La lettera Enciclica che oggi leggiamo, costituisce l’occasione, nel commemorare l’opera di S. Cirillo di Alessandria, per richiamare i Cristiani d’Oriente all’unità dell’unica vera Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica Romana, guidata dal “vero” Sommo Pontefice successore di S. Pietro. Dopo aver ricordato gli avvenimenti storici del Concilio di Calcedonia che condannò inesorabilmente l’empia eresia nestoriana, proprio per merito principale di S. Cirillo, il Santo Padre invoca l’unita dei Cristiani, e l’unità che egli auspica è naturalmente l’unica possibile, cioè il triplice legame che unisce tutti i seguaci del Divin Maestro « … nell’unica Fede Cattolica, nell’unica Carità verso Dio e verso tutti, e infine nell’unica Obbedienza e soggezione alla legittima Gerarchia costituita dal divin Redentore medesimo ». Poche ma ben ponderate espressioni che ancora una volta sottolineano come l’adesione alla Verità unica, si possa compiere mediante una unica possibilità. Affermare la Verità cattolica, con tutti i suoi dogmi senza eccezioni, senza mediazioni o aggiustamenti o dissimulazioni, è l’unica via all’ecumenismo, via che non tradisca il Divin Redentore che, nel fondare la sua unica Chiesa, ha sparso il suo sangue sulla Croce. Qualunque altra ventilata ipotesi è tradimento vergognoso alla Passione del Redentore, è apostasia mortale ed inescusabile dalla Chiesa scaturita dal fianco trafitto del Figlio di Dio … e il Magistero in numerose occasioni ha ribadito, infallibilmente e irrevocabilmente, che fuori dalla Chiesa Cattolica, come Arca unica di salvezza, non c’è salvezza dell’anima ma dannazione eterna. Nella situazione attuale, eresie e scisma (… quante false chiese, pseudo monasteri ed istituti virtuali e fasulli nel mondo!) sono così numerosi e diffusi che praticamente la vera Fede Cattolica è pressoché sconosciuta o praticata senza alcuna cognizione di causa e senza rispetto per le regole canoniche, ed in realtà coloro che si professano Cattolici, con coscienza quantomeno dubbia, oltre ai gruppi sedevacantisti, fallibilisti, protestanti di Oriente e d’Occidente, aderiscono alla setta che il Santo Padre Leone XIII descrisse perfettamente nella sua preghiera a san Michele « … hostes faverrimi Ecclesiam, Agni immaculati sponsam, repleverunt amaritudinis, inebriarunt absinthio et …
ubi sedes beatissimi Petri et Cathedra veritatis ad lucem gentium constituta est, ibi thronum posuerunt abominationis et empietatis suæ … »
sì, la setta del “Novus ordo”! In questo frangente anche il gran San Cirillo di Alessandria, poco potrebbe fare, per cui il fedele “pusillus grex” possiede solo la preghiera da rivolgere con fiducia alla SS. Trinità …
Veni Domine Jesu! Ne moreris …
PIO XII
LETTERA ENCICLICA
ORIENTALIS ECCLESIAEÆ
S. CIRILLO DI
ALESSANDRIA
NEL XV CENTENARIO DELLA MORTE
Sempre con somme lodi la chiesa esaltò s. Cirillo patriarca di Alessandria quale autentica gloria della chiesa orientale e preclarissimo vindice della vergine Madre di Dio. Queste lodi Ci piace ora in succinto riandare scrivendo di lui, mentre si compie il XV secolo da quando felicemente egli mutò con la patria celeste questo terreno esilio. Fino dai suoi tempi infatti il Nostro predecessore s. Celestino I lo chiama «buon difensore della fede cattolica», «sacerdote degno della massima approvazione», e «uomo apostolico». Il Concilio ecumenico Calcedonese poi non solo invoca in aiuto la sua dottrina per ravvisare e ribattere i nuovi errori, ma non esita a paragonarla altresì con la sapienza di san Leone Magno, il quale a sua volta elogia gli scritti di un così grande dottore e ne raccomanda la lettura, precisamente perché appieno combaciano con la fede dei santi padri. Né minore venerazione il quinto concilio ecumenico radunato a Costantinopoli tributò all’autorità di s. Cirillo; e più tardi, a distanza cioè di parecchi anni, quando si dibatteva la controversia delle due volontà in Cristo, di nuovo la dottrina di lui sia nel primo concilio Lateranense, sia nel sesto concilio ecumenico, fu meritatamente e vittoriosamente rivendicata dagli errori dei monoteliti, dei quali a torto alcuni l’accusavano d’essere infetta. E invero, a testimonianza dell’altro santissimo predecessore Nostro Agatone, egli «fu difensore di verità» e risultò «costantissimo predicatore di fede ortodossa». – Riteniamo pertanto cosa molto opportuna, scrivendone brevemente, di porre la vita integerrima, la fede, la virtù sua sotto gli occhi di tutti, e prima che ad ogni altro sotto gli occhi di coloro i quali, per appartenere alla chiesa orientale, ben a ragione si gloriano di questo luminare di cristiana sapienza e di questo atleta di