DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2019)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LXXXIII: 10-11.
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília. [Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].
Ps LXXXIII: 2-3
V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini. [O Dio degli eserciti, quanto amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília. [Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].
Oratio
Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine
te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et
ad salutária dirigátur. [O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua
Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo
aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a
salvezza.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 16-24
“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”
Omelia I
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
I DUE PADRONI
“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame (Gal. V, 16-24).
L’Epistola, come quella della domenica scorsa, è tratta dalla lettera ai Galati. Anche dopo il Battesimo che libera dalla servitù della legge, c’è nell’uomo un complesso di desideri e di tendenze, che cercano di sottrarlo allo Spirito di Dio. La carne e lo spirito sono tra loro opposti. Dalle opposte opere che ne seguono, parecchie delle quali sono qui enumerate da S. Paolo, l’uomo può giudicare se è diretto dalla carne o dallo Spirito. Se è diretto dallo Spirito, la legge, che è fatta per gli uomini carnali, non ha nulla che fare con lui, che, da vero Cristiano, affligge la propria carne con tutte le sue passioni. Gli uomini, come tutti vedono, si lasciano guidare da due padroni, dei quali:
1 Uno, spodestato, maligno, menzognero.
2 L’altro, grande e potente, pieno di bontà, veritiero.
3 Uno ci procura la dannazione, l’altro la vita beata.
I.
La carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne. È una verità che si è manifestata subito dopo la caduta del primo uomo. Da allora, la concupiscenza che cerca di trascinare al male, e la ragione, che guidata dalla grazia dello Spirito Santo cerca il bene, non fu più possibile l’accordo. E l’uomo si trovò a dover scegliere tra due regni; il regno della carne e il regno dello spirito; e si ebbero da una parte i seguaci di Dio e dall’altra i seguaci di satana. – Chi è Satana, che comanda ai seguaci della carne? È un superbo umiliato sotto la potente mano di Dio. Voleva essere simile all’Altissimo, e fu da Lui precipitato dalla gloria del cielo nei tormenti dell’inferno, e vi fu precipitato senza speranza di riacquistare il posto perduto. Invidioso della felicità degli uomini, non cerca che la loro rovina: tutta la sua opera è devastatrice. Nel paradiso terrestre distrugge la felicità dei nostri progenitori. Accende nel cuore di Caino l’invidia, e lo spinge al fratricidio. Entra nel cuor di Giuda, e gli fa compiere l’orribile tradimento. Se gli fosse concesso il potere procurerebbe agli uomini tutte le calamità. – Bugiardo e ingannatore per eccellenza promette quel che non darà mai. Promette a Eva un innalzamento tale da renderla simile a Dio. Ed Eva, dando retta alla parole di satana, precipita nel fondo di ogni miseria. Il paradiso terrestre è cangiato in valle di lagrime. Si accosta a Gesù Cristo che digiuna nel deserto. Condottolo su un alto monte gli mostra tutti i regni della terra, e gli dice:« Io ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché a me sono stati dati e li dò a chi voglio. Se tu, dunque, prostrandoti mi adorerai tutto sarà tuo »(Luc. IV, 6-7). Con tanta franchezza assicura di poter disporre di regni chi, spodestato di tutto, è stato relegato nel baratro infernale. – E con menzogne continue si presenta agli uomini. Ti darò la pace nelle ricchezze, dice all’avaro. Ti darò la felicita nei piaceri, dice al voluttuoso. Non romperti la testa nel pensare a Dio e al suo servizio, e io ti darò una vita senza turbamento, dice all’indifferente. Non voler star dietro agli altri, — dice al vanitoso e al superbo —, e io ti darò gli onori; non perdonare al tuo nemico e ti darò la dolcezza della vendetta. Percorri la via larga: — dice alla gioventù — divertimenti e baldorie siano i compagni dei tuoi giorni, e io riempirò il tuo cuore di ebbrezza. E l’esperienza insegna che la pace, la felicità, l’ebbrezza, i beni che egli offre ai suoi seguaci non possono essere diversi da quelli che ha procurati ai nostri progenitori. Quanti credono alle sue promesse, debbono poi fare la costatazione di Eva: «Il serpente mi ha ingannata» (Gen. III, 13).
