[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)
AGGIUNTA AL COMBATTIMENTO SPIRITUALE. (2)
Che abbia Iddio fatto per l’uomo, e con che animo, e che sarebbe per fargli, se fosse bisogno.
CAP. XXI.
Quello che Iddio abbia fatto all’uomo, e
per l’uomo, si può vedere medicando la Creazione, e la Redenzione. L’animo poi,
con cui l’abbia fatto, ed operato la sua salute, supera l’infinito. – Infinito
è stato il prezzo del riscatto, ma l’animo è stato più perché avrebbe voluto
patire più e più volte morire, se fosse strato bisogno. Se dunque al riscatto
tu devi tutta te stessa infinite volte, in qual modo resti debitrice all’anima
di Dio verso di te, che avanza e supera esso riscatto.
Che faccia Iddio ogni giorno per l’uomo.
CAP. XXII.
Non giorno, non è momento che l’uomo non riceva da Dio nuovi benefizi, perché ogni giorno e momento Iddio lo crea, conservandolo nell’essere. Ogni momento Iddio lo serve con le sue creature col Cielo, con l’aria, con la terra, con il mare, e con quanto è in loro. Ogni giorno gli dà la sua grazia, chiamandolo dal male al bene, guardandolo che non pecchi, e peccando lo aiuta perché più non pecchi. L’aspetta, lo chiama a penitenza, e venendo a Lui più presto gli perdona, che non è Egli presto a volere il perdono. Ogni giorno gli manda il suo Figliuolo, con tutte le ricchezze de’ misteri della Croce, e glielo tiene presente nel Sacramento dell’Altare.
Questa bontà mostri Iddio aspettando e tollerando il peccatore.
CAP. XXIII.
Perché tu conosca quanto di bontà mostri Iddio, sostenendo il peccatore, considera prima che amando Iddio la virtù indicibilmente, cosi all’incontro odia infinitamente. Che bontà dunque mostra Iddio sostenendo il peccatore, che innanzi agli occhi della sua purità e Maestà commette molte scelleratezze, non una, due, o tre volte , ma più, e più? – Ben mi avvedo (può dire il peccatore) Signor mio, che quando io peccavo, tu mi dicevi al cuore: Staremo a vedere, chi di noi due la vincerà, Tu ad offendermi, ed Io a perdonarti. Questo punto ben meditato, credo accenderà, con la grazia di Dio, il cuore del peccatore, perché presto si converta a Dio. Che se non lo farà, ha da temere molto gli alti ed inscrutabili giudizi di Dio, dai quali sogliono uscire colpi di vendetta molto presti, tremendi, e senz’alcun rimedio.
Che sia per fare Iddio nell’altra vita, non solo a chi l’ha sempre servito, ma al peccatore convertito.
CAP. XXIV
Sono tali, e tanti i favori, e le felicità, che si ricevono da Dio nella celeste Patria, che qui non si possono immaginare, né si sanno desiderare chiaramente, e compiutamente. Chi arriverà mai ad intender bene che cosa sia sedere l’uomo alla mensa di Dio, ministrandoli Egli, e cibandolo della sua beatitudine? Chi s’immaginerà che cosa sia l’entrata dell’anime beate nel gaudio del Signor suo? E chi comprenderà mai l’amore e la stima, che mostra Iddio ai suoi Cittadini di cui parla S. Tommaso nell’Op. 63. Deus omnìpotens singulis Angelis sanctisque animabus in tantum se subiicit, quasi sit servus emptisius singulorum, quilibet vero ipsorum sit Deus suus. – O Signore, o Signore, chi va spesso profondamente considerando le tue opere verso le creature, ti ritrova così inebriato d’amore, che pare che la tua beatitudine consista in amarle, in far loro bene, ed in cibarle di te stesso. O Signore, dacci questa suddetta considerazione, in tal modo che poi ti amiamo, ed amandoti, diventiamo te stesso per unione amorosa. O cuore umano, dove corri? Appresso l’ombra? Appresso il vento? Appresso il niente? Lasciando quello che è ogni cosa? L’Onnipotenza? La somma Sapienza? L’ineffabile Bontà? L’increata Bellezza? Il sommo Bene, ed il Pelago infinito di ogni perfezione? Egli ti corre appresso, chiamandoti con tanti cari gridi e nuovi benefizi, non che con gli antichi solamente. Sai, donde nasce un tanto tuo male? Perché non ori! Perché non mediti! Onde stando senza luce, e senza calore, non è meraviglia che non ti muovi dalle opere delle tenebre. – Entra, entra ormai, o anima, o Religioso tiepido, nella scuola della suddetta meditazione ed orazione, che in essa tu imparerai per prova, che il vero studio del Cristiano e del Religioso, è studiare di negare la propria volontà, perché faccia quella di Dio, odiare se stesso, perché ami Dio. E che tutti gli altri studi, senza questo (siano pur di tutte le scienze) non sono altro, che legna di presunzione e di superbia, e che quanto più illuminano l’intelletto, più accecano la volontà a rovina delle proprie anime, di chi l’acquista.
