LE BEATITUDINI EVANGELICHE (2B)
[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]
CAPO SECONDO
“Beati mites: quoniam ipsi possidebunt terram”
[Beati i miti perché possederanno la terra]
III
I MANSUETI AMANO ANCH’ESSI LA GIUSTIZIA
NASCE IL TRIBUNALE
La mitezza è una virtù che piace a tutti. Rappresenta la figura dell’Agnello divino, che toglie i peccati dal mondo con il suo silenzioso sacrificio. Ci dà l’idea della infinita bontà del Signore e della sua tolleranza per i difetti degli uomini e per le loro stoltezze. L’amabilità è tutta dono della mitezza. Ma noi sappiamo, che nel mondo umano ci sono malvage tendenze e cattiverie gravi e che sovente i deboli ne sono vittime. L’assenza dei buoni vigorosi a difesa dei deboli, sarebbe dar campo libero ai prepotenti. Orbene se il Signore volle cadere vittima di questi lo fece per creare una società nella quale un nuovo equilibrio fosse possibile sulla base della bontà e della giustizia. Per questo Gesù disse anche di « essere venuto a portare non la pace, ma la spada ». La mitezza non deve escludere lo sforzo verso l’attuazione di ogni possibile giustizia. Ecco dunque la compiutezza della virtù cristiana. Nel conflitto, rese vane tutte le altre accortezze, il mite sa che è lecito e doveroso usare i mezzi della difesa somministrati dalla umana giustizia. Il diritto è la formula della esistenza progressiva. È dovere aderirvi. Esso ha rappresentato un passo avanti nello sviluppo della vita associata della prima umanità. Per familiare ed umile che paresse quel tribunale, raccolto sotto un bell’albero fronzuto, per umile che fosse quel modo di ascoltare e di sentenziare, era un grande progresso di fronte alla giustizia sommaria amministrata da ciascuno secondo le proprie voglie personali. Ma anche ora, che essa viene verso noi in larghi paludamenti solenni, può recare con sé grosse e vergognose magagne, di contenuto e di sostanza. Non è forse cosa umana? – Perciò ciascuno faccia esperimento dell’indulgenza, prima di brandire codesta fallibile arma. Il mansueto compatisce l’errore fin che la misura lo sopporta e tollera fino che la speranza d’un componimento sussiste. In seguito,- fa agire il senso del diritto, che è difesa naturale dell’uomo.
GIUSTO GIUDIZIO
Gli stoici han ragionato diversamente. È « proprio dell’uomo amare anche i nemici che lo percuotono. Questo farai, se ti ricorderai, che essi son tuoi congiunti, e che errano per ignoranza e contro la loro volontà; che tra poco sarete morti, tu e loro; e soprattutto che essi non ti hanno arrecato alcun danno, poiché non hanno reso peggiore, di quel che fosse prima, la tua parte sovrana ». Non sono però accettabili codeste affermazioni. Sono troppo lontane dalla realtà. Ogni giorno se ne constata il fallimento; e spesso proprio anche in coloro i quali accettano il comandamento dell’amore, ma da Dio e dalla sua legge. La violenza dell’odio si scatena in mille forme a dimostrare, che lo stoico non attingeva alla conoscenza dell’uomo, ma piuttosto ad un ideale ben discosto dalla realtà. In Cristo solo la legge dell’amore ebbe una consistenza, poiché fu avvalorata da un divino esempio e da una vocazione, che portò l’uomo ad un piano tanto più alto e sicuro. Aggiungi, che Cristo imponendo questa legge conferì all’uomo anche la capacità di osservarla, con l’ausilio della sua grazia. Oltre tutto è errato il tono stesso del precetto stoico del perdono assoluto. Legifera per gente, che ritiene di aver ben poco da vivere e che presto tutta quanta, di qualunque indole sia, indulgente e generosa o prepotente e trista presto sarà unita nella distruzione. Tutti con la morte son destinati a confondersi nel nulla universale. A che scopo allora rivendicare la giustizia? Ma il Cristiano sa di essere immortale e che ogni suo atto è destinato ad elevare l’umanità verso una meta che non vien raggiunta quaggiù, ma nella vita migliore. Ed è appunto con la vittoria data alla giustizia, che il regno di Dio si dilata e si afferma. Se non sapesse reagire alla violenza per mezzo delle vie della normale giustizia, il Cristiano non si salverebbe dalla taccia di viltà. Ecco con quale garbo e causticità una grande mistica benedettina, sant’Ildegarda, fa ragionare l’anima