2
Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete sotto la legge. – Quando ci lasciam guidare non dalla carne, ma dalla ragione, illuminata e corroborata dallo Spirito Santo, siamo superiori alla legge, le cui minacce non sono più per noi, e abbiamo quel che la legge non può dare: la facilità di compiere ciò che ci vien comandato. Il vivere secondo lo spirito è il dovere di ogni Cristiano, il quale deve lasciarsi guidare non dalle promesse di satana, ma dallo Spirito di Dio, che è un padrone che ci ama, e che non vuole ingannarci. Egli è un padrone grande e potente. Egli, sì, può dire: «Mio è il mondo e tutto quanto lo riempie» (Ps. XLIX, 12). « Poiché egli disse una parola e le cose furono fatte; diede un comando, e tutto fu creato» (Ps. XXXII, 9) «Questi è il nostro Dio, e nessun altro starà al paragone con lui» (Baruch, III, 36). Nessuno può stargli al paragone non solamente in fatto di grandezza e di potenza, ma anche in fatto di bontà. Invero, «della bontà del Signore è piena la terra » (Ps. XXXII, 5). E la sua bontà si manifesta in modo particolare verso quelli che lo seguono. Non li chiama neppure col nome di servi, ma col nome di amici, perché essi sono i suoi intimi, messi a parte delle sue intenzioni e dei suoi disegni (Joan. XV, 15). La sua parola, come dice la S. Scrittura, «è purgata col fuoco» (II Re, XXII, 31). Come è puro e schietto un metallo messo al fuoco, così è pura e schietta la sua parola, che non inganna nessuno. Ai suoi seguaci non si rivolge con false promesse, non colorisce l’impresa nascondendo le difficoltà. Dichiara apertamente che per seguir Lui bisogna condurre una vita di sacrifici e di rinunce. «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Matth. X, 38). « Sarete in odio a tutti per causa del nome mio » (Matth. X, 23). « In Verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi: ma il mondo godrà: voi invece sarete in tristezza » (Joan. XVI, 20). Son parole rivolte agli Apostoli e ai discepoli, e in loro a tutti quelli che intendono seguirlo da vicino. Egli inculca la penitenza, esalta la povertà, elogia il pianto, chiama beati quei che soffrono persecuzioni per la giustizia. Previene tutti che «angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita» (Matth. VII, 14). Quando scoppia una guerra, buona parte della gioventù, che non conosce la guerra che dalle descrizioni entusiastiche dei libri o dai discorsi fioriti dei propagandisti, s’infiamma d’entusiasmo, e parte cantando le fiere canzoni. Ma quando esperimenta che la guerra non è una passeggiata né una partita al gioco, confessa che s’immaginava tutt’altro. Chi si mette a seguir Dio, non può dire d’essersi ingannato. Gesù Cristo ha parlato molto chiaro. La sua parola ciascuno la trova nel Vangelo. «Il Vangelo è specchio di verità; non lusinga nessuno, non seduce alcuno ».
3.
Sono poi manifeste le opere della carne : esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le contese, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi, le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili. Sono queste le opere che quel pessimo padrone che è il demonio domanda ai suoi seguaci. E la conseguenza? La fa notare subito S.Paolo: Vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il regno di Dio. Ecco la paga che satana ha serbato a coloro che si mettono al suo servizio. Ha fatto sperar loro beni e delizie, e alla fine si sono trovati privi de beni celesti e immersi nell’amarezza eterna. Sulla terra poche gioie e non intere, perché finite sempre col disgusto e nel turbamento della coscienza. Nell’altra vita nessun bene e mali interminabili. Ben altrimenti avviene a coloro, che seguono Dio. – Le opere di costoro sono: la carità, il gaudio, la pace, la benignità, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Sono opere che costano un po’ di sacrificio al nostro amor proprio e alle nostre tendenze sregolate; ma che non sono senza premio neppur su questa terra. Il gaudio, la pace non si hanno che da