apostolica fortezza. Ebbe onorati natali, e promosso nell’anno 412, come si ha per tradizione, alla sede di Alessandria, dapprima combatté contro i novaziani e gli altri detrattori e corruttori della genuina fede, tanto con la parola, quanto con gli scritti e la pubblicazione di appositi decreti, mostrandosi d’una vigilanza e d’un coraggio a tutta prova. Poi, al serpeggiare dell’empia eresia di Nestorio per le varie regioni dell’oriente, da quel sollecito pastore che era, subito scoprì i novelli errori che imperversavano, usò ogni mezzo per allontanarli dal gregge a lui affidato, e durante quel periodo di tempo, ma specialmente nello svolgersi del concilio di Efeso, si dimostrò invitto assertore e sapientissimo dottore della divina maternità di Maria vergine, dell’unità d’ipostasi in Cristo e del primato del romano pontefice. Avendo però l’immediato Nostro predecessore di fel. mem. Pio XI nell’enciclica Lux veritatis, magistralmente descritta e illustrata la parte precipua che ebbe s. Cirillo nelle vicende di questa gravissima vertenza, allorché nel 1931 ricorse il XV centenario di quel concilio, reputiamo superfluo il ritornarvi sopra punto per punto. – Non si tenne pago Cirillo di combattere strenuamente contro le dilaganti eresie, di tutelare con alacre diligenza l’interezza della dottrina cattolica e di farla risaltare nella meridiana sua luce, ma quanto più poté si adoperò per richiamare sul retto sentiero della verità i fratelli erranti. I vescovi infatti della regione antiochena non avevano fino allora riconosciuta l’autorità del concilio di Efeso. Ebbene, Cirillo col suo zelo fece sì che dopo lunghi tentennamenti arrivassero finalmente a piena concordia. E dopo che con l’aiuto di Dio poté raggiungere e conciliare siffatta felicissima pace, e difenderla con diligente cura contro quanti la oscuravano e la turbavano, ormai maturo per la ricompensa e la gloria eterna, nell’anno 444, tra le lacrime di tutti i buoni, se ne volò al cielo. – I fedeli di rito orientale non solo lo collocano nel numero dei «padri ecumenici», ma nelle loro preci liturgiche l’onorano dei più ampi elogi. Così per esempio i greci, nei «Menèi» da celebrarsi il giorno 9 di giugno, cantano di lui: «Illustrato la mente dalle fiamme dello Spirito Santo, quasi sole che dardeggi i suoi raggi, esprimesti gli oracoli tuoi; lanciasti i tuoi dogmi su tutte le parti del mondo fedele, illuminando ogni condizione di persone, o beatissimo, o divino; e mettesti in fuga le tenebre delle eresie, con la potenza e le forze di Colui, che nato dalla Vergine sfolgorò i suoi splendori». Certamente hanno ben ragione i figli della chiesa orientale di rallegrarsi di questo santissimo Padre, come d’insigne loro gloria domestica. Perché su di esso risplendono in modo particolare quelle tre doti dell’animo che parimente tanto illustrarono gli altri padri dell’oriente: cioè una esimia santità di vita, in cui nominatamente brilla una calda devozione verso l’eccelsa Madre di Dio; una dottrina veramente ammirevole, per la quale la Sacra Congregazione dei Riti con decreto del 28 luglio 1882 lo dichiarò dottore della Chiesa Universale; e una premurosa e indefessa sollecitudine, in virtù della quale infranse con invitto coraggio gli assalti degli eretici, asserì la fede cattolica, la difese, e instancabilmente, fin dove poté, la propagò. – Mentre tuttavia di gran cuore Ci congratuliamo che tutti i popoli cristiani dell’oriente onorino con intensa venerazione s. Cirillo, non meno Ci addolora che non tutti convengano in quella desideratissima unità, la quale egli così ardentemente amò e promosse. Tanto più anzi Ci duole che ciò accada a questi nostri tempi in cui si rende necessario che tutti i Cristiani, a gara unendo intenzioni ed energie, si stringano nell’unica Chiesa di Gesù Cristo, affinché quasi uniti in una sola falange, compatta, concorde, stabile, resistano contro gli sforzi dell’empietà ogni giorno più minacciosi. – Per conseguire tale effetto, è assolutamente necessario che tutti, seguendo le orme di S. Cirillo, raggiungano quella concordia di animi, che dev’essere munita di quel triplice legame con cui Cristo Gesù, fondatore della Chiesa, volle che essa fosse stretta e tenuta insieme, quasi in superno infrangibile vincolo, da Lui stabilito; vale a dire nell’unica Fede Cattolica, nell’unica Carità verso Dio e verso tutti, e infine nell’unica Obbedienza e soggezione alla legittima Gerarchia costituita dal divin Redentore medesimo. Questi tre vincoli, come ben sapete, venerabili fratelli, sono tanto necessari, che se l’uno o l’altro di essi viene a mancare, non si può più neppure comprendere nella Chiesa di Cristo vera unità e concordia.