pusillanime. – « Io non agirò contro alcuno per paura di trovarmi abbandonata e senza aiuto. Poiché, se agissi contro qualcuno, perderei i miei beni e i miei amici. Io presterò onore ai grandi e ai ricchi; quanto ai santi e ai poveri io non me ne curerò, poiché qual servizio mi possono essi rendere? Mi propongo d’essere pacifico con ognuno, per timore di perire vittima; giacché se io mi batto con qualcuno, questi mi colpirebbe forse a sua volta; e i colpi da me inferiti mi verrebbero restituiti con usura. Sicché fin quando io sarò tra gli uomini, rimarrò con tutti in pace; facciano bene o facciano male, io conserverò il silenzio. A me serve meglio qualche volta mentire, che non dire la verità; vale più conquistare che perdere, e fuggire i potenti, che non combattere contro di essi. Sovente infatti coloro che proclamano la verità perdono i loro beni e quelli che combattono si fanno ammazzare ». (Liber vitæ.., I , 9). – Questa deliziosa pagina psicologica è ben atta a svegliare il senso della dignità, propria del Cristiano, vale a dire del seguace d’un Maestro crocifisso per la verità. Con ciò si è ben lontani dall’incoraggiare lo spirito di contesa, di litigio, di alterco. Questo è difforme dalla verità e cerca piuttosto la soddisfazione di un gusto corrotto, a servizio dell’amore proprio, che è espressione dell’orgoglio.
VERSO LA CARITÀ’
Né la mitezza viene offesa dalla reazione legittima contro il male. Poiché il Cristiano vi reca un animo nuovo e tutto suo. Non mira a perseguitare il peccatore, ma il peccato. Distinzione niente affatto sofistica, ma perfettamente chiara e giustificata. C’è una dignità calma e mansueta, che ci consente di ricorrere alla giustizia umana, che appunto si va a cercare in tribunale. Sant’Ambrogio, che fu magistrato prima di recar l’infula del Vescovo, ci offerse quest’esempio di cristiano equilibrio. Una vergine di Verona, Indicia, accusata presso il Vescovo Siagrio, si trovò condannata ingiustamente. Essa appellò ad Ambrogio. Egli raccolse un concilio di Vescovi, invitò quanti potevano dargli luce sull’accusata, discusse con tutta ponderazione, poiché si trattava di un fatto troppo grave perché fosse trattato leggermente; e infine emise sentenza d’assoluzione. Rimproverò poi Siagrio del modo superficiale con cui aveva giudicato. Anche altre volte egli fu costretto ad emettere sentenza. Ma non volle mai che la sentenza chiudesse la possibilità alla resipiscenza del colpevole. Simmaco al contrario per una vestale infedele chiede ai magistrati di applicare l’antica punizione e la seppelliscano viva. A Studio, che chiede ad Ambrogio se sia lecito pronunciare delle condanne a morte, il Vescovo risponde che è nel suo giusto diritto, se adopera la spada e fa versare del sangue, ma gli consiglia l’indulgenza. Se osserviamo i rapporti fra i coniugi sotto questa luce, appare tanto chiaro il valore della virtù di mitezza. Che cosa sarebbe la casa qualora in essa non vibrasse lo spirito di indulgenza, di compatimento vicendevole e di soavità? L a famiglia fallirebbe al suo scopo; l’educazione sarebbe un fine irraggiungibile in un’atmosfera di risentimento, di rancore e di intolleranza. – La mansuetudine è virtù individuale, non virtù di governo, e diventa debolezza che offende la giustizia, quando non sa sostenere il diritto altrui. Non è pertanto il mansueto estraneo all’amore del giusto, ma vi aderisce con più carità e schiettezza Le impazienze e le acerbità dell’iracondia non lo colpiscono: e arriva a ristabilire l’ordine contro i ribelli con animo scevro fin dall’ombra del veleno. – Il Cristianesimo, che non misconosce la natura umana e le sue fragilità, avvalora tutte le sue buone qualità e le potenzia con il soccorso divino della grazia. L’uomo così sa aver la forza per sopportare il male e santificare la tolleranza verso le ingiustizie sicché queste non lo danneggino, spingendolo all’odio, ma gli giovino arricchendolo di meriti. – Si noti infine che questi meriti non sono utili soltanto per l’altra vita – che è già molto – ma immediatamente per questa, nella quale il mite rimane saldo ai princîpi del bene, contro tutte le provocazioni. Sa che, sovente passato l’atto dell’ira, la bontà ha il sopravvento e la vittoria.