chi segue lo spirito. E dopo il gaudio e la pace verrà la ricompensa eterna. Gesù che aveva detto agli Apostoli e ai discepoli : «Voi sarete nella tristezza», ha anche aggiunto : «Ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia» (Joan. XVI, 29). Di coloro che seguono Lui invece di satana, ha detto chiaramente: «Le mie pecorelle ascoltano la mia voce; io le conosco ed esse mi seguono, e io darò loro la vita eterna» (Joan. X, 27-28).Giosuè, avvicinandosi la fine della sua vita, fa giurare dal popolo ebreo fedeltà a Dio. Prima di compiere la cerimonia, tiene un discorso in cui, fatti passare i favori usati dal Signore a Israele, domanda: «Se vi sembra un male servire il Signore vi si dà la scelta: eleggete oggi quel che vi piace; e a chi dobbiate di preferenza servire: se agli dei, ai quali servirono i vostri padri nella Mesopotamia, oppure agli dei degli Amorrei nella terra dei quali abitate: ma io e la mia casa serviremo il Signore. E il popolo rispose… Noi serviremo al Signore, perché Egli è il nostro Dio» (Gios. XXIV, 15-18).Il Cristiano ha davanti agli occhi due padroni, che non può servire simultaneamente. A lui è data la scelta. Questi padroni li conosce bene tutti e due. Uno è un angelo debellato, omicida fin dal principio, principe della tenebre, padre della bugia, giudicato per mezzo della morte di Gesù Cristo, che strappò a Lui le anime. L’altro è il Re dei Re, Signore dei dominanti, via, verità, vita, giudice dei vivi e dei morti. Uno ci impone un giogo insopportabile e vergognoso: l’altro ci sottopone a un giogo leggero e soave; poiché « il giogo di Gesù Cristo non grava sul collo, ma lo orna, non piega a terra i nostri capi ma gli innalza» (S. Massimo, Serm. 75). Uno fa promesse che non può mantenere, perché nessuno può dare quel che non ha, e ci conduce alla dannazione eterna: l’altro mantiene la promessa e ci dà la corona eterna. Purtroppo, «Dio promette il regno ed è disprezzato, il diavolo ci procura l’inferno ed è onorato » (s. Giov. Cris. In Act. Ap. Hom., 6, 3). Non cadiamo noi in tanta stoltezza da preferire il diavolo a Dio. Parrà dolce sul principio servir satana, ma presto verrà il disinganno. Dove non c’è pietà, non c’è felicità. Sembrerà duro sul principio servire il Signore, ma presto esclamerai: « Come sono amabili le tue tende, o Dio degli eserciti » (Ps. LXXXIII, 2) in attesa di passare dalle tende alla patria.
Graduale
Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine. [È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].
V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja [È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].
Alleluja
XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja. [Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt VI: 24-33
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XLII
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e allo ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose” (Matth. VI, 24-35).
La dottrina del mondo, o miei cari, è del tutto contraria alla dottrina di Gesù Cristo. Il mondo tentando di farci credere che assai lunga sarà la nostra vita, e cercando di persuaderci che con la morte nostra tutto sarà finito, ci invita altresì a ricercare tutti i suoi godimenti ed a volgere tutto l’affetto del nostro cuore alle ricchezze di questa terra. Che se pure egli non riesce a farci dimenticare affatto che su questa terra non siamo che di passaggio, né a dissuaderci che dopo la nostra morte vi sarà una eternità o di gaudio o di tormento eterno, conforme alla bontà od alla malvagità della nostra vita, si studia allora di darci ad intendere che si può benissimo conciliare insieme una vita gaudente e colma di ogni bene di fortuna con la giusta preoccupazione della vita futura e con l’attendere a fare quanto è necessario per procurarcela. Ma contro di queste false ed ingannevoli massime del mondo Gesù Cristo parla assai chiaro nel tratto di Vangelo, che la Chiesa ci propone a considerare in questa Domenica.
