CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (21)

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XX.

(seguito del precedente).

Il Sacrificio: atto religioso il più significativo ed il più inesplicabile — Esso racchiude due misteri: un mistero d’espiazione e un mistero di rinnovamento; un mistero di morte e uno di vita — Tristezza e gioia; due caratteri del sacrificio — Manifestazione della gioia: danza, canti, banchetti — Triplice modo di mangiare la vittima — Parodia satanica di tutte queste cose — Come il Re della Città delbene, cosi il re della Città del male esige sacrifici — Esso ne determina la materia e tutte le circostanze: nuova testimonianza di Porfirio — Egli comanda in odio del Verbo incarnato, il sacrificio dell’uomo — Parallelismo: il Capro emissario presso gli Ebrei ed i Targelii presso i Greci — Medesimi sacrifici presso i popoli pagani,antichi e moderni: testimonianza.

Di tutti gli atti religiosi il sacrificio è senza dubbio il più significativo e nel tempo stesso il più inesplicabile.

Il più significativo. — Nessuno eleva così in alto la gloria di Dio: poiché nessuno proclama così eloquentemente il supremo suo dominio sulla vita e sulla morte di tutto quello che esiste. Ecco perché nell’antico come nel nuovo Testamento il Signore riserba a sé solo il sacrificio; perché colpisce con i suoi fulmini il temerario che osasse attribuirselo; (Qui immolat diis occidetur, praeterquam Domino soli. – Èxod. XX, 20.); perché non dissimula il piacere misterioso ch’egli prende all’odore delle vittime; perché infine lo chiede per sempre. (Vedi la maggior parte del capitolo del Levitico e dei Numeri).

Il più inesplicabile. — Nulla accusa più altamente una origine soprannaturale. I lumi della ragione non giungeranno giammai a scoprire, come il peccato dell’uomo può essere cancellato col sangue di una bestia. Qui essendo ogni cosa divina, si comprende che nulla è stato lasciato all’arbitrio dell’uomo. Perciò noi vediamo che nella Città del bene, la scelta delle vittime, le loro qualità, il loro numero, il modo di offrirle, il giorno e l’ora del sacrificio, i preparativi dei sacerdoti e le disposizioni del popolo; in una parola tutto ciò che si riferisce da presso o da lontano a quest’atto solenne, è divinamente ispirato e ordinato. – Ora, il sacrificio contiene un duplice mistero; mistero di espiazione e mistero di rinnovamento: mistero di morte e mistero di vita. Mistero di espiazione: l’uomo nell’offrire alla morte un essere qualunque, confessa da un lato che è desso che meriterebbe d’essere immolato, e che la vittima non è altro che il suo rappresentante; dall’altro egli proclama la più assoluta dipendenza riguardo a Dio, il bisogno che ha di Lui, e la riconoscenza alla quale è tenuto per la vita e per tutti i mezzi di conservarlo. – Mistero di rinnovamento: l’uomo mediante l’autentica protesta che egli fa della sua colpabilità e del suo nulla, si ripone di rimpetto a Dio nei suoi veri rapporti; egli si ritempera e si rigenera. Di qui due caratteri invariabili dei sacrifici: una tristezza solenne accompagnata, o seguita da una gioia che si manifesta con le dimostrazioni le meno equivoche, la danza, il canto ed i banchetti. (Come la musica, così la danza è un linguaggio divino nella sua origine e nel suo fine. Per ciò tutti i popoli hanno ballato in onore dei loro dei. David ballava in onore del vero Dio. Nella Chiesa Cattolica si è, per parecchi secoli, danzato nelle feste religiose. satana si è impadronito del ballo, e tutti i popoli, suoi schiavi, hanno ballato in suo onore, cominciando dai Coribanti della Grecia e dai Salii di Roma, sino ai Dervisci di Stamboul: dai Gitunpers e i Metodisti sino ai settari del Vandoux. — In Dionigi d’Alicamasso si legge (Kb. II, c. 18): « I Romani gli chiamano Salii (sacerdoti di questo nome) a motivo del loro movimento e del loro agitarsi continuo: imperocché essi si servono della voce salire per ballare e saltare: è per questa ragione che essi chiamano salitores tutti gli altri danzatori, traendo il loro nome da quello di Salii, perché essi saltano ordinariamente nel ballare. Ma ognuno potrà giudicare da ciò che essi fanno, se ho ben riscontrato, rapporto all’etimologia del loro nome. Imperocché essi ballano in cadenza al suono del flauto, tutti armati, ora insieme, ora uno dopo l’altro, e mentre che ballano essi cantano altresì alcuni inni del paese.) –  Tuttavia il banchetto è più che un segno di gioia. II sacrificio non è utile all’uomo se non in quantoché l’uomo partecipa della vittima. Cosi insegna la fede di tutti i popoli, fondata sulla natura medesima del sacrificio. Ora l’uomo mangiando si assimila la carne immolata, facendosi vittima. Tale è il modo più energico di proclamare che è lui e non essa che deve perire. Quindi l’uso universale di mangiare, in tutti i sacrifici. Solamente succede materialmente, moralmente o in modo figurato. Materialmente, quando si mangia realmente la carne della vittima; moralmente, quando invece si mangiano delle frutta o delle focacce offerte insieme; in modo figurato quando si prende parte ai pasti dati in occasione del sacrificio. Tali sono nella Città del bene le leggi, la natura e le circostanze di questo grande atto. –