I
Allo scopo di conseguire volenterosamente e di conservare con vigoria questa sincera concordia, desideriamo che, come fu già per i tempestosi suoi tempi, così anche per i giorni nostri il santo patriarca di Alessandria sia a tutti maestro e modello preclarissimo. Volendo incominciare dall’unità della fede cristiana, nessuno ignora l’inconcussa alacrità sua nel sostenerla con somma energia. «Noi – così egli dichiara – che abbiamo per amica la verità e i dogmi della verità, non seguiremo affatto gli eretici, ma calcando le vestigia della fede lasciataci dai santi padri, custodiremo contro tutti gli errori il deposito della divina rivelazione». Pur di combattere sino alla morte questa buona battaglia, era pronto a sopportare qualsiasi più acerba calamità. «Il mio più ardente desiderio – egli scrive – è di patire e morire per la fede di Cristo». «Nessuna ingiuria pertanto, nessuna contumelia, nessun insulto mi muove… sol che la fede ne esca sana e salva». – E anelando con forte e nobile cuore alla palma del martirio, vergò queste magnanime parole: «Ho deciso per la fede di Cristo di andare incontro a qualsiasi travaglio, di sopportare altresì qualsiasi tormento, anche quelli che fra i supplizi sono giudicati i più gravi, finché non abbia alla fine sostenuta la morte che gioiosamente accetterò per questa causa».(15) «Perché, se avessimo paura di predicare per la gloria di Dio la verità, per non incorrere in qualche molestia, con qual faccia, di grazia, potremmo presso il popolo esaltare le lotte e i trionfi dei santi martiri?». – E poiché nei cenobi dell’Egitto si agitavano a più riprese acerrime dispute sulla nuova eresia nestoriana, egli, da vigilantissimo Pastore, avverte i monaci delle pericolose fallacie di tale dottrina, non per aggiungere esca a contrastanti competizioni di parole, «ma perché se mai alcuni, – così loro scrive – v’investissero, possiate non solo scansare voi stessi quei perniciosi errori, ma opponendo alla loro frivolezza la verità, possiate altresì indurre gli altri, da buoni fratelli e con opportune ragioni, a conservare costantemente, qual preziosa perla, la Fede, già un tempo trasmessa alle chiese per mezzo dei santi Apostoli». Come facilmente riscontreranno tutti coloro, i quali abbiano studiate le lettere ch’egli ebbe a inviare riguardo alla controversia degli antiocheni, mette luminosamente in rilievo che questa fede cristiana, la quale devesi da noi salvare e difendere a tutti i costi, è dottrina trasmessaci per il tramite della sacra Scrittura e dei santi Padri, e al tempo stesso ci viene chiaramente e legittimamente proposta dal vivo e infallibile Magistero della Chiesa. I Vescovi della provincia di Antiochia per il ristabilimento e la conservazione della pace pensavano che fosse sufficiente l’affermarsi soltanto sulla professione nicena. Invece s. Cirillo, pur fermamente aderendo al Simbolo di Nicea, richiese ancora dai suoi confratelli nell’episcopato, per il rafforzamento dell’unità, la riprovazione e la condanna dell’eresia nestoriana. Sapeva infatti benissimo che non basta accettare con docilità gli antichi documenti del Magistero ecclesiastico, ma che occorre in più abbracciare con fedele sottomissione di cuore tutte quelle definizioni che dalla Chiesa in forza della sua suprema Autorità di tempo in tempo ci siano proposte a credere. Anzi, non è lecito, neppure sotto il pretesto di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un dogma solo; giacché, come ammonisce il Patriarca alessandrino: «Desiderare la pace è certamente il più grande e il primo dei beni, ma però non si deve per siffatto motivo permettere che ne vada di mezzo la virtù della pietà in Cristo». Perciò non conduce al desideratissimo ritorno dei figli erranti alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria, che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o almeno la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d’accordo, ma bensì