1. Disse adunque Gesù a’ suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperciocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo. Certamente il divin Redentore non poteva parlar più chiaro, né farci più nettamente intendere essere impossibile congiungere il suo servizio con quello del demonio. Eppure quanti sono anche ai dì nostri quei Cristiani, quei giovani, i quali pretendono di unire insieme una cosa coll’altra? Non ostante la parola indefettibile di Gesù Cristo, costoro si studiano ogni giorno di sciogliere questo insolubile problema e conciliare il servizio di quei due padroni, tra i quali non vi può essere avvicinamento di sorta. Essi vogliono fare quel che facevano certi eretici, chiamati Ebioniti, i quali non volendo essere contro la legge ebraica e neppure contro la legge cristiana, professavano un misto di Vangelo e di ebraismo per modo che S. Girolamo ebbe a dir di loro: Cum velunt iudæi esse et christiani, neque iudæi sunt, neque christiani: mentre vogliono esser giudei e Cristiani, non sono né l’uno né l’altro. Di fatti tra costoro voi vedrete anzitutto di quelli, i quali mentre pretendono e protestano di essere Cattolici, membri della Chiesa di Gesù Cristo, nei loro sentimenti e nei loro discorsi non fanno altro che discutere sugli insegnamenti e sugli atti di chi visibilmente è alla testa della Chiesa, vale a dire del Papa, non fanno altro che censurare la sua condotta e ripetere ad ogni tratto che converrebbe smettesse ormai la sua inflessibilità nel condannare certe dottrine e certi fatti, che dovrebbe farla finita con certi lamenti e con certe rivendicazioni, che dovrebbe adattarsi alle esigenze dei tempi e degli uomini, che dovrebbe insomma da essi prendere la lezione e questa praticare. Vogliono costoro essere Cattolici sì, ma solo sino al punto da non tenersi obbligati ad ascoltare ed obbedire Colui che Gesù Cristo ha costituito suo Vicario qui in terra, poiché da questo punto in su essi vogliono pensare e dire, come pensano e dicono i nemici della Chiesa e di Gesù Cristo. Ne vedrete poi degli altri, i quali non arriveranno a questo, ma che si fanno pur anche i difensori della Chiesa e del Papa, ma che pure pretendono ancor essi di servire a due padroni, a Dio e al demonio. Ed in vero o dominati dal rispetto umano, o forse anche mossi dall’interesse, per lo più schiavi delle loro passioni, costoro mentre vanno pure ogni domenica a sentir Messa ed ogni anno a far la Pasqua, e se porta l’occasione a prendere pur parte a qualche speciale funzione religiosa, non lasciano poi di tenersi in stretta relazione con gente nemica di Dio e della Chiesa e di fare con questa gente discorsi irreligiosi ed immorali; non lasciano di frequentare teatri, caffè, conversazioni cattive, non lasciano di comprare e leggere ogni giorno uno ed anche più giornali contrari alla fede ed alla morale cattolica. Di modo che anche costoro vogliono congiungere insieme il servizio di Dio col servizio del mondo. – Altri poi ne vedrete ancora, massime tra la gioventù, che educati cristianamente e sufficientemente conoscitori della legge di Dio, vorrebbero osservarla, ma vorrebbero nel tempo stesso poter accontentare le loro malvagie passioni; epperò compiono pure certi atti esteriori di pietà, pregano, ascoltano la Messa, si accostano eziandio di tanto in tanto ai SS. Sacramenti, ma tengono pur sempre nel cuore l’affetto alle maledette dilettazioni del peccato, sentono ripugnanza a staccarsene interamente, vi pensano sopra con piacere e cadono e ricadono in esse miseramente. Or bene tutti costoro sono in un gravissimo inganno, e perciò solo, che vorrebbero servire a Dio ed al peccato, sono nemici di Dio e servitori di satana. Epperò se essi intendono di servire d’ora innanzi a Dio, dovrebbero fare quel che si legge aver fatto un giovane militare. Imperando Giuliano l’apostata, uscì un ordine rigorosissimo, che chiunque tra i Cristiani avesse qualche carica civile o militare rinunziasse alla medesima od alla fede. Un giovane Cristiano, chiamato Marino, essendo tribuno militare, si trovava assai perplesso di ciò che avesse a fare. Ma un santo Vescovo, conosciuta la sua perplessità, con amore e con fermezza ad un tempo gli disse: Mio caro Marino, pensa bene che o devi servire a Dio, o devi servire a Cesare: potrai bene dividere un servizio dall’altro, ma congiungerli insieme ti è impossibile. A queste parole il buon giovane restò santamente deciso, e lasciato il servizio dell’imperatore si diede tutto al servizio di Dio. Ecco quel che dovrebbero pur fare tutti coloro che sino adesso hanno preteso di servire due padroni: santamente decidersi di lasciare il servizio di satana per darsi ancor essi unicamente al servizio di Dio.
