(A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)
DISCORSO XXII
Il Sacro Cuore di Gesù e i peccatori.
Iddio, o miei cari, è veramente infinito, epperò ammirabile in tutte le sue perfezioni. Se io getto lo sguardo nell’universo e contemplo il sole, la luna, le stelle, i monti, i mari, i fiumi, le piante, le erbe, i fiori, gli animali, gli uccelli, i pesci, e tutte le altre meraviglie, che egli ha creato con un semplice fiat, e rifletto che con un solo atto di volontà potrebbe creare mille altri mondi più belli e più meravigliosi di quello che esiste, fuori di me per lo stupore io esclamo: Mio Dio, quanto sei potente! Se poi considero l’ordine ammirabile che nella molteplicità infinita degli esseri regna mai sempre, sicché gli astri del firmamento nel loro aggirarsi intorno ad altri astri non escono mai dalla loro orbita, la terra compie sempre nello stesso tempo il suo giro, il mare rimane sempre racchiuso tra i suoi confini, gli animali e le piante si riproducono sempre secondo la medesima legge ed ogni cosa risponde al fine per cui fu creata, allora non mi contengo dal dire: Mio Dio, quanto sei sapiente! E se poi io rammento i terribili castighi con cui il Signore lungo il corso dei secoli ha punito le iniquità degli uomini, ora col diluvio, ora col fuoco mandato dal cielo, ora con le pestilenze, ora col terremoto, ora colla guerra, ora con altre calamità, allora santamente atterrito io grido: Signore, quanto è tremenda la tua giustizia! Sì, Iddio è veramente infinito, in queste e in tutte le altre perfezioni. – Ma sebbene Iddio sia infinito, epperò ammirabile in tutte quante le sue perfezioni, una ve n’ha tuttavia, che la Chiesa c’invita ad ammirare di preferenza, ed è la misericordia. Questa, dice la Chiesa, è propria in modo particolarissimo di Dio: Deus cui proprium est misereri semper et parcere. Anzi con questa, ella soggiunge, iddio fa manifesta quella tra lo sue perfezioni, che sembra colpire maggiormente i nostri sensi, vale a dire la sua infinita potenza; Deus qui omnipotentiam tuam miserando maxime manifestas. E così dicendo, la Chiesa va pienamente d’accordo col Santo Re Davide, il quale dopo di aver passati in rassegna i più grandi attributi di Dio finisce per esaltare più d’ogni altro la sua misericordia, proclamando che le sue miserazioni sono al di sopra di tutte le sue opere: Miserationes eius super omnia opera eius. (Ps. CXLIV, 9)
– Io non so, o miei cari, se si possa fare una considerazione più bella, più dolce, più consolante di quella della divina misericordia verso i poveri peccatori. Ma come non farla parlando del Cuore Sacratissimo di Gesù, che della misericordia di Dio verso i poveri peccatori è la manifestazione più splendida? Sì, esclama la Chiesa nel giorno sacro al Cuore di Gesù, valendosi delle parole del Santo Zaccaria: « Iddio ci ha visitati per le viscere della sua misericordia, » vale a dire per quel Cuore dato ai miseri, dal quale uscì fuori quella gran parola esprimente la sua speciale missione: Non veni vocare iustos, sed peccatores; (MATT. IX, 13) non son venuto a chiamare i giusti, ma bensì i peccatori. Gettando adunque anche oggi lo sguardo sopra le fiamme del Cuore di Gesù, che son pur fiamme di carità compassionevole, considereremo la sua misericordia divina verso i poveri peccatori.
