XXXVII. NEL LUNEDI’ DOPO PASQUA.
Sperabamus quia ipse esset redempturus Israel; et nunc tertia dies est hodie, quod hæc facta sunt.
Luc. XXIV, 21
Chi ama, teme. Non è ciò forse verissimo, o ascoltatori? Anzi teme tanto chi ama, che teme troppo; e palpita ad ogni dubbio, benché improbabile; e spaventa ogni rischio, benché leggiero: res est solliciti plena timoris amor. Non vorrei pertanto che voi mi prendeste a sdegno, se con troppo ingenuo candore io vi discuopro questa mattina un timore che in cuor mi è sorto. Temo che voi non veniate, e forse di breve, ad abbandonare quel santo tenor di vita, il quale avete animosamente intrapreso in questi dì sacri. Non vi offendete, perciò, miei signori, non vi offendete; perché sì fatto timore non nasce in me dalla gravità del pericolo ch’io ne sorga; né anche nasce da vile stima ch’io m’abbia della vostra pietà, della vostra sodezza, del vostro senno: nasce, se così mi sia lecito di parlare, da grande amore. Benché, a dire il vero, non è né anche il pericolo sì leggiero, o si inverosimile, che non porti il pregio dell’opera prevenirlo. E non udiste ciò che pur ora nel Vangelo sì è letto di quei due tanto celebri pellegrini che se ne andavano in Emausse? Si erano essi, non può negarsi, da principio portati sì fedelmente, dando intera credenza ai detti di Cristo, e concependo indubitate speranze della resurrezione di Cristo: Sperabamus quia ipse esset redempturus Israel. Ma perché già comincia a spuntar la sera del terzo giorno, ed essi nol veggono, che fanno i poverini? Cominciano a vacillare: anzi a diffidare, anzi a discredere in modo che Cristo è costretto a rimproverarli di increduli, a tacciarli di mentecatti: O stulti et tardi corde ad credendum! (Luc. XXIV, 23). – Tanto ogni poco vale a stravolgere un cuore dal ben propostosi. Chi però mi promette, o signori miei, che innanzi a domani sera, ch’è dire, innanzi d’arrivare a sera del terzo dì, qualcun di voi non cominci ancor egli a mutar sentenza, a cambiarsi di volontà, ed a mancar di fedeltà verso Cristo? Chi mi promette, che non pensi a tornare alle usate pratiche? Chi mi promette che non pensi di ridursi ai pristini giuochi? Chi mi promette che non pensi a riamare, ahi pur troppo presto, i suoi detestati costumi? – Ho io però risoluto questa mattina fare una cosa, mostrare apparentemente di non fidarmi della vostra costanza, a fine di stabilirla. E però vi chiedo quella udienza che merita chi, solamente premendo in ciò che può esservi di profitto, non altro applauso, come ormai potete vedere, ha perpetuamente, curato nelle sue prediche, se non quel solo, il quale gli è per ventura potuto nascere dall’aver di cuore trattati i vostri interessi, e con serietà persuasovi il vostro bene.
II. E primieramente io non vi niego, uditori, che cotesta nuova forma di vivere più corretta vi sarà facilmente di qualche pena; che vi lusingheranno i piaceri antichi, che vi combatteranno le passioni avverse, e che però vi converrà di farvi un poco di forza a perseverare. Ma dite a me: per quanto spazio di tempo vi converrà di usare a voi questa forza? Per anni ed anni (non è così?), per un corso lungo di età che vi sopravanza, prima di arrivare alla morte. Oh Dio! eche sarebbe, uditori, se quella morte, la quale a voi par vedere così da lungi, in oscurità, in lontananza, fosse oggi mai vicinissima al vostro albergo; e voi frattanto, per impazienza di perseverare ancor pochi mesi in cotesto stato più regolato e più saggio, perdeste la corona promessa ai perseveranti? Non so se mai vi sia caduta in pensiero una osservazione, la quale, ognor ch’io la feci, mi spremè quasi dagli occhi a forza le lagrime per pietà. Avevano i miseri Israeliti aspettato Mosè dal monte con gran longanimità, senza mai dar per ancora veruno indizio o di cuor ribelle, o di spiriti irreligiosi; quando finalmente attediati della dimora, cominciarono a infastidirsi; e divisandosi che ormai Mosè si fosse affatto dimenticato di loro, e che però non dovesse ritornar più, o almeno dovesse indugiare infinitamente, deliberarono di eleggersi un nuovo capo; e per poterne più agevolmente disporre a lor volontà, non isdegnarono di soggettarsi ad un bue, quantunque dorato: mutaverunt gloriam suam in similitudinem vituli comedentis fœnum (Ps. CIII, 20). E già avevano allegramente cambiata la modestia in dissoluzione, la pietà in giuochi, la religione in idolatria: quando ecco sopraggiunge a un tratto Mosè, il quale a quello indegno spettacolo divampando di un implicabile zelo, spezza incontanente le tavole della legge, sgrida Aronne, stritola il simulacro; e, assoldata tutta la tribù di Levi, ne scorre a guisa di un folgore per i quartieri della moltitudine attonita e disarmata; e spargendo per tutto ferite, per tutto sangue, per tutto strage, uccide alla rinfusa in brev’ora presso a ventitré mila persone, con un macello tanto più orribile, quanto più impetuoso. Or io vi domando: quanto credete, o signori miei, che costoro avessero trascorso pazientemente in attendere il loro Mosè? Trentacinque dì per lo meno, come il dottissimo Abulense dimostra nei suoi commenti. Sicché quando avessero con egual pazienza aspettato cinque altri dì, che tanto appunto differì quegli a tornare, non avrebbero né commesso un eccesso sì detestabile, nè sofferto un macello sì