Del quinto soccorso della volontà umana.
CAP. XXV
L’Oblio di noi stessi è un soccorso necessario alla volontà nostra, perché senza quello non verrà mai il soccorso dell’Amore divino, Autore d’ogni bene. Il modo di conseguirlo è che prima si domandi a Dio, poi, che si vadano meditando i danni, che ha fatto, e fa tuttavia l’amor proprio all’uomo. Non è stato danno, né in cielo né in terra, che non sia nato dall’amor proprio. Questo amor proprio, e di noi stessi, è di tanta malignità, che se l’entrata sua in cielo fosse possibile, di subito da celeste Gerusalemme, diventerebbe una Babilonia. Or si consideri, che fa questa dentro un petto umano, ed in questa vita presente. Togli l’amor proprio dal mondo, che di subito l’Inferno si serra. E chi sarà quegli tanto empio contro se stesso, che meditando l’essere, la qualità, e gli effetti dell’amor proprio, non se gli sdegni contro, e non l’odi?
In qual modo si possa conoscere l’amor proprio.
CAP. XXVI
Perché tu conosca, quanto sia in te largo e s’estenda il regno dell’amor proprio, ricorri spesso a vedere con quale passioni dell’anima sia più spesso occupata la volontà tua, perché non la ritroverai sola. E ritrovandola che ama o desidera, o che sia allegra, o mesta; considera allora bene, se la cosa amata, o desiderata, sia delle virtù e secondo i precetti di Dio, e l’allegrezza parimente, o la tristezza, se sia di quelle cose, di cui Dio vuole che ci rallegriamo, o attristiamo; ovvero il tutto nasca dal Mondo e dagli attacchi delle creature, perché sta negoziando con le creature, non per necessità, e quanto ricerca il bisogno, e come vuole Iddio; e s’è cosi, è chiaro che l’amor proprio regna nella tua volontà, e muove il tutto. Ma se i negozi ed occupazioni della volontà sono intorno alle virtù e nelle cose che vuole Iddio, è più da considerarsi, s’ella a quei negozi è mossa dalla volontà di Dio, oppure da qualche sua compiacenza e capriccio, perché spesso accade, che alcuno mosso da un so che di capriccio e compiacenza, si dia a diverse opere buone, come alle orazioni e digiuni, alle comunioni e ad altre opere sante. La prova di questo è in due modi. L’uno è se la volontà tua non si da nelle occasioni a tutte le opere che sono buone indifferentemente. E l’altro è, se sopravvenendo gli impedimenti, si lamenta, inquieta e turba; ovvero, succedendo a voglia sua, si compiace di se stessa, e si diletta. Che se è mossa da Dio, oltre il suddetto, s’ha da considerare, dove ed a che fine indirizza essa più le opere sue. Perché se il fine è il puro compiacimento di Dio, va bene il negozio, ma non però in tal modo che l’uomo vi si possa assicurare, tanto è sottile, ed acceso nelle opere buone e negli atti di virtù, l’amore di noi stessi. Quando appare manifesta questa crudelissima bestia dell’amor proprio, devesi con ogni odio perseguitare a morte, e nelle cose piccole, non che nelle grandi solamente. Dell’occulto si deve sempre star sospetto. Onde umiliata, datti la mano nel petto, dopo qualunque opera buona, pregando Iddio che ti perdoni e guardi, dall’amore di te stessa. Sarà dunque bene, che a buon ora la mattina, rivolta tu al Signore, ti protesti, che il tuo pensiero è di non offenderlo mai, e particolarmente in quel giorno, ma di far sempre in ogni cosa la sua divina volontà, e questo per piacergli. Del che ne pregherai spesso Iddio, che ti soccorra sempre e tenga la mano sul capo, acciocché tu conosca, e faccia quanto a Lui piace, e come a Lui piace.
Del sesto soccorso.