I. — Ed anzi tutto la misericordia di Gesù Cristo verso dei poveri peccatori si manifesta nel sopportarli con pazienza infinita. E qui, o miei cari, per ben intendere questa verità, bisognerebbe poter prima intendere che cosa è il peccato e chi è quel Gesù Cristo, contro di cui il peccato è commesso. Ma noi colla debolezza della nostra intelligenza non arriveremo mai ad intendere né l’una cosa, né l’altra. Il santo Re Davide ben a ragione ha potuto fare agli uomini questa sfida: Delicta quis intelligit? ( XVIII, 13) Chi arriverà a comprendere la malizia che si racchiude in un grave peccato? Ed il Savio nel libro dei Proverbi ha detto pur bene: Qui scrutator est maiestatis opprimetur a gloria, (XXV, 27) Colui che si fa a scrutare la maestà di Dio rimarrà sotto il peso della sua gloria. Il peccato, ha detto S. Tommaso colla maggior energia che gli fu possibile, è un villano voltar di spalle aDio per darsi in braccio alle misere creature : Aversio a Deo et conversio ad creaturas. – Col peccato l’uomo, che non è altro che un pugno di fango,si ribella contro di Gesù Cristo, che è per l’appunto
il suo Dio, e gli dice col fatto: E chi sei tu che io abbia a seguir la tua legge, a praticare i tuoi precetti, a servirti nei tuoi voleri? Non serviam: non ti voglio servire. Tu micomandi di credere alla tua dottrina, ed io non vi voglio credere. Tu mi comandi di rispettare il tuo nome, ed io lo voglio disprezzare. Tu mi comandi di onorarti nei giorni festivi, ed io non ne voglio sapere. Tu mi vieti di far la vendetta, ed io voglio vendicarmi.T u mi proibisci di soddisfare le brame della mia carne, ed io le voglio soddisfare. Tu insomma mi vuoi fare da padrone,ma io non voglio farti da servo: non serviam, non serviam! Ma chi è Gesù Cristo Dio, contro di cui il peccatore insolentisce per siffatto modo? È il sovrano Creatore di tutto il mondo; e il Signore di maestà infinita, dinnanzi a cui si prostrano riverenti tutti gli Angeli del cielo, è quel Dio, che se col dito tocca i monti questi fumano, che se il capo accenna, trema l’universo. E questo Dio così potente non schiaccia subito il misero vermiciattolodella terra, che si leva ardito contro di lui ad insultarlo? non lo fulmina? non lo incenerisce? No, ma ordinariamente con ammirabile pazienza lo sopporta e ne soffre l’offesa. Così appunto si diportò sempre verso dei peccatori durante la sua vita mortale. I protervi giudei, non ostante che Gesù Cristo si fosse loro manifestato Dio in tanti miracoli operati alla loro presenza, lo ingiuriarono in mille guise: lo chiamarono indemoniato, impostore, mangione, bevone, sovvertitore di popoli; attentarono alla sua vita, e pensarono persino a gettarlo giù da un monte; infine gli misero le mani addosso, lo legarono come vil malfattore, lo trascinarono davanti ai loro tribunali, lo gridarono reo di morte e lo fecero condannare; e quando l’ebbero confitto sulla croce si fecero ancora ad insultarlo nel modo più atroce; eppure a tutte queste offese, egli che essendo Dio avrebbe potuto stritolare inun attimo i suoi offensori, pazientò sempre sino all’ultimo suo respiro.E la condotta così longanime che tenne durante la sua vita mortale non fu che un saggio di quella condotta, che avrebbe continuato a tenere per tutto il corso dei secoli. Oh bontà! Oh misericordia infinita! E perché mai egli sopporta il peccatore con tanta pazienza! Ah! cosa incredibile a dirsi, egli è perché lo ama. Mirate quella madre che stringe tra le sue braccia il suo bambino. Quel cattivo preso da mal talento insensatamente si adira contro di lei, si dibatte, e colle mani percuote e graffia il seno che lo allatta. Che tornerebbe più facile alla madre per vendicarsi di quell’affronto, che aprire le sue braccia e lasciar cader a terra il suo bambino? Ma lo fa essa? Ah! tutt’altro. Benché essa nell’animo suo soffra della collera del suo figlioletto e la detesti, essendo ella in diritto di non riceverne che baci e carezze, tuttavia lo tiene ancor serrato al seno perché lo ama. E così fa Gesù Cristo. Egli odia, detesta il peccato; non vi ha nulla che odi e detesti maggiormente; ma il povero peccatore continua ad amarlo. E amandolo si fa persino a difenderlo. È ciò che diceva S. Agostino: Ego te offendebam et tu me defendebas: Signore, io insensato ti offendeva in milleguise, e tu pieno di misericordia ti facevi ancora a prenderele mie difese. Ed invero allorquando il peccatore si rivoltacol peccato contro di Gesù Cristo, tutte le creature come inorriditein certa guisa si presentano dinnanzi a lui come peressere armate da lui che è Dio ad ultionem inimicorum suorum,alla vendetta dell’oltraggio ricevuto. E la terra par che dica:Signore, lo vuoi? ed io son pronta a spalancare i miei abissi ed