Con una abilità sovrumana, il re della Città del male si è impadronito di questi mezzi divini e li ha fatti volgere a pro suo. Il sacrificio è la proclamazione autentica della divinità dell’essere a cui si rivolge. satana che vuole essere tenuto per Dio, se l’è fatto offrire; e persino nei minimi particolari egli contraffà Jehovah: « I demoni vogliono essere dii, dice Porfirio, e il capo che li comanda aspira a sottentrare al Dio supremo. Essi si dilettano nelle libazioni e nel fumo delle vittime, che ingrassa nel tempo stesso la loro sostanza corporea e spirituale. Essi si nutrono di vapori, di esalazioni, diversamente, secondo la diversità della loro natura, ed acquistano delle forze nuove col sangue e col fumo delle carni abbrustolite. » (Apud Euseb., Præp. evang., lib. IV, c. XXII). – Sant’Agostino e san Tommaso ci danno il vero significato delle parole di Porfirio, spiegandoci la natura del piacere che i demoni pigliano dall’odore delle vittime: « Quel che si stima nel sacrificio non è il pregio della bestia immolata, ma ciò che essa significa. Ora significa l’onore reso al sovrano padrone dell’universo. Quindi quella parola: I demoni non godono dell’odore dei cadaveri, ma degli onori divini. 2 » [In oblatione sacrifìcii non pensatur pretium occisi pecoris, sed signifìcatio, qua fìt in onorem summ rectoris totius universi. Unde sicut Augustinus dicit (De civ. Dei, lib. X, c. xix, ad fin.): « Dæmones non cadaverinis nidoribus, sed divinis honoribus gaudent. » 2a 2æ, q. LXXXIV, art. 2, ad 2]. satana non si contenta di domandare dei sacrifici: come il vero Dio, così egli si permette di determinarne la materia e di regolarne le cerimonie. Dopo aver fatto giuramento di dire la verità intorno ai misteri demoniaci, Porfirio si esprime in questi termini: « Trascriverò per conseguenza i precetti di pietà e di culto divino che l’oracolo ha proferiti. Quest’oracolo d’Apollo espone l’insieme e la divisione dei riti che debbonsi osservare per ciascuno Dio. « Entrando nella via tracciata da un Dio propizio, ricordati di compiere religiosamente i sacri riti. Immola una vittima alle beate divinità: a quelle che abitano gli emisferi celesti; a quelle che regnano nell’aria e nell’atmosfera piena di vapori: a quelle che presiedono al mare ed a quelle che sono nell’ombre profonde dell’Èrebo. Imperocché tutte le parti della natura sono sotto la potestà degli dei che la riempiono. Io conterò da prima il modo con cui le vittime debbono essere immolate. Inscrivi il mio oracolo sopra vergini tavolette. « Agli dei Lari tre vittime; altrettante agli dei celesti. Ma con questa differenza: tre vittime bianche agli dei celesti; tre di color di terra agli dei Lari. Dividi in tre le vittime degli dei Lari; quelle degli dei infernali tu le seppellirai in una fossa profonda col loro sangue ancor caldo. Alle ninfe, fai delle libazioni di miele e doni di Bacco. Quanto agli dei che svolazzano intorno la terra, che il sangue inondi i loro altari da ogni parte; e che un uccello intero sia gettato nei sacri focolari; ma innanzi tutto consacra loro delle focacce di miele e di farina e orzo, misti ad incenso e ricoperti di sale e di frutta. Allorché tu sarai venuto per sacrificare sulla riva del mare, immola un uccello e gettalo intero nelle profondità dei flutti. « Compiute tutte queste cose secondo i riti, avanzati verso gli immensi cori dei celesti dei. A tutti rendi lo stesso onore sacro. Che il sangue mescolato alla farina sgorghi a grosse gocce, e formi dei depositi stagnanti. Che le membra conosciute delle vittime rimangano come dono agli dei; getta le estremità alle fiamme e il rimanente serva per i conviti. Co’ grati profumi di cui tu riempirai l’aria, fai salire sino agli dei le tue ardenti suppliche.1 » – Ibid.,lib. IV, c. IX). – Tali sono con molti altri, i riti obbligati dei sacrifici richiesti dal re della Città del male. Sono tutti una contraffazione sacrilega delle prescrizioni religiose del Re della Città del bene. Ora l’immaginazione indietreggia spaventata dinanzi all’incalcolabile moltitudine di animali di ogni specie, dinanzi alla somma favolosa di ricchezze d’ogni genere, involate alla povera umanità dal suo odioso e insaziabile tiranno. Pur tuttavia, respirare la fragranza dei più preziosi aromi, assaggiare l’offerta delle più belle frutta, bere a lunghi sorsi il sangue degli scelti animali, non gli basta: gli bisogna il sangue dell’uomo. La storia degli umani sacrifici rivela nelle sue ultime profondità l’odio del grande Omicida, contro il Verbo incarnato e contro l’uomo suo fratello. Quest’odio non potrebbe essere più intenso nella sua natura, né più esteso nel suo oggetto. Da una parte esso va fin dove può andare, cioè alla distruzione; d’altra parte, il sacrificio umano ha fatto il giro del mondo. Egli regna ancora dappertutto dove regna senza contrapposto il re della Città del male. Tanto ò il divertirsi a stabilire l’esistenza del sole, che l’accumulare le prove di questo mostruoso fenomeno. Noi ci contenteremo di ricordare alcuni fatti, atti a mostrare fin dove satana spinge la parodia delle divine istituzioni, la sua sete inestinguibile di sangue umano e la sua preferenza, libera o forzata, per la forma del serpente. – Tra i riti sacri prescritti a Mosè, io non so se ve ne sia nessuno dei più misteriosi e più celebri di quello del “caprone emissario”. Due caproni, nutriti per quest’uso, erano condotti dal gran sacerdote all’ingresso del Tabernacolo. Carichi di tutti i peccati del popolo, uno era sacrificato in espiazione, l’altro cacciato nel deserto per segnare l’allontanamento dei meritati flagelli. Il sacrificio aveva luogo ogni anno verso l’autunno, per la festa solenne delle Espiazioni. Questa istituzione divina, il re della Città del male si dà premura di contraffarla. Ma egli la contraffà a suo modo: invece del sangue di un caprone, esige il sangue di un uomo. Ascoltiamo come ce lo raccontano gli stessi pagani con la loro gelida calma e orribile usanza. Nelle repubbliche della Grecia, e specialmente ad Atene, si nutrivano a spese dello Stato alcuni uomini vili ed inutili. Accadeva una peste, una fame od altra calamità, si andava a prendere due di queste vittime e le si immolavano per purgare la città e liberarla! Queste vittime si chiamavano demosioi, nutriti dal popolo; pharmakoi, purificatori; Katarmata, espiatori. Era costume sacrificarne due alla volta: uno per gli uomini, ed uno per le donne, senza dubbio, allo scopo di rendere più completa la parodia dei due capri emissari. L’espiatore per gli uomini portava una collana di fichi neri; quello delle donne una di fichi bianchi. Affinché tutti potessero godere della festa, si sceglieva un luogo comodo per il sacrificio. Uno degli arconti, o principali magistrati, era incaricato di curarne tutti i preparativi e di sorvegliarne tutti i particolari. Il corteggio si poneva in marcia accompagnato da cori di musici, esercitati da lunga mano e superbamente organizzati. Durante il tragitto, si battevano sette volte le vittime con rami di fico e con reste di cipolle selvatiche, dicendo: Sia la nostra espiazione e il nostro riscatto. Giunti al luogo del sacrificio, gli espiatori erano arsi sopra un rogo di legno selvatico e le loro ceneri gettate al vento in mare, per la purificazione della città infetta. D’accidentale che era in principio, il sacrificio divenne periodico, e ricevette il nome di festa dei Thargelii. Lo si faceva in autunno, e durava due giorni, durante i quali, i filosofi celebravano con allegri banchetti la nascita di Socrate e di Platone. Così ogni anno nella stessa stagione, mentre il vero Dio si contentava del sangue di un montone, satana si faceva offrire il sangue di un uomo. (Annali, luglio 1861, p. 46 e seg. Si crederebbe forse che i dizionari greci classici, invece di darci delle parole il loro vero significato, amino di fare dei contro sensi, piuttosto che rivelare questi abominevoli particolari? Cosi è che il Rinascimento inganna la gioventù e con essa l’Europa cristiana, sul conto della bella antichità. Id., ib.). – Nella stessa categoria si può collocare l’annuo sacrificio offerto dagli Ateniesi a Minosse. Gli Ateniesi, avendo fatto morire Androgeo, essi furono decimati dalla peste e dalla fame. L’oracolo di Delfo, interrogato sulla causa della duplice calamità e sul modo di porvi un termine, rispose: « La peste e la fame cesseranno, se voi designate con la sorte sette giovanetti e altrettante giovanette vergini per Minosse: voi le imbarcherete sul mare sacro come rappresaglia del vostro delitto. A questo modo voi vi renderete propizio il Nume. » (Ex Oenomao apud, Euseb., Præp. e vang. lib. V. c. XIX). Le infelici vittime venivano condotte nell’isola di Creta e rinchiuse in un labirinto, dove esse erano divorate da un mostro, mezz’uomo e mezzo toro, il quale non si nutriva che di carne umana. « Chi è dunque quell’Apollo, quel dio salvatore che consultano gli Ateniesi, chiede Eusebio agli autori pagani, storici del fatto? Senza dubbio, egli va ad esortare gli Ateniesi al pentimento ed alla pratica della giustizia. Si tratta bene di simili cose! Che cosa importano tali cure per questi eccellenti dei, o piuttosto per questi demoni perversi? Al contrario fa loro d’uopo di atti dello stesso genere, spietati, feroci, inumani, aggiungendo, come dice il proverbio, la peste alla peste, la morte alla morte. « Apollo ordina loro di mandare ogni anno al Minotauro sette adolescenti e sette giovani vergini, scelti tra i loro figli. Per una sola vittima quattordici vittime innocenti e candide! E non una volta solamente, ma per sempre; di maniera ché sino al tempo della morte di Socrate, più di cinquecento anni dopo, l’odioso e atroce tributo non era ancora soppresso presso gli Ateniesi. Ciò fu infatti la causa del ritardo apportato all’esecuzione della sentenza capitale decretata contro questo filosofo. » (Præp. evang., lib. V, c. XVIII). – Oltre queste periodiche immolazioni, gli Ateniesi nelle circostanze difficili, non esitavano nulla più degli altri popoli della bella antichità di ricorrere, a richiesta degli Dei, ai sacrifici umani. Era il momento di dichiarare battaglia alla flotta di Serse. « Mentre che Temistocle, scrive Plutarco, faceva agli Dei dei sacrifici sulla nave ammiraglia, gli si presentarono tre giovani prigionieri di una straordinaria bellezza, magnificamente vestiti e carichi di ornamenti d’oro. Dicevasi che fossero i figli di Sandace, sorella del re, e di un principe di nome Artaycte. « Al momento in cui gli apparve l’indovino Eufrantide osservò che una pura e chiara fiamma usciva di mezzo alle vittime, ed un augure a destra mandò uno starnuto. Allora appoggiando la sua mano diritta sopra Temistocle gli ordinò, dopo avere invocato Bacco Omestis (mangiatore di carne cruda), di sacrificare a lui questi giovanetti, assicurandolo che la vittoria e la salute dei Greci sarebbero in tal modo assicurati. » Temistocle, sembra esitare; ma i soldati vogliono che sia secondato il parere dell’indovino, ed i giovani sono sacrificati.22 (In Themist, c. III , n. 8). – A similitudine dei Greci, avevano i Romani eziandio i loro pubblici espiatori. Erano tante vittime scelte e anticipatamente consacrate. Nelle pubbliche calamità si andava a prenderle per scannarle nel luogo in cui erano nutrite: simile al macellaio che va a cercare nella stalla il bove che dee esser macellato. (Com. a Lap., in Levit., xvi, 10; et Dyon, Halicarn. apud Euséb., Præp. evang., lib. IV, c. XVI). – La capitale della civiltà pagana, Roma, ha sacrificato umane vittime sino alla comparsa del Cristianesimo; e tra i sacrificatori, Dione Gassio cita l’uomo il più eminente dell’antichità, Giulio Cesare. « In seguito ai giuochi ch’egli fece celebrare dopo i suoi trionfi (nei quali fu scannato Vercingetorige) i suoi soldati si ammutinarono. Il disordine non cessò che allor quando Cesare si fu presentato in mezzo ad essi, e che ebbe preso da sé uno degli ammutinati per consegnarlo al supplizio. Questi fu punito per questo motivo; ma altri uomini furono inoltre scannati a modo di sacrificio. Essi furono sacrificati nel campo di Marte, dai pontefici e dal flamine di Marte. (Hist. Rom., XLIII, c. 24).Aggiungiamo con Tito Livio, che era permesso al console, al dittatore ed al pretore, quando consacrava le legioni dei nemici, di consacrare non sé medesimo, ma il cittadino che egli voleva, preso nella legione romana. (Lib. VIII, c. 10 – Tutti i giochi dell’ anfiteatro in onore di Giove Laziale cominciavano con un sacrificio umano). – I Romani ed i Greci non erano che gli imitatori dei popoli dell’Oriente e dei Fenici in particolare. Vicini degli Ebrei, dei quali conoscevano i sacri riti, questi ultimi poterono infatti ricevere sino da principio, e accettare senza resistenza, la contraffazione del capro emissario. « Presso questo popolo, dice Filone di Biblos, vi era un’antica usanza, che nei gravi pericoli, per prevenire una rovina universale, i capi della città o della nazione consegnano i più cari dei loro figli per essere immolati, come riscatto ai due vendicatori. Cosi Crono re di quel paese, minacciato di una guerra disastrosa, sacrificò egli medesimo il suo unico figlio sull’altare che aveva per questo eretto. L’immolazione della vittima era accompagnata da misteriose cerimonie. » (Apud Euseb., Præp. evang. lib. IV, c. XVI). – In tutti i luoghi in cui il Cristianesimo non ha distrutto il suo impero, il re della Città del male continua la feroce parodia. I Tergelii sussistono tuttora presso i Condii popolo dell’India, tali all’incirca come gli abbiamo visti nella Grecia or sono tre mila anni. Ivi si ingrassano dei fanciulli che si scannano a centinaia a primavera, ed il cui sangue sparso sui prati, passa per avere la virtù di fecondarli. Alla data del 6 settembre 1850 il vescovo d’Olène vicario apostolico di Visigapatam (India inglese) scrive: « Il governo inglese ha creduto dover portare la guerra sin nel centro dei Condi: eccone la ragione. Gli umani sacrifici sono ancora in uso presso questo popolo disgraziato. In occasione di una festa o di una calamità, all’epoca soprattutto delle semente, essi immolano dei fanciulli dell’uno e dell’altro sesso. A questo fine si formano di queste vittime innocenti come tanti depositi per servire nelle differenti circostanze…. Ogni pretesto è buono per questo macello: un pubblico flagello, una grave malattia, una festa di famiglia ecc. « Otto giorni innanzi il sacrificio, l’infelice fanciullo o adolescente, che deve farne le spese, viene legato. Gli si dà da bere e da mangiare quel che desidera. Durante questo intervallo, i vicini villaggi vengono invitati alla festa. Vi accorrono in gran numero. Allorché tutti sono riuniti, si conduce la vittima nel luogo del sacrificio. In generale si ha cura di metterla in uno stato di ubriachezza. Dopo averla attaccata, la folla gli balla intorno. Ad un dato segnale, ogni astante corre a tagliare un pezzo di carne che porta via seco. La vittima è fatta a brani ancor viva. Il pezzo che ciascuno ne stacca per suo proprio conto, deve essere palpitante. A questo modo caldo e sanguinante è portato in tutta fretta sul campo che si vuol fecondare. Tale è la sorte riserbata a coloro che mi parlavano, e pur tuttavia ballarono una gran parte della notte. » (Annali della Propag. della Fede, n. 138, p. 402 e seg.). – Gli stessi sacrifici succedono presso certe popolazioni maomettane dell’Africa orientale: « In una città araba che io conosco,scrive un missionario, (Id. marzo 1863, p. 132), ho visitato una casa nella quale si immolò, quattro anni sono, tre verginelle per allontanare un infortunio che minacciava il paese. Questa barbarie non era il fallo di un solo, ma l’adempimento d’una decisione presa in consiglio dai grandi del paese. Io so da fonte certa, e potrei addurre i testimoni, che quelle infelici vittime della superstizione mussulmana furon fatte a pezzetti, e le loro membra portate e sotterrate in diversi punti del territorio minacciato. » (Annali della Prop. della Fede, n. 138, p. 337, 380). – Simili orrori si commettono in Cina e nell’Oceania: satana è sempre e dappertutto lo stesso. (Ibid., n. 116, p. 49, etc., etc.). – Il genere particolare di sacrifici che abbiamo segnalati, non offre che un’idea molto imperfetta della sua sete insaziabile di sangue umano. Per conoscerla un po’ meglio, è d’uopo ricordarsi che i sacrifici umani hanno esistito dappertutto per duemila anni; che essi sono stati praticati sopra una grande scala; che i giuochi dell’anfiteatro, nei quali comparivano in un solo giorno parecchie centinaia di vittime, erano tante feste religiose; che sotto i Cesari questi giuochi si rinnovavano parecchie volte la settimana; che vi erano anfiteatri in tutte le citta importanti dell’impero romano; che il sacrificio umano aveva luogo fuori delle frontiere di quest’impero; che in America egli ha oltrepassato tutte le conosciute proporzioni; finalmente che la stessa carneficina continua anche adesso, su tutti i luoghi rimasti sotto l’intera dominazione del principe delle tenebre. [Oggi il sacrificio umano offerto a satana, continua nei macelli-sale-operatorie delle cliniche e degli ospedali pubblici e privati, con la barbara pratica omicida degli aborti, che miete milioni di vittime innocenti… – ndr.