2. Ma il divin Redentore dopo di averci detto che non è possibile servire a due padroni, volle venire a prendere di mira in particolare una passione, che è la più ordinaria, la più frequente, ed anche la più tirannica, quella cioè del danaro. Oh! chi sa dire la fame, da cui la più parte degli uomini è travagliata per riguardo al danaro. Chi può descrivere le ansietà, gli affanni, le brame che per esso si hanno? Epperò Gesù Cristo proseguì dicendo: Non potete servire a Dio ed alle ricchezze. Colla quale asserzione Egli ci fece chiaramente intendere che servire alle ricchezze, le quali per se stesse non sarebbero cattive, cioè desiderarle, amarle ingiustamente, idolatrarle con l’avarizia, non giovarsene in bene col servirsene solo a soddisfare le proprie passioni, è cosa direttamente opposta al servizio di Dio, e tale per conseguenza che col servizio di Dio non può andare assolutamente congiunta. Or ecco perché anche S. Paolo scriveva che radice di ogni male è l’amor del denaro e raccomandava perciò al suo discepolo Timoteo di fuggirlo a tutto potere, facendolo avvertito che chi anela alle ricchezze, dà nei lacci del diavolo e si impiglia in brame perverse, che lo conducono a perdizione. Ecco perché anche Sant’Ambrogio scrive che le ricchezze sono terribile occasione di peccato, perché gonfiano, inorgogliscono e fanno dimenticare il Creatore. L’amor del denaro non si arresta in faccia a nessun peccato, ma di tutti è padre, e ben si vede come gli amanti del denaro trasandano la Religione, strapazzano i santi precetti di Dio e della Chiesa. E siccome delitto porta a delitto, ne avviene che costoro crescono in orgoglio, in ambizione, in ingiustizia ed in ogni sorta di disordini e cadono alfine nell’incredulità e nell’ateismo, arrivando persino a burlarsi di Dio, del giudizio, dell’inferno, del Paradiso, ed a cantare in aria di grandi sapientoni, che il Paradiso, non è altro che aver danari ed averne nella massima quantità. Ora se questo disordinatissimo amor del denaro arriva sino a tal punto, qual meraviglia che questa sia una delle passioni prese maggiormente di mira da Gesù Cristo, siccome una di quelle che più facilmente impedisce di conseguire l’eterna vita? E di fatti, o miei cari, che cosa accadrà a costoro nel termine della loro vita? Vi era nel Vangelo un ricco, che diceva all’anima sua: Godi e sta allegra; i granai riboccano di frumento, le cantine sono ripiene di vino; mangia, bevi e datti al bel tempo. Ma in quel mentre una voce terribile risuonò al suo orecchio: Stolto, questa notte sarà richiesta da te l’anima tua, e tutte le cose, che apparecchiasti, di chi saranno: et quæ parasti cuius erunt? Oh quanti sono gli adoratori del danaro, cui succede questa grande sventura. Essi hanno sudato per anni interi, con la febbre indosso, sempre ai traffici, ai banchi, ai commerci; per accumulare ricchezze non hanno badato a mezzi se leciti o illeciti: le truffe non furono altro per essi che sante industrie, che beato chi sa usarle; il defraudare persino la mercede agli operai, il lesinare sul soldo guadagnato, il far piangere la vedova e l’orfano reputarono necessità indispensabili per sistemare i loro affari. Ma la verità era questa, che essi avevano preso ad adorare non altro che il dio oro ed alla fine son riusciti a farsi una gran fortuna. Ma in quella che speravano di goderla in pace, l’ira di Dio li ha colpiti e sono passati all’altra vita lasciando ogni cosa ai figli ed ai nipoti, che in breve hanno fatto sparire quel che non fu radunato che in tanti anni e con tante ansie. Ma intanto che sarà nell’eternità delle anime di quegli infelici, che lungo la loro vita hanno riposto ogni affetto nelle ricchezze? Et sepultus est in inferno: ecco la tremenda parola pronunziata da Gesù Cristo a riguardo del ricco Epulone; ed ecco la sorte riservata nell’eternità agli idolatri delle ricchezze. Benché neanche sopra di questa terra sarà possibile a costoro di essere veramente felici. E chi mai trovò davvero la sua felicità in questi beni transitori e fallaci? Se ci fu un uomo che abbia nuotato nella prosperità del mondo è certamente Salomone. Egli ricchi palagi, egli numerose schiere di servi, egli ridotti a tributari moltissimi re, egli abbondanza di fertili terreni, egli un popolo fiorente nella pace per opulenza di traffico e di commercio, egli insomma, secondo il mondo, il più beato dei mortali. I re e le regine traendo alla sua reggia si partivano pieni di meraviglia d’avervi trovato mille volte tanto di quel che suonava la fama. Eppur che diceva quel monarca? Ho veduto e goduto di ogni bene che vi sia sotto la cappa del cielo, ed ho trovato che tutto è vanità delle vanità ed afflizione di spirito. No, le ricchezze non rendono felici su questa terra, e, tutt’altro che appagare il cuor dell’uomo, lo rendono insaziabile, e pieno di continue ansietà, giacché lo stesso nostro divin Maestro chiamò le ricchezze col nome di spine: spine, come spiega San Bernardo, che pungono prima del loro acquisto per il desiderio che si sente in cuore di averle, spine che pungono dopo il loro acquisto per il timore che si ha di perderle, spine che pungono dopo che si sono perdute per il dispiacere di non possederle più. – Se tale pertanto è la verità a questo riguardo, procuriamo di metterci nel novero di coloro, che Gesù Cristo stesso chiama poveri di spirito, di coloro cioè che, o ricchi o poveri, se ne vivono col cuore distaccato dalle ricchezze; di coloro che se in condizione povera, non si lamentano del loro stato, sopportano con pazienza le privazioni, a cui devono andar soggetti; che se in condizione ricca, non mettono affezione alle ricchezze, ne impiegano sempre il superfluo per fare elemosine ai poveri, agli orfani, agli infermi, alle chiese ed acquistarsi così dei tesori indefettibili nel cielo.