IV.
IL MITE CONQUISTA I CUORI
PIACE IL MANSUETO
Don Bosco è tra i modelli contemporanei della mitezza cristiana ed appare altresì il documento, che prova il fascino diffuso fra gli uomini di questa virtù. È troppo chiaro. La bontà perdonante ed indulgente è la immagine di Dio. I suoi Santi ne sono perciò esemplari attraverso tutti i secoli. Dio, che ci ha creato, ha voluto dimostrarci in mille modi la sua indulgenza e la sua comprensione della nostra fragilità. Il Cristiano vede in Gesù la forma umana della bontà divina e, leggendo il Vangelo, si convince della bellezza di questa virtù. Noi siamo tutti attirati dai gesti, dalle parole, dall’opere degli spiriti miti. Sentiamo, che è una qualità della quale si abbellisce tanto l’uomo e lo rende attraente e caro. I ragazzi si lasciavano attrarre dai modi di san Filippo Neri, perché sentivano in lui, non soltanto la bontà che compatisce, ma la grazia e il sacrificio che giova e migliora coloro sui quali come tesoro si versa. Anche san Giovanni Bosco piaceva ai giovani perché era dolce e soave, ma anche perché, dietro questo atteggiamento della persona, v’era la bontà capace di offrire la propria fatica, il tempo, il cuore e l’intelligenza ad essi. Una vita sacrificata. È questo il massimo grado dell’amicizia; e distingue appunto alcuni santi, per l’efficacia della loro opera a salvezza della gioventù di tutti i secoli cristiani. – Nella famiglia osserviamo, che la mitezza fa le madri educatrici. Esse riescono ad avvincersi tutta l’anima dei figli a conquistarne i segreti, i pensieri, i sogni. I figlioli, pur vedendo nella madre qualcosa di veramente sacro e rispettabile, sanno di accostare un essere che li ama, che soffre a loro profitto, che li avvolge in un manto di benigno affetto e non li abbandona a sé medesimi. Sanno di potersi ad essa appoggiare serenamente e con sicurezza. Mamme, che non indulgono ai difetti, né dissimulano la caparbietà, le prepotenze, le doppiezze, la ipocrisia; ma che correggono con parola misurata, con gesto amabile, con cuore che sa il dolore del male più che la reazione acerba dell’ira, la vendetta contro l’inganno subito, la nervosità frivola. La madre, che dimostra. di sapersi reprimere, di assaporare dentro di sé il dolore, di raccogliersi nella propria sofferta delusione, davanti alla ribellione del figlio discolo, che limita la protesta a qualche parola benigna, a qualche silenzio mesto, tiene ancora soggiogato il male insidioso, che avvelena la sua creatura e la domina ancora con speranza di riuscita.