-]. Nel 1447, trentaquattro anni innanzi la conquista spagnola, ebbe luogo al Messico la consacrazione del Teocalli, o tempio del Dio della guerra, fatto da Ahuitzotl, re del Messico. In nessun paese aveva avuto luogo mai tanta spaventevole carneficina, per onorare questa divinità. Gli storici indigeni, che non si possono accusare né d’ignoranza né di parzialità in questa occasione, portano a 80 mila il numero delle vittime umane immolate in quella festa, della quale danno la seguente descrizione. Il re ed i sacrificatori salirono sopra la piattaforma del tempio. Il monarca messicano si pose accanto alla pietra dei sacrifizi, sopra una sedia ornata di orribili pitture. Ad un segnale dato da una musica infernale, gli schiavi cominciarono a salire i gradini del teocalli; essendo coperti di abiti da festa, e col capo ornato di penne. Via via che arrivavano in cima, quattro ministri del tempio, col volto tinto di nero e le mani di rosso (immagini viventi del demonio), afferravano la vittima e la distendevano sulla pietra ai piedi del regio trono. Il re s’inginocchiava, volgendosi successivamente verso i quattro punii cardinali (parodia del segno della croce), gli apriva il petto, dal quale strappava il cuore, presentandolo palpitante agli stessi lati, e lo rimetteva in seguito ai sacrificatori. Questi andavano a gettarlo al quanhxicalli, specie di trogolo profondo, destinato a quest’orribile sacrifizio. Essi compievano la cerimonia scuotendo ai quattro punti cardinali il sangue, che gli era rimasto attaccato alle mani. Dopo avere sacrificato in tal guisa una moltitudine di vittime, il re stanco presentò il coltello al gran sacerdote; poi questi ad un altro, e così di seguito, fino a che le loro forze non furono esaurite. Secondo le memorie contemporanee, il sangue scorreva lungo i gradini del tempio, simile all’acqua durante i rovesci tempestosi dell’inverno; e si sarebbe detto che i ministri erano vestiti di scarlatto. Questa spaventevole ecatombe durò quattro giorni. Essa aveva luogo alla stessa ora e con lo stesso cerimoniale nei principali templi della città; ed i più grandi signori della corte vi disimpegnavano insieme ai sacerdoti, le stesse funzioni che Àhuitzotl nel santuario del dio della guerra. Ire tributari ed i grandi che avevano assistito al sacrificio, vollero imitarlo nella consacrazione di qualche tempio. Il sangue umano non fu risparmiato. Un autore messicano, Ixtlixochitl, stima a più di cento mila il numero delle vittime che si immolarono quell’anno. Il fiume di sangue umano, che in certe circostanze diventava un gran lago, non cessava mai di scorrere. Come i Greci, i Romani, i Galli ed altri popoli dell’antichità, così i Messicani avevano eziandio i loro Tergelii. In mezzo ad una folta foresta si trovava il sotterraneo consacrato a Pètela, principe dei tempi antichi. Sotto le sue oscure vòlte, il viaggiatore contempla con stupore la bocca spalancata di un abisso senza fondo, dove si precipitano muggendo le acque di un fiume. Quivi si conducevano nei momenti di prova pomposamente gli schiavi od i prigionieri, con questa intenzione. Si coprivano di fiori e di ricche vesti, e si precipitavano nell’abisso in mezzo a nuvole d’incenso, indirizzate all’idolo. Tutti i mesi dell’anno erano segnalati da sacrifici umani. Quello che corrisponde al nostro mese di febbraio, era consacrato ai Genii delle acque. Si acquistavano, per il loro sacrificio, dei piccoli bambini che i padri offrivano sovente da sé medesimi, a fine di ottenere per la prossima stagione, l’umidità necessaria alla fecondazione della terra. Questi bambini si portavano in vetta alle montagne, dove si producono le burrasche, e là si immolavano; ma se ne serbava sempre qualcuno per sacrificarli al principio della pioggia. Il sacerdote apriva loro il petto, strappandone il cuore che veniva offerto in propiziazione alla Divinità; ed i loro corpicini erano serviti dipoi in un banchetto di cannibalismo ai sacerdoti ed alla nobiltà. Un altro mese era appellato lo Scorticamento umano. Il suo patrono era Xipè, il calvo o lo scorticato, detto altrimenti Toiec, cioè dire, nostro signore, morto giovane e di morte infelice (contraffazione evidente del N. S. G. C.). Questa divinità ispirava a tutti un grande orrore. Gli si attribuiva il potere di dare agli uomini le infermità che cagionano il maggior disgusto (mezzo infernale di fare aborrire il Crocifisso); perciò gli si offrivano giornalmente sacrifici umani. Le vittime condotte ai suoi altari erano prese per i capelli e portate sino alla terrazza superiore del tempio. A questo modo sospese, i sacerdoti le scorticavano vive, si rivestivano della loro pelle sanguinosa, e se ne andavano per la città offrendo ad onore del nume. Quelli che le presentavano erano obbligati a digiunare per venti giorni in precedenza, dopo di che si regalavano di una parte dellaloro carne. (Storia delle nazioni incivilite del Messico, dell’abate Brasseur de Bombourg, t. III, p. 341, 21-503 ecc.). Citiamo ancora la festa delle Costumanze nel regno di Dahomey, nell’Africa occidentale. Eccone la relazione scritta nel 1860 da un viaggiatore europeo, testimone oculare di quel che narra: « Il 16 luglio viene presentato al re uno schiavo fortemente sbarrato. Il re gli dà delle commissioni pel suo padre defunto, gli fa rimettere pel suo viaggio, una piastra ed una bottiglia di acquavite, dopo di che lo si licenzia. Due ore dopo, quattro nuovi messaggi partivano nelle stesse condizioni. Il 23 io assisto alla nomina di ventitré ufficiali e musicanti, che stanno per essere sacrificati per entrare al servigio del re defunto. Il 28 immolazione di quattordici prigionieri di cui si portano le teste sopra differenti punti della città, al suono di una grossa campanella. « Il 29 si preparano ad offrire alla memoria del re Ghezo le vittime d’uso. Gli schiavi hanno una sbarra in forma di croce che deve fargli enormemente soffrire: si passa loro un ferro appuntato nella bocca, gli si applica sulla lingua, il che gli impedisce di chiuderla, e per conseguenza di gridare. Questi disgraziati hanno quasi tutti gli occhi fuori del capo. I canti non smettono, come pure le uccisioni. Durante la notte del 30 e del 31 sono cadute più di cinquecento teste. Parecchie fosse della città sono colme di ossa umane. I giorni seguenti continuazione degli stessi massacri. « La tomba dell’ultimo re è un gran sepolcro scavato nella terra. Ghezo sta in mezzo a tutte le sue mogli, le quali prima di avvelenarsi, si sono poste intorno a lui secondo il grado ch’esse occupavano alla di lui corte. Queste morti volontarie possono ascendere al numero di seicento. – Il 4 agosto esposizione di quindici donne prigioniere, destinate a prender cura del re Ghezo nell’altro mondo. Saranno uccise questa notte di un colpo di stile nel petto. – Il 5 è riserbato alle offerte del re. Quindici donne e trentacinque uomini vi figurano, sbarrati e legati con corde, con le ginocchia ripiegate sino al mento, le braccia attaccate al basso delle gambe, e contenuti ciascuno in una paniera da portarsi in capo: la processione ha durato più di un’ora e mezzo. Era uno spettacolo diabolico il vedere il movimento, i gesti, le contorsioni di tutta quella massa di negri. – Dietro di me erano quattro magnifici negri che funzionavano da cocchieri intorno ad un carrozzino destinato ad essere mandato al defunto in compagnia di quei quattro disgraziati. Essi ignoravano la loro sorte. Fattigli tosto chiamare, si sono avanzati tristamente senza proferire una parola ; uno di essi aveva due grosse lacrime che cadevano sulle sue gote. Essi vennero uccisi tutt’e quattro come tanti polli, dal re in persona…. Dopo questa immolazione il re è salito sopra un palco, ha acceso la sua pipa e dato il segnale del sacrificio generale. Furono tosto sguainate le scimitarre, e le teste caddero. Il sangue scorreva da ogni banda; i sacrificatori ne erano ricoperti, e quegli infelici che attendevano la lor volta ai piè del regio palco erano come tinti di rosso. –  Queste cerimonie dureranno ancora un mese e mezzo, dopo di che il re si porrà in campagna per fare nuovi prigionieri, e ricominciare la sua festa delle Costumanze;  verso la fine d’ottobre vi saranno ancora sette o ottocento teste abbattute. » (Ann. della Propag. della Fede; marzo 1861, p. 152 e seg. L’autore di questo racconto non è un missionario. Abbiamo visto un missionario che ci ha Confermato tutti questi particolari, aggiungendo che da dodici anni che è in Africa si può senza esagerazione portare a 16 mila il numero delle vittime umane, immolate nel regno di Dahomey. Vedi il Viaggio del S. Bepin, medico di marina, 1862). – Al re Ghezo è succeduto suo figlio, il principe Badou. L’ascensione al trono del nuovo monarca è stato il trionfo delle antiche leggi, che hanno ripreso tutto il rigore sanguinario reclamato dai Fetisci. « Non bisogna credere che la carneficina si limiti alle grandi feste. Non passa giorno senza che qualche testa non cada sotto la scure del fanatismo. Ultimamente l’Europa ha fremuto, apprendendo che il sangue di tremila creature umane aveva bagnato la tomba di Ghezo. Ahimè! se non vene fossero state che tremila! » Ibid., maggio 1862). – Non solamente a Cana, la città santa di Dohomey, ma ancora a Abomey, capitale del regno, si rappresentano queste sanguinose tragedie. « Chiamati al palazzo reale, scrive un viaggiatore, noi vedemmo novanta teste umane, troncate la mattina stessa; il loro sangue scorreva ancora sul terreno. Quegli avanzi spaventevoli erano schierati da ciascun lato della porta, di modo che il pubblico potesse ben vederli. Tre giorni dopo, nuova visita obbligata al palazzo e lo stesso spettacolo; sessanta teste troncate di fresco, accomodate come le prime da ciascun lato della porta, e tre giorni più tardi altre trentasei. Il re aveva fatto costruire sulla piazza del mercato principale, quattro grandi piattaforme, di dove gettò al popolo dei cauri, sorta di conchiglie che servono di moneta e sulle quali egli fece ancora immolare sessanta vittime umane. (Vedi Il Giro del mondo, n. 168, p. 107). Ecco la forma di questo nuovo sacrificio. « Si recarono grandi ceste contenenti ciascuna un uomo vivo del quale la sola testa usciva fuori. Le si ponevano in un istante in fila sotto gli occhi del re, poi le si precipitarono l’una dopo l’altra, dall’alto della piattaforma sul suolo della piazza, dove la moltitudine, ballando, cantando e urlando, si disputava questa fortuna inattesa, come in altre contrade, i fanciulli si disputano i confetti di battesimo. Ogni Dahomiano abbastanza favorito dalla sorte, per prendere una vittima e segargli la testa, poteva andare all’istante stesso a cambiare quel trofeo in tanti cauris (circa due lire e mezzo.) Quando l’ultima vittima fu decollata, e che due sanguinose pile, una di teste, l’altra di tronchi furono innalzate alle due estremità della piazza; allora soltanto mi fu permesso di ritirarmi Che cosa succedeva dei cadaveri? La storia ci insegna che sempre e dappertutto, il pasto sotto una forma o sotto un’altra, accompagna il sacrificio. Che cosa diventano dunque i corpi dell’innumerevoli vittime del Moloch Dahomiano? « Io ho posto sovente, dice un viaggiatore, questa questione a dei Dahomiani di varie classi, né ho potuto mai ottenere una risposta molto categorica. Io non credo i Dahomiani antropofagi…. Potrebbe darsi nonostante che essi annettessero qualche idea superstiziosa alla consumazione di quegli avanzi, e che essi servissero a delle segrete e ributtanti agapi; ma ripeto, io non ho su di questo che sospetti, i quali han fatto nascere nel mio animo l’esitanza e l’imbarazzo dei negri che ho interrogati a questo proposito. » (Il Giro del mondo, p. 102). Se ne giudichiamo dalla tirannia assoluta, che il grande omicida esercita su quel disgraziato popolo, è più che probabile che i sospetti del viaggiatore non tarderanno a diventare una spaventosa certezza. Con l’odio dell’uomo, e con la sete del suo sangue questa tirannia si rivela da un ultimo passo, unico nella storia: « È ad Abomey che si trova la tomba dei re, vasto sotterraneo scavato da mano umana. Quando muore un re gli si erige nel centro di quel sepolcreto una specie di cenotafio contornato di barre di ferro, e sormontato da un sarcofago, cementato di sangue di un centinaio di prigionieri provenienti dalle ultime guerre, e sacrificati per servire di guardie al sovrano nell’altro mondo. Il corpo del monarca è deposto nel sarcofago, con la testa che riposa sopra i crani dei re vinti. Come tante reliquie della monarchia defunta, si depone a piè del cenotafio tutto quel che si può porvi di crani e di ossa. – « Terminati tutti i preparativi, si apre la porta di quella tomba e vi si fanno entrare otto ahaies, danzatrici della corte, in compagnia di cinquanta soldati; ballerine e guerrieri, muniti di una certa quantità di provvisioni, sono incaricati di accompagnare il loro sovrano nel regno delle ombre: in altri termini, essi sono offerti in olocausto alle ceneri del re morto. Dopo diciotto mesi per l’esaltazione al trono del nuovo re, il sarcofago è aperto ed il cranio del re morto viene ritirato. Il reggente prende quel cranio nella mano sinistra, e tenendo una piccola scure dalla mano destra, ei la presenta al popolo, proclama la morte del re e l’avvenimento del suo successore. Con dell’argilla intrisa di sangue delle vittime umane, si forma un gran vaso, nel quale il cranio e le ossa del defunto re sono definitivamente chiusi. Giammai la sete del sangue del Moloch africano si manifesta più che in queste solennità. Migliaia di vittime umane sono immolate, sotto pretesto d’inviare e portare al fu re la nuova dell’incoronazione del suo successore. » (Il Giro del mondo, 108, 104). Tutti questi orrori si commettono in nome della religione, e vi sono dei pretesi grandi ingegni che dicono che … tutte le religioni sono buone. È dunque indifferente il praticare una Religione che difende sotto pene eterne, l’attentare alla vita dell’uomo, ed una religione che comanda d’immolare gli uomini a migliaia? … una Religione che protegge il fanciullo, la pupilla dell’occhio, e una religione che ordina ai genitori di portare quest’essere prediletto al coltello del sacrificatore, o di gettarlo vivo nelle braccia di una statua incandescente? … una Religione che condanna persino il pensiero del male, e una religione che fa della prostituzione pubblica una parte del suo culto? una Religione che dice: I beni di altri non piglierai, e una religione che adora delle divinità protettrici dei ladri? – Tutti questi orrori si commettono, oggi pure, ad alcune centinaia di leghe distante dalle coste della Francia! E l’Europa cristiana che ha delle migliaia di soldati per fare la guerra al Papa, non ne ha neppure uno per far rispettare le più sante leggi dell’umanità! Una sola cosa ha liberato l’Europa da simili crudeltà, una sola cosa ne impedisce il ritorno, ed è il Cristianesimo. E si trova oggidì in Europa migliaia d’uomini che non hanno voce se non che per insultare il Cristianesimo, non altre penne che per calunniarlo, mani che per batterlo! Ingrati! i quali senza il Cristianesimo sarebbero forse stati offerti in vittima a qualche Ghezo antico, o arsi in un canestro di vetrice, in onore di Teutatès!