3. Infine il divin Redentore, affinché neanche la soverchia sollecitudine di quel che abbisogna alla nostra vita possa esserci causa di attaccare il cuore alle cose della terra, ci fa il più bell’elogio della divina Provvidenza e ci anima nel modo più efficace a riporre in essa tutta la nostra fiducia. – Non prendetevi affanno, Egli disse, su di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. Gettate lo sguardo sopra degli uccelli dell’aria, i quali non seminano e non mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai più di essi? E perché vi prendete pena pel vestito? Considerate come crescono i gigli nel campo: essi non lavorano e non filano. Eppure io vi dico, che neppur Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo Iddio riveste un’erba del campo, che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà molto più voi, o uomini di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi dicendo: Che cosa mangeremo e che cosa berremo? con che cosa ci vestiremo? che tutte queste cose, di cui avete bisogno, sa benissimo il vostro Padre. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date per giunta. – Quali ammaestramenti, o miei cari! Che parole di conforto sono queste! E quale rimprovero eziandio per noi, che tanto facilmente ci lamentiamo della divina Provvidenza da arrivare talvolta sino al punto di pensare e dire che il Signore non si ricorda di noi! Ah miei cari, che insensatezza è mai la nostra in queste parole! Iddio è padre, amorosissimo Padre. E come possiamo noi credere che Egli non pensi ad aiutarci nei nostri bisogni, a soccorrerci nelle nostre necessità? Un padre, che ami davvero i suoi figli, che cosa non è disposto a fare per non lasciar loro mancare il necessario? Si racconta che un padre, non avendo più nulla da dare ai suoi figli, che pativano la fame, si aperse con una lama il petto e poi invitò i suoi figli a cibarsi del sangue che ne spicciava fuori. Ciò è per nulla incredibile, quando si rifletta attentamente la forza che ha l’amore per i suoi figli nel cuore di un padre. Ora se un padre terreno farebbe tanto per i figli suoi, Iddio, Padre nostro celeste, il quale è onnipotente, tralascerà Egli di disporre le cose in modo che non abbiamo mai a mancare di ciò che strettamente ci abbisogna? Che se la sacra scrittura attribuisce occhi a questo Dio di bontà, egli è per significare che vigila del continuo sopra di noi; se gli attribuisce orecchi è per significare che ascolta sempre i nostri gemiti e le nostre preghiere, e se gli attribuisce mani è per significare che le distende misericordiosamente verso di noi per sollevarci dalle nostre miserie, dalle nostre infermità, dai bisogni nostri. No, no, Iddio non ci dimentica: « Vi porterò nelle mie braccia, dice egli per mezzo di Isaia; vi stringerò al mio seno, vi accarezzerò sulle mie ginocchia, come una madre accarezza il suo figlio. Una madre può ella dimenticare il suo bambino? No certamente. Ma pure se una madre arrivasse a tal punto, Io non mi dimenticherò mai di voi ». Oh se noi fossimo ben convinti di queste verità, quanto saremmo più tranquilli e più felici. Persuasi che Dio ci ama, si ricorda di noi, pensa al nostro bene, noi riconosceremmo in ogni caso della nostra vita la sua mano benedetta; anche in mezzo alle tribolazioni crederemmo con viva fede che Iddio dispone tutto per il nostro bene, e che quando Egli lo creda perciò opportuno, ha mille mezzi per trarcene fuori. Epperò che calma! che placidezza di spirito sarebbe mai sempre la nostra! L’anima, che si affida interamente nella divina Provvidenza, riposa e s’addormenta soavemente tra le sue braccia, come un bambino nelle braccia di sua madre; ella prende per divisa le parole di Davide: In pace in idipsum dormiam et requiescam (Salm. IV, 9). Io riposo tranquillamente in pace, perché tutta la mia speranza è riposta nella divina Provvidenza. Il Signore mi