sanguinoso. E non vi muove, uditori, a gran compassione la disgrazia di questa turba? Infelice! per incostanza di sì poche giornate patito tanto! Oh sventura indicibile! Oh caso strano! Ben ora intendo quanto sia vero ciò che leggesi ne’ Proverbi, che chi si lascia vincere finalmente dall’impazienza, non può far mai se non pazze risoluzioni impatiens operabitur stultitiam; impatiens exaltat stultitiam (Prov. XIV, 17 et 29). Non apparve forse chiarissimo in questo fatto? – Or che sarebbe, se avvenisse a voi pure una somigliante infelicità, che sarebbe? Voi riputate la morte lontana assai, e però tutte v’infastidite, dicendo fra voi medesimi, che fo io? Ho io dunque a durare ancora tanti anni in sì fatta vita? Io tanti anni senza un piacer di vendetta? Io tanti anni senza un diletto di senso? Io senza dire una parola licenziosetta in tanti anni? Chi può resistere? Eh non dite così, dilettissimi miei, non dite così; perché potrebbe avvenire che questi conti, i quali voi fate ad anni, non riuscissero forse neppure a mesi, neppure a settimane, ma a pochi giorni. La morte forse è già cominciata a calare dalla montagna, già forse arriva, già ruota il ferro, già vibra il colpo, già vi toglie di vita: e volete voi cader d’animo per sì poco? Vac iis, qui perdiderunt sustinentiam, et derelinquerunt vias rectas, et diverterunt in vias pravas! così protesta l’Ecclesiastico (II. 16) ad uomini sì incostanti. Væ iis, Væ iis! Che sarebbe dunque, o Cristiani, se voi cadeste nel numero di costoro sì miserabili, e vi traeste con essi addosso la loro maledizione? Oh quali singhiozzi, oh qual fremiti voi dareste per tutta l’eternità! Ed oh come ogn’ora accompagnando nell’Inferno le strida degli Israeliti impazienti, ancor voi direste: per cinque giorni, per cinque giorni mal tollerati siam qui; e l’incostanza di uno spazio sì breve ne convien pagar con le pene di tutti i secoli!
III. Ma su, passi per concesso che il viver vostro debba essere ancora ad anni, e tale appunto, quale ve lo promettono o la gioventù ancor fiorita, o la complessione ancor forte: sapete, posto ciò, perché parvi sì malagevole il mantenervi innocenti? Perché vi credete di dover sempre provare in ciò quei contrasti ch’or voi provate. Ma questo è falso. Scemeranno, scemeranno ciascun giorno più le presenti difficoltà; e siccome al sorger del sole cadono le nebbie, ed all’apparir della vampa sparisce il fumo; così anche al crescere che in voi sempre farà la grazia divina, si dilegueranno dal vostro animo quelle angustie, quelle ansietà, quegli affetti disordinati, i quali or lo tengono sì malamente ingombrato. – Chi di voi non rimembrasi di Sansone caduto già disgraziatamente in potere dei Filistei? Era spettacolo di pietà rimirare un uomo così forte divenuto ludibrio di plebe vile. Chiuso in carcere, carico di catene, fu necessitato a lasciarsi trar da’ nemici ambedue gli occhi di fronte. Indi, qual giumento, applicato a girar la mola, aveva d’intorno una foltissima turba di fanciulli indiscreti, di vecchi lividi, di feminelle sfacciate, che lo insultavano: a chi lo sferzava qual pigro, e chi lo sbeffava quel orbo; né mai da lui si partivano, pugni, coi calci, con le guanciate, avessero preso un crudel trastullo, e, Sansone, e dov’è ora quella rendevati sì temuto? quella virtù, con cui ti spezzavi d’attorno i lacci di nervo, quasi fossero stoppe mostrate al fuoco; e ti recavi in collo le porte della città, quasi fossero bronzi dipinti in tela? Non se’ tu quegli che già sfidavi a lottar teco i leoni, e che con le nude mani afferratili, gli strozzavi, li soffocavi, e ne lasciavi i cadaveri in preda all’api? Non sei tu che fugavi gl’interi popoli? Non sei tu che spiantavi gl’interi campi? E come i cagnolini si fanno or beffe di te coi loro latrati, e a te non dà neppur l’animo di acchetarli? Eh aspettate un poco, uditori, aspettate un poco, e vedrete poi chi sia Sansone. Voi considerate il meschino, or che i capelli, ne’ quali sta la sua forza, gli son tonduti; ma non sarà sempre così. Cresceranno questi in breve corso di tempo, rimetteranno; e allora oh come più robusto di prima voi lo vedrete scuotere con le braccia due gran colonne, atterrare edifici, eccitar rovine, e ancor morendo far dei Filistei sbigottiti più fiero macello ch’egli ne facesse mai vivo! E non fu ciò vero, uditori? – Ora così appunto fingete che sia di voi. Sono in voi di presente i capelli bassi, ch’è come dire, la grazia dello Spirito confortatore è assai limitata. Qual meraviglia è però se par che i sensi or vi trattino come schiavo, se i demoni, con sozze larve v’inquietano, se vi dan frequente molestia le tentazioni? Ma che? concedete un poco di agio alla grazia, sì ch’ella cresca, ed allor vedrete. Ritorneranno tutte in voi quelle forze, le quali già nel Battesimo riceveste; ravviverassi la fede, rinverdirà la speranza, riaccenderassi la carità, in una parola, insiliet in vos Spiritus Domini (1. Reg. X. 6): e allora voi vi sentirete sì intrepidi, sì animosi, che neppur avrete a terrore l’istessa morte. Senza che, chi non sa che tutti i princìpi sono alquanto più faticosi de’ lor progressi? Ai tori è più malagevole da principio obbligarsi al giogo, a’ cavalli è più noioso patire il morso, a’ cammelli e più strano inchinarsi al carico. Così le arti di sonare, di ballare, di scrivere, di