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (20)

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XIX.

Storia religiosa delle due Città.

L’uomo nato per diventare simile a Dio e fratello del Verbo incarnato — Nella Città del bene la religione lo conduce a questa rassomiglianza e a questa fraternità — Nella Città del male la Religione lo conduce alla rassomiglianza ed alla fraternità di satana —Parallelismo generale delle due religioni — Tre punti particolari di confronto: la Bibbia, il Culto, il Sacrifizio — La Bibbia di Dio e la Bibbia di satana: parallelismo — Il culto di Dio e il culto di satana — Nel culto satanico, come nel culto divino, nulla è lasciato all’arbitrio dell’uomo: importante testimonianza di Porfirio.

L’uomo compie il suo pellegrinaggio quaggiù tra i due eserciti nemici. Noi conosciamo questi formidabili eserciti, i loro Re, i loro Principi, la loro formazione, i loro piani. Resta da studiare i loro mezzi d’azione, le loro vittorie e le loro sconfitte. Nate nel cielo, la Città del bene e la Città del male, non aspettano che la creazione dell’uomo per stabilirsi sulla terra. Difatti, l’obiettivo della lotta è l’uomo. Adamo è creato; egli respira, apparisce agli sguardi dell’universo, nella maestà della sua regia potenza. Adorno di tutte le grazie dell’innocenza e di tutti gli attributi della forza, egli è bello della bellezza dello stesso Dio, la cui immagine risplende in tutto il suo essere. Per mantenerlo nella sua dignità, durante la vita del tempo; per innalzarlo ad una più alta dignità, durante l’eternità, divinizzandolo, gli è data la Religione. Unire l’uomo al Verbo incarnato, in modo da fare di tutti gli uomini e di tutti i popoli altrettanti verbi incarnati; tale è il fine supremo della Religione. satana nel vedere svilupparsi sulla terra il concetto divino da lui combattuto in cielo, fremette. Per arrestare l’opera della infinita Sapienza, il suo odio spiega tutti i suoi mezzi. Egli oppone alla Religione che deve divinizzare l’uomo e condurlo ad una eterna felicità, una religione che deve imbestiarlo e trascinarlo per sempre nell’abisso dell’infelicità. Tutto ciò che Dio fa per salvare 1′ uomo, satana lo scimmiotta per perderlo. Fra questi mezzi di santificazione e di perdizione il parallelismo è completo. Il Re della Città del bene ha la sua Religione. Il re della Città del male ha la sua. Il Re della Città del bene ha i suoi Angeli; ha la sua Bibbia, i suoi Profeti, le sue apparizioni, i suoi miracoli, le ispirazioni, le minacce, le sue promesse, i suoi apostoli, i suoi sacerdoti, i suoi templi, le formule sacre, le sue cerimonie, le sue preghiere, i sacramenti, i sacrifici. Il re della Città del male ha i suoi angioli; ha la sua Bibbia, i suoi oracoli, le sue manifestazioni,‘i suoi prestigi, le sue tentazioni, le sue minacce, le sue promesse, i suoi apostoli, i suoi sacerdoti, i suoi templi, le sue formule misteriose, i suoi riti, le sue iniziazioni e sacrifici. Il Re della Città del bene ha le sue feste, i suoi santuari privilegiati, i suoi pellegrinaggi. Il re della Città del male ha le sue feste, i suoi luoghi fatidici, i suoi pellegrinaggi, i suoi soggiorni preferiti. Il Re della Città del bene ha le sue arti e le sue scienze; ha la sua danza, la sua musica, la sua pittura, la sua statuaria, la sua letteratura, la sua poesia, la sua filosofia, la sua teologia, la sua politica, la sua economia sociale, la sua civiltà. Il re della Città del male ha parimente tutte queste cose. [Non ha egli forse Satana trovato il suo cantore in Italia in Giosuè Carducci che ha composto un inno in suo onore, e lo stendardo di lucifero non ha egli sventolato e trionfato più volte in questi ultimi anni? – N. d. Ed.] –

Il Re della Città del bene ha i suoi segni di riconoscenza e di preservazione: il segno della croce, le reliquie, le medaglie, l’acqua benedetta.

Il re della Città del male ha i suoi segni cabalistici, le sue parole di passo, i suoi emblemi, i suoi amuleti, i suoi talismani, la sua acqua lustrale.

Il Re della Città del bene ha le sue congregazioni di propaganda e di devozione, legate a voti solenni.

Il re della Città del male ha le sue società segrete, destinate ad estendere il suo regno, e legate da giuramenti terribili.

Il Re della Città del bene ha i suoi doni, i suoi frutti, le sue beatitudini.

Il re della Città del male possiede la contraffazione di tutto ciò.

Il Re della Città del bene è adorato da una parte del genere umano.

Il re della Città del male è adorato dall’altra.

Il Re della Città del bene ha la sua dimora eterna oltre la tomba.

Il Re della Città del male ha la sua nelle stesse regioni.

Svolgiamo alcuni punti di questo parallelismo tremendo e tanto poco temuto: la Bibbia, il culto ed il sacrificio.