l’altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata. – Per questa strenua fortezza nel conservare e proteggere l’unità della fede, s. Cirillo Alessandrino sia a tutti d’esempio. Appena scoprì l’errore di Nestorio, per mezzo di lettere e di altri scritti lo confutò, ricorse al Romano Pontefice, e nel Concilio di Efeso, come suo rappresentante, con ammirevole apparato di dottrina e intrepido cuore represse e condannò l’eresia che si era insinuata, in modo che tutti i padri conciliari, letta nell’adunanza la lettera di Cirillo che suol chiamarsi dogmatica, con solenne deliberazione la dichiararono pienamente consona alla rettitudine della fede. Oltre a ciò, per questa sua apostolica fortezza, fu iniquamente cacciato dall’ufficio episcopale, e sostenne con invitta serenità le ingiurie dei confratelli, il biasimo di un illegittimo conciliabolo, prigionie e angosce non poche. Né questo bastandogli, non esitò, per il coscienzioso adempimento del proprio santissimo ufficio, di opporsi apertamente, non solo ai Vescovi che si erano allontanati dalla retta via della verità e della concordia, ma alla stessa augusta persona dell’imperatore. E inoltre, come tutti sanno, ad alimento e sostegno della fede cristiana, compose quasi innumerabili libri, dai quali splendidamente si riverberano la sua luce di sapienza, l’imperterrita sua costanza e la solerzia della sua pastorale sollecitudine.
II
Alla fede è necessario che si unisca in bell’intreccio la Carità. Per essa veniamo tutti congiunti gli uni agli altri e con Cristo. Essa, ispirata e mossa dallo Spirito Santo, stringe tra loro con infrangibile vincolo le membra del Corpo mistico del Redentore. Pertanto questa carità non deve rifiutare di aprire le braccia in fraterno amplesso anche agli erranti che hanno sbagliato la retta strada: cosa della quale è dato scorgere insigne esempio nel modo di procedere, tenuto da s. Cirillo. Egli infatti, per quanto avesse con tutta la forza combattuta l’eresia di Nestorio, tuttavia, animato com’era di accesa carità, afferma di non permettere a nessuno di professarsi più amante di Nestorio, di lui stesso. – Né ciò è senza un perché. I traviati e, gli erranti sono da ritenersi come fratelli malati, e debbono essere trattati con dolcezza e delicata premura. Sul qual proposito giova rievocare questi prudentissimi consigli del santo patriarca di Alessandria. «La cosa – egli avverte – ha bisogno di grande moderazione». – «Perché la durezza del disputare spinge spesso non pochi a imprudenza, ed è meglio con dolcezza sopportare le altrui resistenze, piuttosto che a punta di diritto creare loro molestia. Come, qualora si sia ammalata qualche parte del loro corpo, bisogna esaminarla con la mano, alla stessa maniera è necessario soccorrere l’anima caduta inferma, servendosi della debita prudenza a guisa di medicina. Così, essi pure giungeranno passo per passo a un regolare comportamento di spirito». – Altrove poi soggiunge: «Abbiamo imitato l’arte dei bravi medici: non subito col fuoco e col ferro spietatamente curano i morbi e le piaghe appena apparse sui corpi umani; ma spalmata dapprima la piaga con leggero fomento, rimettono l’ustione e il taglio al momento opportuno». – Era insomma, riguardo agli erranti, animato da compassionevole benignità, tanto da dichiarare esplicitamente «di essere desiderosissimo di pace, e insieme totalmente alieno da rissosi litigi; tale in una parola da accogliere in cuore questa duplice brama: amare tutti ed essere a sua volta da tutti riamato». – Questa incline disposizione alla concordia rifulge nel santo dottore principalmente quando, dopo la mitigazione dell’anteriore severità, attese con volenterosa diligenza a indurre alla pace i Vescovi della provincia antiochena. Parlando del loro legato, scrive tra le altre cose: «Forse sospettava di dover andare incontro a lotte non piccole per convincerci della necessità di congiungere le chiese in una pace concorde, per eliminare il dileggio degli eterodossi e reprimere la