inghiottire nel più profondo di essi l’insensato che ti ha offeso. – Il mare par che dica! Signore, lo vuoi? ed io son pronto a gettar fuori da’ miei confini le mie onde gigantesche e raggiungere lo sciagurato e travolgerlo in fondo ai miei gorghi, E il vento par che dica: Signore, lo vuoi? ed io son pronto a lanciarmi contro dell’infelice e ravvolgerlo nelle le mie spire e lanciarlo contro di un masso per farlo in pezzi. E il fuoco par che dica: Signore, lo vuoi? ed io son pronto a piovere dal cielo sopra il miserabile ed investirlo coi vortici dello mie fiamme e ridurlo in minutissima cenere. E gli Angeli par che dicano: Signore, lo vuoi? e noi siamo pronti ad impugnare le spade della tua giustizia, avventarci contro l’ingrato e trapassarlo da banda a banda. E Gesù Cristo?… Ah! mi vien per la mente Davide. Questo re poiché l’empio suo figlio Assalonne si era ribellato contro di lui, fu costretto di mandargli contro il suo esercito. Ma in sì dura necessità Davide non si dimenticò che era padre. Epperò mentre i suoi capitani schizzando sdegno anelavano il momento di vendicare l’oltraggiato genitore, egli piantatosi ritto sulla porta di Mahanaim, per dove a schiere di cento e di mille uomini uscivano i suoi soldati, con voce alta sicché anche questi intendessero, ai capitani Gioabbo, Abisai, Ethai andava dicendo: Sì, marciate pure contro le schiere nemiche, combattetele, distruggetele… ma per carità, deh! salvate, salvate la vita al mio figlio Assalonne: servate, servate mihi puerum Absalom(2 Reg. XVIII, 5) Così o miei cari, quando le creature quasi presentandosi a Gesù Cristo sembrano offrirsi ministre di vendetta contro l’insensato ed empio peccatore, Gesù col Cuore infiammato di amore e pieno di compassione per lui, con la sua volontà deliberata di non punirlo, viene a dir loro le stesse parole di Davide: No, non fate…, lasciatelo ancora in vita, risparmiatelo… giorno verrà, in cui la mia grazia lo toccherà… il suo cuore si ammollirà… egli conoscerà il suo delitto, e piangendolo amaramente farà di nuovo a me ritorno: servate, servate mihi puerum…, servate, servate mihi! Oh bontà, oh pazienza ineffabile! Ohmisericordia infinita! Ben aveva ragione il reale salmista diinvitarci a confessarla e benedirla: Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia eius. (Ps. CXXXV).
II. — Ma se la misericordia di Gesù Cristo ci appare già così grande nel sopportare con pazienza il povero peccatore, ci apparirà anche maggiore nel ricercarlo e chiamarlo che egli fa colla più viva sollecitudine alla penitenza. Ed in vero, dite, o miei cari: Se io conoscendo avere alcun di voi ricevuta una gravissima offesa da un suo fiero nemico, gli dicessi: Mio caro è certamente enorme l’oltraggio che hai ricevuto da quel temerario, ma pur tuttavia tu lo devi perdonare, né solo lo devi perdonare, ma gli devi andare incontro colle braccia aperte per stringerlo con affetto al tuo seno, e siccome egli fuggirà tu gli devi correre dietro e chiamarlo con la più forte insistenza, fino a che con le tenero tue voci abbia domato il suo cuore di pietra, e con la tua suprema generosità lo abbia indotto a gettarsi pentito al tuo seno; non è egli vero che assai facilmente mi sentirei a rispondere: Come? Che io corra dietro al mio nemico con le braccia aperte? Che io lo chiami con la maggior tenerezza possibile mentre egli ancora mi fugge e mi abborre? Ah! che io lo perdoni… passi; ma che io faccia tutto il di più che voi m’imponete… sarebbe troppo! Or bene è questo troppo appunto che Gesù Cristo nella sua infinita misericordia ha fatto e continua sempre a fare verso il povero peccatore. Mentre esso non si dà alcun pensiero della lontananza da Dio, in cui si è posto a cagione della colpa, mentre forse aggiungendo peccato a peccato se ne allontana sempre di più, Gesù Cristo è Egli stesso che con la più viva sollecitudine muove in cerca di lui, che lo rincorre, che lo chiama con tenerezza divina, che in mille guise lo sprona a far ritorno al suo Cuore. E di ciò non possiamo avere il minimo dubbio, giacché ce lo ha fatto conoscere lo stesso divin Redentore con le sue belle parabole. Un pastore, diceva Egli, menò al pascolo cento pecore. Stando per ricondurle a casa si accorge di averne solo novantanove. A quella vista è grandemente turbato, e non reggendogli il cuore di rimanersi con una pecora di meno, lascia le altre novantanove sul loro cammino; e andato per valli e per monti non si dà posa finché non abbia ritrovata la pecorella smarrita. Riavutala il suo cuore s’inonda di gioia, e senza punto percuoterla, anzi risparmiandole la fatica del viaggio, se la carica sopra le spalle, e la porta all’ovile. E giunto a casa chiama gli amici e i vicini, e dice loro: « Misero me! avevo smarrita una pecorella: ma ora rallegratevi meco, perché l’ho ritrovata. » E terminata questa bella parabola il divin Redentore interrogava così i suoi uditori: «Chi di voi, avendo perduta una pecorella non farebbe altrettanto.» Quasiché volesse dire: Se così