SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMO 32: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13; 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

[1] Psalmus David.

    Exsultate, justi, in Domino;

rectos decet collaudatio.

[2] Confitemini Domino in cithara; in psalterio decem chordarum psallite illi.

[3] Cantate ei canticum novum; bene psallite ei in vociferatione.

[4] Quia rectum est verbum Domini, et omnia opera ejus in fide.

[5] Diligit misericordiam et judicium; misericordia Domini plena est terra.

[6] Verbo Domini caeli firmati sunt; et spiritu oris ejus omnis virtus eorum.

[7] Congregans sicut in utre aquas maris; ponens in thesauris abyssos.

[8] Timeat Dominum omnis terra; ab eo autem commoveantur omnes inhabitantes orbem.

[9] Quoniam ipse dixit, et facta sunt; ipse mandavit et creata sunt.

[10] Dominus dissipat consilia gentium; reprobat autem cogitationes populorum, et reprobat consilia principum.

[11] Consilium autem Domini in aeternum manet; cogitationes cordis ejus in generatione et generationem.

[12] Beata gens cujus est Dominus Deus ejus; populus quem elegit in hæreditatem sibi.

[13] De cælo respexit Dominus; vidit omnes filios hominum.

[14] De præparato habitaculo suo respexit super omnes qui habitant terram:

[15] qui finxit sigillatim corda eorum; qui intelligit omnia opera eorum.

[16] Non salvatur rex per multam virtutem, et gigas non salvabitur in multitudine virtutis suae.

[17] Fallax equus ad salutem; in abundantia autem virtutis suae non salvabitur.

[18] Ecce oculi Domini super metuentes eum: et in eis qui sperant super misericordia ejus.

[19] Ut eruat a morte animas eorum: et alat eos in fame.

[20] Anima nostra sustinet Dominum, quoniam adjutor et protector noster est.

[21] Quia in eo lætabitur cor nostrum, et in nomine sancto ejus speravimus.

[22] Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXII.

Esortazione ai giusti di lodare la potenza, la provvidenza e la bontà di Dio. É detto dai Settanta: Salmo di Davide.

Salmo di David.

1. Esultate nel Signore, o giusti; a coloro che sono retti sta bene il lodarlo.

2. Lodate il Signore sulla cetera; cantate inni a lui sul salterò a dieci corde.

3. Cantate a lui un nuovo cantico; cantate a lui inni soavi con alto suono.

4. Perocché diritta ell’è la parola del Signore, e tutte le opere di lui sono nella fedeltà.

5. Egli ama la misericordia e la giustizia; della misericordia del Signore è ripiena terra.

6. Dalla parola del Signore i cieli ebbero sussistenza, e dallo spirito della sua bocca tutte le loro virtudi.

7. Ei che raduna le acque del mare quasi in un otre, e gli abissi ripone ne’ serbatoi.

8. La terra tutta tema il Signore, e dinanzi a lui tremino tutti gli abitatori dell’universo.

9. Perocché egli disse, e furon fatte le cose; comandò, e furon create.

10. Il Signore manda in fumo i disegni delle nazioni, e vani rende i pensieri dei popoli, e rende vani i consigli de’ principi.

11. Ma il consiglio del Signore è stabile per tutta l’eternità; i pensieri del cuore di lui per tutte le etadi e generazioni.

12. Beato il popolo, che ha per suo Dio il Signore; il popolo, cui egli si elesse per sua eredità.

13. Dal cielo mirò il Signore; vide tutti i figliuoli degli uomini.

14. Da quella mansione sua, ch’ei preparò, gettò lo sguardo sopra tutti coloro che abitano la terra.

15. Egli che formò a uno a uno i loro cuori,  egli che le opere loro tutte conosce.

16. Non trova salvezza il re nelle molte squadre; e il gigante non si salverà per la sua molta fortezza.

17.Fallace mezzo per la salute è il cavallo: e la molta sua robustezza nol salverà.

18. Ecco gli occhi del Signore sopra coloro che lo temono, e sopra coloro che confidano nella sua misericordia:

19. Per liberare le anime loro dalla morte, e per sostentarli nel tempo di fame.

20. L’anima nostra aspetta in pazienza il Signore, perché egli è nostro aiuto e protettore.

21. Perché in lui si rallegrerà il nostro cuore, e nel nome santo di lui porrem nostra speranza.

22. Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia, conforme noi in te abbiamo sperato.

Sommario analitico

Dai versetti 10, 15, 16 di questo salmo, si sarebbe portati a concludere che Davide lo abbia composto dopo le vittorie eclatanti che Dio, con un soccorso tutto particolare, gli aveva concesso sui suoi numerosi e potenti nemici, i Filistei in particolare, ai quali egli sembra fare allusioni nel versetto 16 (si veda II Re, XXI, 15 e segg.). È un invito fatto ai giusti di lodare il Signore, per le sue perfezioni, e soprattutto a causa della sua potenza e della sua provvidenza.

I. – Davide invita tutti i giusti a lodare Dio, ed indica tutte le condizioni che caratterizzano questa lode:

– 1° Coloro che devono celebrare le lodi del Signore: i giusti; – 2° la considerazione della Persona alla quale si indirizzano queste lodi, il Signore; – 3° coloro che conviene associare a questa lode, i retti di cuori (1); – 4° il modo esteriore di queste lodi (2); – 5° la qualità e l’eccellenza che debba avere questa lode di Dio: « Cantate un cantico nuovo … »; – 6° La forma interiore ed essenziale che deve vivificare queste lodi, la bontà e la virtù: « Fate un armonioso concerto di voci e di strumenti » (3).

