LE BEATITUDINI 4 A
[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]
CAPO QUARTO
Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam: quoniam ipsi saturabuntur.
Beati quelli che hanno fame e setedi giustizia
I
GIUSTIZIA È OBBEDIENZA ALLA LEGGE ETERNA
Il poeta Charles Péguy ha definito la santità con una genialità desta di lui in un poema dedicato « alla seconda virtù », che è la speranza. Egli dice, che ci sono due sorta di santi. « Ci sono quelli che vengono e che escono dai giusti; ci sono quelli che vengono generati dai peccatori. Ci sono due formazioni. I santi di Dio escono da due scuole, dalla scuola del giusto e dalla scuola del peccatore… Fortunatamente è sempre il Signore il maestro di scuola ». – C’è nei riguardi della santità anche un’altra fortuna. Ed è che tutti vi possono arrivare. I santi sono i soli eroi la cui opera sia durevole e insieme proporzionata alla capacità di ognuno. Non tutti sono in grado di essere Dante, Michelangelo, Verdi; ma ciascuno può essere… il curato d’Ars, se sa amare sino alla fine. E ciò costituisce una grande ragione di speranza. Dio ci aspetta per tutte le strade che conducono a Lui ed esige soltanto un po’ di bontà benevola e generosa. Una sorta di merito proporzionato a tutte le attitudini. Basta averne il sincero desiderio. E non occorre compiere prodigi per questa strada, basta fare le opere che il dovere ci impone giorno per giorno. Poiché è appunto il dovere indicato dalla condizione e dalla vocazione di ciascuno, l’indicazione divina della volontà superiore, e della santità. La giustizia è pertanto la santità commisurata al dovere di ognuno. Il santo, chiamato ad essere guida di molte anime, dovrà camminare per sentieri ripidi e faticosi; l’uomo comune andrà per la sua strada, or pianeggiante ed ora salente, ora liscia ed ora scabrosa, e giungerà alla sua meta senza grandi scosse e senza grandi meriti, ma giungerà a salvezza.
PROVVIDENZA DELLA LEGGE
Dio ha fissato nella sua legge eterna, che sta scritta nei nostri cuori e che trova una esplicazione nelle leggi della Chiesa dal lato spirituale e in quelle dello Stato come guida della vita civile, l’orientamento di ciascuno. Per tal modo rende agevole ai suoi la conformità alla sua volontà di salute. Nelle proporzioni più minute ognuno trova nei superiori prossimi le indicazioni particolari e gli stimoli opportuni, affinché la mèta venga raggiunta senza disperdimenti d’energia e di tempo. Le legge è provvidenza. Così che sarà bene per il Cristiano di amare la volontà di Dio e di compierla con quella attenzione, che rende gradito il sacrificio. Non sia essa considerata uno strumento di schiavitù, un mezzo di asservimento, la dura necessità del vivere associato; sebbene la saggia guida, l’ordinamento paterno, il sussidio di chi sa a chi ignora. Lo stimolo misurato e prudente eppure efficace, che fa la giornata serena, riducendo notevolmente le preoccupazioni di ciascuno ed eliminando il pericolo di innumerevoli attriti delle volontà singole. I santi sono i modelli espressi in realtà dalle voci della legge. Sono la legge fatta persona. Sono gli emblemi di Dio, le bandiere delle sue schiere. La santità è nella linea della virtù comune, ma accompagnata, con gli occhi rivolti al cielo, dalla fede e dalla carità. E noi tutti abbiamo un immenso interesse, che almeno alcuno dei nostri fratelli si elevi sopra di noi e venga proposto come a guardia dei nostri rapporti con l’Infinito. Ci sentiamo, non umiliati, ma appoggiati alla loro solidità granitica. Sono stimolo per il nostro intelletto e calore per la nostra fragile e tepida volontà. « Non est inventus similis illi — non è possibile trovare uno simile a lui » dice la Liturgia dei Santi tutti, giacché ogni Santo interpreta a modo suo qualcuno degli infiniti e stupendi aspetti del Cristo. E lo rende accostabile e imitabile. È questo infatti il primo passo da fare per convincere la nostra indolenza a seguire le vie del bene e salire per il sentiero arduo della bontà. La considerazione dei Santi, la conoscenza della vita loro splendente di luci affascinanti, sveglia il desiderio e stimola la volontà. A tutti piace la santità. Il racconto dei loro prodigi e delle loro opere ha sempre una visibile potenza d’attraimento. Rimane l’argomento più gradito alle folle dei semplici e alla curiosità intelligente dei colti. Chiunque si decida a leggere una vita di santo, scritta passabilmente, non sa più sospendere la gustosa fatica. Non si leggono così sovente come dovrebbe essere soprattutto per il pregiudizio iniziale. Tutti noi, piccoli uomini, amiamo la grandezza e lo splendore della vita e delle opere. E si corre ai loro sepolcri, per la sicurezza della loro protezione anche nell’altra sede del loro fervore.