CAP. XXVII
L’ascoltare la Messa, è il sesto soccorso della volontà dell’uomo, la Comunione ancora e la Confessione. Perché essendo la grazia di Dio necessario soccorso, e principale della nostra volontà, acciò si guardi dal male, e faccia il bene, ne segue che tutto quello in cui si acquista aumento di grazia, sia soccorso dalla volontà. Perché tu adunque ascoltando le Messe acquisti aumento di grazia, l’ascolterai nel seguente modo. Nella prima parte (che in tre si divide la Messa) che si estende dall’introito infino all’Offertorio, studierai di accenderti di un desiderio grande, che siccome il Figliuolo di Dio dal Cielo venne e nacque al Mondo, perché in questa nostra terra si accendesse il fuoco del suo amore, così si degni di venire e nascere con la sua virtù nell’intimo del tuo cuore, ut ardeat, non pensando ad altro, che a piacergli in ogni occasione, mentre vivi e sempre. Quando poi dal Sacerdote si dicono le orazioni, col desiderio acceso, domanda anco tu, anima bisognoso, le stesse grazie. E cominciandosi a dire l’Epistola e l’Evangelo, domanda con la mente a Dio intelletto e virtù, perché intenda il senso loro, e l’osservi in tutto. – Nella seconda parte, la quale incomincia dall’Offertorio fino alla Comunione, toltati tutta da ogni attacco e pensiero delle creature, e di te stessa, offriti tutta a Dio, e ad ogni suo volere. – Ed alzandosi l’Ostia, e il calice consacrato, adoraci il vero Corpo, e Sangue di Cristo, con tutta la Divinità. Contemplando sotto quegli accidenti di pane, e di vino ascoso, rendigli amorose grazie, che ogni giorno si degni venire a noi con i frutti preziosi dell’albero della Croce sua, e con la stessa offerta, per gli stessi fini, ch’Egli fece di sé al celeste Padre, offrilo tu ancora all’istesso Padre. Poi comunicandosi sacramentalmente il Sacerdote, comunicati spiritualmente, aprendogli il cuore, con chiuderlo a tutte le creature, affine che esso Signore vi accenda il fuoco del suo amore. Nella terza ed ultima parte, insieme col Sacerdote, egli con la lingua, e tu con la mente, domanderai quanto nelle orazioni dopo la Comunione si domanda.
Della Comunione Sacramentale.
CAP. XXVIII
Poiché tu comunicandoti, riceva aumento grande di grazia, ci bisognano ottime disposizioni, le quali non potendole noi avere da noi, tali quali si convengono, si dirà con grande affetto la seguente Orazione. Conscientia nostras, quæsumus Domine, visitando purifica, ut veniens JESUS Christus Filius tuus, Dominus noster, cum omnibus Sanctis, paratam sibi in nobis inveniat mansionem. Qui tecum, etc. Ma per non mancare noi dalla nostra parte di far qualche cosa insieme con l’aiuto divino, la preparazione tua farà il considerare prima: a che fine Cristo istituì il Ss. Sacramento dell’Altare. E ritrovando, che fu, perché ci ricordassimo dell’amore che ci mostrò nei misteri della Croce, considera di più: A che fine vuole questa memoria. Ed essendo, a fine, perchè noi l’amassimo, ed ubbidissimo, ottima preparazione sarà la nostra, un desiderio e voglia accesa di amarlo, ed ubbidirlo, dolendoci che per lo passato non l’abbiamo amato, ma offeso. E con questo desiderio, e voglia accesa di amarlo, ci prepariamo infino al tempo della Comunione. In quello poi che sei per comunicarti, avvivando la fede, che sotto quegli accidenti di pane consacrato, sia il vero Agnello di Dio, che toglie i peccati, adoralo profondamente, e pregalo, che tolga dal tuo cuore ogni peccato occulto, con tutti gli altri, ricevilo con la speranza, che ti abbia a dare il suo amore. Ricevuto che l’avrai, ed introdotto nel tuo cuore, domandagli più e più volte il suo amore, ed ogni altro bisogno per piacergli. Dopo l’offrirai al Celeste Padre, per sacrificio di lode della sua immensa carità, che ci ha mostrata in questo beneficio, ed in tutti gli altri della Redenzione, e perchè ti dia il suo amore e per li bisogni dei vivi, e dei morti.
Della Confessione Sacramentale.