II. – Davide espone a lungo la materia e la causa di queste lodi, vale a dire gli attributi di Dio.

– 1° La sua rettitudine e la sua fedeltà nel compimento delle sue promesse (4); – 2° la sua giustizia; – 3° la sua misericordia (5). – 4° la sua potenza che ha reso manifesta: a) nella creazione dei cieli e di tutto ciò che essi contengono (6); b) serrando come in un otre le acque del mare e chiudendo gli abissi nelle loro riserve (7); c) governando sovranamente la terra e tutti i suoi abitanti, poiché Egli ha tutto creato con la sua sola Parola (8,9). 5° la sua saggezza con la quale: a) dissipa i consigli dei suoi nemici (10), b) rafferma eternamente i suoi (11), benedice i consigli della nazione di cui Egli è Dio, e la conduce fino all’eterna felicità (12). 6° la sua provvidenza con la quale: a) vede tutti gli uomini dall’alto del cielo, scruta i loro cuori che Egli ha creato, e considera le loro opere (13-15); b) Egli vede gli orgogliosi pieni di fasto e di arroganza, e li distrugge senza che essi possano difendersi né con le loro numerose armate, con la grandezza e la forza dei combattenti, né con la loro potente cavalleria (16, 17). c) Egli considera i giusti (18): 1) per liberare la loro anima dalla morte; 2) per nutrirli nella loro fame (19); 3) per essere loro soccorso e loro protettore (20); 4) per essere loro gioia nella prosperità; 5) per essere loro pazienza nelle prove (21); 6) per coprirli con la sua misericordia, secondo la speranza che in Lui hanno riposto (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1-3. – « Giusti, rallegratevi nel Signore ». Rallegratevi non quando il successo corona le vostre imprese, quando avete una perfetta salute, quando i vostri raccolti sono abbondanti, ma perché avete un Maestro e un Signore la cui beltà, bontà, saggezza, non hanno limiti. Che vi ricolma della gioia che è in Lui (S. Basilio). – « La gioia conviene a coloro che hanno il cuore retto ». Così come un piede torto non può adattarsi ad una calzatura stretta, così la lode di Dio non può accordarsi con dei cuori tortuosi. Così come due rette sovrapposte sono giustapposte, la loro regolarità fa che esse si uniscano perfettamente, ma se applicate ad una di queste rette un legno tortuoso, non vi è accordo possibile tra loro (Idem). – « cantate la sua gloria come conviene »; cioè, cantate ma badate di non cantare male. Dio non può avere le orecchie ferite. Quando vi si dice: cantate in maniera da piacere ad un tale buon musicista che viene ad ascoltarvi, voi tremate nel cantare, se non avete qualche conoscenza dell’arte musicale per timore di urtare un artista, perché questo artista saprà ben individuare nel vostro canto dei difetti che un ignorante non saprebbe riconoscere. Chi dunque oserà cantare come occorre davanti a Dio, davanti ad un tale Giudice, davanti ad un tale apprezzatore di tutte le cose, davanti ad un tale ascoltatore? Quando potrete apportare al vostro canto tanta arte ed eleganza per non infastidire delle orecchie così perfette? Ma ecco che Egli vi dice in qualche modo, come dovete cantare. Non cercate più parole, come se foste capaci di esprimere ciò che possa affascinare Dio. « Cantate con giubilazione ». Che cos’è dunque il cantare con giubilazione? – È comprendere che le parole non sapranno esprimere ciò che canta il cuore. E verso chi, se non verso il Dio ineffabile, conviene maggiormente il giubilo? Dio è ineffabile, in effetti, poiché le parole non possono esprimere ciò che Egli è. Ma se voi non potreste parlare, e ciò nonostante non dovrete tacere, cosa vi resta se non il trasporto del giubilo? Che cosa vi resta se non che il vostro cuore sia muto nella gioia, e che l’immensa distesa della vostra allegria non sia racchiusa nei limiti di qualche sillaba? (S. Agost.).

II. — 4-22.

ff. 4-7. – Tutte le opere di Dio sono conformi alla sua parola, cioè fedeli, giuste e sante. – Alcuni traducono: « E tutte le sue opere sono nella fede ». Cosa vuol dire qui il Re-Profeta? Il cielo è opera sua, la terra è opera sua, il mare è opera sua, l’aria, le cose animate ed inanimate, gli esseri ragionevoli o privi di ragione sono opere sue. Com’è che tutte queste opere siano nella fede? Quale fede è possibile negli esseri inanimati, negli animali stessi? La proposizione però comprende tutto e non fa eccezione di niente. Quale ne è dunque il senso? Sia che contempliate il cielo e l’ordine ammirevole che vi regna, vi dice il salmista, è la legge che è le vostra guida, perché è essa che vi mostra l’Autore del cielo; sia che voi consideriate la magnificenza della terra, la vostra fede in Dio riceve un nuovo accrescimento; perché non sono certo gli occhi della carne che vi insegnano a credere in Dio, ma la penetrazione dello spirito che vi fa scoprire l’invisibile attraverso le cose visibili. « Tutte le sue opere sono dunque nella fede ». Voi considerate una pietra, anch’essa richiude in sé una certa manifestazione della potenza del Creatore. Direi la stessa cosa di una formica, di un moscerino, di un’ape: è in questi esseri così piccoli che risplende maggiormente la saggezza di Colui che li ha creati (S. Basilio). – La misericordia è messa qui per prima, perché è attraverso di essa che Dio comincia sempre. Egli dà primariamente le sue grazie, poi ricompensa o punisce il loro buono o cattivo uso. – Se il giudizio di Dio si esercitasse su di noi, secondo la sua natura e separata dalla misericordia, e se Egli ci rendesse secondo le nostre opere, quale speranza ci resterebbe? Chi di noi potrebbe essere salvato? Ma « Dio ama la misericordia ed il giudizio ». Non è se non dopo aver posto la misericordia come assistente di Dio presso il tribunale della sua giustizia, che Egli cita gli uomini al suo tribunale (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia di Dio ». Qui la misericordia è separata dal giudizio, perché essa sola riempie tutta la terra, ed il giudizio è rinviato ad altro tempo. Quaggiù la misericordia è dunque senza la giustizia, perché il Signore non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia del Signore ». E dei cieli, cosa ne è? Ascoltate ciò che riguarda i cieli: essi non hanno bisogno di misericordia, perché qui non esiste il misero. Sulla terra, ove abbonda la miseria umana, la misericordia di Dio è sovrabbondante: la terra è piena di miserie umane, la terra è piena di misericordie di Dio. Pertanto nei cieli, ove non c’è alcuna miseria, se non hanno bisogno della misericordia di Dio, non hanno bisogno del Signore? Tutte le cose, miserabili o felici, hanno bisogno del Signore, senza di Lui, il miserabile non è risollevato; senza di Lui il beato non viene diretto … Sappiate dunque che anche i cieli hanno bisogno del Signore: « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore »; perché essi non hanno trovato in se stessi la loro solidità, e non si sono dati una forza che fosse loro propria. « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore, ed il soffio della sua bocca costituisce tutta la sua forza » (S. Agost.). – Come definire questo prezioso attributo della misericordia? Non è la sola perfezione che la creatura dà o sembri dare al Creatore? Come avrebbe Egli misericordia se questa non fosse per noi? Non ci sono dispiaceri da consolare, bisogni da soddisfare, perché essa è un oceano senza limiti. La misericordia è la calma della sua onnipotenza, è l’incanto della sua onnipresenza, il frutto della eternità e la compagna della sua immensità, la principale soddisfazione della sua giustizia, il trionfo della sua saggezza, la pazienza perseverante del suo amore. Dappertutto noi incontriamo la misericordia del nostro Padre celeste, dolce, attiva, vasta, senza limiti. Il giorno, essa rischiara i nostri travagli; la notte, noi dormiamo sotto la sua protezione; la Corte del cielo risplende dei raggi della sua beltà feconda, la terra ne è ricoperta, e come un altro oceano, essa riposa sulle acque del mare (Faber, Créateur et créature, L. II, Ch. 2). – La grande opera della creazione dell’universo è l’effetto non di un grande lavoro, ma di una parola onnipotente di Dio. – L’insinuazione del mistero della Trinità nella creazione del mondo, è ugualmente l’opera del Figlio e dello Spirito Santo (S. Bas.). – « Egli ha rinchiuso come in un otre le acque del mare ». Nel pavimento dei mari – se è permesso parlare così – essendo più basso di quello della terra, le acque si son dovute raccogliere; ma questo è un effetto della sapienza del Creatore, che ha reso il suolo simile ad un otre capace di ricevere questa prodigiosa quantità di acqua. Da un otre ben chiuso non esce nulla, per cui vediamo che i mari non debordano. È questo un altro effetto della Provvidenza divina, perché se questo immenso volume di acque uscisse dal suo letto, la terra ne sarebbe ben presto sommersa. Una delle ragioni per le quali il mare dimora nel suo letto, benché riceva tutti i fiumi, è che esso restituisce, con vapori continui, l’eccesso di acque che ha ricevuto; questi vapori, dissipati e trasportati dai venti, si cambiano in piogge e neve, che ricadono sulla terra e la fecondano: ancora questo è un beneficio della liberalità divina, che provvede così alla sussistenza dell’uomo e degli animali (Berthier). – Questi abissi che Dio rinchiude nei suoi tesori sono, in figura, i consigli impenetrabili della sua condotta rispetto agli uomini, che il Re-Profeta chiama – in un altro salmo – « un abisso molto profondo ». Essi sono rinchiusi nei tesori delle sue conoscenze, che lo spirito dell’uomo non è più capace di penetrare.

