! Avresti orrore di bagnare le tue mani nel sangue del tuo fratello, e intanto gli fai un male assai peggiore. Saresti verso di lui meno crudele, se immergessi un pugnale nel suo seno e gli togliessi la vita. Quest’anima da te sedotta griderà eternamente vendetta contro di te, e le sue grida giungeranno certo a Dio. Oh misero chi insegna alla gioventù il male che ignora! Misero chi con l’esempio e con le parole seduce l’innocenza dei fanciulli! Chi rimuove altri dalla virtù e dalla pietà con insensati scherni! chi sparge libri perniciosi alla Religione ed ai costumi! Chi in qualche modo dà scandalo! È reo di tutti i peccati, a cui ha dato causa, e sarà punito anche del male che avrà fatto con lo scandalo volontariamente dato. Cari Cristiani e cari giovani, guardatevi bene da tanta enormità. Rispettate soprattutto i più piccoli di età, perciocché i loro Angeli li guardano con amore e sarebbero pronti a vendicarli.

Credo …

Offertorium

Orémus
Dan IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.
[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta


Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris. [Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.
[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.
[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

Per l’Ordinario vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (80)

LO SCUDO DELLA FEDE (80)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CONSEGUENZE DEL PERDERE LA S. FEDE E MODI DI PREVENIRLE

CAPITOLO III.

CI TOLGONO I PROTESTARTI ANCHE I BENI TEMPORALI

Io vi ho rappresentato alcuni dei beni spirituali che vorrebbero i Protestanti rapire alle vostre anime, ma non crediate che siano solamente spirituali i danni che vi fanno. No: anche in questo mondo, vi privano di molti beni temporali; perché per giusta permissione di Dio sono castigati nei beni di questa terra quelli che non si curano dei beni del cielo. Qual è il maggior bene che si possa trovare in una famiglia? É la santa pace, la tranquillità, l’amore che si portano scambievolmente quei che la compongono. Qual è il maggior bene di tutto un paese, di tutta una città? É la concordia, è la quiete e il buon ordine che regna fra tutti i cittadini. E così voi stessi siete soliti dire che fa più buon pro un boccone di pane mangiato in pace e santa carità, che qualunque delizia assaporata tra le discordie ed il mal umore. Ebbene osservate che dove entra il Protestantismo ivi entra il demonio della discordia con tutti i suoi disordini. Guai a quella famiglia, dove qualcuno si lascia incautamente sorprendere! Sta sempre in lite con tutti, perde ogni confidenza ed amore anche con i parenti più intimi, e siccome è agitato internamente dai rimorsi della coscienza e non è in pace con se stesso, così non lascia pace neppure agli altri. Voi non conoscete la storia del Protestantismo; ma se la conosceste vi metterebbe spavento. Dovunque esso si è affacciato ed introdotto ha lasciata una striscia nera nera di sangue. In Germania suscitò una guerra spaventosissima che durò moltissimi anni, ed i soli contadini che in essa lasciarono la vita si contano più di centomila. La strage fu tanta che quella guerra si chiamò dagli storici la guerra dei Contadini. Dite ai Protestanti che lo neghino se possono. Nella Francia e soprattutto nelle Province del mezzogiorno suscitò tante turbolenze e tante guerre che solo del povero popolo ne perirono molte migliaia senza contare i signori di tutte le classi che vi lasciarono la vita. Dite ai Protestanti che lo neghino se possono. Nell’Inghilterra poi il Protestantismo entrò col sangue, visse in mezzo al sangue, e sempre si mantiene nel sangue. Lo sanno i poveri Irlandesi nelle loro campagne quello che hanno dovuto soffrire dai loro padroni perché Protestanti, maltrattati, vessati, percossi, spogliati di tutto, condannati a morire di fame e di stenti. Dite ai Protestanti che lo neghino, se basta loro il coraggio. E con tutti questi delitti che ha commesso al mondo il Protestantismo, ha coraggio ora di affacciarsi alle belle nostre contrade per cambiarle in un deserto di orrore e riempirle tutte di confusione e stragi ed ammazzamenti? Ah il buon Gesù disperda tutti questi tentativi d’iniquità! Un altro gran danno che il Protestantesimo apporta dovunque entra è la miseria temporale. Qui da noi non mancano delle disgrazie anche grandi talvolta che riducono delle famiglie alla mendicità. Ma quanto è raro il caso che una famiglia intera muoia di pura fame! Passano anni ed anni che non si sente a contare, perché o un vicino caritatevole, o il Parroco, o qualche signore pietoso appena sentono certe miserie, si danno attorno a provvedervi. Ma domandate un poco ai Protestanti inglesi, se presso di loro mai nessuno muoia di fame? Molte migliaia di poveri hanno lasciato morire di puro stento, perché non avendo più cuore Cattolico, non hanno più viscere di compassione. Chiedete un poco a loro, come trattano i loro contadini in Irlanda. Li lasciano ammontati come le bestie in certi tuguri mal riparati, mal difesi, anche in tempo d’inverno sulla nuda terra, e quando concedono loro tante patate quante bastano non a saziarsi, ma a non morire, credono di aver fatto un miracolo di carità. Ogni anno molte migliaia piuttosto che morire di fame, sono costretti a lasciare la patria ed i parenti, ed, attraversato il mare, andarsene in America, per trovare quel tozzo di pane che non trovano più nei loro paesi. Eppure prima del Protestantismo, se non avevano sempre da trionfare, non sapevano neppure quel che fossero le miserie che ora provano. Ah è pur troppo vero, che il Protestantismo ha rubato loro anche i beni temporali! Gli artieri poi, i lavoranti, i manifattori in quello sventurato paese lavorano tutta la giornata senza un momento di riposo, e per ogni loro sostentamento guadagnano poche patate, e bevono acqua e tanto loro basta. Sfidate pure tutti i Protestanti a negarvi tutti questi funestissimi effetti del Protestantismo, se possono. – Ma lasciamo andare questi beni meschini di quaggiù. A voi popoli della campagna Iddio ha negato certi vantaggi che ha concesso ad altri, non avete la ricchezza dei signori, non avete i loro piaceri, i loro divertimenti: ma Iddio, da quel buon Padre che è, vi aveva dato un largo compenso in questo che avevate molto maggior facilità a guadagnarvi il cielo. Nelle campagne non avete tanti pericoli per la vostr’anima, vi è più semplicità e più innocenza. Epperò se avevate un poco da patire per qualche anno, vi era poi molto più facile giubilare per tutta l’eternità. Oh che buon cambio era questo per voi! Avere i patimenti che passano presto, avere i godimenti che non finiscono mai! Mancava adesso appunto che venissero questi traditori a rubarvi il cielo e tutta la facilità che il buon Gesù vi aveva dato per acquistarlo; senza darvi poi neppure quei beni meschini che si possono godere quaggiù. Eppure voi avete potuto comprendere che è veramente così: mentre vi tolgono colla Fede tutti i mezzi della salute, quali sono la Chiesa, i suoi aiuti, i suoi Sacramenti, le opere buone, e finalmente il santo Paradiso, senza darvi neppure quella misera consolazione che si può godere in questa vita. Ah per pietà, pensatevi prima di rinunziarvi, e dite a quelli che v’insidiano, che voi non volete in eterno perdere quel bel regno che vi è stato promesso da Gesù.