L’uomo è un essere istruito. A fine di conservarlo eternamente simile a se stesso, eterizzando l’insegnamento primitivo, il Re della Città del bene ha degnato fissare la sua parola mediante la scrittura: Egli ha dettato la Bibbia. La Bibbia dello Spirito Santo dice la verità, sempre la verità, nient’altro che la verità. Essa la dice intorno all’origine delle cose, intorno a Dio, intorno all’uomo e intorno a tutto quanto il creato. Essa la dice sul mondo soprannaturale, sui suoi misteri, sui suoi abitanti, e sopra i fatti luminosi che provano la loro esistenza ed il loro intervento nel mondo inferiore. Essa la dice sulle regole dei costumi, sulle lotte obbligate della vita, sul governo delle nazioni mediante la Provvidenza, sopra i castighi del delitto e sulle ricompense della virtù. Per illuminare il cammino dell’uomo attraverso ai secoli, consolare i suoi dolori, sostenere le sue speranze, essa gli annunzia mediante numerose profezie, gli avvenimenti che debbono compiersi nel suo passaggio, mostrando in lui tutto il termine finale verso cui deve camminare. La Bibbia dello Spirito Santo dice tutta la verità. Da lei, come da un focolare sempre acceso, escono la teologia, la filosofia, la politica, le arti, la letteratura, la legislazione, in una parola, la vita sotto tutte le sue forme. Per quanto siano così numerosi e così vari tutti i libri della Città del bene, non sono né possono essere che il commento perpetuo del libro per eccellenza. La Bibbia dello Spirito Santo non si contenta d’insegnare, ma canta le glorie ed i benefici del Creatore, canta la bellezza della virtù, la felicità dei puri cuori; canta i nobili trionfi dello spirito sulla carne; e, per educare l’uomo alla perfezione, canta le perfezioni di Dio medesimo, suo modello obbligato e suo magnifico rimuneratore. Ora a misura che il Re della Città del bene ispira la sua Bibbia, il re della Città del male ispira la sua. – La Bibbia di Satana è un miscuglio artificioso di molte menzogne e di alcune verità: verità alterate ed oscure per servire di passaporto alla favola. Essa mentisce intorno all’origine delle cose: mentisce su Dio, sull’uomo e sul mondo inferiore: essa mentisce nel mondo soprannaturale, sui suoi misteri ed i suoi abitanti, mentisce sulle regole dei costumi, sulle battaglie della vita, sui destini dell’uomo. Per mezzo d’oracoli sparsi in ogni sua pagina, essa inganna la curiosità umana, sotto pretesto di rivelarle i segreti del presente ed i misteri dell’avvenire. Ad ogni popolo soggetto al suo impero, satana dà un esemplare della sua Bibbia, lo stesso per il fondo, ma diverso nei particolari. Percorrete gli annali del mondo, voi non troverete una sola nazione pagana che non abbia per punto di partenza della sua civiltà un libro religioso, una Bibbia di satana. Mitologie, libri sibillini, Vedas; sempre e dapertutto avete un codice che ispirato dà nascita alla filosofia, alle arti, alla letteratura ed alla politica. La Bibbia di satana diventa il libro classico della Città del male, come la Bibbia dello Spirito Santo diventa il libro classico della Città del bene. La Bibbia di satana unisce alla prosa la poesia. Sotto mille nomi diversi essa canta lucifero e gli angeli ribelli; essa canta le loro infamie e le loro malizie: inneggia tutte le passioni; e per attirare l’uomo nell’abisso della degradazione essa gli mostra gli esempi degli dei. Oggetto di infiniti commenti, la Bibbia di satana diviene un mortale veleno, anche per la Città del bene. Sant’Agostino ne piange le devastazioni, e san Girolamo denunzia in questi termini il libro infernale: « La filosofia pagana, la poesia e la letteratura pagana, sono la Bibbia dei demoni. » [Cibus est dæmoniorum, sæcularis philosophia, carmina poetarum, rhetoricorum pompa verborum. Epist. de duób. Filiis). – All’insegnamento scritto o parlato non si limita il parallelismo della Città del bene e della Città del male: esso si manifesta in un modo forse più imponente nei fatti religiosi. Nella Città del bene, nessun ragguaglio del culto è lasciato all’arbitrio dell’uomo. Tutto è regolato da Dio medesimo. L’antico Testamento ce lo mostra dettando a Mosè, non solamente gli ordinamenti generali ed i particolari regolamenti, concernenti i sacerdoti e le loro funzioni; ma altresì dando il disegno del tabernacolo, determinandone le dimensioni e la forma, indicante la natura e la qualità dei materiali, il colore delle stoffe, la misura degli anelli, e persino il numero dei chiodi che devono essere adoprati nella sua costruzione. La forma dei vasi d’oro e d’argento, i turiboli, gli arnesi, le figure di bronzo, i sacri utensili, tutto è di ispirazione divina. Lo stesso è del luogo in cui l’Arca deve riposare, dei giorni in cui fa d’uopo consultare il Signore, delle precauzioni da prendere per entrare nel santuario, delle vittime che debbono essere immolate, o delle offerte che bisogna fare per piacere a Jehovah ed ottenere i suoi responsi e i suoi favori. (Exod., xxxv, e seg.). In ciò per cui vi era legge sacra nella Sinagoga, continua ad esservene una non meno sacra nella Chiesa. Nessuno ignora che tutti i riti del culto cattolico, la materia e la forma dei Sacramenti, le cerimonie che li accompagnano, gli abiti dei sacerdoti, la materia dei vasi sacri, l’uso dell’incenso, il numero ed il colore degli ornamenti, la forma generale, e il mobiliare essenziale dei templi, come pure i giorni più favorevoli alla preghiera sono determinati non per i particolari ma per lo stesso Spirito Santo, ovvero in suo nome, per la Chiesa. –  Si comprende quanto questa origine soprannaturale sia propria a conciliare al culto divino il rispetto dell’uomo, e necessaria per prevenire l’anarchia nelle cose religiose. satana ha compreso meglio di noi. Questa grande scimmia di Dio ha regolato da se medesimo tutti i particolari del suo culto. Ecco ciò che bisogna sapere e ciò che non si sa, attesoché, a malgrado dei nostri dieci anni di studi alla scuola dei Greci e dei Romani, noi non conosciamo la prima parola dell’iniquità pagana. Le sue usanze religiose, la forma delle statue, la natura delle offerte e delle vittime, le formule di preghiere, i giorni fasti o nefasti, e tutte le altri parti dei culti pagani, ci appariscono come il resultato della ciarlataneria, dell’immaginazione e del capriccio degli uomini; ma è un errore capitale. La verità è, che niente di tutto ciò è arbitrario. Ascoltiamo l’uomo, che meglio di tutti ha conosciuto i misteri della religione di satana. « É cosa costante, dice Porfirio, che i teologi del paganesimo hanno appreso tutto ciò che risguarda il culto degli idoli dalla scuola medesima dei grandi dei. Essi medesimi hanno loro insegnato i propri segreti più nascosti; le cose che loro piacciono; i mezzi di costringerli; le formule per invocarli; le vittime da offrirli e il modo di offrirle; i giorni fasti e nefasti; le figure sotto le quali volevano essere rappresentati; le apparizioni per le quali essi rivelavano la loro presenza; i luoghi che frequentavano con più assiduità. In una parola, non havvi assolutamente niente che gli uomini non abbiano appreso da essi per ciò che riguarda il culto da rendersi a loro, poiché tutto vi si pratica dietro i loro ordini ed i loro insegnamenti. 1 » (Apud Euseb., Præpar. evang., lib. V, c. XI). – Ed aggiunge: « Quantunque noi si possa affermare ciò che anticipiamo con una infinità di prove senza replica, ci limiteremo a citarne un piccolo numero, per mostrare che parliamo con cognizione di causa. Così l’oracolo di Ecate ci mostrerà, che sono gli dei che ci hanno insegnato come e di qual materia le loro statue debbano esser fatte. Quest’oracolo dice: Scolpite una statua di legno ben levigato come ve lo insegnerò: fate il corpo di una radice di ruta selvatica, poi ornatelo di piccole lucertole domestiche, stiacciate della mirra, dello storace e dell’incenso con gli stessi animali, e lascerete questo impasto all’aria aperta durante il crescer della luna; allora, indirizzate i vostri voti nei seguenti termini. « Dopo aver dato la formula della preghiera, l’oracolo indica il numero delle lucertole che devonsi prendere: quante differenti formule pronunzierò tanti di questi rettili piglierete; e fate queste cose con diligenza. Voi mi costruirete una abitazione con i rami di un olivo selvatico; e rivolgendo fervide preghiere a quella immagine, voi mi vedrete mentre dormirete ». Il gran teologo del paganesimo continua: « Quanto alle attitudini nelle quali devonsi rappresentare gli dei, essi medesimi ce l’han fatto conoscere; e gli statuari si sono religiosamente conformati alle loro indicazioni. Così Proserpina parlando di se stessa dice: Fate tutto ciò che mi spetta nell’ideare la mia statua. La mia figura è quella di Cerere adorna dei suoi frutti, con candide vesti e calzatura d’oro. Attorno alla mia figura scherzano lunghi serpenti che strisciandosi sino a terra, solcano le mie tracce divine; dalla sommità del mio capo, altri serpenti arrivano sino a miei piedi e avvolgenti intorno al mio corpo formano tante spire piene di grazia. Quanto alla mia statua essa deve essere di marmo di Paros, o d’avorio molto liscio. » (Apud Euseb., Præpar., evang. lib. V, c. XIII). – Pane insegna ad un tempo la forma sotto cui vuole essere rappresentato e l’inno che si deve cantare in onore suo: « Mortale, rivolgo i miei voti a Pane, il dio che unisce le due nature ornate di corna, bipede, con le estremità di un capro e propenso all’amore. » (Ib. Id.) – Non è dunque il Medio Evo che per primo abbia rappresentato il demonio sotto la forma di un montone. Prediligendo questa forma, satana, libero o forzato, si faceva giustizia: e nel dargliela il paganesimo restava fedele ad una tradizione troppo universale per essere falsa, troppo inesplicabile per essere inventata. Lo stesso Spirito Santo lo conferma, insegnandoci che i demoni hanno costume di apparire e di eseguire de’ giri infernali, sotto la figura di questo animale immondo. A causa di questi delitti, il paese di Edom è condannato ad essere distrutto: E in mezzo a queste ruine danzano i demoni sotto la forma di caproni e di altri mostri conosciuti dall’antichità pagana.  La contraffazione satanica va anche più oltre. Il Re della Città del bene si chiama lo Spirito dei sette doni. A fine di scimmiottarlo e di ingannare gli uomini imitandolo, il Re della Citta del male si fa chiamare il Re dei sette doni. Quindi egli indica i giorni favorevoli per invocare i suoi sette grandi satelliti, ministri dei sette doni infernali. Nei suoi oracoli, Apollo pigliando in imprestito la forma biblica così parla: « Ricordati d’invocare nello stesso tempo Mercurio ed il Sole, il giorno consacrato al Sole: di poi la Luna, allorché apparirà il suo giorno; poi Saturno; finalmente Venere. Tu adopererai le parole misteriose, trovate dai più grandi maghi, il Re dai sette doni conosciutissimo da tutti…. chiama sempre sette volte, a voce alta, ciascuno degli dei. » Sarebbe facile moltiplicare le testimonianze: ma a che giova? quelli che sanno le conoscono. Vale meglio affrettarsi a concludere, dicendo con Eusebio: « Che l’illustre filosofo dei Greci, il teologo per eccellenza del paganesimo, l’interprete dei misteri nascosti, fa conoscere con tali citazioni la sua filosofia per via di oracoli come racchiudenti i segreti ammaestramenti degli dei, allorquando evidentemente essa non rivela altro che le insidie tese agli uomini mediante le potenze nemiche, vale a dire per mezzo dei demoni in persona. » (Id. ib.). L’ispirazione satanica a cui si deve nel suo complesso e nei suoi ultimi particolari, la religione pagana dei popoli dell’antichità, prescrive con la stessa autorità e regola, con la stessa precisione i culti idolatri dei popoli moderni. Interrogate i sacerdoti, o come oggi noi diciamo i medium,, i quali presiedono a queste forme differenti di religione, tutti vi diranno che esse vengono dagli spiriti, dai manitous o da qualche personaggio amico degli dei e incaricato di rivelare agli uomini il modo di onorarli: essi non mentono. Satana è sempre lo stesso, ed egli regna presso questi popoli infelici con lo stesso impero ch’egli esercitava anticamente tra noi. Cosi le formule sacre dei Tibetani, dei Cinesi, dei negri dell’Africa, dei selvaggi dell’America e dell’Oceania, i loro misteriosi riti, le loro pratiche, ora vergognose, ora crudeli e ridicole, la distinzione dei giorni buoni o cattivi, del pari che la forma bizzarra, orrida, spaventevole o lascivia dei loro idoli, non debbono essere imputati a malizia naturale dell’uomo, ai capricci dei sacerdoti od all’immaginazione ed alla inabilità degli artisti. (1) Tutto viene dai loro dei, e tutti i loro dei sono tanti demoni: omnes dii gentium dæmonia.