scolpire, di ricamare, tutte da principio riescono più difficili a chi le apprende. Chi va alla guerra, più facilmente spaventasi ai primi assalti; chi scioglie in mare, più facilmente amareggiasi alle prime navigazioni; chi s’incammina per terra, più facilmente si stanca ai primi pellegrinaggi. Non vi sembri nuovo però, se nella vita cristiana l’istesso accada. Quindi osservò con singolare acutezza Filone ebreo, che le prime acque nel deserto incontratesi, furie amare; le altre poi furono sì deliziose, sì dolci, che, come tali a poco a poco rubarono il nome al mele. – Non mirate dunque a quelle difficoltà, le quali ora vi si parano innanzi al divin servizio; perciocché queste sono difficoltà da principio comuni a tutti. A tutti è duro da prima frenar la carne, custodire la lingua, reprimer l’ira, soggiogar l’alterezza; ma se avrete un poco pazienza, vi diverrà sì leggiero, sì dilettevole, che talor forse, di voi stupiti, direte con Agostino (Confess. 1. 9. c I): O quam suave mihi subito factum est carere suavitatibus nugarum! Oh che allegrezza è questa, oh che pace, oh che contentezza! Non avrei creduto che fosse mai così facile abbandonare ogni reo diletto per Dio, e che quæ modo amittere metus fierat, jam dimittere gaudium foret. – Siasi pertanto pur vero ch’or voi provate qualche notabil fatica a non ricadere nei vizii a voi famigliari, non però voi dovete disanimarvi, perché, o moriate, o campiate, ella sarà breve. Usque in tempus, usque in tempus (sono parole infallibili di quel Dio che non può mentire), usque in tempus sustinebit patiens; e poi? et postea redditio jucunditatis (Eccli. I. 29).
IV. – Benché non vedete voi che cotesta scusa da voi recata finora, o sia verità, o sia velame, se nulla vale, vale a conchiudere contro di voi la sentenza di eterna condannazione? Perciocché sentite, e tenetelo bene a mente. Se per confession vostra voi provate ora una difficoltà così grande a non ricadere, quanto dunque maggior voi la proverete, poiché sarete ricaduti, a risorgere? non sarete allora più infievoliti? più languidi? più abbattuti? Non si accresceranno i mali abiti? non si imperverseranno le perfide inclinazioni? Tanto a voi dunque è ritornare a peccare, quanto è dannarsi. Questo argomento, a mio parere, è si forte, che non ha replica. Con tutto ciò, perché ne restiate convinti ancor maggiormente, voi dovete considerare che, ricascando, non solo vi sarà malagevole di tornare allo stato d’ora, per ciò che appartiene a voi, cioè perché voi sarete prostrati più; ma parimente per ciò che riguarda il demonio, e per ciò che rimira Dio. E quanto al demonio, io ve lo farò chiaro con una similitudine assai vivace, ma non meno ancor conchiudente.
V. Avverrà talora che un nobile Cristiano venga fatto in Algeri prigion dal Turco, ed ivi servato con diligenze anzi discrete che rigide, e più cortesi che strane. Si prevale egli però della buona opportunità; e perché le guardie non sono un dì sì sollecite o sì sagaci, che fa il meschino? Rompe i ceppi, sforza i serragli, ne fugge al mare; ed ivi scorta una fusta pronta, rimettesi in libertà. Benissimo. Ma s’egli sia tanto stolto, che di nuovo lasci raggiungersi e ricondursi sotto l’unghie del Barbaro furibondo, da cui fuggì, tra quali carceri, sotto a quali custodie credete ch’ei verrà posto? La più spaventosa segreta, che renda celebri le latomie africane, sarà la sua. Ferri al pie’, ferri al collo, ferri alle mani. Se prima gli era permesso di respirare liberamente all’aperto, or non vedrà neppur lume. Se prima gli era concesso di passeggiare frequentemente alla larga, or neppur potrà coricarsi. E perché il misero divenga sempre più fiacco, e così men abile ai pristini tentativi, non andrà dì, ch’egli non sia macerato con lunghe inedie, con duri strazi, con furia di bastonate. – Or così appunto farà il demonio, uditori, con esso voi. Egli vi teneva già suoi schiavi; ed, o perché ei vi guardasse con minor cura, o perché voi vi portaste con maggior animo, gli siete usciti felicemente di mano: non è così? Che farà egli dunque, se voi mai più gli ritorniate in potere? Ve lo dirò con una formula tolta da un Geremia: ut non egrediamini, aggravabit compedes vestros (Thr. III, 7); vi raddoppierà le catene, vi rinforzerà le ritorte; ed attentamente mirando per quali vie voi siete ora scappati dalle sue mani, circumædificabit adversum vos (Ibid.); chiuderà tutti gli aditi, sbarrerà tutti i passi, non vi lascerà neppure un angusto spiraglio, onde mirar cielo. Se voi vi siete or convertiti per una lezione che faceste di libri pii, egli starà sempre attentissimo che non vi vengano altri libri alle mani, che di romanzi, di frascherie, di favolette, di amori: se per le prediche, ve ne distrarrà con affezionarvi al negozio; se per le congregazioni, ve ne distaccherà con allettarvi ai ridotti; se per le ispirazioni interiori, procurerà di tenervi involti fra strepiti, fra tumulti, fra brighe tali, tra cui la voce divina mai possa udirsi; ed in una parola, egli adoprerà tutta la malvagità, tutta l’arte, per più non perdervi: circumædificabit adversum vos, ut non egrediamini, aggravabit compedes vestros. Guardate dunque, o Cristiani; perché se voi gli ritornate in potere, voi ci restate: andate cauti, camminate avveduti, che non sono questi pericoli da scherzare.