coalizione della diabolica protervia. Ma ebbe a trovarci talmente disposti a tale parere, da non doverne affatto risentire travaglio alcuno. Ricordiamo benissimo il detto del nostro Salvatore: “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace”. Siccome nondimeno alla stipulazione di questa pace erano d’ostacolo i dodici capitoli, da san Cirillo composti nel sinodo di Alessandria – i quali capitoli, perché parlavano di «unione fisica» in Cristo, venivano respinti dagli antiocheni come eterodossi – il benignissimo Patriarca, pur non riprovando né sconfessando questi scritti, perché in realtà proponevano la dottrina ortodossa, tuttavia in parecchie lettere spiegò meglio la sua intenzione, in modo da rimuovere qualsiasi anche minima parvenza d’errore, e da appianare più facilmente la via alla concordia. Ciò pertanto egli rese noto ai Vescovi, «non già come a oppositori, ma come a fratelli». Giacché a suo giudizio, «per la pace delle chiese e affinché queste a causa delle opinioni dissenzienti non restino separate le une dalle altre, sono tutt’altro che inutili le accondiscendenze». E così felicemente avvenne che la carità di s. Cirillo raccogliesse in abbondanza i desideratissimi frutti della pace. E quando finalmente ne poté scorgere i primi albori e pregustò la gioia del fraterno abbraccio ai Vescovi della provincia d’Antiochia risolutisi a condannare l’eresia nestoriana, nella ridondanza della celeste soddisfazione, esclamò: «”Si allietino i cieli ed esulti la terra!” È distrutta la parete interna di separazione; ciò che arrecava mestizia si è quietato; ogni occasione di dissidio è tolta di mezzo, dal momento che Cristo, Salvatore di noi tutti, ha concesso alle sue chiese la pace». – Purtroppo, come in quel lontanissimo tempo, così anche al presente, venerabili fratelli, per promuovere quell’auspicabile conciliazione dei figli dissidenti nell’unica Chiesa di Cristo, conciliazione alla quale tutti i buoni anelano, senza dubbio una sincera ed efficace benevolenza d’animo apporterà, col favore della divina grazia, il più valido contributo. Questo benevolo affetto infatti riscalda la mutua conoscenza. Per promuoverla e completarla i Nostri predecessori con svariati mezzi vi si adoperarono, nominatamente con la fondazione in quest’alma città del Pontificio Istituto di alti studi orientali. Così pure bisogna tenere nel debito conto tutto ciò che costituisce per gli orientali quasi un geloso patrimonio lasciato dai loro maggiori, e insieme ciò che si riferisce alla sacra liturgia e agli ordini gerarchici, nonché agli altri capisaldi della vita cristiana, a patto ben inteso, che tutto concordi pienamente con la genuina fede religiosa e con le rette norme dei costumi. È necessario infatti che tutti e singoli i popoli di rito orientale in tutto quello che dipende dalla storia, dal genio e dall’indole di ciascuno in particolare, abbiano una legittima libertà che pur tuttavia non contrasti con la vera e integra dottrina di Gesù Cristo. E questo lo sappiano e vi riflettano a fondo, sia coloro che sono nati nel grembo della Chiesa Cattolica, sia gli altri che con le ali del desiderio veleggiano alla sua volta. Anzi si persuadano tutti e tengano per certo che non saranno mai costretti a mutare i loro legittimi riti e le loro antiche istituzioni con le istituzioni e i riti latini. Gli uni e gli altri debbono essere tenuti in uguale stima e uguale lustro, perché incoronano di regale varietà la Chiesa madre comune. Né solo questo; ma siffatta diversità di riti e di istituzioni, mentre conserva intatto e inviolabile ciò che per ciascuna confessione è antico e prezioso, non si oppone affatto alla vera e sostanziale unità. Più che mai ai nostri giorni, dopoché la discordia e le competizioni della guerra quasi dappertutto hanno alienato gli uni dagli altri gli animi umani, occorre che tutti, mossi dalla cristiana carità, siano sempre più spinti a ripristinare con ogni mezzo l’unione in Cristo e per Cristo.