(1) [Chi crederà che i Cinesi per esempio, supposto che siano Cinesi, non potessero rappresentare i loro dei, altrimenti che con fantocci ridicoli o idoli mostruosi? « In Cina, scrive un missionario, l’idolo principale è ordinariamente di una straordinaria grandezza, con un viso gonfio, col ventre di una ampiezza smisurata, una lunga barba finta e altri vezzi dello stesso genere…. Noi trovammo dentro una pagoda parecchi idoli alti 12 piedi, il cui ventre aveva almeno 18 piedi di circonferenza. » Annali etc., n° 72, p. 481; e n° 95, p. 341. — Si può dire la stessa cosa di tutti i popoli idolatri, antichi e moderni].

 

PILLOLE DI SALVEZZA -2- RAPPORTI CONIUGALI – ACQUA BENEDETTA.

– 1 Rapporti coniugali. -765-

A. — LICEITÀ.

I. L’atto coniugale è lecito, quando si compie per la procreazione dei figli o, senza escludere positivamente la procreazione, per qualche altro fine onesto.

Motivi onesti sono: fomento del mutuo amore e della mutua concordia; ristabilimento della pace, evitare il pericolo di incontinenza per sé o per il coniuge, ecc. — Le relazioni coniugali sono lecite anche quando è certo che non potrà avvenire la concezione in modo alcuno, per es. nei vecchi, negli sterili, quando alla donna furono levate le ovaie o la matrice, quando si è certi che avverrà un parto morto o precoce (settimino), quando, per una disposizione patologica della donna, il semen, dopo la copula, fluisce da se stesso, aut si ob senectutem vel similem causam semen virile saepe extra vas effunditur. Secondo parecchi autori l’atto coniugale resta lecito anche quando i coniugi sono divenuti impotenti dopo lo sposalizio, purché sia ancora possibile una « penetratio vaginæ », per es. quando all’uomo furono asportati i testicoli o quando subì la vasectomia. Circa i tempi agenesici, cfr.

n. 776.

Fœcundatio artificialis est illicita, si maritus semen extra vaginam effundit (est enim pollutio vel onanismus), et medicus semen ope instrumenti colligit et in uterum inicit; ad vitanda incommoda vere gravia uxor passive se habere potest. Hæc fæcundatio artificialis est illicita, quia actus coniugalis natura sua est coniugum cooperatio personalis, simultanea et immediata. (Cfr. discorso di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951).

— Licita est fila praxis, qua ope instrumenti vagina dilatatur vel uterus in naturali positione collocatur, et maritus copulam habet modo ordinario. Sunt etiam qui putent licitam esse illam fœcundationem artificialem, in qua vir intra vaginam semen effundit et medicus ope instrumenti semen colligit et in uteri fundum inicit. ( Cfr. il discorso di Pio XII, 29 sett. 1949, al IV Congresso intern. dei medici cattolici: AAS, XLI, 1949, p. 557 ss.).

II. La copula diviene illecita solo nelle seguenti condizioni, quando:

1° La procreazione è resa più difficile.

Nessuna posizione o sito pertanto è gravemente colpevole, se può ancora avvenire la concezione. Ma se questa si rende difficile, si ha peccato veniale, compiendosi l’atto in tal modo, senza motivo sufficiente. — Effusio seminis in ore vaginæ (copula dimidiata) est peccatum leve, si quis hoc modo se gerit, ut conceptionem difficiliorem reddat; nullum autem peccatum est, si copula alio modo haberi non potest aut saltem non sine gravi incommodo. — Peccatum veniale uxor committit, si seminationem cohibet ad difficiliorem reddendam conceptionem.

766

2° Ne risente danno la sanità.

Qualora con l’atto coniugale fosse congiunto un immediato pericolo di morte, la copula è proibita sotto pena di peccato mortale. — Se da essa risulta un grave danno o un pericolo remoto di morte, occorre un motivo grave per la sua liceità, per es. che, specialmente in caso di malattia diuturna di un coniuge, l’altro non violi la fedeltà coniugale, o che resti assicurata la pace domestica. Tuttavia non v’è obbligo di compiere l’atto coniugale dietro preghiere dell’altra parte (cfr. n. 772). In caso di malattie veneree, per un motivo grave si può tollerare che il coniuge malato chieda al coniuge sano il debito coniugale, dopo però aver avvertito il sano della propria malattia; se l’altro coniuge, poi, vuol compiere tale sacrificio, può, ma non è tenuto. In generale però è da sconsigliarsi che uno affetto da simili mli compia l’atto coniugale. — Ai tubercolotici sono leciti i rapporti coniugali, ma con moderazione. — Dopo un parto, l’atto coniugale è proibito generalmente sub gravi durante le prime due settimane, sub levi durante le quattro seguenti; è lecito durante il periodo dell’allattamento.

— Durante la gravidanza, i rapporti coniugali sono leciti, purché si eviti il pericolo di aborto. — Durante le mestruazioni, come norma, è da sconsigliarsi l’atto coniugale; pure, per motivo ragionevole, è lecito. In caso di emorragie morbose della matrice, piuttosto prolungate, può derivare dall’atto coniugale un grave danno alla donna in certe forme di malattie; perciò è necessario richiedere il consiglio di un medico competente e cosciente. — La circostanza che i figli nati da un matrimonio, per es. per causa di malattia dei genitori, resteranno deboli e infermicci o moriranno già prima di nascere, non rende illecito l’atto coniugale.

3 ° Ne soffre danno la salute dell’anima.

È gravemente peccaminoso compiere l’atto in presenza di terzi. Se inaspettatamente sopraggiunge alcuno, si deve troncare subito l’atto coniugale, anche se certamente ne seguirà la polluzione; alla quale però non è mai lecito acconsentire.

— Chi emise il voto di castità, non può chiedere il debito coniugale, salvo che l’altro coniuge non si trovi in pericolo di incontinenza e abbia ripugnanza a chiedere; alla richiesta (almeno tacita) dell’altro coniuge, deve invece prestare il debito coniugale, anche quando l’altra parte avesse fatto similmente il voto di castità. — In caso di invalidità del matrimonio, l’atto coniugale è proibito sotto pena di peccato mortale, anche se un coniuge soltanto è a conoscenza della nullità. — In caso di dubbio serio sulla validità del matrimonio ci si deve accertare con una accurata inchiesta. Nel frattempo non è lecito chiedere il debito coniugale; ma se l’altro coniuge non ha dubbio alcuno in merito, dietro sua richiesta glielo si deve prestare. Non potendosi appurare il dubbio, il matrimonio deve ritenersi valido, e quindi lecito l’uso.

Nota. — I TEMPI SACRI non rendono illeciti i rapporti coniugali, benché in tempi di penitenza debba consigliarsi la moderazione. — Anche la notte precedente la Comunione sono leciti i rapporti coniugali, quantunque coloro che si comunicano di rado faranno bene ad astenersi dall’atto coniugale; alla richiesta dell’altro coniuge, però, la copula è un dovere. E le donne devono ben guardarsi dal prestare l’atto coniugale di malumore.

768

III. Gli atti incompleti (actus imperfecti luxuriæ, v. g. aspectus, oscula, amplexus, tactus, etc.) in quanto alla loro liceità devono essere distinti nel modo seguente:

In unione con l’atto coniugale come preparazione e come complemento sono sempre leciti. Hoc valet de aspectibus, osculis vel tactibus etc. honestis vel minus honestis, sive in corpore proprio sive in corpore compartis. Si uxor in copula ipsa plenam voluptatem non habet, eam sibi procurare potest tactibus immediate ante vel post copulam; et vir postquam rite seminavit, non debet, imo generaliter non potest exspectare seminationem uxoris, quia relaxatio partium virilium generaliter sequitur immediate post seminationem. Pauci auctores putant uxori quoque licere sibi procurare tactibus, etc, istam plenam voluptatem postquam vir onanista se retraxerit, ut semen extra vas effundat. — Marito vero non licet sibi procurare istam plenam voluptatem, si mulier se retrahit postquam ipsa seminavit, quia seminatio viri extra vas nihil confert ad generationem.

769

 2° Extra copulam, id est quando coniuges copulam habere aut nolunt aut non possunt:

a) actus mutui licent, si fiunt ex iusta causa (v. g. signum amoris), et periculum pollutionis abest (etsi pollutio per accidens aliquando sequatur) aut si cum periculo pollutionis fiunt ex gravi causa (v. g. ad avertendam suspicionem, ad retrahendum virum a viis adulterinis, ad obœdiendum comparti petenti, ut illi actus permittantur aut reddantur). – Quæ vero dieta sunt de periculo pollutionis solummodo valent, si actus per se graverri influxum in pollutionem habent, non vero si influxus est per accidens, v. g. ob singularem dispositionem agentis (cfr. n. 225). — Actus qui natura sua gravem influxum in pollutionem habent, sunt peccata gravia, si absque proportionata causa excercentur. — Alii actus, qui levem influxum habent et sine justa causa fiunt, peccata levia sunt; si vero ponuntur cum intentione pollutionis evadunt peccata mortalia. — Consensus in delectationem cum pollutione coniunctam est peccatum mortale; multi vero hoc nesciunt, nec expedit eos hac de re monere.

b) actus solitarii delectationis venereæ causa exerciti sunt peccata mortalia, si natura sua gravem influxum in pollutionem habent, vel si fiunt cum intentione pollutionis; si absque hoc periculo et absque hac intentione fiunt, in praxi prohiberi non possunt sub comminatione peccati mortalis.

c) delectatio morosa in coniugibus est, excluso periculo pollutionis, peccatum nullum aut leve aut grave, prout res, de quibus coniugibus delectantur, ipsis licitæ sunt vel prohibitæ sub levi vel sub gravi. Idem dicendum est de desideriis. — Delectatio, quæ oritur e cogitationibus speculativis de re turpi, non est peccatum grave prò coniugibus, modo absit et periculum proximum pollutionis et grave periculum consentiendi delectationibus morosis vel desideriis graviter peccaminosis facile oriundis.

B . — IL DEBITO CONIUGALE.

770

I. Alla prestazione del debito coniugale ciascun coniuge per sé è obbligato sotto pena di peccato grave, quando l’altro lo chiede seriamente, in modo particolare se si trovasse in pericolo d’incontinenza, o dovesse fare un grande sacrificio per superare la tentazione. – La richiesta della prestazione del debito coniugale di solito avviene esplicitamente da parte del marito; da parte della moglie invece soltanto tacitamente, per es. con espressioni di tenerezza. — Il rifiutarsi è soltanto peccato veniale (a meno che l’altro coniuge venga esposto al pericolo di peccare gravemente), quando la parte richiedente rinuncia facilmente alla sua richiesta, oppure quando si differisce la prestazione soltanto per breve tempo o quando, in caso di frequenti rapporti, il rifiuto avviene di rado, per es. una volta al mese. — Si devono però lasciare in buona fede le donne attempate o madri di numerosa prole, quando credono che commetterebbero peccato grave soltanto se rifiutassero quasi sempre il debito coniugale al marito, oppure se il marito corresse il pericolo di peccare gravemente. — In genere sarà bene, di solito, richiamare l’attenzione delle donne sulla gravità del loro obbligo, ed esortare invece gli uomini alla moderazione.