ff. 8, 9. « Tutti coloro che abitano l’universo non temano che Lui ». E non temano nessun altro che Lui. Una bestia furiosa vi attacca? Temete Dio. Un serpente vuole lanciarsi su di voi? Temete Dio! Un uomo vi odia? Temete Dio! Il demonio tenta di assalirvi? Temete Dio! Tutte le creature sono sottomesse a Colui che vi è ordinato di temere ; « perché Egli ha parlato e tutte le cose sono state fatte; Egli ha comandato ed esse sono state create » (9). Quando Colui che con una parola ha fatto ogni cosa, e che da un comandamento ha creato ogni cosa, dà loro un ordine, esse si muovono; quando Egli dà loro un ordine, esse si arrestano. La malvagità degli uomini ha in se stessa il desiderio di fare del male; ma essa non ne ha il potere, se Dio non lo conceda (S. Agost.).

ff. 10, 11. Tutte le nazioni, tutti i prìncipi e tutti i popoli si uniscano insieme per sovvertire i disegni di Dio; questa cospirazione generale non servirà che a far evidenziare ancor più la debolezza degli uomini e la potenza di Dio. « Tutti i popoli sono davanti ai suoi occhi come se non fossero; essi non sono per Lui come il vuoto ed il niente » (Isaia XL, 17). « Non c’è saggezza, non c’è prudenza, né consiglio contro il Signore. » (Prov. XXI, 30). – Vedete come tutti i pretesi dogmi dei gentili, la vana filosofia dei suoi saggi, le loro intenzioni così sottili nella metafisica, nella morale e nella fisica, come tutto sia stato dissipato, mentre la verità del Vangelo brilla di un vivo splendore in tutte le parti del mondo. Tanti consigli si agitano nei cuori degli uomini, ma il consiglio del Signore li travolge sempre (S. Basilio). – Se noi vogliamo che il consiglio di Dio si stabilisca e metta radice nella nostra anima, bisogna escludere innanzitutto i pensieri umani. È come colui che volendo scrivere su una tavoletta di cera, cominci con il renderla quanto più piana possibile, e tracci poi i caratteri che vuole, così il cuore che deve ricevere i divini oracoli deve purificarsi di tutti di tutti i pensieri contrari (S. Basilio). – Quale spettacolo ci presenta, nell’ora attuale, l’universo cristiano? Quasi ogni potenza, anche cattolica, che non sia ostile a Dio, alla sua Religione, alla sua Chiesa. Uomini che tengono nelle loro mani i destini dei popoli, divisi su tutto il resto, sono qui animati da un unico sentimento: l’odio implacabile contro Gesù-Cristo e contro la sua Chiesa. Nulla li ferma, ogni mezzo è per loro legittimo onde distruggere una Religione che si dice la sola vera e divina; la menzogna o la verità, la perfidia o la violenza, i rispetti ipocriti o i disprezzi infamanti, le massime sulla tolleranza o i furori della persecuzione, la calunnia o la contumelia, tutto è impiegato senza scrupolo alcuno. Noi li vediamo concertare abilmente i loro disegni, ordire trame profonde, adoperare le risorse più raffinate della diplomazia, prendere misure che credono infallibili, esaurire tutte le risorse della loro saggezza. Ricordiamoci allora che i sacri oracoli che predissero la rovina di tutti i consigli, di tutte le lingue empie, continueranno fino a che si compiranno; .. che, quando Dio vuole distruggere e dissipare tutti i progetti, tutti i consigli dei popoli e dei re, non gli basta che una parola, che un atto della sua volontà, poiché i decreti di questo Essere immutabile sono fissi e dimorano eternamente.

ff. 12. –  « Felice la nazione della quale Dio è il Signore ». È un augurio questo che dobbiamo realizzare nel nostro interesse e nell’interesse della società di cui siamo i cittadini; perché la patria non potrebbe essere felice ad altra condizione, così come il cittadino singolo, perché la città non è altra cosa che un certo numero di uomini riuniti sotto una stessa legge. In effetti il buon senso ci insegna che il Creatore del genere umano, creando l’uomo essenzialmente sociale, non ha voluto che la società umana fosse indipendente da Lui. Queste grandi famiglie di popoli che si chiamano Nazioni dipendono dunque dalle sue leggi non meno che le esistenze private (Mgr. Pie, T. v, 175). – Felice non l’individuo, ma il popolo, la Nazione, la società di cui Dio è veramente il Dio, non soltanto in virtù del suo diritto inalienabile di Creatore e di sovrano Maestro di ogni cosa; ma felice il popolo in cui Dio è come alla sua  sommità, al centro, alla base; felice la Nazione che Dio circonda, penetra, anima tutta interamente; felice la società della quale Dio ispira la costituzione, il governo e le leggi; felice il popolo che si fa un dovere, non meno che un onore, di accettare francamente e pubblicamente la legge di Dio, amarla, conservarla, difenderla, propagarla, farne il fondo dei suoi costumi e delle sue istituzioni pubbliche, ed usare anche la sua forza, la sua autorità, non per imporla, ma per preservarla e sottrarla all’oppressione assicurando a tutti gli uomini il diritto di conoscerla e di conformarvisi liberamente, procurando alle Nazioni meno avanzate verso Dio i beni eterni, la fede, la giustizia, la civilizzazione. Tale fu lungo il corso dei secoli la gloriosa missione della Nazione francese, chiamata il Reame cristianissimo. Ha perseverato essa come Nazione, come popolo, in questa vocazione alla quale Dio l’aveva chiamata? Ahimè! Per dirla con una parola, è l’ateismo, l’assenza di Dio, che in Francia, serve ora come fondamento all’edificio sociale; noi siamo discesi al di sotto di quegli ateniesi di cui parlano gli Atti degli Apostoli (XVII, 23), e per descrivere esattamente la situazione, si dovrebbe issare in tutte le nostre piazze pubbliche una colonna con questa « legenda »: al Dio, non più solo ignoto, ma dimenticato, disprezzato, negato dalla nazione e dai suoi governanti1 – « Beato il popolo che ha come Dio il Signore ». Di chi il nostro Dio non è Dio? Ma evidentemente Egli non è il Dio di tutti gli uomini alla stessa maniera. Egli è soprattutto il nostro, il nostro per noi che viviamo di Lui come del nostro pane. Egli è nostra eredità, nostro possesso. Forse parliamo temerariamente facendo di Dio nostro possesso, laddove Egli è il Signore, il Creatore? No; non è temerarietà, è l’aspirazione del desiderio, è la dolcezza della speranza. Che la nostra anima dica, e dica in tutta sicurezza: « Voi siete il mio Dio », e Lui non farà ingiuria nel dirlo; al contrario Gli si farà ingiuria non dicendolo. Così dunque la nostra felicità dipenderà dal possesso di Dio. Ma che! Noi Lo possederemo, ed Egli non ci possederà? Egli ci possiede e noi Lo possediamo, e tutto questo per causa nostra. In effetti Egli non ci possiede per essere felici per noi, ma perché noi siamo felici per Lui e con Lui (S. Agost.).