CAP. XXIX
La Confessione, per esser fatta come si deve, ha bisogno di più cose. prima d’una buona ricercata di coscienza intorno ai precetti di Dio, ed allo stato tuo. E ritrovati i tuoi peccati, benché piccoli, piangili amaramente, considerando l’offesa della Maestà di Dio e l’ingratitudine contro la sua bontà e carità, usata dall’uomo: onde vituperandoti, dirai contro te queste belle parole: Haccine reddis Domino, stulte, et insipiens? Nunquid non ipse est Pater tuus, qui possedit te, et fecit, et creavìt te? – E ripigliando più volte una voglia accesa, che non fosse stato offeso Dio, di’: Oh, che non fosse stato offeso il mio Creatore, il mio Padre Celeste, il mio Redentore, ed avessi io patito ogni altro male. – Poi rivolta à Dio, con erubescenza e fede, che ti abbia a perdonare, digli di tutto cuore: Pater, peccavi in cœlum, et coram te; jam non sum dìgnus vocari filius tuus; fac me sicut unum ex mercenariìs tuis. – E ripigliando di nuovo il dolore dell’offesa divina, con proponimento di voler piuttosto sopportare qualunque pena, che volontariamente offender Dio; confessa i tuoi peccati al Confessore con erubescenza e dolore, appunto come li hai fatti, senza scusarti, o accusar altri. Dopo la Confessione, rendi grazie a Dio, che contuttoché tanto e tante volte è offeso, non resta però, che Egli non sia più presto al perdonare, che il peccatore a ricevere il perdono. Dal che pigliando occasione di più dolerti d’aver offeso un sì benigno Padre, con più piena volontà proponi di non volere più offenderlo con l’aiuto suo, e di MARIA Vergine, e dell’Angelo Custode, e d’altro particolare tuo devoto Santo e Protettore.
Come s’abbia a vincere la passione disonesta.
CAP. XXX.
Tutte le altre passioni si vincono affrontandole, e combattendole, benché si ricevano delle ferite, e col richiamarle ancor a battaglia, insino a tanto, che si superino in ogni voglia loro, e grande e piccola. Ma questa passione disonesta non solo non bisogna eccitarla, ma allontanarla da tutte quelle cose che la potessero eccitare. Vincesi dunque la tentazione della carne, e si mortifica la passione disonesta, fuggendo, e non combattendo da fronte a fronte. Chi dunque più presto fugge, e più lontano, più sicuramente vince. – I buoni abiti, la volontà sincera, le prove passate e le vittorie, le parentele, e gli oggetti di poca e brutta apparenza, che non minacciano pericolo, e qualsivoglia altra cosa, che paia promessa di sicurtà, non sono buoni argomenti, perchè tu non debba fuggire. Fuggite, fuggi, se non vuoi esser presa, anima diletta. Che se vi sono delle persone, che praticando con persone pericolosissime tutta la vita loro, non siano cadute, questo non tocca a te, ma ai giudizi di Dio: oltre che, ove alle volte non si vedono le cadute, ivi si sta più per terra. Fuggi tu, ed ubbidisci agli avvisi, ed esempi, che Iddio ti dà nella Scrittura, e nella vita di tanti gran Santi, ed ogni giorno in questo, ed in quello. Fuggi, fuggi, lenza volgerti indietro a vedere, o pensare da che oggetto tu sii fuggita, che anche in questo è il pericolo, che non ritorni addietro. E bisognando praticare, sia corta e presta la tua pratica, ed abbia piuttosto del rustico il trattare, che del gentile, che anche qui sta il rischio, la fiamma ed il fuoco. – Qui va bene quell’avviso: Ante languorem adhibe medicinam. Non aspettare, che t’infermi, ma fuggi a buon’ora, che quella è la medicina di salute. E venendoti per disgrazia l’infermità, tutta la salute sta che nell’istesso momento, che si sente: Tu teneas, et allidas parvulos tuos ad petram; correndo al Confessore, senza nascondergli un peccatuccio veniale di questa passione, perché questo nascosto, germoglia più, e si fa grande.
Da tante cose s’ha da fuggire, perché non si cada nel vizio disonesto.