VI. E ciò per quello che s’appartiene al demonio. – Quanto a Dio poi, chi non sa che voi, ricascando, meno potrete confidar innanzi di quegli ajuti, i quali Egli per l’addietro vi diede, affinché sorgeste? Perocché ditemi: come volete ch’Egli più si fidi di voi, se voi già più volte siete bruttamente mancati a lui di parola; e dopo avergli asseverato, protestato, promesso di non più offenderlo, ritornate sempre ad offenderlo più di prima? Questo dunque è trattar da uomo di onore? Giuda, per mantener la promessa fatta a Giacobbe di restituire a lui Beniamino dall’Egitto, si offerse a restar egli in dura prigione. Giosuè, per mantener la promessa fatta a’ Gabaoniti di serbar loro amistà, come collegato, s’indusse a trarsi addosso un’aspra battaglie. Regolo, quantunque gentile, per mantenere ancor egli ai Cartaginesi la sua famosa promessa di ritornare, se non si conchiudeva il riscatto, non dubitò di andare incontro ad un’atrocissima morte, chiuso ignudo dagli emoli in una botte, foderata tutta di pungoli spaventosi. – E a fine di mantener la parola a Dio, non volete voi contentarvi di patir nulla? non di frenare un appetito di senso? non di reprimere un impeto di furore? Che fede è questa, che lealtà, che schiettezza di cuor bennato? Irrisor est, non pœnitens (così dice il gran prelato Agostino), qui adhuc agit quod pœnituit, et peccala non minuit, sed multiplicat. Questo è un beffarsi di Dio, questo è un uccellarlo, questo è trattarlo da meno assai che non fate ad un ciabattino, a un paltoniere, a un pitocco, a cui, per vii ch’egli siasi non volet’essergli apertamente infedeli. Aggiungete, che voi, tornando a peccare, prorompete in un atto d’ingratitudine più eccessivo, il più enorme, che possa usarsi da creatura mortale, qual è sprezzare la grazia restituitavi dopo il primo peccato; e che però voi siete allor quella terra chiamata già dall’Apostolo terra reproba, la quale avendo ricevute dal cielo larghe rugiade, sæpe venientem super se bibens imbrem (ad Hebr. VI, 7), in cambio di dar erbe opportune, produce spine, produce sierpi, proferì tribulos; nè perciò più altro si merita, se non fuoco: cujus consummatio in combustionem ( Ib. VI, 8). Aggiungete, che più grave scandalo; aggiungete, che date più grave lostrate più sordida sfacciatezza; aggiungete, che voi cadete nel numero di quei cani tornati al vomito, di cui si dice che sono sì abbominevoli innanzi a Dio. Canis reversus ad vomitum, così abbiamo in san Pietro (II, 22). Canis qui revertitur ad vomitum suum, così abbiam nei sacri proverbi (XXVI, 11). Ma chi è chiamato così? Già voi lo sapete: imprudens qui iterat stultitiam suam (Ibid.). Vi par però che, almen per quello che spetta a Dio, voi possiate peccar di nuovo, senza manifesto pericolo di perire? Ah, se ciò fosse, non avrebbe di costoro mai definito sì chiaramente il Principe della Chiesa: melius erat illis non cognoscere viam justitiæ, quam post agnitionem, retrorsum converti ab eo, quod illis traditum est, sancto mandato (2 Petr. II 21).