LA VOCAZIONE ALLA SANTITÀ’
Gesù ci impose di essere perfetti, cioè santi, come il Padre che è nei Cieli. Egli sapeva di averci infuso, come Creatore, il bisogno della bontà e della santità nelle forme più integre e compiute. Per questo anche gli infelici che non sanno camminare per codeste strade alte e folgorate dal Sole della bellezza immortale, non sanno resistere a lungo, senza rodenti rimorsi nel fango della colpa. Ognuno viene a concludere in Dio la sua trista esperienza. Non hai mai ascoltato un furfante lodarsi di aver servito, da ragazzo, la santa Messa? E non è raro d’incontrare di codeste anime, smarrite per i meandri del vizio o della dissipazione peccaminosa, le quali ti snodano davanti agli occhi cento ricordi di contatti con la santità. E tutto ciò non senza una chiara e pungente nostalgia. Non son forse anche costoro creature di Dio e redenti dal Sangue di Cristo? Tutti dunque sentiamo la stima per la giustizia, tutti amiamo la santità. – Ma non tutti ne abbiamo fame e sete. Ammiriamo le gesta dei giusti, sognando d’essere da loro protetti, ma la nostra giornata striscia per i bassi sentieri della mediocrità, paurosa di sacrifici e di prove. Infatti sono molte le contraddizioni a cui il Santo viene sottoposto. Può bene affermarsi, che il grado di santità corrisponde a quello della sofferenza. Ogni gran Santo è un uomo del dolore. La loro offerta a Dio è così profumata di sacrificio. Sappiamo di santa Coletta, della beata Liduina, di santa Aldegonda, di altri molti, che passarono pressoché tutta la vita in un letto. Ma nessuno andò esente da dolori almeno spirituali, da sospetti, da persecuzioni. L’amore della santità porta a contrastare col mondo sotto le vesti più composte. Oh, i beati non hanno rubato la gloria celeste, sicuramente. Tutta la loro vita fu un calvario, verso il quale hanno portato la croce umiliante delle nostre miserie dei nostri peccati e delle loro stesse materiali fragilità. Queste gravano soprattutto sulla esistenza terrena dei Santi, poiché esse tradiscono la loro debolezza e il pericolo costante di cadere. Siccome poi amano tanto il Signore, la sola possibilità di abbandonarlo e di disertare per passare sotto gli stendardi del nemico li umilia. – Ma la riflessione ben presto volta questo sentimento in proposito della volontà di tener di continuo le armi spirituali in pugno, affinché la sorpresa non li colga. Lottare generosamente è la loro sorte. Se non che questo stato di guerra permanente non li stanca. Stancano forse le vittorie? Ed essi ben sanno che Cristo vittorioso combatte, con loro in loro. Sicché della loro fame e sete di giustizia essi fanno un rogo di gloria, una corona di bellezza, un serto di conforto. Beati dunque anche tra la fame e nella sete. Il Signore La Lacordaire in fin di vita esclamò: « O Signore se la mia spada s’è consumata, s’è consumata al vostro servizio! ».