CAP. XXXI
La fuga, perché non si diano le ali al
ischio della passione dell’amore disonesto, ha da essere da molte cose. La
prima, e principale è delle persone, che minacciano evidente pericolo. La
seconda, anco dalle altre, quando si può. La terza, dalle visite, dalle
ambasciate, dai presenti, ed amicizie, benché larghe, perché le cose larghe, si
possono fare strette più facilmente che non le strette larghe. La quarta dai
ragionamenti dì tal passione, dalle musiche e canzoni, e libri di poco buoni
costumi. La quinta fuga, da pochi conosciuta ed avvertita, e meno praticata, la
fuga dal diletto universale delle creature, come di vestimenti, di varie cose,
che si tengono nelle camere solo per diletto, di cibi ed altre cose, i quali
diletti, sebbene il più delle volte sono leciti, tuttavia avvezzano il cuore
dell’uomo a dilettarsi, e lo tengono avido di diletto. Onde offrendoglisi poi
il disonesto (che di natura sua è presto a ferire, ed a penetrare le midolla
delle ossa), difficilmente esso cuore trova la via di mortificarsi nei diletti,
non avendola mai altre volte praticata. Onde all’incontro i cuori avvezzi a
fuggire dai diletti leciti, accadendo che se gli offrano degli illeciti e
disonesti, ne fuggono dal nome solo, non che da essi, con facilità grande.
Che cosa s’abbia a fare, quando in questo vizio disonesto s’è caduto.
CAP.
XXXII
Accadendo, che per disgrazia o talora per malizia tu sia caduta in questo vizio di carne, il rimedio è, perché tu non aggiunga peccato a peccato, che corra presto con ogni velocità, senz’altro esame di coscienza alla Confessione, ove lasciare tutte le prudenze umane, tu dica a bocca piena, e manifesti tutta la tua infermità, pigliando qualunque medicina e consiglio ti vien dato, sia pur amaro e duro, quanto si voglia. Non indugiare, siano pur cento e mille ragioni dell’indugio, perché se tu indugi, tu ricadi, dal cui ricadimento nascono poi altri indugi, di maniera, che da indugi, ricadimenti, e dai ricadimenti, nuovi indugi procedendo, verrai a passare gli anni, innanzi, che ti confessi, e che ti levi dal peccato. Per conclusione dunque di questo vizio disonesto, ti avviso di nuovo, che se non vuoi cadere, fuggi. E dei pensieri, che ti vengono per piccoli, che siano, stimali, e fuggili, niente manco dei grandi e per molta chiarezza, che avessi, quando li hai fuggiti presto, sono peccati leggeri, confessali pure, e scopri il tuo nemico al confessore. Ed essendo caduta, corri alla Confessione, non ti lasciando mai vincere dalla vergogna.
Di alcuni motivi, perché il peccatore debba convertirsi presto a Dio.
CAP. XXXIII.
Il primo motivo, perché il peccatore debba ritornare a Dio, è la considerazione dello stesso Iddio, il quale essendo il sommo Bene, la somma Potenza, Sapienza, e Bontà, non deve l’uomo avere ardimento di offenderlo. – Non per via di prudenza, perché è mala elezione, pigliarsela con l’onnipotenza, e col supremo Giudice, che l’ha da giudicare. Non per via di convenienza e di Giustizia, non essendo cosa da tollerarsi, che il niente, il fango, e la creatura offenda il Creatore: il servo il Signore, il beneficato il suo Benefattore: il figlio il Padre. – Il secondo motivo è l’obbligo grande del peccatore, perché presto ritorni in casa di suo Padre, essendo la conversione del figlio ed il ritorno in casa, onore al Padre, e festa a tutta la casa sua, alla vicinanza, ed agli Angioli del Cielo. Ché siccome prima, peccando, il figlio offese il Padre, e lo irritò, così ritornando con i pianti amari dell’offesa, e con piena volontà di volergli per l’avvenire in tutti i suoi precetti ubbidire, ed in ogni cosa, l’onora, lo rallegra, e gli ferisce in tal modo il cuore, e muove a misericordia, che non gli basta l’aspettarlo con desiderio, ma correndogli all’incontro, gli cade sul collo, lo bacia, e lo veste della sua grazia, e degli altri doni suoi. Il terzo è l’interesse proprio, perché ha da considerare ogni peccato, che se non si converte a tempo, di certo venendo l’inverno, ed il giorno del sabato, per sempre cadrà nelle pene dell’Inferno, dove quando mai non fosse altra pena, che l’accrescerglisi in infinito le passioni, che lo tenevano in peccato, senza speranza che pur una volta abbia di quelle acque che gli piacevano tanto, quanto ne può portare la sommità di un dito, questo lo dovrebbe atterrire. Né è buona fidanza il suo proponimento di convertirsi nell’ultimo di sua vita, o di là ad alcuni anni, o mesi, perché questo proponimento è pazzo, e pieno di empia malizia. Effetto di poco cervello è proporre di superare una difficoltà grande nel tempo, che l’uomo si trova più fiacco. Il peccatore continuando nel peccato, ogni giorno diventa più fiacco alla conversione, e per l’abito, che va più crescendo e convertendosi in natura, e per l’indisposizione maggiore a ricevere la grazia della conversione: ed anche perché sdegnando Dio con l’empia malizia di pigliarsi quanto può alle creature, e poi all’ultimo fiato, o tardi darsi a Dio interessatamente, viene a togliergli la voglia di aiutarlo efficacemente. È anche da pazzo il suddetto consiglio e proponimento perché, concessagli la possanza della conversione, e la grazia efficacia, la sicurtà poi, che trattando non muoia di spirito, e senza parola come a tanti e tanti è avvenuto ed avviene, chi gliela data o darà. – Grida, grida, peccatore adesso che leggi, al tuo Signor dicendo: Converte me, et convertar, quia tu Dominus Deus meus! Né cessar mai, infino a tanto che non sii convertito al tuo Signore e Padre, piangendo dirottamente la sua offesa, con una rassegnazione a quanto gli piacerà per per sua soddisfazione.