VII. Ma perché andarcene in traccia tante ragioni, mentre noi ne abbiamo una che, bene intesa, supplisce a tutte? Io vorrei però che la udiste con attenzione; perché, quantunque potrà ella forse atterrirvi non leggermente, ciò sarà per vostro profitto; ed io non ho tanto a cuore di riuscirvi giocondo nei miei discorsi, quanto giovevole. E manifesto che presso a Dio tutte le cose umane sono disposte ed in peso ed in numero ed in misura, come disse a lui lo scrittore della Sapienza (XI. 21): omnia in mensura et numero et pondere disposuisti. Sicché non solo il Signore ha già stabilito precisamente quante anime vuol al mondo di mano in mano, ma tiene ancora annoverati i loro atti, le loro parole, i loro passi, i loro pensieri, né ci è pericolo che in veruna cosuccia, quantunque minima, abbiasi punto a trasgredir questo numero già prefisso. Da ciò ne segue, ch’abbia Dio già parimente determinato qual numero di peccati voglia Egli tollerare pazientemente da ciascuno di noi; onde, quando già questo numero sia compito, forza è che al primo, il qual dì poi commettiamo, egli o ci tronchi improvvisamente la vita, oppur ci tolga impensatamente di senno, e così abbandonici in braccio alla dannazione. – Udite santo Agostino (De vita chr. c. 3), per la cui bocca io vi ho finor favellato. Illud sentire nos convenit, tamdiu unumquemque a Dei patientia sustineri, quamdiu nondum suorum peccatorum terminum finemque compleverit; quo consummato, eum illic percuti, nec ullam illi veniam jam reservari. Né di ciò mancano nelle divine Scritture segnalate testimonianze, tratte da ciò che Dio disse prima degli Amorrei; di poi de’ Pentapoliti, ed appresso dei Farisei. Ma, lasciate queste da parte, ne dirò una, la quale è la più cospicua. Peccarono gl’Israeliti più volte per lo deserto, or mormorando, or disperando, or gridando, ora idolatrando; e tuttavia col castigo dato ad alcuni sempre andò congiunto il perdono donato ad altri, finché i meschini non si trovarono a vista della famosissima terra di promissione. Quivi tornarono essi a peccar di nuovo, rammaricandosi come altre volte di Dio, perché gli avesse voluti trar dall’Egitto. Allora Iddio tutto irato disse a Mosè: e fino a quando ho Io più a offrire pazientemente le villanie di costoro? Io li voglio tutti distruggere, quanti sono, con una general pestilenza; li voglio spiantare, li voglio sterminare, li voglio ridurre al niente: usquequo detrahet mihi populus iste? Feriam igitur eos pestilentia atque consumam (Num. XIV, 11 et 12). Contuttociò, intercedendo caldamente Mosè per loro salvezza, finalmente Iddio condiscese a questo partito. A tutti coloro, i quali erano nati dopo l’uscir dell’Egitto, o non molto prima, a tutti fu contento di perdonare; ma quanto a tutti quegli altri, i quali di età già adulta n’erano usciti, non fu possibile ch’Egli più volesse usar loro pietà veruna. Ora mi sapreste voi dire qual fu la ragione, la quale addusse Iddio di sì fatta disagguaglianza? Ascoltate quale. Perché costoro lo avevano irritato già dieci volte: tentaverunt me jam per decem vices ( lb. XIV. 22). Dieci volte già, dieci volte m’hanno irritato; perciò si muoiano tutti. Sì? E così dunque Iddio teneva minutamente contate tutte le volte ch’Egli voleva tollerarli! Oh se gli sfortunati, giunti che furono a quel nono peccato, il qual era l’ultimo termine del perdono, trovato avessero per ventura un amico accorto e animoso, il quale avesse saputo a tempo gridar loro: fermatevi, basta, basta, non passate più oltre, che dopo questo vi sarà al tutto vano sperar pietà, quanto rilevante servigio avrebbe lor fatto! Ma chi lo voleva mai sapere? Troppo incerto è un tal numero, troppo vario: né si osserva con tutti una stessa legge, ma a chi più volte perdonasi, ed a chi meno. – Ond’è che Iddio, se fino al decimo eccesso aveva stabilito di sofferir quegli Ebrei, assai più stretto rigore egli volle usare con gli abitatori di Damasco e di Gaza, di Tiro e di Edom; e però udite ciò ch’egli fece dinunziar loro per bocca di Amos profeta: super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Gazæ, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Gazæ, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Edom, et super quatuor non convertam eum (Amos I. 3, 6, 9 et 11). Il che non altro fu in buon linguaggio che un protestarsi che al quarto eccesso Egli avrebbegli abbandonati; e così letteralmente ciò spiegano, a favor mio, Teodoreto, Remigio, Aimone, Dionigi, il Lirano, ed altri seguaci in ciò dell’interprete massimo san Girolamo ( vide apud Sancium in Amos 1). – Or, posta una dottrina sì soda, sì sussistente, venite qua, Cristiani mici, dite un poco: che sapete voi che quel peccato, da cui voi siete novellamente risorti, non sia quell’ultimo, il quale Iddio ne’ suoi profondi decreti ha prescritto di condonarvi? Avete forse voi del contrario certezza alcuna? Che diss’io certezza? Ne avete voi forse qualche indizio, qualche barlume? Anzi, avendovi Iddio tollerati già non solo, come gli Ebrei, fino a dieci volte, ma fino a venti, ma fine a trenta, ma forse fino alle cento, è molto più verisimile ch’oggimai voi dobbiat’esser puniti, ch’esser sofferti. E voi nondimeno trattate di ricadere? Ahimè, credetemi ch’io per voi tutto palpito, tutto tremo, solamente in riflettere al vostro rischio. Questo peccato, il qual voi trattate or di fare, questo sarà forse quello, a cui non rimane più grazia di sorte alcuna. Non perché al peccatore (ponete niente), non perché al peccatore, fìnch’egli ha vita, o finch’egli ha libertà, non sia sempre possibile ravvedersi di qualsisia gran peccato; questo non può dirsi in sincera teologia; ma perché, quand’egli n’ha compito quel cumulo a lui tassato per lo perdono, convien che al primo, il qual di poi ne commetta, illico percutiatur; ch’è quanto dire, o egli muoia, o egli ammattisca; o, se non altro, restisi privo di quegli aiuti efficaci, senza cui non avviene che alcun si salvi. A che volere star dunque più irrisoluti? Signori no: bisogna fissare il chiodo: clavos tuos consolida, non lo dice forse Dio chiaro per Isaia? (LIV, 2). No, che non è materia questa di lunghe consultazioni, né si vuol mettere la nostra eterna salute a sì gran cimento per un piacer fuggitivo, qual egli siasi, o di vendetta, o d’interesse, o di amore, o di vanità. A tutti i patti convien che vi facciate un poco di forza; e dacché voi per misericordia divina vi siete già felicemente riscossi dalla schiavitù del peccato, convien che vi risolviate a non ricadervi, vadane ciò che si vuole: vadane roba, vadane riputazione, vadane amici, vadane ancor, se bisogni, la vita stessa. Prima morire che più peccare: prima morire, prima morire. Agonizare prò anima tua, sentite come lo dice ben l’Ecclesiastico ( IV, 33). agonizare prò anima tua; e se neppur questo è bastevole, ancor si muoja: et usque ad mortem certa prò justitia.