III
L’effetto peraltro della fede e della carità si rivelerebbe addirittura manchevole e inefficace allo scopo di rassodare l’unità nel Signore nostro Gesù Cristo, se non si appoggiasse a quella inconcussa pietra sopra la quale è stata da Dio fondata la Chiesa: vale a dire nella suprema Autorità di Pietro e dei suoi successori. La regola di condotta tenuta in questa gravissima controversia dal Patriarca alessandrino luminosamente lo prova. Tanto nella sconfitta dell’eresia nestoriana quanto nell’accordo coi Vescovi della provincia antiochena, egli si attenne alla più stretta e costante unione con questa Apostolica Sede. Quando infatti il vigilante presule si accorse che gli errori di Nestorio, con rischio della retta fede di giorno in giorno più pericolosi, s’insinuavano e progredivano per ogni parte, si rivolse al predecessore Nostro s. Celestino I, con una lettera, nella quale tra l’altro si legge: «Poiché Dio, in siffatte questioni, esige da noi vigilanza, e una vetusta consuetudine delle chiese ci persuade a comunicare simili questioni con la santità tua, ti scrivo, indottovi dalla stringente necessità». Alle quali parole risponde il Romano Pontefice che intende abbracciarlo «come se fosse presente nella sua lettera … molto più che gli sembra di riscontrare in lui i suoi identici sentimenti nel Signore». Perciò il Sommo Pontefice a questo così ortodosso dottore delegò l’autorità dell’Apostolica Sede, in forza della quale Autorità doveva curare l’esecuzione dei decreti già emessi nel sinodo romano contro Nestorio. A tutti poi è noto, venerabili fratelli, che il santo patriarca d’Alessandria nella celebrazione del concilio di Efeso tenne legalmente le veci del Romano Pontefice, il quale inoltre vi inviò i suoi propri legati, e loro raccomandò soprattutto che avvalorassero l’opera e l’autorità di s. Cirillo. Egli pertanto in nome del Vescovo di Roma presiede a quel sacro Concilio e primo fra tutti ne firmò gli atti. Tanto palesemente splendeva agli occhi d’ognuno la concordia fra la Sede Apostolica e la sede alessandrina, che nella seconda sessione del Concilio, quando pubblicamente fu letta la lettera di s. Celestino, i padri uscirono nelle seguenti acclamazioni: «Giusto giudizio questo. Al novello Paolo Celestino, al novello Paolo Cirillo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Concilio, a Celestino l’intero Concilio rende grazie. Uno Celestino, uno Cirillo, una la fede dell’orbe terracqueo». Nessuna meraviglia quindi se poco dopo lo stesso Cirillo poté scrivere: «Alla rettitudine della sua fede rese testimonianza sia la chiesa di Roma, sia il santo Concilio, adunato, per così dire, dall’universalità dell’orbe che si stende sotto il cielo». – Oltre a ciò, questa medesima unione costantissima di s. Cirillo con la Sede Apostolica risulta evidente, se poniamo mente al suo modo di procedere nelle trattative per l’inizio e il rafforzamento della pace coi Vescovi della provincia antiochena. Il Nostro predecessore s. Celestino sebbene approvasse e confermasse tutto quello che il presule alessandrino aveva fatto nel concilio di Efeso, giudicò nondimeno di doverne eccettuare la sentenza di scomunica, che il presidente del Concilio insieme con gli altri Padri aveva pronunziata contro gli antiocheni. «Riguardo a quelli – così il Romano Pontefice – che sembrano consentire nella stessa empietà di Nestorio… per quanto si legga contro di essi la sentenza vostra, purtuttavia noi pure stabiliamo quel che ci sembra opportuno. In siffatte cause molte circostanze bisogna considerare, ché la Sede Apostolica sempre suole tenere presenti…. Se dà speranza di correzione, vogliamo che la vostra fraternità s’intenda per lettera con l’Antiocheno… Giova aspettarsi dalla divina misericordia che tutti tornino sulla via del vero». E s. Cirillo, obbedendo a questa norma, suggeritagli dalla Sede Romana, cominciò a trattare coi Vescovi della provincia antiochena del ristabilimento della pace e del modo di venire a un accordo. Frattanto s. Celestino passò piamente da questa vita. Allora avvenne che del suo successore Sisto III alcuni prendessero a riferire non essergli piaciuto che Nestorio fosse stato