Del modo di procurarsi il pianto dell’offesa a Dio, e la conversione.
CAP. XXXIV
Miglior modo di procurarsi il pianto dell’offesa di Dio, non è che la meditazione della grandezza della Bontà di Dio, e non della sua carità che ha mostrato all’uomo. Perché chi considera, che peccando ha offeso il sommo Bene, e l’ineffabile Bontà, che non sa se non far bene, né altro ha fatto e fa tuttavia, piovendo delle sue grazie, e dando del suo lume ad amici e nemici, perchè poi l’abbia offeso per un niente, per un capriccio, e per un poco di falso diletto, non può che piangere dirottamente. Ti metterai dunque innanzi ad un Crocifisso, ove immaginandoti che dica: Aspice in me, e poi considera ad una ad una le mie piaghe, perchè dai tuoi peccati io sono stato piagato e così maltrattato, come tu vedi. – E sono pur Io il tuo Iddio, il tuo Creatore, il tuo benigno Signore, e pietoso Padre. Onde, Revertere ad me, con pianto puro, con voglia accesa che Io non fossi stato offeso, e con piena volontà di voler tollerare qualunque pena, perchè più non mi offenda: Revertere ad me, quoniam redemi te. – Poi pigliato Cristo nella tua immaginazione con la Corona in capo di spine, e con la canna in mano, tutto piagato, t’immaginerai, che ti dica Ecce Homo! Ecco l’uomo, che amandoti con amore ineffabile ti ha redenta con questi scherni, con queste piaghe e con questo Sangue, Ecce Homo, quest’Uomo è l’offeso da te, dopo tanto amore mostrato, dopo tanti benefici. – Ecce Homo. Quest’Uomo è la misericordia di Dio, e la redenzione copiosa. Quest’Uomo, per te, con tutti i suoi meriti si offre al Padre ogni ora e momento. Quest’Uomo sedendo alla destra del Padre, per te interpella, e per te fa l’Avvocato, perchè dunque mi offendi? Perché non ritorni? Revertere ad me quia delevi ut nubem iniquitates tuas, et quasi nebulam peccata tua.
Di alcune ragioni perché si vive Senza pianto dell’offesa di Dio, senza virtù, e senza la Cristiana perfezione.