fareste voi medesimi per nient’altro che per una pecora, come dunque non andrò Io in cerca di anime infelici, che, smarrita la via del Cielo, corrono invece per la via di perdizione, in procinto di essere da un momento all’altro divorate dal lupo infernale? Quindi a ribattere anche meglio questa verità, continuava: « Qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa e non cerchi diligentemente, fino a che l’abbia trovata? E trovatala non chiami le auliche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta? » Ma una tal verità più ancora che con le parole ce l’ha appresa coi fatti. Un giorno insieme co’ suoi Apostoli si recava dalla Giudea nella Galilea, passando per le terre dei Samaritani. Egli, che nulla faceva a caso, ma ogni sua operazione dirigeva a nobilissimo fine, studiava il passo, e pareva, che assai gli premesse di portarsi avanti come se ad un’ora determinata avesse un appuntamento con qualche persona. Dopo un cammino a piedi per parecchie ore, egli sul meriggio giunse presso la città di Sichem, e ivi siccome a termine del suo faticoso viaggio, si pose a sedere sopra la sponda di un pozzo. Gli occhi suoi parevano brillare di un’insolita gioia, ed un più vivido raggio di celestiale bontà traspariva dalla sua faccia divina. A che pensa dunque, a che mira Gesù? Egli pensa e mira all’acquisto di un’anima in preda al peccato; Egli sta colà aspettando una misera donna che, quale smarrita pecora, va errando lungi da Dio ed è caduta nello zanne dei lupi. Egli sa che tra poco ella deve arrivare colà ad attingere acqua, ed il buon Pastore ansioso l’attende per ricondurla all’ovile. – La misera donna arriva di fatto, si accosta al pozzo ed allo sconosciuto non ilice parola. Ma se ella non pensa a Gesù, Gesù, che la conosce, si prende ben cura di lei. Laonde riempitache ebbe la secchia, e mentre già sta per andarsene, Gesù pel primo le volge il discorso, e le domanda da bere, non già perché abbia sete di acqua, ma perché ha sete dell’anima sua; e con la più ammirabile pazienza, con le parole più amorevoli egli ricerca e richiama a sé quell’anima traviata, la fa pentire de’ suoi peccati, la converte e la salva. Or bene, quello che Gesù fece colla Samaritana, è presso a poco quello che fa con qualsiasi povero peccatore. Sono davvero ineffàbili le industrie con cui egli ne va in cerca, sono inesprimibili le voci tenerissime con cui a sé lo chiama. Volete farvi una più bella idea di questa consolantissima verità? Lasciate che qui vi ricordi quello che si legge di S. Giovanni, l’Apostolo della carità. Racconta Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica, che mentre il santo Apostolo andava per l’Asia Minore fondando nuove chiese, venne ad imbattersi in un giovane di bell’indole e di spiriti vivaci, e riputandolo abile a far progressi nella cristiana perfezione, lo raccomandò caldamente e con grandi espressioni al vescovo della città, acciocché prendesse di lui tutta la cura. Il prelato, in esecuzione dei suoi ordini, lo prese nella sua casa, lo battezzò, lo istruì, lo educò col latte della pietà e della divozione. Sicché parendogli che fosse ornai venuto un devoto e perfetto Cristiano, cominciò a rallentare un certo rigore di domestica disciplina. Ma oh Dio! Quanto è debole la virtù nei giovani! Sentendosi quegli quasi gettata la briglia sul collo, a guisa di un puledro sfrenato, comincio a camminare dissolutamente per la strada del vizio, e passando da un peccato all’altro, da un eccesso minore ad un altro maggiore, arrivò a commettere ladronecci, assassinamenti e scelleratezze esecrande. Che più? Giunse fino a farsi capo d’una squadra di ladroni, ed occupato un monte vicino alla città, si diede ad insidiare alla vita ed alla roba dei passeggieri. Ecco i precipizi in cui si arriva a cadere quando dall’alto della perfezione si comincia a dare indietro. Intanto essendo ritornato il diletto Apostolo in quella città per affari ecclesiastici, domandò conto al Vescovo del giovane, commesso alla sua cura. Quegli, tratto un profondo sospiro dal cuore: È morto, disse. E di che morte, ripigliò S. Giovanni, temporale o spirituale? Di morte spirituale, soggiunse il Vescovo, e irreparabile; perché lo sventurato fattosi capo bandito, se ne va ramingo per le pendici del vicino monte. In udir questo l’Apostolo si stracciò per dolore la vestimenta; e poi: Presto, disse, mi si trovi un cavallo, ed una guida; e salito su quello si diede con gran fretta a cercare la pecorella smarrita. Appena però si avvicinò alle radici del monte, che subito fu fermato dalle guardie e messo in arresto. E questo appunto io bramava, disse a quei micidiali il santo, di cadere nello vostre mani: presto, conducetemi qui il vostro capo, perché o esso dovrà essere mia preda, o io la sua. Ma già da se stesso se ne veniva il giovane infelice coll’armi in mano, tutto accigliato nella fronte