VIII. Oh quanto grande fu l’allegrezza che il Cielo pigliò di voi, quando voi già fermi per queste sacre feste di rendervi a quel Signore, a cui vi eravate malvagiamente ridotti, ne usciste tutti animosi di casa vostra, ne andaste alla chiesa, vi accostaste al confessionale, e quivi inginocchiativi a’ pie di quel sacerdote, il quale vi sostenea le veci di Cristo, mandaste prima dal cuore un breve sospiro, e poi, battendovi il petto, e bassando i lumi, con vero interno rammarico gli diceste: Padre,io peccai! Oh come allora tutti gli Angeli insieme ne fecero festa! oh che tripudj, oh che trionfi, oh che giubili se ne videro infra i beati! Che affettuose congratulazioni ne furono tosto fatte a Maria vostra protettrice, a Gesù vostro redentore, a Dio vostro padre! Vi basti di risapere che tutti i Giusti unitamente non erano allora al cielo di tanta gioia, di quanta gli era ciascun di voi per sè solo. – E voi, dopo avere al Ciel dato un sì gran diletto, già cominciate a disegnar di ritorglielo, come farebbe chi oggi vi presentasse un ricco regalo, e poi domani ve lo mandasse ripentito a richiedere? Oh che inciviltà! Oh che insolenza! E che altro è ciò, ripiglia il Savio, che un rendersi al tutto odioso? Hodie fœneratur quis, et eros expetit: odibilis est (Eccli. XX, 16). Io fui per dire, era forse meglio che voi non lusingaste tutti i cittadini celesti con la speranza di avervi già riguadagnati per loro eterni compagni, se poi volevate ritornare ad affligerli così presto’, e a convertire le loro cetre in lutto, i lor canti in lagrime, e l’onor lor fatto in più gravo affronto. Væ, filii desertores, vorrei gridar tutto irato, se così fosse, con Isaia (XXX. 1): Væ, fìlli desertores! così dunque si viene a mancar di fede, ut addatis peccatum super peccatim? Mirate bene: voi avete già fatto prova di due padroni, del demonio e di Cristo. Servito avete variamente alcun tempo or l’uno e or l’altro, sicché oramai si può credere che sappiate quale sia ciascuno.. Se però voi, dopo aver lasciato il demonio, ed esservi di presente ridotti a Cristo, lasciate Cristo, e ritorniate al demonio, che sarà ciò? Non sarà un sentenza a note apertissime, che la servitù del demonio vi par migliore, che trovate in essa più gusto, che traete da essa più utilità? Comparationem videtur egisse qui utrumque cognoverit (fu ponderazione tremenda di Tertulliano – De pœnit. c. 2), et judicato pronunciaste eum meliorem, cujus se rursum esse maluerit. – E a un Dio sì buono volete dar questo smacco? Ah no, Cristiani, per quel sangue, il qual Egli ha sparso per voi, per quel sangue io vi supplico, per quel sangue, tanto a voi salutare, non gliene date. Prima morire, prima morire. Altrimenti miseri voi! Væ, f01ìlii desertores, tornerò ad esclamare, che ardire è il vostro? Lasciare un Dio pel demonio? Lasciare un Dio pel demonio? Oh che torto orrendo! E che mai potete cavare dalla servitù dell’inferno, fuorché rancori? Quid tibi vis in via Ægypti, ut bibas aquam turbidam? quid tibi cum via Assyriorum, ut bibas aquam fluminis? (Jer. II. 18). Adunque state pur forti, grida l’Apostolo: state, et nolite iterum jugo servitutis contineri (ad Gal. V. 1). Animatevi, avvaloratevi. Tutto il Cielo è pronto ad assistervi, purché voi gli vogliate esser fedeli. Non dubitate, che col suo patrocinio potrete più di quel che voi credereste. Quanti ivi sono, hanno sofferte assai più aspre battaglio di quante converrà per ventura incontrare a voi: chi fu segato, chi lapidato, chi arso, chi abitò su gli scogli, chi marcì dentro le caverne, chi macerò le carni sue con digiuni portentosissimi, chi con cilicj, chi con catene, chi con carneficine atrocissime d’ogni membro. Eppure agevolmente poterono tutto ciò col favor divino. E perché dunque con questo voi non potrete tanto di meno, quanto sol è non peccar più mortalmente? – Stabiliscasi dunque che così sia, ed a Dio si dica col fedelissimo Giobbe; vostro, o Signore ho deliberato di essere, vostro sono, vostro sarò: justificationem meam, quam cœpi tenere, non deseram (Job XXVII. 6). Toglietemi pur dal mondo, se voi vedete dover giungere un dì, ch’io non sia più vostro.