ff. 13, 14. – Considerate Dio che dall’alto del cielo abbassa i suoi occhi sui figli degli uomini; consideratelo penetrare il suo sguardo divino fino alle estreme profondità del loro cuore, raggiungendo la divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e al midollo, districarsi tra i pensieri più segreti ed i movimenti più intimi (Ebr. IV, 12). – dovunque andiate, qualunque cosa facciate, sia nelle tenebre che alla luce del sole, voi avete l’occhio di Dio fissato su di voi (S. Basil.). – A questi occhi così penetranti di Dio nulla è inaccessibile; né i recessi più profondi e più nascosti, né le muraglie più spesse, né le nostre azioni prima ancora di averle compiute, né i nostri pensieri ancor prima che siano stati concepiti nel nostro spirito (S. Agost.). – Doppio è lo sguardo di Dio sui figli degli uomini: sguardo di misericordia sugli uni, sguardo di indignazione e di giustizia sugli altri (S. Agost.).

ff. 15. – Dalla mano della sua grazia, dalla mano della sua misericordia Egli ha formato i cuori; Egli ha fatto i nostri cuori, li ha formati ognuno in maniera speciale, dando a ciascuno particolarmente un cuore, senza che l’unità fosse distrutta. La potenza di Dio ha formato separatamente tutti i cuori, e la sua grazia li ha creati di nuovo dando loro doni diversi, perché nel corpo di Cristo, tutti gli uomini in particolare, così come ogni membro del corpo, ha ricevuto un dono speciale, perché Colui che ha scelto il suo popolo come sua eredità, ha formato i cuori in modo speciale per ognuno (S. Agost.). – Dio forma i cuori degli uomini uno ad uno, e con cura ammirevole, e noi possiamo credere che se è così, è perché Egli ci ama e ci chiama alla perfezione. Se questo è vero per il cuore, e per il cuore di ciascuno di noi, questo è vero soprattutto per il cuore di coloro ai quali Dio vuole manifestare quaggiù la sua potenza e la sua misericordia. Di questo numero sono i buoni re, i capi dei popoli dei quali Dio tiene sempre il cuore nella sua mano; i saggi nel cuore nei quali Egli depone la sua verità e attraverso i quali diffonde la sua luce; i santi, ai quali Egli riempie il cuore del suo amore, e che Egli abbraccia con una carità ardente per il bene dei loro fratelli; in una parola, tutti coloro che, con una qualunque vocazione, siano chiamati a cooperare alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus, 2° Part, I).

ff. 16, 17. – Rientra nel piano della divina Provvidenza il fare tutto con l’intermediazione di cause seconde, tranne il caso in cui essa voglia manifestarsi più chiaramente con dei miracoli. Questa cause seconde sono tutte nella sua mano, ed alcune di esse non possono nulla contro la sua volontà sovrana, né per salvarci, né per perderci. Ma esse sono i mezzi, gli strumenti ordinari dei suoi disegni su di noi; di conseguenza, noi dobbiamo impiegarli, salvo poi a non attribuire il successo delle nostre imprese che alla protezione ed alla potenza del Padrone di tutte le cose. Così, il re deve circondarsi di un’armata numerosa e agguerrita; l’uomo robusto deve spiegare la sua forza; il cavaliere deve cavalcare un cavallo vigoroso; ma il cavaliere, l’uomo, il re, non devono mai dimenticare che in definitiva Dio solo dà l’accrescimento. Dimenticare le cause seconde sarebbe tentare Dio, contare unicamente sulle cause seconde sarebbe misconoscerlo ed offenderlo. Se queste verità sono certe, quando si tratta di cose puramente temporali, tanto più hanno luogo ad essere quando si tratta della salvezza, della vera pietà, della giustizia interiore! – Ciò che fa che gli uomini contino sulle loro forze, è che essi non si conoscono; e ciò che fa che essi contino così poco sul soccorso di Dio, è che essi non conoscono Dio. Si dice ordinariamente che Dio è sempre per i grossi battaglioni, massima che si avvicina fortemente al deismo, nemico della Provvidenza. Questa massima è dimostrata falsa, – 1° da una infinità di esempi: si potrebbero citare sia tante occasioni in cui delle piccole armate abbiano vinto contro le grandi, sia citare le grandi armate che siano state battute dalle piccole; – 2° per esperienza si sa che tra due forze uguali, di uguali capacità, di uguale bravura, arrivi sempre il giorno in cui, una delle due armate è battuta, cosa che non potrebbe succedere se la Provvidenza non si mischiasse nelle cose umane; perché forze perfettamente eguali dovrebbe distruggersi mutualmente senza alcun vantaggio né da una parte, né dall’altra; – 3° Quando i grossi battaglioni hanno la meglio sui piccoli, questo è ancora per effetto della Provvidenza che ha dato più forza all’una delle due parti, sia che la causa del più forte fosse più giusta, sia senza che fosse giusta, Dio ha voluto umiliare ancor più coloro che sono già deboli, come accadde agli Israeliti ai tempi di Nabuchodonosor; sia che, in un’occasione, Dio favorisca i più forti per abbatterli poi con maggior clamore (Berthier). – Questi non sono, dice Davide, dice Salomone, non sono né le buone armi, né un buon cavallo, non è né il nostro arco, né la nostra spada, né il nostro coraggio, né il nostro valore, né la nostra destrezza, né la forza delle nostre mani, che ci salvano in un giorno di battaglia, ma la protezione dell’Altissimo (Ps. CXLVI, 10, 11; Prov. XXI, 31). – « Quando avrò preparato il mio cuore, bisogna che Egli diriga i miei passi » (Prov. XVI, 9). Io non sono più potente dei re « … il cui cuore è nelle sue mani, ed Egli le volge dove vuole » (Prov. XXI, 1). Che si renda padone del mio, che mi aiuti con il soccorso che mi fa dire: « Aiutatemi ed io sarò salvato » (Ps. CXVIII, 117); ed ancora: Convertitemi ed io sarò convertito; perché dopo avermi convertito io faccio penitenza e dopo che mi avete toccato, io mi sono colpito il ginocchio » (Gerem. XXII, 18, 19), in segno di compunzione e di rammarico (Bossuet, Mèd. sur l’Ev. 2° P, LXXII° j.).