È GRADITO
Ognuno sente, che quella è la virtù bella e gradita, gentile e magica, contro la quale nulla può vincere, se non altrettanta virtù. E dove gli uomini comuni, ambiscono sovente attorno a sé i loro simili, umiliati e curvi sotto la minaccia e ne spremono gli omaggi con imperiosità e violenza; il mite è onorato dall’affetto e dalla venerazione di ognuno, a dispetto della sua modestia. Gesù veniva applaudito dalla folla, che era affascinata dalla sua parola e dai suoi gesti; ma Egli scompariva e si rifugiava lontano, per evitare codesti segni di ammirazione. I Santi rivolgono a Dio la gloria esterna dei loro prodigi di bontà. I miti non si inalberano per l’affetto che conquistano, ma ringraziano Dio che li aiuta e propongono di proseguire per il meglio. – La mansuetudine piace anche per la dignità onde è vestita. Di fronte alla volgarità dell’iracondo, in cui si deformano le stesse note di umanità, e apparisce una belva sfrenata, il decoro dignitoso del mite ha una sua avvenenza, che attrae. La nostra natura ne sente il pregio e lo onora ovunque lo incontri. Ma questa virtù ha origini lontane e lontane ne sono le sue sorgenti alimentatrici. E suppone tutto un tirocinio spirituale ed ascetico con un lavoro tenace. – Occorre innanzi tutto essere dolci nei pensieri. Non è forse frequente il caso, che ci si senta contrariati anche soltanto dall’immagine d’una persona sgradita? Nell’animo deve già fermentare la mitezza e i giudizi e i sentimenti hanno da essere nutriti di benevolenza. Vengono da questo le parole che mitigano le situazioni e pongono ostacolo allo scoppio degli impeti d’ira. Anche l’atteggiamento del volto deve conformarsi a questo stato d’animo, teso verso la serenità e la pace. – Maria Sticco asserisce, che la « cristiana mitezza » del Pellico e il suo sentimento religioso han giovato alla sua arte, in quanto gli han fatto evitare gli aspetti impoetici della poesia patriottica: declamazione, satira, invettive, polemiche. Il silenzio sulle questioni politiche, come su particolari o troppo minuti o troppo repugnanti, la fraternità del dolore, con i nemici, che cristianamente non sono più tali, han messo a nudo il contenuto umano perenne del racconto (Le mie Prigioni), sollevandolo in una sfera superiore alle contingenze. E poco più giù : « Era stato lui, con la sua cristiana mitezza, a far comprendere la necessità dell’indipendenza di una nazione che dava tali vittime ».
CONSIGLI AD UNA MADRE
Fénelon dà consigli ad una madre. « Studiatevi di farle gustare Dio; non permettete che la vostra figliola lo riguardi come un giudice potente e inesorabile, che sta sempre a occhi aperti per censurarci e contrariarci in ogni occasione; fatele vedere come è dolce, come si adatta ai nostri bisogni e ha pietà per le nostre debolezze; familiarizzatela con Lui come con un padre terreno e benigno ». Tutta la mitezza del grande Vescovo è sintetizzata in queste poche righe; dove Dio è conosciuto come padre colmo di soavità. – Ma Fénelon è discepolo di san Francesco di Sales in questo metodo di direzione spirituale. E il santo fondatore e guida di innumerevoli anime, avide di perfezione spirituale, ha toccato il vertice della mansuetudine là dove si confonde con una tenerezza più che materna. Le sue lettere sono riboccanti di espressioni d’amabilità, anche se scrive, come accade più sovente, a donne e a giovani nel secolo o in convento. Egli si è dichiarato « il più affettuoso degli uomini ». Alla vigilia della sua morte ha scritto: « Non v’è al mondo anima che ami più cordialmente, teneramente e, per dirlo con semplicità, più amorosamente di me; poiché piacque a Dio di plasmare così il mio cuore ». Dichiarava, che è necessario usare di questo amore per condurre diritto le anime a Dio. Vero è, che non è possibile nell’uomo comune imitarlo per codesta strada. Occorrerebbe possedere un’anima come la sua e una volontà equilibrata e padrona di sé a tutta prova. – Nondimeno, questa affettuosità ancora oggi conduce a san Francesco spiriti assetati di purezza e di mitezza, ansiosi di conoscere Dio. I miti, forniti della grazia di Cristo, non avvincono a sé coloro che vanno ad essi attratti dal tono della loro soavità, ma li dirigono a Dio, centro e sorgente dell’amore ineffabile. – Come mai tanti desiderosi di amare e disgustati dall’illusorio sentimento umano, inatto a soddisfarci, ignorano il cuore, che s’è definito « dolce e mite » ? Basta studiare alcuni dei suoi santi, per avvertire la ricchezza sconfinata dell’amore di Cristo. Ecco: è il sogno mio; come è il sogno di un numero grande di anime; eppure le ali non reggono allo sforzo. Ci aiuti lui. Ci sostenga lui.