CAP. XXXV
La ragione perché l’uomo dorma nella tiepidità, né levandosi dal peccato si dia alla virtù, come si deve, sono molte, e fra le altre sono le seguenti: Perché l’uomo non abita dentro di sé a vedere, che si fa nella sua casa, e chi la possiede, ma vago e curioso, ne mena i giorni in passatempi di vanità. E se pure vi sta occupato in cose lecite e buone in se stesse, di quelle poi che importano alla virtù, ed alla perfezione Cristiana, non ne ha pensiero alcuno, e se talora l’ha, e conosce il suo bisogno, ed è da Dio chiamato ed ispirato a mutar vita, risponde: Cras, cras,… poi, poi. Né mai viene l’Oggi, ed Adesso, perché avendo il vizio del Cras e del poi, in ogni Oggi, ed in ogni Adesso, gli si partorisce il Cras, ed il Poi. Non mancano degli altri che credendosi che la mutazione vera della vita e gli esercizi delle virtù consistano in certe divozioni loro, spendono quali tutto il giorno a dire Pater noster, ed Ave, senza però, che si metta la mano alla mortificazione delle passioni loro disordinate, le quali li tengono attaccati alle creature. – Altri si danno agli esercizi di virtù, ma fabbricano senza i fondamenti loro, avendo ciascheduna virtù il suo proprio fondamento, come l’umiltà ha per fondamento il desiderio d’esser tenuta da poco, da nulla, ed esser confusa da altri, e d’esser vile negli occhi suoi, perché chi fonda prima, e fabbrica questo fondamento, con allegrezza poi riceve le pietre della fabbrica dell’umiltà che sono le poche stime, che questi e quelli fanno di noi, e le occasioni di fare atti d’umiltà. Onde accrescendosi il desiderio di essere bassamente stimati, e ricevendo volentieri la poca stima, che ne vien fatta da altri, si va acquistando l’umiltà, domandandola soprattutto spesso a Dio, in virtù del suo umiliato Figliuolo. E sebbene si fa tutto questo da alcuni, non si fa però per amore della virtù, e per piacere a Dio. Dal che ne nasce che gli atti della virtù, non corrispondono con tutti ed in ogni luogo: essendo con questi umile, e con quegli superbo. Umile in presenza d’altri, superbo con quelli, la stima dei quali non confà ai suoi disegni. Vi sono degli altri, che desiderando la perfezione cristiana, la vanno procurando dalle forze loro che son debolissime, dalle industrie ed esercizi propri, e non da Dio, col diffidarsi di loro stessi; epperò vanno in dietro piuttosto che innanzi. – Né manca chi appena entrato nella via della virtù, subito si dia a credere d’esser arrivato alla perfezione, e così fatto vano in se stesso, svanisca anco nelle virtù. Perché tu dunque acquisti la virtù e la perfezione Cristiana, prima diffidati di te stessa, poi confidata in Dio, studia d’accenderti di desiderio, quanto più sia possibile, avanzandolo ogni giorno. Sta in oltre avvertita che non ti fugga dalle mani qualche occasione di virtù, sia pur essa grande, o piccola. E fuggendoti castigati in qualche cosa, né lasciar mai questo castigo. – E per molto, che cammini alla perfezione, ogni giorno fa conto, che allora incominci; e studiati di fare qualunque atto con tanta diligenza, come se in quello solamente consistesse la perfezione; e così fa poi nel secondo, nel terzo, e negli altri. Con quella diligenza guardati dai difetti piccioli, con cui i diligenti si guardano dai grandi. – Abbraccia la virtù per la virtù e per piacere a Dio, che a questo modo con tutti farai la stessa, sola ed accompagnata. E saprai a questo modo talora lasciare la virtù per la virtù, e Dio per Dio. Non declinare, né a destra, né alla sinistra, né ti voltare addietro. Sii discreta amica della solitudine, della meditazione, e dell’orazione, pregando spesso Iddio, che ti dia le virtù e la perfezione, che vai cercando, perché Iddio è il fonte d’ogni virtù e la perfezione, a cui ci chiamano ogni ora.
Dell’amore verso i nemici.
CAP. XXXVI
Avvenga, che la perfezione Cristiana sia la compita obbedienza dei precetti di Dio, nientedimeno dal precetto d’amare i nemici procede principalmente: tutto è somigliante al costume di Dio questo precetto. Onde volendo tu acquistare compendiosamente ed in breve la suddetta perfezione, studia d’osservare compitamente quanto comanda Cristo nel precetto d’amare i nemici. Amandoli, facendo loro bene e pregando per loro. Non a stampa e lentamente, ma con tanto affetto, che quasi scordata di te stessa, tutto il cuor tuo si dia all’amor loro, ed a pregare per loro. Del far loro bene poi, in quanto tocca al bene dell’anima, hai da stare avvertita, che da te piglino mai occasione d’offender le anime loro, mostrando sempre con i gesti del corpo, con le parole e con le opere, che li ami e stimi, e che in te è sempre prontezza di Servirli. Degli altri beni temporali, quelle, che s’ha da fare, la prudenza, ed il giudizio l’andrà raccogliendo dalla qualità dei nemici, dallo stato tuo e dalle occasioni. Se tu attenderai a questo, vedrai che la virtù, e la pace entrerà nel tuo cuore a gran piena. Né questo precetto ha quella difficoltà, che altri credono. Duro è alla natura, non è dubbio, ma a chi vuole, e sta sull’avviso d’esser presto a mortificar i moti della natura, e dell’odio, diventerà facile, portando egli nascostamente dentro una dolce pace, e facilità. Pure, perché li soccorra la nostra debolezza, ti servirai di quattro potentissimi aiuti. – Uno è l’orazione, spesso domandando a Cristo questo amore in virtù del suo, il quale stando in Croce, prima si ricordò dei nemici, poi della Madre, e nell’ultimo di se stesso. – Il secondo aiuto sarà il dire teco: Precetto del Signore è ch’io ami i nemici, dunque devo farlo. – Il terzo, che tu mirando in loro la viva immagine di Dio, che loro diede creandoli, ti svegli a stimarla, ed amarla. – Il quarto, che mirandovi di più il riscatto ineffabile, con che sono stati da Cristo riscattati, che non è stato oro, ed argento, ma il suo sangue, t’adopri in modo che non sia indarno speso, perso conculcato.