771

II. Esistono cause che scusano dal prestare il debito coniugale:

1° In caso di adulterio dell’altra parte.

L’adulterio però deve essere certo; deve inoltre essere stato commesso scientemente e volontariamente. In caso di violentazione, quindi, non si dà causa scusante. Infine occorre che l’adulterio non sia stato ancora perdonato, per es., mediante volontaria prestazione del debito coniugale, nonostante la conoscenza dell’adulterio stesso.

2° Se il marito è trascurato nel dovere di mantenere la moglie e i figli.

Quando il marito sciupa il guadagno in gozzoviglie e fa ricadere la preoccupazione del mantenimento della famiglia sulla moglie, questa non è tenuta a prestargli il debito coniugale. Ma se la famiglia deve vivere nelle ristrettezze senza colpa del marito, ciò non costituisce motivo alcuno per rifiutare il debito coniugale; come pure, per sé, non è ragione sufficiente il fatto che in caso di prole numerosa la famiglia debba fare qualche maggiore restrizione. — In alcuni casi, lo stesso vale se la moglie manca ai suoi doveri della cura familiare.

3° Nel caso che chi lo chiede manchi dell’uso di ragione.

Non vi è dunque obbligo di prestare il debito coniugale ad un demente o a un individuo molto ubriaco; lo si può fare.

4° In caso di richieste esagerate. Ciò si verifica principalmente quando un coniuge chiede l’atto coniugale con tale frequenza che la costituzione fisica dell’altro non lo può sopportare senza danno piuttosto grave.Il giudizio, in merito, spetta a un medico coscienzioso.

5° In caso di grave pericolo per la sanità o per la vita.

Si hanno cause simili, per es. trattandosi di malattie infettive, di grave mal di cuore, ecc. — Non costituiscono invece causa sufficiente i soliti disturbi congiunti con la gravidanza, col parto o con l’educazione della prole; per es. dolori sia pur forti, ma di breve durata, diuturno mal di capo, ma non eccessivamente forte. Così non è sufficiente motivo il timore, confermato dall’esperienza, che la donna, in caso di concepimento, non porti a termine la gravidanza, ma possa abortire involontariamente o avere un parto morto. — Per maggiori particolari, cfr. n. 766.

6° Per il bene spirituale.

Per maggiori dettagli, cfr. n. 767, e I Cor. 7, 5. — De debito reddendo viro onanistæ, cfr. n. 774.

C. — PECCATI DEI CONIUGI.

I principali peccati gravi che possono commettere i coniugi sono: azioni contro la vita in formazione (cfr. n. 214), adulterii (cfr. n. 227), rapporti coniugali in circostanze che li rendono illeciti (cfr. n. 765 ss.), atti posti senza motivo suffìciente, che hanno grande influsso sulla polluzione, così pure gli atti compiuti con l’intenzione di procurarsi la polluzione (cfr. n. 768 s.), il rifiuto del debito coniugale (cfr. n. 770 ss.); gli atti coi quali viene frustrato il fine principale del matrimonio. — Qui non ci resta che trattare precisamente di questi ultimi peccati. Essi sono: sodomia imperfecta, onanismus, usus mediorum vel instrumentorum, quibus impeditur nesemine rite effuso conceptio sequatur.

I . Sodomia imperfecta, id est concubitus mariti cum uxore in vase præpostero grave peccatum est sive vir in ilio vase seminat, sive semen extra illud frustratur. Excluso affectu sodomitico, non est sodomia nec peccatum mortale si vir copulam incipit in vase praepostero cure animo consummandi copulam in vase naturali, aut si genitalibus tangit vas praeposterum sine periculo pollutionis.

— Positiva cooperatio uxoris ad congressum sodomiticum numquam licita est; ideo saltem interne semper resistere debet. Exteme tamen potest pati concubitum, si eum impedire conatur et tunc solum permittit, quando absque periculo gravissimi mali eum impedire non potest; consensus vero in delectationem veneream est illicitus.

774 II. Onanismus triplici modo perfici potest.

Naturali modo vir copulam incipit, ante seminationem vero se retrahit et semen extra vaginam effundit. Onanismo vir et uxor grave peccatum committunt. Quia vero ante abruptionem copulæ nihil fit quod sit illicitum, uxori cooperatio materialis (cfr. n. 149) ex causa mediocriter gravi licita est. Tales causæ sunt: pax domestica, timor ne maritus adulteria committat. Si grave est uxori carere copula, licite eam petit a viro onanista (rationem cfr. n. 146). Uxor delectationi venereæ inde ortæ consentire potest, non vero peccato viri. Aliquando vero ex caritate monere debet maritum, ne peccet; excusatur ab hac monitione ob grave periculum dissidii vel indignationis, etc. — Obligatio reddendi debitum viro onanistæ non existit, excepto casu, in quo uxor ad debitum ex caritate obligatur, v. g. ut dissidia præcaveat vel virum a commercio adulterino avertat.

— Abruptione copulæ grave peccatum committitur, etiamsi solummodo uxor seminaverit, excepto casu necessitatis, v. g. si maritus hac vice seminare non potest.

Abruptio copulæ non est peccatum: a) si improvisa necessitas adest, v. g. propter adventum tertii; b) si fit communi consensu ex rationabili causa et in neutro coniuge periculum pollutionis adest; est enim hoc in casu solummodo tactus impudicus (de quo cfr. n. 768); alterutra parte invita, grave peccatum est, etiamsi periculum pollutionis non adesset.

Instrumento vel involucro quodam (vulgo condom) efficitur, ne semen vaginam attingere possit. Hic modus copulæ jam ab initio omnino illicitus est; ideo uxor ne materialiter quidem cooperari potest; sed se gerere debet, sicut in casu in quo vir sodomiam intendit. — Idem dicendum est de introductione alicuius « pseudovaginæ ».

775

Usu quorundam mediorum vel instrumentorum impeditur, quominus semine intra vaginam effuso conceptio sequatur. Artes quibus mulieres potissime utuntur, sunt praecipue sequentes: a) lavant irrigatore vaginam interiorem, ut semen expellant; b) spargunt per vaginam substantiam chemicam, qua sperma occidatur; c) comprimunt vaginam, ut exprimant semen; d) surgunt, ambulant, saltant, laborant vel mingunt, ut semen expellant; e) ante copulam aliquo medicamento vel instrumento (pessario) claudunt os uteri, ne semen ascendat in uterum.

a) Mulier, quae semen expellere vel eius ascensum in uterum impedire vult, graviter peccat. Excipitur solummodo femina vi vel dolo oppressa, quæ antequam conceptio facta est, expellere vel necare potest semen, quia semen (in casu) comparatur iniusto aggressori. Minctio post copulam non impedit conceptionem, quamobrem non est peccatum; intentione prava tamen mulieres graviter peccare possunt. — Exclusa prava intentione, lotio vaginalis jam post unam vel alteram horam a copula licita videtur, cum generationem non impediat; statim post copulam vero illicita est, etsi fiat ad dolores acerbos compescendos.

b) Vir tota sua auctoritate maritali uti debet, ne uxor adhibeat istas artes. Si uxorem impedire non potest, quominus istis mediis utatur, maritus se gerere potest simili modo ac uxor respectu viri onanismo dediti. Hoc paucis auctoribus etiam licitum esse videtur in casu, in quo uxor os uteri claudit, v. g. ope illius instrumenti, quod vocatur « pessarium ».

Nota. — Trattamento degli onanisti in confessione.

a) L’obbligo d’interrogare esiste per sé tutte le volte che v’è un sospetto fondato. In simili casi la domanda può suonare per es.: « Non Le rimorde per nulla la coscienza circa la santità del matrimonio? » — « Non è avvenuto nulla contro il fine del matrimonio? »; o altre secondo l’uso di buoni sacerdoti nelle diverse regioni.

b) E necessario istruire il penitente circa la gravezza di questo peccato, anche se finora è stato in buona fede. Veramente ai nostri tempi difficilmente vi sarà la buona fede, salve circostanze molto scabrose: per es. quando un medico di coscienza ha dichiarato che una nuova gravidanza metterebbe a repentaglio la vita della donna. In tal caso si può lecitamente omettere l’istruzione, se si prevede che altrimenti i peccati materiali non farebbero che diventare formali.

c) Chi non ha la volontà risoluta di evitare il peccato, non è disposto, e non può essere assolto. — Non essendo mai lecito far ciò che è intrinsecamente cattivo, ne segue che l’onanismo nel matrimonio è grave peccato anche quando i coniugi (caso rarissimo del resto) dovessero altrimenti vivere sempre in continenza. Come a nessuno, nelle persecuzioni contro i Cristiani, fu lecito rinnegare la propria fede per non essere ucciso fra spaventosi tormenti, così non è lecito l’onanismo per non dover vivere in perpetua continenza. Quali sacrifici eroici non esigono sovente gli Stati moderni! E allora anche Dio può certamente esigere che noi facciamo sacrifici per il Cielo. Del resto, Dio dà anche le grazie corrispondenti al sacrificio da Lui richiesto. L’uomo, certo, deve avere tanto spirito di sacrificio da impegnarsi a chiedergliele (cfr. discorso

di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951).

d) recidivi, che assicurano di avere il miglior proposito, devono essere trattati come i recidivi che si trovano nell’occasione prossima di peccato; e precisamente, se di fatto non possono più aver figli, per es. a causa di malattia della moglie o di una povertà che è indigenza, devono considerarsi in occasione prossima necessaria di peccato (cfr. n. 617); quelli invece che per ripugnanza al sacrificio, ecc. non vogliono più avere figli, si devono trattare come persone nell’occasione prossima libera del peccato (cfr. n. 616).

e) Secondo l’opinione dei medici il concepimento si verifica soltanto quando l’atto coniugale si compie in tempi determinati. – Non peccano i coniugi facendo l’atto coniugale anche nei tempi agenesici. Ma se essi, sempre e deliberatamente, senza un grave motivo, hanno rapporti coniugali soltanto nei periodi infecondi, peccano contro il senso stesso della vita coniugale. Tuttavia, l’osservanza dei tempi infecondi o agenesici, per motivi proporzionati (sanitari, eugenici, economici, sociali), di comune accordo è lecita, fino a tanto che sussistono tali motivi (cfr. discorso di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951 e quello al «Fronte della Famiglia », 29 nov. 1951). — Circa la precisazione di questi periodi agenesici, però, i medici stessi non sono ancora pienamente d’accordo. Negli ultimi tempi guadagna sempre più terreno l’opinione che gli ultimi undici giorni precedenti la prossima mestruazione siano fisiologicamente sterili e che la concezione si verifichi soltanto quando l’atto coniugale ha luogo nel tempo che decorre dal 19° al 12° giorno precedente la prossima mestruazione. Ma poiché alcune donne non hanno un ciclo mestruale regolare e in certi casi possono aggiungersi anche dei turbamenti patologici, il  confessore si guardi dall’entrare in spiegazioni del genere, ma invìi le persone, che per validi motivi non desiderano più figli, a un medico competente e coscienzioso, il quale indicherà loro esattamente i giorni in cui devono vivere in continenza. Certamente è questo uno dei punti più delicati del ministero pastorale; Pio XI nella Enc. « Casti Connubii » (31 dic. 1930; AAS, XXII, 1930, p. 539-592) e Pio XII nel discorso alle ostetriche (29 ott. 1951) e in quello al « Fronte della Famiglia » (29 nov. 1951) hanno richiamato con energia e chiarezza la dottrina cattolica della santità del matrimonio cristiano contro tutte le recenti teorie e pratiche materialistiche.