ff. 18, 19. –  Gli occhi del Signore sono poggiati « su coloro che Lo temono, su quelli che mettono la loro speranza nella sua misericordia »; non nei loro meriti, non nella loro forza, non nel loro coraggio, ma nella sua misericordia (S. Agost.). È questo lo sguardo del Signore, sguardo efficace che procura la salvezza. – Doppio è il beneficio per coloro che sperano nella sua misericordia: Egli li preserva dalla morte o li libera resuscitandoli alla vita, e li nutre in tempo di fame, nel deserto spirituale di questa vita (Dug.). – Egli li nutre ma non li sazia. Il tempo della fame è il tempo attuale, il tempo della sazietà verrà più tardi. Colui che non ci abbandona quando abbiamo fame nella nostra natura corruttibile, ci sazierà in cielo quando saremo divenuti immortali, noi che quaggiù abbiamo fame e sete di giustizia (S. Agost.).

ff. 20-22. – Ma poiché noi abbiamo a soffrire del viaggio, intanto che dura il tempo della fame, e poiché noi attendiamo il soccorso di qualche nutrimento lungo cammino, per paura che le forze non ci manchino, quali condizioni ci si impongono e cosa dobbiamo fare dal canto nostro? « La nostra anima attenderà pazientemente il Signore ». Essa attenderà con sicurezza Colui che promette con misericordia. E che ne sarà se perseveriamo nella nostra pazienza? Non temete niente; noi persevereremo perché Egli è nostro aiuto e nostro protettore. « Egli vi aiuta nel combattimento, vi protegge dal calore, non vi abbandona. E quando avrete sopportato tutto, quando siete stati pazienti in tutto, quando avrete perseverato fino alla fine, cosa avverrà? » – « Il vostro cuore gioirà in Lui » (S. Agost.). – Il Profeta ci ha esortato a soffrire tutto, ci ha riempito di gioia e di speranza, ci ha mostrato quel che noi dobbiamo amare, ci ha detto in cosa solo e su Chi solo noi possiamo riporre la nostra fiducia, e termina con questa breve preghiera: « Che la vostra misericordia, Signore, discenda su di noi ». A quale titolo l’abbiamo meritata? « Secondo quel che abbiamo sperato in Voi ». La speranza in Dio è la misura della sua misericordia (S. Agost.).

PERFEZIONE DELLA VITA CRISTIANA (1)

Perfezione della vita cristiana.

[A. Tanquerey: Compendio di teologia ascetica e mistica – Soc. S. Giovanni Evang. Desclée e Ci.; Roma, Tournai – Parigi. 1948]

CAPITOLO III -1-

295. Ogni vita deve perfezionarsi, ma principalmente la vita cristiana, la quale è, per sua natura, essenzialmente progressiva e non toccherà il suo termine se non in cielo. Dobbiamo quindi esaminare in che consista la perfezione di questa vita, per poterci così meglio dirigere nelle vie della perfezione. Essendoci però su questo punto fondamentale errori e idee più o meno monche ed inesatte, cominceremo a rimuovere le false nozioni della perfezione cristiana e ne esporremo poi la vera natura.

I. Le false nozioni:

a) degli increduli;

b) dei mondani;

c) dei devoti.

II. La vera nozione:

a) consiste nella carità;

b) suppone sulla terra il sacrifizio;

c) concilia armoniosamente questi elementi;

d) abbraccia i precetti e i consigli;

e) ha i suoi gradi e i suoi limiti.

ART. I. FALSE NOZIONI SULLA PERFEZIONE.

Queste false nozioni si trovano presso gl’increduli, i mondani e i falsi devoti.

296. Agli occhi degl’increduli la perfezione cristiana è un puro fenomeno soggettivo, che non corrisponde ad alcuna sicura realtà.

A) Molti di loro studiano quelli che essi chiamano fenomeni mistici con malevoli pregiudizi e senza discernere tra i veri e i falsi mistici: tali Max Nordau, J. H. Leuba, E. Murisier. A loro giudizio, la pretesa perfezione dei mistici non è che un fenomeno morboso, una specie di psiconevrosi, di esaltazione del sentimento religioso, ed anche una forma speciale di amore sessuale, come appare dai vocaboli di sponsali o sposalizio, di matrimonio spirituale, di baci, di amplessi, di carezze divine, che ricorrono così spesso sotto la penna dei mistici. – È chiaro che questi autori, i quali non s’intendono quasi d’ altro che di amore profano, non hanno capito nulla dell’amor divino e sono di coloro a cui si potrebbe applicare la parola di Nostro Signore: “Neque mittatis inargaritas vestras ante porcos” (Matth. VII, 6). Quindi anche gli altri psicologi, come W. James, fanno loro notare che l’istinto sessuale non ha nulla da vedere con la santità; che i veri mistici praticarono la purità eroica, gli uni non avendo mai o quasi mai provato le debolezze della carne, gli altri avendo superate violente tentazioni con mezzi eroici, per esempio voltolandosi tra le spine. Se dunque usarono il linguaggio dell’ amor umano, la ragione è che non ve n’è altro che sia più adatto ad esprimere in modo analogico le tenerezze dell’amor divino. Del resto essi mostrarono in tutta la loro condotta, con le grandi opere che impresero e condussero a buon fine, che erano persone savie e prudenti; e in ogni caso non si possono che benedire le nevrosi che ci diedero i Tommasi d’Aquino, i Bonaventura, gli Ignazi di Loiola, i Franceschi Saveri, 1e Terese e i Giovanni della Croce, i Franceschi di Sales, 1e Giovanne di Chantal, i Vincenzi de’ Paoli, le Damigelle Legras, i Berulle e gli Olier, gli Alfonsi de’ Liguori e i Paoli della Croce.