Dell’esame di coscienza.
CAP. XXXVII.
L’esame di coscienza da’ diligenti si suol fare tre volte il giorno: Innanzi pranzo, innanzi vespro; e innanzi, che si vada a letto. Che se questo non si può da alcuno, quello della sera non si deve tralasciare mai: che se Iddio due volte mirò l’opere che fece all’uomo, l’uomo non mirerà a quel tanto che fa a Dio, a cui egli ha di più a rendere stretto conto più d’una volta. L’esame si farà in questo modo: – prima domanderai a Dio lume perché tu conosca tutto l’interiore ed opere tue. – Poi comincerai a considerare come sei stata chiusa e raccolta nel tuo cuore, e come l’hai guardato. – Terzo, come hai in quel giorno obbedito a Dio in tutte le occasioni che ti ha date, perché lo servissi. Qui non dico altro, che quella terza considerazione chiude in sé lo stato, ed obbligo di ciascuno. Della corrispondenza alla grazia e delle opere buone, ringraziato che ne avrai Dio, scordatene affatto rimanendo desiderosa di cominciare di nuovo il tuo cammino, come se niente ancora avessi fatto. Dei mancamenti, difetti, e peccati, rivolta a Dio, digli dolendoti dell’offesa sua: Signore, io ho fatto da quello che sono. Nè qui mi sarei fermata, se la tua destra non mi avesse tenuta: del che ti rendo grazie: Fa’ tu ora, ti prego Signore mio, in nome del tuo diletto Figlio, da quel che sei. Perdonami e dammi grazia, perché più non ti offenda. Per penitenza poi dei tuoi mancamento, e per stimolo di emendazione, mortifica la tua volontà in qualche cosuccia lecita, che ciò a Lui molto piace. Lo stesso dico del corpo, e fa che non lasci queste, o somiglianti penitenze, se non vuoi, che le ricerche della tua coscienza siano piuttosto a stampa e per un non so che uso di tiepidi, senza frutto.
Di due Regole per vivere in pace.
CAP. XXXVIII.
Sebbene, chi vive secondo quel tanto che s’è detto fin qui, sempre sta in pace, tuttavia voglio in quest’ultimo Capitolo darti due regole racchiuse anco nel suddetto, le quali osservando, tu vivrai quieta in questo Mondo iniquo, quanto sia possibile. L’una è, che tu attenda con ogni diligenza a vieppiù chiudere la porta del tuo cuore ai desideri; essendo il desiderio il legno lungo della Croce e dell’inquietudine, il quale sarà grave secondo la grandezza del desiderio. E se. di più cose saranno i desideri, più saranno i legni a più croci preparati. Onde venendo poi le difficoltà, e gli impedimenti, che non si eseguisca il desiderio, ecco l’altro legno, ch’è il traverso della Croce, sopra della quale rimane inchiodato il desideroso. – Chi dunque non vuol Croce, non desideri, e ritrovandosi in Croce, lasci il desiderio che in quello che lo lascerà, egli sarà sceso dalla Croce. Né vi è altro rimedio. – L’altra regola è che quando sei molestata, ed offesa da altri, non ti dia alla considerazione di quelli, considerandovi diverse cose, e che non dovevano far questo con te, e chi sono, o si pensano d’essere e somiglianti cose, le quali tutte sono legna, ed accendimento d’ira, di sdegno, e d’odio. – Ma ricorri subito in tali casi alla virtù, ed ai precetti di Dio: perché tu sappi quel che devi fare e non falli peggio di loro. Che a questo modo ritroverai la via della virtù, e della pace. – Che se tu poi con te, non farai quello che devi, che meraviglia è, che altri teco nol facciano? E se ti piace di vendicarvi di chi ti offende, devi prima fare vendetta di te stessa, di cui non hai maggiore inimico, ed offensore.
IL FINE.