e pieno di mal talento nel cuore. Quando mirando da lungi il santo Apostolo, lo riconobbe, vergognandosi di se stesso, voltò le spalle e si diede alla fuga. Allora il santo, spronato il cavallo, si diede a seguirlo a briglia sciolta per quelle balze, e dimentico affatto del suo carattere e della sua età cadente, cominciò a gridare ad alta voce: Ferma, tiglio, ferina! E da chi fuggi? Da tuo padre? E di chi temi? È forse d’un vecchio imbelle, che altre armi non ha con cui ferirti, che quelle del suo amore? Ferma, figlio, non temere, non dubitare, che c’è speranza ancora di salute per te; ferma, l’erma! Da questi strali di amore, vibrati da quel tenerissimo cuore, rimase altamente ferito il misero giovane. Si fermò, si voltò, e fissando a terra gli occhi, vergognossi, gettò via le armi che aveva in dosso, si spogliò immantinente della fierezza che aveva nel cuore, e corse precipitoso a gettarsi ai piedi del santo vecchio. Quivi incominciò con sospiri, con gemiti e con un profluvio di lagrime a mostrargli il suo grande dolore. Solo però manifestandogli il suo pentimento, nascondeva nel seno la destra, rea di tanti morti e di tanto sangue innocente, che aveva sparso, in vederlo così contrito, il santo Apostolo precipitò da cavallo, si prostrò davanti al sanguinario, gli gettò le braccia al collo, e mescolando lagrime con lagrime, gemiti con gemiti, pianto con pianto: Non temere, gli diceva, figlio mio, che io con solenne giuramento ti prometto d’impetrarti da Gesù il perdono delle tue colpe. E finalmente cavatagli dal seno la mano rea di tanto sangue, per eccesso di tenera pietà si pose a baciargliela replicatamente. Ricondottolo poscia alla chiesa non solo lo ripose sul sentiero della virtù cristiane, ma lo condusse a tanta perfezione, che poscia poté e volle crearlo Vescovo di quella città. – Ebbene, dove mai S. Giovanni aveva imparato a richiamare per siffatto modo i peccatori? Dove? Alla scuola di Gesù, posando il capo sopra il suo Cuore Sacratissimo nell’ultima cena. Se tale pertanto fu la sollecitudine del discepolo, quale non sarà mai quella del Maestro? Se con tanta insistenza e tenerezza S. Giovanni ha rincorso e chiamato il peccatore al pentimento, chi potrà dire con quale insistenza e tenerezza lo rincorra e lo chiami Gesù Cristo? Oh sì! egli lo rincorre e lo chiama con quelle sante inspirazioni, con quel buon libro che come per caso gli fa cadere sott’occhio, con quella predica che gli fa ascoltare, con quella parola che forse è uscita involontaria dal labbro del predicatore e che egli ha forse anche creduto guastare il suo discorso. Egli lo rincorre e lo chiama colle preghiere di una madre, coi gemiti di una sposa, Coi dolci lamenti di una sorella, cogli sguardi di un innocente fanciullo, colle esortazioni di un amico sincero. Egli lo rincorre e lo chiama colla voce della Chiesa, che in certi tempi si fa più grave e supplichevole, ripetendo ad ogni istante: « Ecco il tempo propizio, ecco i giorni di salute; eh! l’empio abbandoni le sue vie e l’uomo ingiusto rinunzi a’ suoi malvagi pensamenti. » Lo rincorre e lo chiama coi ricordi cristiani di una santa fanciullezza, coi crudi rimorsi, con le improvvise tristezze, con gli amari disinganni, con le vive agitazioni, con le insoffribili smanie che l’assalgono in mezzo all’ebbrezza medesima dei godimenti. Lo rincorre e lo chiama. Sì, quando non basta ancora la voce dell’amore, egli chiama con la voce tonante del castigo, che alla fin fine non è altro che l’ultimo spediente della sua inesauribile bontà. Rammenti,o Cristiano, quei rovesci di fortuna? quelle calunnie? quei tradimenti? quella malattia? Rammenti quei feretri, che involavano i tuoi amori fulminati dalla morte? Tu credevi che fosse la giustizia di Dio, ed era invece la misericordia del Cuore di Gesù, che menava l’ultimo colpo al tuo induramento, era la sua voce tutta piena di tenerezza e di compassione per te, che ti diceva nel modo più efficace: Convertere, convertere ad Dominum Deum tuum: convertiti, convertiti al Signore Iddio tuo. Oh bontà! oh misericordia infinita del Cuore di Gesù verso del povero peccatore! E quasi ciò non bastasse ancora, la misericordia di Gesù Cristo, come dice S. Catterina da Siena, perseguita con le sue chiamate il peccatore fino al momento supremo dell’agonia, in cui sospeso tra la vita e la morte non sembra più appartenere alla terra. Allora, un’ultima volta, in un mistero di bontà inesplicabile, il Cuore di Gesù, Creatore e Redentore delle anime si affaccia e gli dice: Figlio, vuoi essere mio? Ahimè! vi hanno di coloro che rispondono di no! Ma quanti vi saranno che a questa prova estrema di amore risponderanno di sì, e sfuggiranno per tal guisa all’eterna dannazione! Confessiamo, confessiamo chela misericordia di Gesù Cristo è infinita: Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in aeternum misericordia eius.