297. B ) Altri increduli rendono giustizia ai nostri mistici pur dubitando della realtà obbiettiva dei fenomeni da loro descritti: tali William James e Massimo di Montmorand. Riconoscono che il sentimento religioso produce nelle anime mirabili effetti, uno slancio invincibile verso il bene, un illimitata dedizione verso il prossimo, che il loro preteso egoismo non è in fondo che una carità eminentemente sociale feconda della più lieta influenza, che la loro sete di patimenti non impedisce loro di godere ineffabili delizie e diffondere un poco di felicità attorno a loro; solo dubitano che siano vittime d’autosuggestione e d’allucinazione. Ma noi facciamo osservare che così benefici effetti non possono derivare se non da una causa proporzionata; che, nel complesso, il bene reale e duraturo non può venire che dal vero, e che se solo i mistici cristiani hanno praticato le virtù eroiche e prodotto opere sociali utili, la ragione è che la contemplazione e l’amore di Dio, ispiratori di queste opere, non sono allucinazioni ma realtà viventi ed operose : “ex fructibus eorum cognoscctis eos” (Matth. VII, 20).

298. I mondani, anche quando hanno la fede, hanno spesso, sulla perfezione o su ciò ch’essi chiamano la devozione, idee molto false.

A) Gli uni riguardano i devoti come ipocriti, come Tartufi, che, sotto la maschera della pietà, nascondono vizi odiosi o ambiziose mire politiche, come sarebbe il desiderio di dominare le coscienze e così governare il mondo. Or questo è un confondere l’abuso con la cosa stessa, e la continuazione di questo studio dimostrerà che la semplicità, la lealtà e l’umiltà sono i veri caratteri della devozione.

299. B) Altri considerano la pietà come esaltazione della sensibilità e dell’immaginazione, una specie di emotività, buona tutt’al più per le donne e per i bambini ma indegna di uomini che vogliono guidarsi con la ragione e con la volontà. Eppure quanti uomini iscritti nel catalogo dei Santi, che si distinsero per un proverbiale buon senso, per una intelligenza superiore, per una volontà energica e costante? Anche qui si confonde dunque la caricatura col ritratto.

300. C) Vi sono infine di quelli che pretendono che la perfezione sia un’utopia inattuabile e per ciò stesso pericolosa, che basti osservare i comandamenti e soprattutto aiutare il prossimo, senza perdere il tempo in pratiche minuziose, o nella ricerca di virtù straordinarie. Basta la lettura della vita dei Santi a correggere quest’errore, mostrando che la perfezione fu veramente conseguita sulla terra, e che la pratica dei consigli non solo non nuoce all’osservanza dei precetti ma la rende anzi più facile.

301. 3° Tra le stesse persone devote ce ne sono di quelle che s’ingannano sulla vera natura della perfezione, dipingendola ognuno secondo la propria passione e la propria fantasia (È quanto osserva S. Franc. DI SALES, Intr. alla vita davota, P. I , c. I che è da leggersi per intero.)

A) Molti, confondendo la devozione con le devozioni, si immaginano che la perfezione consista nel recitare un gran numero di preghiere e nel far parte di molte confraternite, talora anche a detrimento dei doveri del proprio stato che costoro trascurano per fare questo o quel pio esercizio, o mancando alla carità verso le persone di casa. Questo è un sostituire l’accessorio al principale e un sacrificare al mezzo il fine.

302. B) Altri poi si danno ai digiuni e a austerità, fino ad estenuarsi e rendersi incapaci di compiere bene i doveri del proprio stato, credendosi con ciò dispensati dalla carità verso il prossimo; mentre non osano intingere la lingua nel vino, non temono poi di « immergerla nel sangue del prossimo con la maldicenza e con la calunnia ». Anche qui si prende abbaglio su ciò che vi è di più essenziale nella perfezione, e si trascura il dovere capitale della carità per esercizi buoni senza dubbi, ma meno importanti. — In pari errore cadono color che fanno ricche elemosine, ma non vogliono perdonare i nemici, oppure, perdonando i nemici e non pensano poi a pagare i debiti.

303. C) Alcuni, confondendo le consolazioni spirituali col fervore, si credono perfetti quando sono inondati di gioia e pregano con facilità; s’immaginano invece d’essere rilassati quando son assaliti dalle aridità e dalle distrazioni. Dimenticano che ciò che conta agli occhi di Dio è lo sforzo generoso e spesso rinnovato, non ostante le apparenti sconfitte che si possono provare.

304. D) Altri, invaghiti di azione e di opere esteriori, trascurano la vita interiore per darsi più interamente all’apostolato. E un dimenticare che l’anima di ogni apostolato è la preghiera abituale, che attira la grazia divina e rende feconda l’azione.

305. E) Finalmente alcuni, avendo letto libri mistici o vite di Santi in cui si descrivono estasi e visioni, si immaginano che la devozione consista in questi fenomeni straordinari e fanno sforzi di mente e di fantasia per arrivarvi. Non capiscono che, a detta dei mistici stessi, questi sono fenomeni accessori che non costituiscono la santità, ai quali quindi non bisogna aspirare, e che la via della conformità alla volontà di Dio è molto più sicura e più pratica.

Sgombrato così il terreno, potremo ora più facilmente

intendere in che essenzialmente consista la

vera perfezione.

ART. II. LA VERA NOZIONE DELLA PERFEZIONE

306. Stato della questione. Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinar lo stato della questione:

Nell’ordine naturale un essere è perfetto (perfectum) quando è finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: « Unumquodque dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio » (Sum. Theol. IIa, IIæ, q. 184, a. 1). Questa è la perfezione assoluta; ve n’è però un’altra, relativa e progressiva, che consiste nell’avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facoltà e praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge naturale manifestata dalla retta ragione.

307. 2° Il fine dell’uomo, anche nell’ordine naturale, è Dio. 1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poiché è chiaro che non può Dio trovare un fine più perfetto di Sé, essendo la pienezza dell’Essere; e d’altra parte creare per un fine imperfetto sarebbe indegno di Lui. 2) Di più, essendo Dio la perfezione infinita e quindi la fonte di ogni perfezione, l’uomo è tanto più perfetto quanto più s’avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco perché il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa soddisfarne le legittime aspirazioni: « Ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere » (S. Theol. Ia, IIæ, q. 3,a. 1). A Dio quindi convien rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e così glorificarlo, tal è il fine della vita e la fonte d’ogni perfezione.

308. 3° Il  che è anche più vero nell’ordine soprannaturale. Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre esigenze e le nostre possibilità, chiamati a contemplarlo un giorno con la visione beatifica e possedendolo già con la grazia, dotati di un intero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica delle virtù cristiane, è chiaro che non possiamo perfezionarci se non avvicinandoci continuamente a Lui. E non potendo far questo senza unirci a Gesù, che è la via necessaria per andare al Padre, la nostra perfezione consisterà nel vivere per Dio in unione con Gesù Cristo: « Vivere summe Deo in Christo Jesu » (J. J. Olier). Il che facciamo praticando le virtù cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per fine di unirci in modo più o meno diretto a Dio, facendoci imitare N. S. Gesù Cristo.

