G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (8)
[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]
XXIX
Il seguito del PATER, fino all’AGNUS DEI.
Il Sacerdote traccia su se stesso un gran segno di Croce con la Patena, dicendo le parole della preghiera “secreta” che segue immediatamente il Pater: « degnatevi di accordare la pace ai giorni in cui viviamo; » e bacia la Patena che fa scivolare tra l’Ostia santa ed il Corporale, di modo tale che il Santo Sacramento riposi su di essa, ed essa sul Corporale. Egli prende poi l’Ostia, la spezza a mezzo in due parti uguali, al di sopra del Calice; tenendo con una mano sul Calice la metà dell’Ostia, depone l’altra metà sulla Patena; poi stacca dalla prima metà dell’Ostia un frammento che tiene con la mano destra, mentre riporta sulla Patena il restante della santa Ostia che vi si ricompone tutta intera, salvo la particella sospesa sopra il divin Sangue. Con questa particella il Sacerdote forma tre segni di Croce all’interno del Calice dicendo: « La pace del Signore sia sempre con voi! » e lascia cadere la particella nel Calice. Egli recita poi i tre Agnus Dei, terminando i due primi con: Miserere nobis, ed il terzo con: Dona nobis pacem. Questa pace, frutto della liberazione, è il seguito naturale e lo sviluppo del: Libera nos a malo. Con la bocca del Sacerdote, la Chiesa domanda, a nome di GESÙ-CRISTO, che la pace di DIO le venga accordata, e che sia da ora liberata dai suoi nemici interni ed esterni, per quanto lo permetta la sua condizione militante. Essa chiede anche che la grande, sovrana pace del trionfo, arrivi il più presto possibile. Essa chiama con tutte le sue voci il glorioso Avvento del suo Re e Liberatore. Ma prima bisogna che Essa soffra la grande tribolazione che le ha predetto GESÙ stesso nel Vangelo, la suprema persecuzione dell’anticristo; questa prova spaventosa sarà la Passione della Chiesa, la Passione dei membri, complemento della Passione del Capo. Secondo l’Apostolo san Giovanni, essa deve durare quarantadue mesi (Et civitatem sanctam calcabunt mensibus quadraginta duobus. – Apoc. XI, 2. – Et data est ei (bestiæ, id est, autichristo) potestas facere menses quadraginta duos. – ibid., XIII, 5), tre anni e mezzo ed accompagnerà o seguirà da vicino la conversione di Israele. – Secondo ogni apparenza, essa è significata dal gran segno di Croce che traccia su di sé il Sacerdote, cioè la Chiesa, nel momento in cui bacia la Patena; nel momento in cui l’antica Alleanza, oramai riconciliata con la nuova, ritroverà infine GESÙ-CRISTO; la Patena in effetti, come noi abbiamo visto più in alto, simbolizza all’altare la Chiesa giudaica. Allora la Santa Vergine sarà la Regina d’Israele convertito; il Corporale porta la Patena che a sua volta sostiene la Santa Ostia. Questo frazionamento della santa Chiesa, all’epoca della grande tribolazione, è ancora espressa dalla frazione dell’Ostia; e la particella che il Sacerdote lascia cadere nel Calice, simbolizza ciò che san Giovanni chiamava la “prima resurrezione” resurrectio prima, cioè la resurrezione degli Eletti, che seguirà immediatamente alla distruzione dell’anticristo e all’apparizione gloriosa del Signore GESÙ; « il Figlio dell’uomo, dice espressamente il Vangelo, radunerà allora i suoi eletti dai quattro angoli della terra. (Et congregabit electos suos a quatuor ventis. (Ev. Marc, XIII, 27; Matth. XXIV, 31; Luc. XXII). » Sottolineiamolo, Nostro Signore non parla che dei suoi Eletti: « electos suos ». Non è ancora in questione la resurrezione dei riprovati. Il Sacerdote, unendo anche al prezioso Sangue un frammento dell’Ostia, fa all’interno