SECONDA PARTE
IX. Io non dubito punto che voi non siate arrivati bene ad intendere quanto sia grande la necessità ch’or abbiamo a non ricadere. E se i pesci sottrattisi una volta dall’amo, e se i cervi divincolatisi una volta dai lacci, sono da indi in poi più avveduti a non ritornarvi; perché non dovrem fare il simile ancora noi, che pur siamo dotati di tanto più salutevole accorgimento? Riman però chi solamente or ci dimostri una pratica da facilmente eseguire quanto abbiam detto. Ma non dubitate: san Giovanni Crisostomo ce la dà; né, a parer mio, può darsene altra più accertata, più acconcia; e tal è, tenersi lontano dalle occasioni. Non però sol dalle gravi (vedete bene, perché su ciò fu da noi tenuto altra volta, se vi ricorda, un discorso intero), ma dalle più leggiere, dalle più piccole, da quelle ancora, che assai da lungi potrebbero indurvi al malo; sicché se voi siete avvezzi a carnalità licenziose, vi asteniate anche da leggerezze non del tutto lascive; se siete avvezzi a ragionamenti sfacciati, vi asteniate anche dalle facezie non del tutto immodeste; se siete avvezzi a crapule intemperanti, vi asteniate anche dalle delizie non del tutto vietate; e così andate voi discorrendo per gli altri vizi in cui siete usi a cadere. Hoc maxime sccuritatis erit occasio (udite già le parole proprie del Santo – Hom. 15 ad pop.), non tantum peccata fugere verum etiam quæ videntur indifferentia quidem esse seu media, ad peccata vero nos supplantant. Vis pudicus esse? fuge etiam petulantem uspectum. Visa verbis lurpibus abesse? Fuge etiam risum solutum. Vis ebrietate separari? fuge delicias, et lautas mcnsas, et vinum radicitus extirpa.
X . Ma voi direte che dagli amici devon chiedersi cose oneste; laddove il voler tanto da voi, quanto qui si è detto, che altro sarebbe in verità che dannarvi ad una vita non solamente stentata, ma insopportabile? Che non sia poco, quando voi vi guardiate da colpe espresse: nel rimanente voler che voi vi asteniate ancor dai trastulli non proibiti, non sozzi, ma indifferenti, ciò vi par troppo. Troppo? Ahimè che dite, uditori? fermate, un poco; che non mostrate, così dicendo, d’intendere quanto voi di presente dobbiate a Dio, ed a quanto vi obblighi lo stato, in cui vi trovate, di penitenti. E che direste se vi avess’io richiesti, come altri fanno, di asprissimi, flagellazioni sanguigne, cilicj irsuti, silenzj indispensabili, veglie lunghe? Osereste voi dire che fosser troppo? Pensate dunque s’è troppo non voler altro se non che vi priviate di alcuni piacerucci, per altro leciti, dappoiché tanti ne ammessi de’ licenziosi, de’ laidi, per non aggiungere ancor degli scandalosi! – Non così certo fu di parere il re Davide allora ch’egli, ardendo un giorno di sete, bramò quell’acqua freschissima di Betlemme. Oh con quanta avidità, recata che fu, la mirò, la tolse, ed accostossela, per trangugiarla in pochi sorsi alle labbra! Ma poi, tutto a un tratto restando, si mutò di animo: e, senza pur volerne gustare una sola gocciola, la sparse in aria, e sacrificolla al Signore: noluit bibere, sed libavit eam Domino (2 Reg. XXIII, 16). E per qual cagione fe’ ciò? Sapete perché? ne risponde il pontefice san Gregorio. Si venne Davide a ricordare in quel punto dei diletti pigliati pochi anni innanzi con Rersabea; e però, colmo di profondissimo orrore, riputò audacia che più pensasse a cavarsi capricci leciti chi si era un tempo sfogati anche i disonesti. Et quia se illicita perpetrasse meminerat. contra semetipsum jam rigidus, voluit etiam a licitis abstinere (Greg. hom. 34 in Evang.). Pare a voi dunque gran fatto che, ricordandovi ancora voi degli spassi da voi pigliati più volte ad onta di Dio, veniate un poco per amor d’esso a privarvene di qualcuno, permesso sì, ma non però sicurissimo, come sarebbe d’un festino, d’un ballo, d’una commedia, d’un libretto amoroso, di un detto vano? Ah no, signori miei cari, non convien credere che l’istesso fervore sia sufficiente ad un peccatore convertito, qual poteva esserci allor ch’egli era innocente. E però in figura di ciò noi troviamo nelle Scritture che gli Israeliti, dopo la lor lacrimosa cattività ritornati in Gerusalemme, furono nel culto divino molto più puntuali, come fu osservato da Beda; e che i Maccabei, dopo una fuga rincoratisi alla battaglia, furono nel dispregiare la vita molto più forti come fu considerato da Bachiario: per tacer d’altri, che qui sarebbe ora lungo di annoverare. Non mi dite dunque ch’è chiedere da voi troppo, chieder che voi vi teniate ora lontani da alcune occasioncelle di colpa, quantunque piccole; perché maggiore si richiede in voi di presente la perfezione.