309. 4° Sorge quindi qui la questione di sapere se, tra queste virtù, non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e costituisca, a così dire, l’essenza della perfezione. S. Tommaso, sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde affermativamente e c’insegna che la perfezione consiste essenzialmente nell’amor di Dio e del prossimo amato per Dio: « Per se quidem et essentialiter Consistit perfectio Christianæ vitæ in caritate, principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem secundum dilectionem proximi » (S. Theol., IIa, IIæ, q. 184, a, 3). Ma,poiché nella vita presente l’amor di Dio non puòpraticarsi senza rinunziare all’amore disordinato dise stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in praticaall’amore bisogna aggiungere il sacrificio. Questoverremo esponendo col dimostrare: 1) come l’amordi Dio e del prossimo costituisca l’essenza dellaperfezione; 2) perché quest’amore debba giungerefino al sacrifizio; 3) in che modo si debbano conciliarequesti due elementi; 4) come la perfezioneabbracci insieme precetti e consigli; 5) quali nesiano i gradi e fin dove possa arrivare sulla terra.

§ I. L’essenza della perfezione consiste nella carità.

310. Spieghiamo anzitutto il senso della tesi.

L’amore di Dio e del prossimo, di cui qui trattiamo, è soprannaturale nel suo oggetto come nel suo motivo e nel suo principio. Il Dio che noi amiamo è il Dio manifestatoci dalla rivelazione, il Dio della Trinità; e l’amiamo perché la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente amabile; l’amiamo con la volontà perfezionata dalla virtù della carità e aiutata dalla grazia attuale. Non è dunque un amore di sensibilità; è vero che, essendo l’uomo composto d’anima e di corpo, spesso si mescola ai nostri più nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal sentimento manca talora interamente, e in ogni caso è del tutto accessorio. L’essenza stessa dell’amore è la dedizione, è la volontà ferma di darsi e, occorrendo, d’immolarsi interamente per Dio e per la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello delle creature.

311. Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell’amor del prossimo.

In lui amiamo Dio, un’immagine, un riflesso delle sue divine perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare è la bontà divina in quanto è manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole più intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un’anima abitata dallo Spirito Santo, ornata della grazia divina, riscattata dal sangue di Gesù Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna. – Non vi sono quindi due virtù di carità, l’una verso Dio e l’altra verso il prossimo; ve n’è una sola che abbraccia insieme Dio amato per se stesso e il prossimo amato per Dio. – Con queste nozioni ci sarà facile intendere come la perfezione consiste proprio nella virtù della carità.

Le prove della tesi.

312. 1° Interroghiamo la S. Scrittura. A) Nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, ciò che domina e compendia tutta la Legge è il gran precetto della carità, carità verso Dio e carità verso il prossimo. Quindi, quando un dottore della legge domanda a Nostro Signore che cosa bisogna fare per acquistare la vita eterna, il divin Maestro gli risponde soltanto: Che cosa dice la legge? E il dottore pronto gli cita il testo del Deuteronomio: « Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso: « Diliges Dominimi Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex omnibus viribus tuis et ex omni mente tua, et proximum tuum sicut teipsum. » E Nostro Signore l’approva dicendogli: « Hoc fac et vives » (Luc. X, 25-29; Deut. VI, 5-7). Aggiunge altrove che questo doppio precetto dell’amor di Dio e dell’amor del prossimo costituisce la legge e i Profeti (Matth. XXII, 39-40) –. Ed è ciò che sotto altra forma dichiara S. Paolo, quando, dopo aver rammentati i principali precetti del Decalogo, aggiunge che la pienezza della legge è l’amore: « Plenitudo legis dilectio » (Rom. XIII, 10). Così l’amor di Dio e del prossimo è nello stesso tempo la sintesi e la pienezza della Legge. Ora la perfezione cristiana non può essere che l’adempimento perfetto ed intero della Legge; perché la Legge è ciò che Dio vuole, e che cosa v’è di più perfetto della santa volontà di Dio?

313. B) Vi è un’altra prova tratta dalla dottrina di S. Paolo sulla carità nel cap. XIII° della I Lettera ai Corinti; con lirico linguaggio Paolo vi descrive l’eccellenza della carità, la sua superiorità sui carismi o sulle grazie gratisdate, sulle altre virtù teologali, la fede e la speranza; e mostra ch’essa compendia e contiene in modo eminente tutte le virtù, che è anzi il complesso di queste virtù: « caritas patiens est, benigna est; caritas non æmulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quærit quæ sua sunt, non irritatur, non cogitat malum… »; e in ultimo aggiunge che i carismipasseranno, che la fede e la speranza spariranno, mache la carità è eterna. Non è questo un insegnareche non solo la carità è la regina e l’anima delle virtù,ma che è pur così eccellente da bastare a rendereun uomo perfetto, comunicandogli tutte le virtù?

314. C) S. Giovanni, l’apostolo del divino amore, ce ne dà la fondamentale ragione. Dio, egli dice, è carità, « Deus caritas est »; è questa, a così dire, la sua nota caratteristica. Se dunque vogliamo somigliar a Lui ed essere perfetti come il Padre celeste, bisogna che noi amiamo Lui come Egli ha amato noi « quoniam prior ipse dilexit nos » (1 Giov. III, 16; IV, 10); e non potendo amar Lui senza amar pure il prossimo, dobbiamo amare questo caro prossimo fino a sacrificarci per Lui « et nos debemus prò fratribus animas ponere »: « Carissimi, amiamoci l’un l’altro, perché l’amore viene da Dio e chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore… Or questo amore sta in ciò che non fummo noi ad amar Dio, ma egli il primo amò noi e mandò il suo Figliuolo vittima di propiziazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati in tal guisa, dobbiamo noi pure amarci l’un l’altro… Dio è amore e chi sta nell’amore sta in Dio e Dio in lui » Si può dire in modo più chiaro che tutta la perfezione consiste nell’amor di Dio e del prossimo per Dio?

315. 2° Interroghiamo la ragione illuminata dalla fede: se consideriamo sia la natura della perfezione sia la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione.

A) Abbiamo detto che la perfezione d’un essere consiste nel conseguire il proprio fine o nell’ avvicinategli quanto più è possibile (n. 306). Ora il fine dell’uomo nell’ordine soprannaturale è Dio eternamente posseduto con la visione intuitiva e con l’amore beatifico; sulla terra ci avviciniamo a questo fine vivendo già in unione intima con la SS. Trinità che vive in noi e con Gesù mediatore necessario per andare al Padre. Quanto più dunque siamo uniti a Dio, ultimo nostro fine e fonte della nostra vita, tanto più siamo perfetti.