del Calice tre segni di croce con la santa particella, che rappresenta qui tutti gli Eletti del triplice trionfo. Egli desidera che i suoi astanti facciano parte di questa beato gregge dicendo: « La pace del Signore sia con voi! » Nostro Signore, presente sulla Patena come Ostia fratturata, e nel Calice con la mescolanza delle due specie sacramentali, ci viene mostrato come Crocifisso e Resuscitato con tutti i membri mistici, con tutti gli Eletti. La frazione significa la morte sia del Capo che dei suoi membri; la riunione del Corpo e del Sangue, della santa particella al vino consacrato, simbolizza la Resurrezione gloriosa. Ed è la grazia di questo mistero di morte e di resurrezione, di cui noi stiamo per appropriarci a breve, ricevendolo in noi con la Comunione, la Vittima del Sacrificio. Il Corpo di Nostro Signore si trova dunque nello stesso tempo sulla Patena e nel Calice. Questa prescrizione liturgica non significherebbe forse ancora ciò che già abbiamo indicato, cioè che la Chiesa resuscitata e glorificata regnerà, trionferà simultaneamente sulla terra e nel cielo e prima di entrare per l’eternità nel seno del Padre (ciò che viene espresso dalla Comunione), la sua gloria sulla terra avrà una eclatante manifestazione? Per quanto mi riguarda, pur riconoscendo che si tratti di una semplice opinione, io lo credo fermamente, e mi rallegro già nel Signore Nostro, per questo regno pacifico ed universale del vero Salomone. San Giovanni sembra insegnarlo in maniera formale. Nel ventiquattresimo capitolo dell’Apocalisse, egli dice che l’Avvento del Re di gloria, satana sarà legato per mille anni. I martiri di Gesù e coloro che non avranno voluto ricevere il segno dell’anticristo resusciteranno e regneranno con il Cristo per mille anni. Gli altri morti non resusciteranno prima del compiersi di questi mille anni. È questa la prima Resurrezione. Felici e santi tutti coloro che avranno parte alla prima Resurrezione! La seconda morte (cioè la morte eterna) non avrà più presa su di essi; che invece saranno i Sacerdoti di DIO e del suo Cristo, e regneranno con Lui per mille anni (Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus, Satanas, et ligavit eum per annos mille… et vidi animas decollatorum propter testimonium JESU… et qui non adoraverunt bestiam, neque imaginem ejus, nec acceperunt characterem ejus in frontibus, aut in manibus suis, et vixerunt, et regnaverunt cum Christo mille annis, Cœteri mortuorum non vixerunt, donec con-summentur mille anni. Hæc est resurrectio prima. Beatus et sanctus qui habet partem in resurrectione prima; in his secunda mors non habet potestatem, sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille annis). – Sembra che il rito della Messa che abbiamo ricordato abbia per oggetto l’esprimere questo bel trionfo, questo riposo, « questo sabbat » della grande settimana della Chiesa. Quel che è certo è che questo rito, che fa parte della liturgia fin dalle origini, copre e raffigura un Mistero di grande importanza. È superfluo, penso, sottolineare che la spiegazione che noi esponiamo non abbia nulla in comune con la grossolana ed assurda eresia del millenarismo o del semi-millenarismo; si tratta qui di un regno spirituale e divino, e non di questa amalgama impuro, sensuale, impossibile, sognato già dagli gnostici, più giudeo che cristiano. San Girolamo attesta che al suo tempo « molti Cattolici credevano alla manifestazione terrestre della regalità e della sua Chiesa alla fine dei tempi, prima del giudizio universale. Sant’Agostino dichiara che tale era ugualmente la credenza e che non ne era stato allontanato se non dagli eccessi