V
LA MITEZZA COME ELEMENTO DI EDUCAZIONE
IL GIOVINE E LA MITEZZA
Che cosa occorre per attirare i giovani e che cosa per allontanarli? La mansuetudine è il vincolo che lega i piccoli; come l’irascibilità, la ruvidezza chiude l’animo e allontana. Con i piccoli queste norme raggiungono il massimo risultato. Essi, per la loro delicatezza e inesperienza, risentono ancor meglio l’effetto dell’uno e dell’altro contegno, reagiscono con prontezza, seguono l’istinto della naturale difesa e dell’attrazione, come mezzo di vita o di morte. Fosse la mamma dura e repulsiva, pronta agli scatti e agli impeti dell’ira, neppure essa vincerebbe la reazione naturale del figliolo. Il quale senza quasi indugio, si chiuderebbe in se stesso e si scosterebbe da lei, dalla quale pure ebbe il sangue e la vita. Così, con maggiore immediatezza, accade con gli educatori. Nessuno ha mai preso mosche con l’aceto, direbbe san Francesco di Sales. E l’esperienza degli stessi santi, i quali hanno sempre a loro disposizione anche capacità non comuni, insegna che il mezzo migliore per attirare i giovani è la bontà mansueta e indulgente. Qualcuno, ai nostri lumi di luna, potrebbe eccepire nel senso, che la mitezza prepara, anziché cittadini atti alla guerra, giovani molli e inerti, incapaci di un gesto deciso e virile; la mitezza fa delle pecore, invece che dei leoni; è una virtù deleteria pedagogicamente; inclina alla rassegnazione, e non alla reazione violenta, quella che occorre in questi tempi di massimi sforzi della Patria. La mansuetudine potrà essere virtù utile tra la gente separata dalla vita reale e che lavori nell’ambito del chiostro, alla scoperta delle esperienze mistiche. Questa obiezione ha il suo valore. Bisogna riconoscere, che l’animo incline alla mitezza non seconda gli impulsi dell’ira e della vendetta. Ma è pur vero, che l’uomo mite non è meno pronto al dovere, qualunque sia, allorché la sua voce lo chiami e gli imponga l’azione. Forse, che furono tutti violenti e iracondi gli uomini di guerra? Basta leggere Plutarco. I grandi condottieri sono, al contrario, piuttosto spiriti calmi e calcolatori, atti a riflettere e a prendere decisioni posate e pensate. La psicologia del guerriero appare anzi più inchinevole alla serenità, che non all’agitazione travolgente. Le decisioni impulsive sono sempre un grave rischio, non tenendo esse conto di tutti gli elementi e non dominando i moti primi dell’animo in effervescenza. Sia dunque la madre il primo esempio di mansuetudine; per aprire l’animo del ragazzo. Il quale la seguirà poi volentieri su per il sentiero di questa virtù sempre cara ed avvincente.