316. Or qual è tra le virtù cristiane la più unificante, quella che unisce l’anima nostra interamente a Dio, se non la divina carità? Le altre virtù ci preparano a questa unione, o anche a lei ci iniziano, ma non possono compierla. Le virtù morali, prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, etc, non ci uniscono direttamente a Dio, ma servono solo a sopprimere o diminuire gli ostacoli che ce ne allontanano e ad avvicinarci a Dio conformandoci all’ordine; cosi la temperanza, combattendo lo smoderato uso del piacere, attenua uno dei più violenti ostacoli all’amor di Dio; 1’umiltà, allontanando l’orgoglio e l’amor proprio, ci predispone alla pratica della divina carità. Inoltre queste virtù, facendoci praticare l’ordine ossia la giusta misura, sottomettono la nostra volontà a quella di Dio e ci avvicinano a Lui. Le virtù teologali poi distinte dalla carità, ci uniscono certamente a Dio, ma in modo incompleto. La fede ci unisce a Dio, infallibile verità, e ci fa vedere le cose alla luce di Dio; ma è compatibile col peccato mortale che ci separa da Dio. La speranza ci eleva a Dio, in quanto è cosa buona per noi, e ci fa desiderare i beni del cielo, ma può sussistere con colpe gravi che ci allontanano dal nostro fine.

317. La sola carità ci unisce interamente a Dio. Suppone la fede e la speranza ma le oltrepassa: prende tutta quanta l’anima, intelligenza, cuore, volontà, attività, e la dà a Dio senza riserva. Esclude il peccato mortale, che è il nemico di Dio, e ci fa godere della divina amicizia: « Si quis diligit me, et Pater meus diliget eum » (Joan. XIV, 23). Ora l’amicizia è unione, è fusione di due anime in una sola: cor unum et anima una… unum velle, unum nolle; completaunione di tutte le nostre facoltà: unione dellamente, che fa che il nostro pensiero si modelli suquello di Dio; unione della volontà, che ci fa abbracciarela volontà di Dio come fosse nostra; unionedel cuore, che ci stimola a darci a Dio come Egli sidà a noi, dilectus meus mihi et ego illi; unione delleforze attive, onde Dio mette a servizio della nostra debolezzala divina sua potenza per aiutarci a eseguirei nostri buoni disegni. La carità ci unisce dunque a Dio, nostro fine, a Dio infinitamente perfetto, e costituisce quindi l’elemento essenziale della nostra perfezione.

318. B) Studiando la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione; come infatti dimostra S. Francesco di Sales, la carità racchiude tutte le virtù e dà loro anzi una speciale perfezione (Tratt. dell’amor di Dio, I, XI, c. 8).

a) Racchiude tutte le virtù. La perfezione consiste, com’è chiaro, nell’acquisto delle virtù: chi le possiede tutte, in un grado non solo iniziale ma elevato, è certamente perfetto. Ora chi possiede la carità possiede tutte le virtù e le possiede nella loro perfezione: possiede la fede, senza cui non si può conoscere ed amare l’infinita amabilità di Dio; e la speranza, che, ispirandoci la fiducia, ci conduce all’amore; e tutte le virtù morali, per esempio, la prudenza, senza cui la carità non potrebbe né conservarsi né crescere; la fortezza, che ci fa trionfare degli ostacoli che si oppongono alla pratica della carità; la temperanza, che doma la sensualità, implacabile nemica dell’amor di Dio. Anzi, aggiunge S. Francesco di Sales, « il grande Apostolo non dice solo che la carità ci dà la pazienza, la benignità, la costanza, la semplicità, ma dice ch’essa stessa è paziente, benigna, costante » (1 Cor. XIII, 4), perché contiene la perfezione di tutte le virtù.

319. b) Anzi dà loro una perfezione e un valore speciale, perché è, secondo l’espressione di S. Tommaso (S. Theol. IIA, IIæ, q. 23, a. 83) la forma di tutte le virtù. « Tutte le virtù, separate dalla carità sono molto imperfette, perché non possono senza di lei giungere al loro fine che è di rendere l’uomo felice… Non dico che senza la carità non possano nascere e anche progredire; ma che abbiano tal perfezione da meritare il titolo di virtù fatte, formate e compite, questo dipende dalla carità, che dà loro la forza di volare a Dio, e raccogliere dalla sua misericordia il miele del vero merito e della santificazione dei cuori in cui si trovano. La carità è tra le virtù come il sole tra le stelle: distribuisce a tutte la loro luce e la loro bellezza. La fede, la speranza, il timor di Dio e la penitenza, vengono ordinariamente nell’anima prima di lei a prepararle la dimora; e giunta che è, la ubbidiscono e la servono come tutte le altre virtù, ed ella le anima, le adorna e le avviva con la sua presenza » (S. Franc. Di Sales, I c., c. 9) . In altri termini, la carità, orientando direttamente l’anima nostra verso Dio, perfezione somma ed ultimo fine, dà pure a tutte le altre virtù che vengono a porsi sotto il suo impero, lo stesso orientamento e quindi lo stesso valore. Così un atto d’obbedienza e di umiltà, oltre al proprio valore, riceve dalla carità un valore assai più grande quando è fatto per piacere a Dio, perché allora diventa un atto di amore, cioè un atto della più perfetta tra le virtù. Aggiungiamo che quest’atto diventa più facile e più attraente: obbedire e umiliarsi costano molto alla orgogliosa nostra natura, ma il pensiero che, praticando questi atti, si ama Dio e se ne procura la gloria, li rende singolarmente facili. – Così dunque la carità è non solo la sintesi ma l’anima di tutte le virtù, e ci unisce a Dio in modo più perfetto e più diretto delle altre; è quindi lei quella che costituisce l’essenza stessa della perfezione.

CONCLUSIONE.

320. Poiché l’essenza della perfezione consiste nell’amor di Dio, ne viene che l’accorciatoia per arrivarvi è d’amar molto, d’amare con generosità ed intensità, e principalmente di amare con amor puro e disinteressato. Ora noi amiamo Dio non solo quando recitiamo un atto di carità ma anche quando facciamo la sua volontà o quando compiamo un dovere sia pur minimo per piacergli. Ognuna quindi delle nostre azioni, per quanto volgare essa sia in se stessa, può essere trasformata in un atto di amore e farci avanzare verso la perfezione. Il progresso sarà tanto più reale e più rapido, quanto più intenso e più generoso sarà quest’amore e quindi quanto più il nostro sforzo sarà energico e costante; perché ciò che conta agli occhi di Dio è la volontà, è lo sforzo, indipendentemente da ogni emozione sensibile. E poiché l’amore soprannaturale del prossimo è anch’esso un atto d’amor di Dio, tutti i servizi che rendiamo ai nostri fratelli, vedendo in loro un riflesso delle divine perfezioni, o, ciò che torna lo stesso, vedendo in loro Gesù Cristo, diventano tutti atti d’amore che ci fanno avanzare verso la santità. Amare dunque Dio e il prossimo per Dio, ecco il segreto della perfezione, purché su questa terra vi si aggiunga il sacrificio.

[1 – continua … ]