dei millenaristi. Ragione ben più perentoria; perché gli abusi che si sono fatti di una dottrina non distruggono in alcun modo né il fondo né la verità di questa dottrina. In tal guisa non si potrebbe leggere la Sacra-Scrittura solo perché i protestanti ne abusano. Un sapiente ecclesiastico, che ha studiato a fondo la questione, mi diceva un giorno che tra i Padri ed i dottori dei primi tre secoli, ne aveva trovato più di diciotto apertamente favorevoli a questo regno terrestre, spirituale e trionfale di GESÙ-CRISTO e della sua Chiesa. Il grande e dotto Ireneo, tra gli altri, erede quasi immediato delle tradizioni apostoliche, espone in lungo e largo questo sentimento, e lo appoggia su numerosi testi che parlano del regno terrestre del Cristo e dei suoi Santi come di un fatto incontestabile ed incontestato. – (Dopo aver riportato diversi passaggi delle sacre Scritture, san Ireneo aggiunge – Adv. Hæres., lib. V, cap. XXXV e XXXVI – « Hæc enim et alia universa in resurrectionem justorum sine controversia dicta sunt, qure fit post adventum Antichristi, et perditionern omnium gentium sub eo existentium, in qua regnabunt justi in terra, orescontes ex visione Domini, et per ipsum assuescent capere gloriam DEI Patris, et cum sanctis Angelis conversationem et communionem et unitatem spiritalium in regno capient. – San Ireneo dice che ciò che i Profeti e gli Apostoli hanno scritto di questo regno del Cristo, non deve intendersi in senso allegorico: Et nihil allegorizari potest, sed omnia firma et vera, et substantiam habentia. » – « Diligenter ergo Joannes prævidit primam justorem resurrectionem, et in regno terræ hæreditatem: consonanter autem et Prophètes prophetaverunt, de ea. Hæc enim et Dominus docuit, mistionem calicis novam in regno cum discipulis habiturum se pollicitus. Et Apostolus libérant futuram creaturam a servi tu te corruptelæ in libertatem gloriæ filiorum DEI, confessus est. » Bisogna leggere nella loro interezza i due importanti capitoli in cui San Ireneo espone, con tutta l’autorità dell’insegnamento teologale, cioè di tradizione puramente apostolica, il bel punto di dottrina che qui ricordiamo). – Questo riposo, questo regno di Cristo e della sua Chiesa non avrà fine; esso passerà dalla terra al cielo, senza interruzione. Cornelius, commentando il bel testo di Daniele: « Magnitudo regni, quæ est subter omne cœlum, detur populum sanctorum, » scarta all’inizio il millenarismo ed aggiunge: « Certo è che questo regno del Cristo e dei suoi Santi sarà non solo un regno spirituale come quello che ha luogo ora sulla terra in mezzo alle lotte ed alle persecuzioni, ma anche un regno corporale e glorioso, « Corporale e glorioso, » in cui i Santi resuscitati regneranno corporalmente con il Cristo nel cielo, per l’eternità. Ma questo regno, il Cristo ed i Santi, lo cominceranno sulla terra, « inchoabunt in terra, », immediatamente dopo la morte dell’anticristo. Allora la Chiesa regnerà nell’universo intero, e Giudei e Gentili non formeranno che “ … un solo gregge ed un solo Pastore”. In seguito questo regno sarà confermato e glorificato per tutta l’eternità« Confirmabitur et glorificabitur in omnem æternitatem» . Questo punto di dottrina così grande, così consolante e così poco meditato ai nostri giorni, mi sembra essere la chiave delle misteriose cerimonie del punto della Messa di cui ci occupiamo. Il secondo Avvento di Nostro-Signore, che occupa un posto così importante nelle Profezie e nelle Epistole degli Apostoli, dovrebbe essere l’oggetto principale dei nostri studi, così com’è l’oggetto delle nostre speranze più care.
XXX
Dall’AGNUS DEI al dopo Comunione.