deposto. A queste voci il patriarca d’Alessandria tagliò corto con la seguente dichiarazione: «Ha scritto (Sisto) in piena armonia col santo Concilio, ha confermato tutte le sue decisioni e sta dalla parte nostra». – Da tutto quello che abbiamo qui riportato risulta a evidenza che s. Cirillo appieno consentì con questa Apostolica Sede, e risulta del pari che i Nostri antecessori ritennero per propri gli atti di lui e li onorarono di meritate lodi. Prova ne sia che s. Celestino, non contento di avergli attestato innumerevoli volte la fiducia e la gratitudine sua, gli scriveva tra l’altro così: «Ci congratuliamo della vigilanza che nella santità tua è tanta, da sorpassare ormai gli esempi dei tuoi predecessori, i quali essi pure difesero sempre strenuamente i dogmi dell’ortodossia… Hai scoperto tutte le fallacie della più scaltra predicazione… Ridonda a non piccolo trionfo della nostra fede non solo l’esserti affermato con tanta fortezza sui nostri capisaldi, ma l’avere controbattuto gli avversari così come hai fatto con l’appoggio della sacra Scrittura». Allorché poi s. Sisto III, successore di Celestino nel supremo Pontificato, ebbe ricevuto dal patriarca d’Alessandria l’annunzio della pace e dell’unità raggiunta, gli espresse la sua letizia nei termini seguenti: «Ecco che mentre stavamo in ansia, perché vogliamo che nessuno perisca, la santità tua con la sua lettera ci significa redintegrato il Corpo della Chiesa. Ritornate le sue compagini nelle proprie membra, nessuno più vediamo andare errando al di fuori, perché un’unica fede attesta che tutti stanno al loro posto di dentro. … Al beato Apostolo Pietro ha fatto capo la fratellanza universale: ecco qui un ascoltatorio che si confà agli ascoltatori, che conviene alle cose da ascoltare. … A noi sono tornati i fratelli, a noi, dico, che perseguendo per comune desiderio il morbo, abbiamo curato la guarigione delle anime. … Esulta, fratello carissimo, e quale vincitore rallegrati perché i fratelli si sono a noi ricongiunti. La Chiesa ha accolto finalmente coloro che ricercava. Poiché se nessuno vogliamo che perisca dei piccoli, quanto più dobbiamo godere della guarigione dei reggitori». Dalle quali parole dell’antecessore consolato, il presule Alessandrino, vindice invitto della fede ortodossa e artefice premurosissimo della cristiana concordia, riposò nella pace di Cristo. – Noi pertanto, venerabili fratelli, nel celebrare la memoria quindici volte centenaria di questo avvenimento, niente desideriamo e auguriamo più vivamente, se non che quanti si fregiano del nome cristiano, col patrocinio e l’esempio di s. Cirillo promuovano ogni giorno più il ritorno dei fratelli orientali dissidenti, a Noi e all’unica Chiesa di Gesù Cristo. Unica sia per tutti l’intemeratezza della Fede, unica la Carità che tutti insieme ci saldi nel mistico Corpo di Gesù Cristo, unica infine e premurosamente attiva la fedeltà alla Sede del beato Pietro. A quest’opera degna e meritevolissima non solo impieghino tutte le loro forze coloro che vivono in Oriente, i quali con la mutua stima, col benevolo tratto, con l’esempio dei costumi integerrimi, più facilmente potranno attrarre all’unità della Chiesa i fratelli separati, e più degli altri i sacri ministri; ma tutti altresì i fedeli, implorando da Dio con le preghiere l’unità del regno del divin Redentore in ogni parte del mondo, e l’unità dell’universale ovile. A tutti costoro raccomandiamo anzitutto quel validissimo concorso e aiuto, che in qualsiasi iniziativa da intraprendere a salute delle anime, deve essere primo di tempo e precipuo d’efficacia: la preghiera, vogliamo dire, rivolta a Dio con cuore umile e fiducioso. Desideriamo poi che s’interponga il potentissimo patrocinio della Vergine Genitrice di Dio, affinché per la mediazione di questa benignissima e amantissima Madre di tutti, il divino Spirito illumini con la sua superna luce l’animo degli orientali, sì che tutti siamo una cosa sola nell’unica Chiesa, da Gesù Cristo fondata, e dallo stesso Spirito paraclito nutrita con incessante pioggia di grazie e sospinta verso la santità. A quelli poi che vivono nei seminari o in altri collegi, in modo speciale