VIOLENZA E DOMINIO DI SÉ
Vorrei aggiungere, che è appunto l’animo solitamente padrone di sé e piegato volontariamente verso la indulgenza, che, davanti alla ingiustizia constatata, più risoluto si inalbera e reagisce; è fra costoro, di solito calmi, la maggiore violenza della protesta contro il male. È per questo, che bisogna riconoscere che la mansuetudine neppure incoraggia la prepotenza altrui. Perché colui che intende di non piegarsi agli impulsi ciechi e improvvisi, dovrebbe spirare altezzosità? Egli rivela anzi un equilibrio di umori e di carattere, per cui, non alla prepotenza, ma induce al rispetto i vicini. È una forza; è una volontà assai più considerabile, che non il violento furioso e l’impulsivo inetto. Questi sono come la schiuma del vino; i miti ne sono il vigore e la sostanza. L’eroe ama la moderazione e non si abbandona alle espressioni banali del dire e dell’agire. Né spende la sua forza per il capriccio; sa che la vita costa e vale. E sa pure, che la energia viene dall’aderire alla volontà superiore. Ubbidirò a Dio, disse Abramo; egli è che fornirà il fuoco ed il sacrificio ». Se volete, pertanto educare figli robusti alla Patria, per tutti gli eventi, non svegliate nel loro animo le passioni, ma coltivate le virtù. La mitezza è virtù sovrana, che coincide con la forza, ma quella che sa persistere e durare sino alla vittoria. Essa come è preziosa per l’educatore nella scuola, è sommamente utile alla madre nella casa. Se il ragazzo è normale e accetta gli ammonimenti dati con tono modesto e cordiale, lo sviluppo del carattere avverrà sicuramente e con esito del tutto soddisfacente. La madre non esce dal solco del suo armonico gesto di maternità costante. Se al contrario il figliolo è irrequieto e non si piega facilmente al consiglio sereno, ma scalpita e si impazienta, si inalbera e si eccita al minimo accenno di urto, allora la mamma non si smarrisca, ma usi del suo abituale tono modesto e affettuoso e lo accentui piuttosto, per smorzare e ammansare il figlio. Gli faccia notare, che essa non si perde d’animo né si intimidisce per quel suo fare altero. Dovrà egli mutare, non essa. E sarà costretto a cedere, mentre lei rimarrà nel possesso di sé serena e fidente. Davanti ad un recalcitrante e tenace neppure allora rinunci la madre al suo tono mansueto. Le ostentazioni di ribellione non la smuovano dal suo contegno deciso. Neppure le irriverenze o le ingiurie la intimidiscano. Sia forte nella sua ragionevolezza e non le verrà meno il buon risultato. Il cuore finisce per sopraffare. La sua maternità resistente e costante avrà la sua rivincita sullo strepito della violenza. Non si può fare la guerra da soli. Ed egli si trova disarmato dalla calma della mamma. Che cosa facevano i giudici dei Cristiani, i quali non accennavano a rinunciare alla loro libertà di adorazione? Dovevano cedere essi e rimandare il giudizio ad altro giorno, per non confessarsi sconfitti.
VINCE IN BONO MALUM
La condizione della mamma, che non riesce a smuovere il figlio dalla cattiva strada, è fra le più tragiche. È tutto il cuore di fronte a tutta la insensibilità; è tutto il sacrificio in faccia all’egoismo avido. Ma non importa. Viene il momento della stanchezza della capricciosità che resiste all’amore. Allora quella si avvede di avere faticato invano, di avere contristato senza risultato. Si umilia. Chiede perdono. Promette riparazione. Diviene conquista dell’amore. – Ma anche il giovane preso dalla educazione alla mansuetudine si fa rapidamente virile e padrone di sé e degli altri. La dolcezza dei modi è rivelazione di un animo lavorato dalla grazia e dalla saggezza divina. Esprime un costume interiore casto e ispirato alla conoscenza del cuore umano. Diviene compassionevole e indulgente; forza di bene e stimolo ai prossimi, che ne subiscono l’amorevole influsso. Come è dell’esperienza comune, che il governo dei volgari saliti in potere non è dei più amabili, così quello degli spiriti nobili o nobilitati dalla educazione di finezza cristiana è, comunque fermo e autorevole, sempre più comprensivo e delicato verso i docili e disciplinati. Lo Schmidlind narra, che nel 1120 andò tra i Pomerani a predicare un Vescovo spagnolo Bernardo, il quale con evangelica semplicità prese a comunicare la verità cristiana; ma non incontrò che derisione. Il suo portamento umile e dimesso, la sua povertà, non piacquero e fu espulso. Si diceva da quei barbari: « Il Signore del mondo non può aver scelto per suo inviato un mendicante ». Ma non è a dire, che il sacrificio di Lui sia stato sterile. Verranno altri e raccoglieranno sul campo i frutti maturi del sudore e delle lacrime. Sicché la vittoria definitiva è sempre della mitezza ispirata dalla fede e dalla pietà cristiana.