III. — Ma infine dove spicca maggiormente la misericordia di Gesù Cristo verso i poveri peccatori si è nell’accoglierli con bontà e con gioia al tutto paterna, quando a lui ritornano sinceramente pentiti. E anche qui non potremmo intendere meglio questa dolcissima verità che dalla bocca stessa del divin Redentore in quella parabola sempre antica e sempre nuova, sempre sublime e sempre commovente, la parabola del figliuol prodigo. « È un padre, che ha due figli. Il minore si presenta a lui e gli dice: Padre, dammi la mia parte di eredità che mi spetta, che io sono stanco di stare in casa tua: me ne voglio andare lontano. – Ma, figlio, perché queste parole? t’ha fatto qualche cosa tuo padre da trattarlo così? – Tant’è, dammi la parte di eredità che mi spetta: torno a dirti che me ne voglio andare. E il buon padre eccolo a dividere le sue sostanze e dare a quel figlio la sua porzione. E lui, lo sciagurato, voltare villanamente le spalle a suo padre e andarsene in lontano paese, e là, cogli amici, nei bagordi e nelle scostumatezze dissipare tutta la sua sostanza. Sicché ben presto si trova nella miseria e sente lo stimolo della fame, tanto più che in quel paese è sopravvenuta la carestia. E come fare adesso per campare la vita? Gli amici, così numerosi nel tempo del godere, ora tutti l’hannoabbandonato. Come fare adunque? È costretto a porsi da servitore presso un duro padrone, che lo manda al pascolo di animali immondi, e per paga non gli dà che un tozzo di pan nero, sicché si trova al punto d’invidiare le ghiande a quei sozzi animali che pascola. Povero figlio, a che stato è mai ridotto! Ma in quello stato egli ritorna col pensiero a casa di suo padre. Seduto forse sotto di una quercia, appoggiata la testa al suo bastone egli pensa e ripensa: Oh quanti, non più che servi in casa di mio padre, abbondano di pane, ed io qui… qui mi muoio di fame. Ma dunque vorrò durarla a lungo una vita così infelice? E che fare? Tornare da mio padre? E perché no? Mio padre è buono, oh lo conosco bene il suo cuore: mi getterò ai suoi piedi, li bagnerò di lagrime, gli dirò: Padre, perdono! ho peccato contro il cielo e contro di te, non son più degno di essere chiamato tuo figlio: abbimi per l’ultimo dei tuoi servitori. E mio padre… mio padre mi perdonerà. Surgam Surgam et ibo ad patrem meum. E sorge; pianta là quel branco di animali, si getta attraverso il bosco, guadagna la strada maestra, cammina, cammina, corre… Ma il padre, oh padre amoroso! da quel dì che suo figlio s’era allontanato da lui, non aveva avuto più pace. Tutti i giorni si portava sul terrazzo del suo castello, e di là spingeva lo sguardo per tutte le vie, che vi mettevano capo, per vedere se caso mai… Ma quel giorno, dopo aver alquanto guardato, vide là in fondo ad una via una persona che si avanzava…’Man mano che si avvicinava,nell’andatura, nel movimento gli pareva… ma intanto che si ingannasse come le altre volte? No; gli pareva proprio lui: il cuore glielo diceva: batteva così forte! Ma pure… cominciava a vederlo tutto lacero, pezzente… Ah non era così mio figlio quando è partito… Eppure, sì, sì, è lui: lo riconosco già ai lineamenti. E qui il povero padre, dimentico della sua età correre giù frettoloso le scale, uscire di casa, andargli incontro. Ah! il figlio non ha quasi tempo a gettarseli ai piedi per dirgli piangendo: Padre, perdono: ho peccato contro il cielo e contro di te; non son più degno d’essere chiamato tuo tiglio; cheil Padre gettatosi al suo collo, pieno della più grande compassione lo bacia. Poscia gridando ai servi: Presto, dice, portate la più bella veste, e indossategliela: mettetegli l’anello in dito e i calzari ai piedi: ammazzate il vitello più grasso, invitate i parenti, gli amici, le musiche, mangiamo e stiamo allegri, perché questo mio figliuolo