intendiamo raccomandare la «Giornata pro Oriente». In quel giorno s’innalzino più ardenti preghiere al divino Pastore della Chiesa universale, e con crescente premura si stimolino i giovani al desiderio di vedere raggiunta questa santissima unità. Tutti infine coloro che, o insigniti degli ordini sacri, o ascritti all’Azione cattolica e alle altre associazioni, aiutano l’opera gerarchica del Clero sia con la preghiera, sia con gli scritti, sia con la parola, promuovano quanto meglio possono la desideratissima unione degli orientali tutti quanti col Pastore comune. – Faccia Iddio che questo Nostro paterno invito sia ascoltato con buone disposizioni anche da quei Vescovi dissidenti e dai loro greggi, i quali, per quanto separati da Noi, encomiano e venerano tuttavia come domestica loro gloria il Patriarca d’Alessandria. Sia per essi questo preclarissimo dottore maestro ed esempio a restaurare di nuovo la concordia con quel triplice vincolo, che egli, come cosa assolutamente necessaria, raccomandò tanto, e col quale il divino Fondatore della chiesa volle che i suoi figli si sentissero avvinti. Si ricordino inoltre che Noi oggi, per disposizione della divina Provvidenza, occupiamo quell’Apostolica Sede, alla quale il presule alessandrino, spintovi dalla responsabilità del proprio ufficio, si rivolse, sia per difendere contro gli errori di Nestorio con armi sicure la Fede ortodossa, sia altresì perché l’ottenuto pacifico consenso dei confratelli prima dissidenti fosse poi ratificato quasi da sigillo divino. Sappiano anche che Noi siamo mossi dalla stessa carità dei Nostri predecessori e che a questo soprattutto con preghiere assidue tendiamo che, cioè, tolti felicemente di mezzo gli ostacoli inveterati, spunti alfine il sospirato giorno in cui l’intero gregge si trovi raccolto nell’unico ovile sotto la concorde e volenterosa dipendenza da Gesù Cristo nostro Signore e dal suo vicario in terra. – In particolare maniera poi Ci rivolgiamo a quei figli dissidenti tra gli orientali che, mentre venerano moltissimo s. Cirillo, tuttavia non ammettono l’autorità del Concilio Calcedonese, perché in esso fu solennemente definita la duplice natura nella Persona di Gesù Cristo. Riflettano costoro che il Patriarca d’Alessandria non si oppone con la sua sentenza alle deliberazioni, le quali di poi al sorgere di nuovi errori furono dallo stesso concilio di Calcedonia stabilite. Infatti apertamente egli scrive: «Non tutto quello che gli eretici dicono, si deve subito scartare e ripudiare: molte cose professano di quelle che noi pure ammettiamo… Ciò vale anche riguardo a Nestorio; sebbene egli affermi le due nature a significare la differenza dell’umanità e della divinità nel Verbo: e invero altra è la natura del Verbo, altra quella dell’uomo: tuttavia non professa l’unione con noi». – Similmente giova sperare che anche gli odierni seguaci di Nestorio se, senza lasciarsi prendere la mano da pregiudicate opinioni, sottopongono ad attento esame gli scritti di s. Cirillo, siano per vedersi aperta la strada alla verità, e per sentirsi richiamare con l’aiuto della grazia divina al grembo della chiesa cattolica. – Niente altro ormai Ci resta, venerabili fratelli, se non implorare con le supplici Nostre preghiere, durante questo XV centenario di s. Cirillo, sulla Chiesa tutta, ma specialmente su quelli che in Oriente si gloriano del nome Cristiano, il propizio patrocinio di questo santo Dottore, domandando soprattutto che nei fratelli e nei figli dissidenti felicemente si compia ciò che egli un giorno congratulandosi scrisse: «Ecco che le membra avulse del coro della chiesa di nuovo si sono tra loro riunite, e nulla ormai più rimane che per discordia divida i ministri dell’evangelo di Cristo». – Sostenuti da questa soavissima speranza, sia voi tutti e singolarmente, venerabili fratelli, sia al gregge a ciascuno di voi affidato, in auspicio dei celesti favori, e in attestato della paterna Nostra benevolenza, impartiamo con ogni affetto nel Signore l’apostolica benedizione.
Roma, presso S. Pietro, il 9 aprile, domenica di risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, dell’anno 1944, VI del Nostro pontificato.