II
LA PERFETTA GIUSTIZIA NON È DI QUESTO MONDO
SANTITÀ E MONDO
Gesù nell’ultimo discorso agli Apostoli dopo la Cena, disse che essi non erano del mondo « De mundo non sunt, sicut et ego non sum de mundo » (Joan., XVII, 16). Infatti la santità è cosa del Cielo. È un raggio di Dio posato in terra su alcune creature predilette. La santità eminente, che serve da documento a prova della divinità della Chiesa, è tanto rara, che desta stupore e agisce come molla di slancio per noi che apparteniamo alla folla grigia. È in aperto contrasto con i principi del mondo, si oppone alle sue massime, turba le sue agiatezze, le sue indulgenze, il suo programma di godimento di questa vita, poiché di là non ha occhio per vedere. – Infatti l’atmosfera del mondo è del tutto infetta, morbosa, appestata per il Santo. Sui suoi inizi egli fugge nella solitudine e si rafforza alla resistenza risoluta contro le seduzioni; si addestra a indagare le origini, le vie di diffusione, le arti segrete, le magie di sorpresa. Poi, se il Signore lo chiama, scende in lizza e affronta il mondo fieramente. Prima lo ha vinto dentro di sé, poi lo va sconfiggendo nei simili. I motivi della sua azione sono tutti in sintesi nell’amore di Dio e in quello del prossimo. Vince sempre, il Santo, la sua prova? In sé, non v’ha dubbio. Per duro che sia l’urto col male, egli vincerà. Almeno sino a non essere abbattuto. Molti Santi hanno dovuto lottare decenni prima di qualche successo. Sant’Alfonso De’ Liguori vide la sua prima fondazione missionaria sgretolarsi sotto i colpi dei suoi stessi amici e compagni. San Giovanni Bosco tollerò l’abbandono di alcuni giovani, che gli avevano fatto nascere in cuore molte lusinghiere speranze. San Francesco di Sales dovette mutare radicalmente l’Istituto delle sue religiose, per l’opposizione di chi aveva su codeste iniziative autorità. – Che cosa ci dicono le schiere dei martiri di tutte le età? La intolleranza del mondo per tutte le forme di santità. Quaggiù l’aria è dominata dalla violenza di satana. Pacifico non può essere lo spirito di chi ha fatto la sua volontà spada spezzata a servizio di Dio. Il mondo talvolta è indotto a denti stretti a lasciare una certa libertà al bene; ma, appena l’occasione gli si offra propizia, spezza i freni e si scaglia contro le manifestazioni di Dio per abbatterle e frantumarle. Se trovi una zona di pace, quella sarà tale per poco. Non si dice la Chiesa di quaggiù « militante »? Ora lo stato di guerra non è normale per nessuno. Il mondo perciò non è normale per la « fame e la sete della giustizia ». Se mai lo è per il demonio, il quale qui ha il suo gioco libero contro tale ambizione morale.
MALVAGIA MONDANITÀ’
Come abbia potuto scrivere l’Autore dell’Imitazione, che « ogni volta che andai fra gli uomini, tornai meno uomo » allora si capisce. E si ammette anche ciò che altri disse, che cioè, gli uomini nel frequentarsi si abbassano e che ogni associazione tra di essi non è che un compromesso. Sovente dobbiamo riconoscere, che il fiore e l’aroma di certe belle nature, che ammiriamo, svaniscono all’accostarsi le une le altre. Tommaseo, che d’esperienze n’ebbe, parlando della educazione, disse che « gli uomini sociabilissimi sono i più disamorati ». Ma questo non dice tutto. Vi sono troppe nefandità che non hanno nome e non si possono riferire senza destare la protesta della coscienza morale. San Giovanni ha ragione di dire: « mundus totus in maligno positus est » (I, V, 19). È tutto immerso nella cattiveria. È tutto opera del demonio. È la quintessenza della volontà del maligno. – Ma non deve essere così sempre. Chiaro è, che sino al termine della vita umana la zizzania allignerà nel suo campo quaggiù, ma bei covoni di sanissimo grano si potranno sempre maggiormente ammassare. La lotta persistente dovrà giungere a circoscrivere via via la potenza del male. Il bene troverà più aperta accoglienza e i figli della luce avranno modo di cantare, non dirò vittoria, ma qualche più risonante successo. I Santi sono sempre con noi. Devono anzi crescere di numero. La Redenzione di Gesù nostro Signore ha un compito ancora vasto da assolvere; anime ed anime ne avvertono la soave fragranza e l’efficacia intima, sovente senza averne una chiara idea. La grazia agisce con una sua penetrazione inosservabile, ma reale e noi, a volta a volta, ne riconosciamo il risultato. È una benedizione continua sul mondo delle anime, che assorbono e assimilano.