conduce e perciò niente mi mancherà; guidato dalla sua mano ed all’ombra della sua protezione io trionferò di tutti i miei nemici e non avrò timore di nessun male. La misericordia del Signore mi accompagnerà’ in tutti i giorni della mia vita, affinché io abiti nella casa di lui per tutta l’eternità. Tuttavia, o miei cari, se dobbiamo anzi tutto essere ben convinti che la divina Provvidenza non ci verrà mai meno, dobbiamo ancora far di tutto per rendercene degni con la santità della vita. Vi sono taluni, i quali vivono malamente, commettono sempre gravi peccati, non vanno quasi mai in chiesa, non aprono mai la bocca per dire un po’ di preghiera, se nominano il santo nome di Dio e di Gesù Cristo non è che per bestemmiarlo, insomma non si danno mai pensiero di Dio e vivono come se Iddio non fosse, e poi quando Iddio fa loro sentire che c’è, mandando ai medesimi qualche privazione o disgrazia, allora vengono fuori a gridare: E come ci può essere la Provvidenza, se noi siam così sventurati? Oh deliranti! E costoro che non pensano punto a Dio pretendono poi così superbamente che Iddio si prenda la più amorosa cura di loro e li preservi da ogni male? Riconoscano anzi tutto la loro mala vita, se ne pentano sinceramente, ne chiamino a Dio perdono, si mettano con impegno a ripararla, ed allora potranno non dico pretendere, ma sperare che il Signore li tratti con maggior bontà. Ma fino a tanto che essi rimangono nella loro mala vita, lamentandosi della Divina Provvidenza, non fanno altro che aggiungere peccato a peccato e rendersi sempre più indegni degli aiuti del Signore » – Ma oltrecchè allo studiare di rendersi degni della divina Provvidenza, conviene altresì implorarla incessantemente da Dio, e specialmente in quelle circostanze della vita, in cui se ne ha maggior bisogno, ed allora quel Dio, il quale ha detto: Domandate e riceverete: cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; potrà esser che non esaudisca le nostre preghiere e non ci tolga dall’infermità, dalla miseria, dalla privazione, in cui ci troviamo? « Oh! chi chiede, riceve, chi cerca, trova, e a chi picchia, sarà aperto. Quando un figliuolo domanda al padre del pane, il padre gli darà forse un sasso? E se un pesce, gli darà forse invece del pesce una serpe? E se chiederà un uovo, gli darà uno scorpione? Se adunque voi, che siete cattivi, diceva Gesù Cristo stesso, sapete, del bene dato a voi, far parte ai vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo spirito buono a coloro, che glielo domandano (Luc. XI, 9-13) ». Che se ad ogni modo, non ostante le nostre preghiere, il Signore sembrasse fare il sordo, e non farci sentire la sua Divina Provvidenza in quel modo che piacerebbe a noi, ravviviamo la nostra fede e riconosciamo che in ciò appunto, nel lasciarci inesauditi, usa il Signore verso di noi la sua provvidenza, essendoché il non esaudirci nei nostri desideri sarà cosa sommamente utile alla salvezza dell’anima nostra. Ed allora più che mai richiamiamo alla mente la sentenza del Vangelo: Cercate innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto vi sarà dato per giunta: quærite primum regnum Dei et iustitiam ejus, et hæc omnia adiicientur vobis.
Credo …
Offertorium
Orémus
Ps
XXXIII:8-9
Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos:
gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus. [L’Angelo del Signore
scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è
il Signore].
Secreta
Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis. [Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].
Communio
Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus. [Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]
Postcommunio
Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum. [Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza].
Per l’Ordinario, vedi: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/