era morto ed è resuscitato, l’aveva perduto e l’ho ritrovato. E si cominciò a banchettare. E intanto il figliuolo maggiore tornando dalla campagna e sentendo tutta quella allegria interroga uno dei servi: Che cos’è questa festa? – Come, non sai? È tornato tuo fratello. – Quello scioperato? – E non voleva saperne di entrare nella sala del convito. Ma il padre avvisato esce fuori e si fa a pregarlo. Ed egli: Ma, padre, io vi sono sempre stato ubbidiente da tanti anni, e voi non mi avete mai dato un sol capretto da banchettare co’ miei amici, ed ora cheè tornato quello sciagurato di mio fratello fate sì gran festa? Figlio mio, non dire così: tu sei sempre con me, e tutte le cose mie sono anche tue; ma quel tuo fratello era morto ed ora è risuscitato, l’aveva perduto ed ora l’ho ritrovato. Vieni, vieni dunque anche tu a rallegrarti con noi. » – Così, o miei cari, così Gesù benedetto descriveva Egli medesimo la festosa accoglienza che Iddio fa al peccatore convertito. Così comprovava la verità di quella sentenza da Lui pronunziata poco più innanzi nel Santo Vangelo: Sì, io vi dico che si fa maggior festa in cielo per un peccatore che si pente, che non per novantanove giusti, che non, abbisognano di penitenza. Oh certamente! Gesù Cristo è buono ed infinita è la sua misericordia: Confitemiiti Domino, quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia eius. Senza dubbio Gesù Cristo non poteva darci un’idea più viva della bontà e della gioia con cui accoglie al suo Cuore un peccatore che sinceramente pentito faccia a Lui ritorno. Tuttavia per farci sempre maggiore animo, alle parole volle aggiungere, i fatti. Ne abbiamo, anche qui, una prova nel Vangelo istesso riguardo ad un’altra donna, non meno peccatrice della Samaritana, anzi così peccatrice, che con tal nome era comunemente designata, e il Vangelo stesso la disse posseduta da sette demoni, cioè rea di ogni peccato. Orbene Gesù predicava un giorno nella Galilea, quando Maddalena, tratta dalla gran fama del nuovo Profeta, si decise di andarlo a udire. Oh fortunata decisione! Oh felicissimo pensiero! Alle parole che da quel labbro divino uscivano così efficaci sulla vanità degli onori terreni e dei piaceri del senso, al discorso così eloquente sulle ricchezze della bontà e misericordia di Dio, e soprattutto a quel dolcissimo invito: Venite a me tutti, o peccatori e peccatrici, che siete oppressi sotto il peso delle vostre colpe, ed io vi darò a gustare quella pace, che indarno cercate nelle vanità e nei piaceri del mondo; a questi insomma e ad altri simili detti la peccatrice famosa sentissi tocca nel profondo del cuore. Ella concepisce tosto un sì vivo dolore de’ suoi peccati, che non potendo più rattenersi comincia a versare dagli occhi come un torrente di lagrime. Si porta quindi subitamente a casa, getta via gli ornamenti di lusso, si scompiglia i capelli e dato mano ad un vaso di alabastro pieno d’unguento prezioso va di nuovo in cerca di Gesù. E saputolo nella città di Naim a pranzo in casa di Simon fariseo, in compagnia di ragguardevoli personaggi, ella, senza umani rispetti, si porta colà. Ed entra nella sala del convitto, si getta ai piedi di Gesù, glieli bagna con le lagrime del dolore, glieli asciuga con i suoi lunghi capelli, glieli profuma col suo prezioso liquore, glieli bacia con ardentissimo affetto. E Gesù! Gesù tollera che una donna così peccatrice e scandalosa lo tratti con una confidenza siffatta, quale appena si potrebbe permettere ad un’anima stata sempre innocente? E non le rinfaccia i suoi molti peccati? e non la manda prima a riparare gli scandali? non le impone di scostarsi da Lui? e non le impedisce di toccarlo? Così pensa nell’animo suo il Fariseo, perché tutto ciò non gli par prova che Gesù sia un gran profeta. Ma non così la pensa Gesù, che