XI. Ma senza ciò, guardate ch’altra risposta io vi voglio dare inaspettatissima. Voglio che voi, com’io diceva, vi astenete dalle occasioni leggiere, non però per vostra maggior mortificazione, signori no, ma per maggior comodo vostro; mercecché assai più difficile vi sarebbe donare il poco ad una vostra mal regolata passione, a negarle il molto, che non vi sarà di fatica a negarle tutto. Mi spiegherò. San Giovanni Crisostomo muove un dubbio, che a certi giovani, vagheggiatori di dame cosi insaziabili, sarà forse caro il saperlo: per qual cagione allora che Cristo corroborò nella nuova legge i precetti intimatici dall’antica, condannasse con termini significativi sì pesanti un guardo lascivo. Non sarebbe bastato dannar gli adulteri, dannar gli stupri, dannar le fornicazioni? Perché però mostrarsi tanto sollecito ancor de’ guardi, i quali nulla per sé stessi ridondano a danno altrui? Rende il Santo a ciò una risposta degnissima del suo ingegno, cioè divina, e dice: Cristo aver proceduto così, per facilitarci la strada del paradiso. Perché fingete che si stimi lecito un guardo, qual si diceva: quanto più duro ci sarà, dopo quel guardo, non ritenere nella mente l’amabile rimembranza della bellezza guardata, non invaghirsene, non infiammarsene, non cedere a quegli assalti che tosto il senso ribelle ci muoverà, per far che passiamo alle fornicazioni, agli stupri ed agli adulteri, che non ci sarebbe stato difficile l’astenersi perfettamente anche dal medesimo guardo! Il non guardare agevolmente si ottiene da chi che sia con un torcimento di volto, con un bassamente di ciglia, con un leggiero distrarsi a qualche altro affare; ma non così si ottiene ancora il resistere a quegli assalti che succedono dopo di aver guardato. Questi richiedono un valor sovrumano, una virtù somma, quale non si posson promettere di se stessi neppure i Santi; e però, conchiude il Crisostomo: propterea et Christus eum supplicio mulctavit, qui muliere impudico aspectu fuerit contuitus, ut majore labore nos liberaret (Hom. 2 in epist. ad Rom.). Essendo assai men difficile non lasciare appiccare il fuoco a un campo di stoppie, che non è spegnerlo quand’egli già si è appiccato, e impetuoso già solleva le vampe, già dilata le falde, già è fatto incendio. Or veniamo a nostro proposito. Se voi volete con facilità contenervi da quegli eccessi, a cui le vostre mal frenate passioni vi han già condotti, qual modo c’è? Non cominciare a condiscendere ad esse neppure in parte (intendete, Cristiani?), neppure in parte; perché se voi le appagherete nel poco, credete a me, sarete stretti ad appagarle di breve ancora nel molto.
XII. Ed a che tanto dolersi alcuni di voi della difficoltà che ritrovano, già risorti, a non ricadere? Lo credo anch’io. Se voi tenete in casa vostra i fomenti d’ogni libidine; se, ovunque girate il guardo, non altro voi rimirate intorno la camera se non che pitture lascive, vergognosi trofei della impurità; se ai vostri sensi mai non osate interdire un piccol trastullo; ma o voi dormiate, e volete a giacer le piume più molli; o voi mangiate, e volete a nutrirvi i cibi più eletti; o voi beviate, e volete a dissetarvi i falerni più vigorosi; se godete tanto del lusso, che arrivate a conciarvi come una femmina; se conversate del continuo con gente che ha sbandita dall’animo ogni pietà, dal volto ogni verecondia; se non ragionate mai, che i discorsi vostri non siano o licenziosi nei racconti che fanno, o svergognati nei proverbi che usurpano o sregolati nelle brame che esprimono, se ogni atto, ogni portamento, ogni moto, ogni parola, ogni gesto è come uno sprone, il qual v’incita a peccare, come volete poi nel resistere non sentire le più tormentose agonie? E quello ch’io, sol per cagion di esempio, vi ho divisato nell’unico peccato di senso, fate voi ragion che succeda con proporzione in quegli altri ancora, a cui già la natura sia malavvezza. Sei tu forse troppo sfrenato in correre al sangue? Prescriviti una legge di soffocare, appena nato, lo sdegno. Il dissimular sui principi una paroletta pungente li sarà nel vero molesto, ma tollerabile; laddove se tu per quella accendi una rissa, quanto ti sarà poi difficile uscir d’impegno! E tu sei forse troppo scorretto nell’accenderti in giuoco? lmponti un’obbligazione di non appressarti, benché invitato, alle bische. Il ripugnar da principio a quello scostumato compagno ti parrà per ventura strano, ma comportabile; laddove se tu per esso rientri in cricca, quanto ti sarà poi penoso restar dal vizio! – Ha la natura donate l’ale agli uccelli, signori sì; ma per qual effetto? Perché si sbrighino dalle panie, da’ lacci, poiché v’han dato? Non già; ma perché gli schivino. Lo schivarli sia loro legger fatica; ma lo sbrigarsene, oh che dibattimenti richiede, oh che strappate, oh che scosse! Né però basta. Or così appunto, se noi crediamo a san Giovanni Grisostomo, sia di noi. Le buone massime, i proponimenti onorati, i pii sentimenti ci serviranno come l’ale agli uccelli, non ad uscire da quelle reti che il demonio tien tese per l’universo, ma a non entrarvi. Entrati che noi vi siamo, sarà difficile spiccare un volo sì vigoroso, che vaglia a scapparne liberi. Sed quantumeumque resilierimus, capti sumus (Chrys. hom. 15 ad pop.) Su dunque: questa sia quella pratica divinissima, la qual noi questa mattina apprendiamo a non ricadere: tenersi lungi dalle occasioni di peccato, quantunque piccole; dai lacciuoli. Qui cavet laqueos, securus erit (Prov. XI,15). E quando noi dal canto nostro adempiamo ciò che a noi tocca, fidiamoci poi di Dio; perché quantunque la perseveranza finale sia dono in tutto grazioso, in tutto gratuito, non però mancherà così il buon Signore di pietosamente concederla ancora a noi.