Ai tre Agnus DEI, il Sacerdote, e con lui tutta la Chiesa, riconoscono che con il suo Sacrificio, GESÙ solo, l’Anello di DIO, immolato per i peccati di tutti, è l’Autore della salvezza e della futura beatitudine di tutti i fedeli, da Adamo fino all’ultimo Cristiano della Chiesa militante. I due Miserere, sono i due giorni di lotta che separano i due avvenimenti. Il « dona nobis pacem, » è il giorno del riposo, il gran giorno del Paradiso terrestre dell’umanità. Poi vengono le tre orazioni “secrete” che preparano il Sacerdote alla Comunione. La prima, che non si dice alle Messe dei morti, domanda nuovamente a nostro Signore di realizzare la promessa che Egli si è degnato di fare alla sua Chiesa, di questo regno di pace e di unità, dove non ci sarà sulla terra che un “solo gregge ed un solo Pastore”. Le due altre sono un mirabile atto di contrizione, di umiltà e di amore. Prima di comunicarsi, il celebrante proclama tre volte a voce alta, a nome suo e di tutti i Cristiani, che egli non è degno che GESÙ entri in lui; egli nondimeno lo riceve con umile e dolce confidenza, esprimendo il voto che il Corpo ed il Sangue del suo Salvatore glorificato custodiranno la sua anima per la vita eterna. In effetti, l’unione a GESÙ eucaristico è il pegno dell’unione a GESÙ, Re di gloria. – Il Sacerdote, ricevendo in lui il Corpo ed il Sangue del Signore, ricorda dapprima GESÙ-CRISTO comunicantesi Egli stesso nel Cenacolo, e profetizzante con ciò che la sua Chiesa entrerà un giorno in Lui, tutta deificata e tutta gloriosa, per vivere eternamente con Lui ed in Lui, della vita di suo Padre. Egli rappresenta GESÙ, Re del Paradiso, cielo dei cieli, facente entrare per sempre nella gioia del Signore la Chiesa, sua Sposa, suo Corpo mistico e vivente, formato da tutti gli eletti. In GESÙ, Re di gloria, essi verranno e possederanno eternamente il Padre ed il Figlio e lo Spirito Santo. Poi viene la Comunione del popolo, preceduta dal Confiteor, ultima purificazione dei peccati veniali e delle imperfezioni che respingerebbero la santità di GESÙ. La Santa Comunione è il frutto dell’albero di vita; è un frutto, un rimedio di immortalità che ci preserva dal peccato mortale e ci purifica dalle nostre colpe quotidiane, come recita il Concilio di Trento. Non è una ricompensa della virtù acquisita, come voleva la scuola giansenista; è un mezzo per fortificare l’anima, sviluppare i germi seri di buona volontà, un mezzo per diventare santo. Ecco perché il Sacerdote deve essere misericordioso in quel che riguarda la Comunione, e spingervi le anime con uno zelo infaticabile. I fedeli non saprebbero avvicinarvisi con troppo amore e fiducia da una parte, e dall’altra con troppa riverenza e fervore. Dare GESÙ alle anime, è la grande missione del Sacerdote, « dispensatore dei Misteri di DIO; » questa è la grande consolazione, la gioia suprema del suo ministero. Insegnar loro a ben comunicarsi e spesso, questo deve essere il grande officio, nei Catechismi, al confessionale, dappertutto. Che lo si sappia bene, la Comunione frequente è la rigenerazione di una parrocchia, di una diocesi, di un intero Paese (Si veda il mio libricino sulla Santissima Comunione, in cui ho riassunto e confutato le numerose obiezioni alla Comunione confidente e frequente). Il Sacerdote deve infondere una profonda pietà in questo sublime ministero della distribuzione della Comunione ai fedeli; egli deve dare la Comunione con amore piacevole e gioioso, senza forzature, e sempre unito a GESÙ, che attraverso di lui si dona alle anime con tanta bontà. Egli deve fare il segno della Croce con ogni Ostia, stare molto attento alle particelle che minacciano di staccarsi, e pronunciare, ad ogni Comunione, la formula intera ordinata dalla Chiesa. – Io ho conosciuto un eccellente curato che, per andare più velocemente, dava tre o quattro Comunioni mentre recitava, devotamente e gravemente la formula: Corpus – una Comunione – Domini nostro – un’altra Comunione – JESU-CHRISTI – un’altra Comunione – custodiat animam – … una quarta – tuam in vitam æternam – … una quinta – Amen, cominciava la sesta. A volte ci sono coloro che apostrofano i fedeli quando non tengono la testa come si deve. Si deve fare attenzione a rispettare Nostro Signore, che è là presente e che vuole che siamo docili e pazienti come Lui, anche per non danneggiare nessuno. È bene