pieno di gioia indicibile nel vedere pentita ai suoi piedi quella povera Maddalena non solo ve la lascia e la rimira con occhio benigno, ma tosto la difende contro del Fariseo superbo, che di lei mormorava, la dimostra già migliore di lui, perché piena di contrizione e d’amore; quindi le dice la gran parola di perdono: Remittuntur tibi peccata. Fides tua te salvam fecit, vade in pace. (Luc. VII, 48, 50) Ti sono rimessi i peccati.La fede che opera mediante la carità, ti ha fatta salva; vannein pace. Né qui ebbe fine la bontà di Gesù con la penitenteMaddalena. Egli, in seguito ancora, trattolla come se nonavesse peccato giammai; l’ebbe ognora carissima, come sefosse sempre vissuta quale un’anima innocente. Gradì i servigidi lei, le permise che lo seguitasse con altre pie donne, eprovvedesse ai bisogni del Collegio apostolico. E morto Lazzarosi recò in Betania per consolarla, anzi ai prieghi, allelacrime sue, operò il più strepitoso miracolo, richiamandolea vita il fratello da quattro giorni morto e sepolto; dopo lasua Risurrezione gloriosa a lei apparve in modo tutto particolare,e prima ancora che agli stessi Apostoli. Ora un amoresì grande verso un’anima un dì rea di tanti peccati, non èforse una prova la più evidente della bontà sommamente paterna,con cui accoglie a sé i peccatori pentiti?Che altro dunque ci vuole, o sventurati e carissimi peccatori,per animarvi a ritornare tra le braccia di Dio? Ah!Se il Cuore di Gesù vi ha oggi chiamati ad ascoltar la suasanta parola, deh! non tardate più un istante a rifugiarvi in
lui: ad Cor reclusum vulnere, ad mite Cor accedite. Questo Cuore santissimo per ciò appunto è aperto, per facilitarvi l’entrata in esso. Andate a gettarvi ai piedi del suo ministro, e col pentimento sincero e colla santa confessione delle vostre passate colpe riacquistate la sua grazia e la sua amicizia. Ah sì, è vero, per chi da gran tempo vive lontano da lui, questo primo passo sarà duro! ma se egli lo darà risoluto, il Cuore di Gesù farà il resto. Oh quante volte, benché ministri indegni del Signore, abbiamo veduto queste meraviglie della sua bontà! Erano poveri peccatori che da quindici, venti, quarant’anni non si erano più confessati mai… e poi tocchi dalla grazia di Dio, facendosi pure un’estrema violenza venivano a gettarsi ai piedi del sacerdote, e cominciata appena l’accusa delle loro colpe davano in tali scoppi di pianto, che costringevano a dire: Ah! qui vi è veramente la mano, o meglio ancora qui vi è il Cuore di Dio! Ma quelle lagrime non erano soltanto di rammarico della passata vita, erano pure lacrime di consolazione, ed assai più che tutti i più eloquenti discorsi dicevano: Oh quanto è buono Iddio! Quanto è misericordioso Gesù! Come è dolce il ritornare al suo seno e a vivere in casa sua! Coraggio, coraggio adunque! Oggi il buon Gesù, col suo Cuore pieno di carità per voi, vi fa una chiamata decisiva, e beati voi se l’ascolterete! Ma se per isventura induriste il vostro cuore… Ah! Timeo Dominum transeuntem, esclama S. Agostino: temo il Signore che passa. Quando Gesù, chiama e richiama, non si sente mai a rispondere, vede anzi le sue chiamate accolte con indifferenza glaciale, disprezzate, si stanca ancor egli: Curavimus Babylonem et non est sanata, derelinquamus eam. (GER. LI, 9) L’abbandono, ecco il terribile castigo, con cui Gesù Cristo punisce chi si fa indocile alla misericordia del suo Cuore. Non più adunque, o Gesù mio. Abbastanza sono stato lontano da Voi. È tempo, che a voi ritorni pentito. Lo so, non sono più degno d’essere chiamato vostro figlio! Caro Gesù! Quanti peccati ho commessi! quante offese vi ho recate! Ma Voi siete buono, volete che speri in Voi, me lo comandate, ed io obbedisco. Mi getto ora nel vostro Cuore Santissimo, per cantarne poi in eterno la sua misericordia.