LA SANTITÀ’ SCIAMA LONTANO
Ma e noi, che cosa facciamo per un più largo influsso di Dio sull’umanità? Dobbiamo soltanto ammetter l’opera dei Santi e tenerci affatto in disparte? Nessun contributo siamo disposti a dare ad un’opera che appartiene a Dio nei risultati, ma che deve partire dagli uomini nella predisposizione di certi elementi e nella preparazione degli animi? – Santa Teresa del Bambin Gesù, pur chiusa nel suo chiostro di carmelitana, agognava di poter riuscire utile all’apostolato attivo di qualche sacerdote, mentre ella si dedicava a quello contemplativo. E le avvenne di essere scelta dalla superiora a rispondere alla lettera di un seminarista, il quale chiedeva di concedergli d’essere come fratello a qualcuna delle suore, per averne aiuto di preghiere e di sacrifici, quando sarebbe andato in missione. Essa esprime le sue impressioni. « Anch’io, nell’intimo del mio cuore, pensavo così, e poiché lo zelo d’una carmelitana deve abbracciare il mondo, spero ancora con la grazia di Dio, di essere utile a più di due missionari. Io prego per tutti, senza lasciare da parte i semplici sacerdoti, il cui ministero è talora difficile quanto quello degli apostoli che evangelizzano gli infedeli. Io voglio, insomma essere « figlia della Chiesa » come la nostra Madre Teresa, e pregare secondo tutte le intenzioni del Vicario di Gesù Cristo. Questo è il fine generale della mia vita ». – E poi continua a commentare la sua nuova missione in termini tanto generosi e con una viva intuizione dell’efficacia dell’aiuto da lei prestato alla fatica dei suoi nuovi fratelli. Non intendo trascurare nessuno « dei grandi interessi della Chiesa, che abbracciano l’universo, io così resto adesso particolarmente unita ai nuovi fratelli, che Gesù mi ha concesso. – Tutto ciò che mi appartiene, appartiene a ciascuno di loro, perché sento che Dio è troppo buono e troppo generoso per far delle divisioni; è tanto ricco, che dà senza misura ciò che gli chiedo, per quanto io non mi perda punto in lunghe enumerazioni ». – Questa pagina serena e cristallina pari a un mattino di primavera, ci dice come sia possibile servire la causa del bene anche rimanendo assente dalla battaglia esteriore. Sicché ognuno deve sentire il dovere, l’impegno di dare alla vittoria contro il demonio la propria collaborazione. – Innanzi tutto portiamo ad essa il peso diretto della personale virtù. Contendere per la conquista di quel grado di bontà, che il Signore ci chiama a conquistare, è già la vittoria d’un settore della vita del mondo. Questa non potrà rimanere circoscritta in noi. Si esprimerà nelle forme sociali e influirà beneficamente intorno. Un’anima, che sia appena in grazia, è come una stella in cielo; non tollera foschia intorno a sé. È un raggio di sole. E l’apostolato è già in atto. Apostolato per il quale ognuno possiede attitudini sufficienti. Ciascuno di noi ha il posto ben segnato. Pensate, che il demonio fallirebbe presto, se alcune migliaia di spiriti ferventi prendessero fra loro contatto per dargli aperta battaglia.