istruirsi su tutto ciò che concerne la santa Comunione. L’ignoranza, o quanto meno l’oblio delle regole, può far cadere in strani eccessi. Pochi anni orsono, un curato di una grande città francese, distribuiva la Comunione pasquale ad una numerosa assemblea di operai la Domenica di Quasimodo, alla chiusura di un ritiro; egli non era forte in materia liturgica né in diritto canonico; e per disgrazia, il Diacono che l’assisteva non era migliore di lui. In seguito a non so qual malinteso, il numero di Ostie consacrate si dimostrò insufficiente; il buon curato, desolato da questo contrattempo, consulta il suo Diacono: se consacro un ciborio per questa povera gente? Diceva esitante … Credete che possa farlo? « Mi sembra di sì » risponde senza cipiglio l’illustre Diacono. E ciò che fu detto, fu fatto. Era questa un’enormità e senza alcun dubbio, se il Vescovo ne fosse venuto a conoscenza, avrebbe rimandato questo troppo caritatevole curato e senza altro consiglio, al Seminario per studiare il trattato dell’Eucaristia e le rubriche del Messale. Avrebbero meritato di essere citati entrambi ex æquo davanti al Santo-Officio. Altra importante osservazione: è permesso, e perfettamente regolare comunicare fuori dalla Messa. Le Domeniche ed i giorni di festa, quando le Comunioni sono numerose, è più prudente distribuire la santa Comunione prima e dopo la Messa. altrimenti si espongono tante povere persone, domestiche, operai, che hanno giusto il tempo di ascoltare la Messa, a vedersi obbligati a lasciare la Chiesa durante la Comunione. Ci sono buoni Sacerdoti che non ci sentono da questo orecchio e che giungono perfino a rifiutare la Comunione fuori dalla Messa. Ce n’è di quelli che non consentono a darla, se non a condizione che si ascolti la Messa. Tutto questo è un abuso in violazione delle regole. Due o tre persone molto pie, abituate a comunicarsi quasi ogni giorno, avevano trovato in campagna due curati che rifiutavano loro la Comunione quando essi non si recavano ad ascoltare la Messa (il cui orario non coincideva sempre con i loro doveri familiari), consultarono Roma e fu loro risposto che solo in caso di pubblico scandalo previsto dal Rituale romano, era assolutamente proibito ai Sacerdoti rifiutare a chiunque e sotto qualsiasi pretesto, la Comunione prima, durante o dopo la Messa. « Vi è per il Sacerdote un obbligo, sotto pena di peccato mortale, » aggiungeva il Consultore. La Comunione è, in realtà, affatto indipendente dal Sacrificio. Il Sacramento è il frutto del Sacrificio, il Tabernacolo è la riserva in cui questo frutto divino è deposto per l’uso dei figli di DIO. Quando si distribuisce la Comunione fuori dalla Messa, occorre che ci sia almeno un cero illuminato sull’altare e che il Sacerdote sia rivestito della cotta (non di rocchetto) e con la stola. Il rocchetto non è in effetti un abito sacerdotale; è una insegna ecclesiastica, un’insegna prelatizia, come la sottana color violetto; i Canonici stessi non portano il rocchetto se non da dopo la Rivoluzione: è un abuso introdotto dai preti costituzionali (1) e sul quale la Chiesa ha creduto di dover chiudere gli occhi. Il semplice Sacerdote non ha mai diritto al rocchetto, e mai se ne deve servire nell’amministrare i Sacramenti.
(1) A quest’epoca disastrosa risalgono la maggior parte degli abusi liturgici francesi; tra gli altri l’uso del rocchetto, come detto, la sottana a coda, il portare la stola per cantare i Vespri e le altre ore canoniche; il canto alla benedizione con il Santissimo Sacramento – È una regola generale in liturgia che la benedizione data ai fedeli con un oggetto sacro qualunque, si dia sempre in silenzio; ed è molto logico, venendo la benedizione dall’oggetto sacro con cui si benedice, (una reliquia, una particella della vera Croce, etc.); a fortiori ciò è vero per il Santissimo Sacramento. In realtà è il Corpo di Nostro Signore che benedice direttamente il popolo fedele. La preghiera benedicat vos, etc., che si era introdotta in Francia, è un vero controsenso; non è il Padre, il Figlio e lo Spirito-Santo che benedicono l’assemblea, ma il Corpo del Signore, e Lui solo. Inoltre non è un desiderio: “benedicat”, bensì un fatto; occorrerebbe almeno: “Benedicit”. Per essere logico e ragionevole, bisognerebbe dire: « Benedicit vos Corpus Domini Nostri JESU-CHRISTI »; e francamente a chi dirlo?