OCCASIONI

616 E. — CONFESSIONE DI OCCASIONARI E ABITUDINARI E RECIDIVI.

I . Occasionari — 1° Nozione di occasione. Per occasione s’intende una circostanza esterna al soggetto che alletta qualcuno al peccato, rendendone facile l’esecuzione. Qui non si tratta dell’occasione remota, ma soltanto della prossima, di quell’occasione cioè alla quale è congiunto un pericolo grave che uno pecchi, sia che cadano generalmente tutti gli uomini (occasione assoluta) sia che vi cada sempre o quasi sempre un individuo determinato per le sue particolari disposizioni (occasione relativa). — Non si tiene qui conto dell’occasione remota, essendo lecito esporsi ad essa per un motivo ragionevole. L’occasione prossima può essere volontaria o necessaria. La prima si può facilmente evitare; schivare la seconda è fisicamente o moralmente impossibile per causa del grave danno alla vita, alla sanità, alla riputazione, che ne deriverebbe. Un’occasione prossima necessaria di peccato è per es. una relazione, in cui sia in vista un prossimo matrimonio; la convivenza coniugale, dei figli, ecc.

Assoluzione di chi si trova nell’occasione prossima di peccato.

a) Chi non vuole evitare l’occasione prossima volontaria di peccato, non può essere assolto.Ciò vale anche quando con la preghiera ecc. si vorrebberendere l’occasione remota.

Chi promette sinceramente di evitare subito l’occasione, può essere assolto subito. — Chi mancò più volte a questa promessa, dimostra che ha disposizioni dubbie; d’ordinario quindi non può essere nuovamente assolto, se prima non abbia allontanata l’occasione (cfr. n. 614). — Se il levare l’occasione (supposta volontaria) importa grandi sforzi morali (licenziamento di persona, disdetta d’un servizio) si può fin dalla prima volta differire l’assoluzione fino a quando l’occasione sarà tolta.

b) Chi non lascia l’occasione prossima necessaria, ma usando i mezzi idonei vuol renderla remota,può essere assolto.Tali mezzi possono essere destinati ad accrescere le forzespirituali (preghiere, sacramenti, meditazione delle veritàeterne) od a diminuire le forze dell’occasione (custodia degliocchi, contegno molto riservato con quella persona, schivaredi trovarsi da soli con essa).Chi non ostante l’uso dei mezzi ricade sempre dinuovo, non può essere costretto ad abbandonare l’occasionea qualunque costo; si deve però esigere con insistenza che usicon più energia i mezzi convenienti. — Ma se questa occasionelo ponesse nel pericolo prossimo di eterna dannazione, per sé dovrebbe troncarla anche a costo della propriavita. — Non può essere assolto colui che non vuole usare imezzi convenienti per rendere remota l’occasione prossimanecessaria.

Nota.

Fra l’occasione remota e l’occasione prossima vi sono diversi gradi intermedi; quanto maggiore è il pericolo di peccare, tanto più gravi devono essere i motivi che disobbligano dall’abbandonare l’occasione. – Chi senza motivo sufficiente non evita un’occasione che non è propriamente remota, ma neppure è ancora prossima, commette almeno peccato veniale.

II. Peccatore abitudinario si dice colui che, durante un periodo piuttosto lungo di tempo, cade sovente nei medesimi peccati, senza che tra i singoli peccati vi sia un intervallo troppo grande. Nel giudicare di una abitudine si deve tener conto anche dell’indole del peccatore e della natura del peccato. Si distingue dal recidivo principalmente per questo che non è ricaduto ancora di continuo nei medesimi peccati dopo varie confessioni. L’abitudinario per sé deve essere assolto subito, anche se non è preceduta alcuna emendazione, purché sia realmente ben disposto.

III. Recidivo dicesi chi, non ostante ripetute confessioni, ricade sempre negli stessi peccati senza sforzarsi seriamente di correggersi.

Per assolverlo per sé si devono applicare le regole generali. La difficoltà sta appunto nel verificare se di fatto sia ben disposto.

Come norma: è ben disposto chi cade soltanto per fragilità; chi in genere sente orrore del peccato e lotta contro la tentazione e subito dopo la caduta detesta la sua azione (ciò accade spesso in chi pecca di polluzione). Si può rilevare se uno sia ben disposto, e ciò con facilità, chiedendogli non soltanto quante volte sia caduto, ma anche quante volte abbia resistito alla tentazione. — Di solito sono mal disposti quei recidivi che hanno un persistente attacco all’oggetto peccaminoso (relazione illecita, attacco alla cosa rubata, sistema dei due figli e non più). Tuttavia se vi sono segni positivi che un tale individuo sia ora più seriamente pentito che nelle confessioni precedenti, si può ammettere in lui una disposizione sufficiente. – In caso di disposizione dubbia, si devono ordinariamente assolvere quelli che peccano per debolezza, poiché è ad essi necessaria la grazia dei Sacramenti. — Si deve invece di solito rifiutare l’assoluzione a quanti ricadono nel peccato, perché non vogliono compiere il loro dovere (per es. restituire, troncare una relazione illecita).

97 – Il peccato in genere.

I. Nozione. Il peccato è la volontaria trasgressione di una legge divina. Poiché ogni legge è un’emanazione della legge divina, così anche la trasgressione di qualunque legge costituisce peccato.

I requisiti che costituiscono un peccato, sono: a) la trasgressione di una legge, almeno di una legge ritenuta per tale; b) la cognizione della trasgressione (basta però una cognizione confusa); c) il libero consenso.

Tali elementi costituiscono il peccato formale; il quale si distingue dal peccato materiale, che è la trasgressione di una legge senza saperlo né volerlo; tale trasgressione non viene da Dio attribuita come colpa; ma dalla società, in certi casi, si è citati a rispondere di dette azioni.]

ERIBERTO JONE O. F. M. Cap.:

COMPENDIO DI TEOLOGIA MORALE

Trad. dalla 14° edizione tedesca a cura dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Lombardia. –

MARIETTI Ed. 1952

Nihil obstat, ex parte Ordinis, quosimus imprimatur. Romæ, 12 dec. 1951

Fr. CLEMENS A. MILWAKEE

Min. Gen. O. F. M. Cap.

Imprimatur

Casali, 30 dec. 1951.

Ca. Laurentius Oddone, Vic. Gen.

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II. ACQUA BENEDETTA

L’acqua santa è “l’acqua benedetta da un sacerdote con una preghiera solenne, per chiedere la benedizione di Dio a coloro che la usano e la protezione dai poteri delle tenebre”. È un sacramentale molto importante della nostra Chiesa.

L’acqua è l’elemento naturale per la purificazione, e il suo uso simbolico per indicare la purificazione interiore era comune a molte antiche religioni: greca, romana, egiziana e altre; ed è così usata pure dai bramini dell’India, dagli indiani d’America e dagli altri pagani del tempo presente. Tra gli ebrei, le leggi di Mosè (contenute nei libri dell’Esodo e del Levitico nell’Antico Testamento), ingiungevano l’aspersione delle persone, i sacrifici, i vasi sacri, ecc .; e la nostra Chiesa ha seguito molte di queste pratiche ebraiche.

C’è una tradizione secondo cui l’acqua santa era usata dall’Apostolo San Matteo, ma questo è incerto. È stato riportato da alcuni all’inizio del secondo secolo e il suo uso è diventato più tardivo.

I tipi di acqua santa.

Ce ne sono di quattro tipi, ognuno benedetto in un modo diverso. Sono i seguenti:

1. L’acqua battesimale, che è benedetta il Sabato Santo, e può anche essere benedetta alla vigilia di Pentecoste. L’olio dei catecumeni e il santo crisma si mescolano con essa. (Lezione 41.) È usata solo nell’amministrazione del Battesimo.

2. Acqua di consacrazione, o acqua gregoriana, così chiamata perché il suo uso fu ordinato da Papa Gregorio IX. È usato nella consacrazione delle chiese ed ha vino, ceneri e sale mescolati con esso.

3. Acqua di Pasqua, così chiamata perché distribuita alle persone il Sabato Santo, la vigilia di Pasqua.

Una parte di quest’acqua è usata per riempire il fonte battesimale, benedetta come acqua battesimale; il resto è dato ai fedeli. In alcuni paesi quest’acqua viene usata dal clero per la solenne benedizione delle case il Sabato Santo.

4. Acqua santa ordinaria, benedetta dal Sacerdote per l’aspersione del popolo prima della messa e per l’uso alla porta della chiesa. Può essere usata anche per la benedizione di persone e cose, in chiesa e a casa. Il sale si mescola con essa – usanza che risale probabilmente al secondo secolo.

Questa acqua santa e l’acqua di Pasqua sono quindi le uniche varietà di acqua santa che riguardano direttamente i fedeli. Sono santificate da diverse formule, ma il loro valore e i loro usi sono quasi gli stessi.

Gli usi dell’Acqua santa.

Essa viene usata in quasi tutte le benedizioni rituali della Chiesa, nelle cerimonie del Matrimonio e nell’Estrema Unzione, nel dare la Santa Comunione agli ammalati e negli uffici  dei defunti.

Per uso in funzioni di chiesa è generalmente contenuto in un vaso a forma di scodella con una maniglia oscillante, provvisto di un irrigatore.

Le aspersioni.

Vi è l’aspersione della gente la domenica prima della Messa principale nella chiesa parrocchiale.

Prende il nome dalla prima parola (in latino) del versetto 9 del Salmo 50, versetto recitato dal Sacerdote e cantato dal coro durante questa cerimonia durante la maggior parte dell’anno: “Asperges me hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor”.

Gli “Asperges” risalgono al IX secolo. È destinato a rinnovare in noi ogni domenica il ricordo del nostro Battesimo e a scacciare tutte le distrazioni nel corso della Messa.

In questa cerimonia, l’acqua santa non deve realmente toccare ogni persona nella chiesa. L’intera assemblea è benedetta insieme e tutti ricevono la benedizione, anche se l’acqua non può raggiungere ogni individuo.

Durante il periodo pasquale (dopo Pasqua) al posto degli “Asperges” viene cantato il “Vidi aquam”.

L’usanza di porre l’acqua santa alla porta della chiesa in un fonte di acqua santa è molto antica – probabilmente risalente al secondo secolo. Tra gli Ebrei era richiesta una cerimonia di purificazione prima di entrare nel Tempio, e la pratica cattolica potrebbe essere stata suggerita da questo uso. Nel Medioevo era consuetudine usare l’acqua santa solo quando si entrava in chiesa, e non quando si usciva,  per indicare che la purificazione era necessaria prima di entrare, non dopo aver assistito alla Messa. Al giorno d’oggi l’acqua santa può essere usata sia entrando e uscendo, specialmente quando si guadagna un’indulgenza ogni volta che viene usata.

La benedizione con l’acqua santa. Questo di solito viene fatto poco prima della Messa principale di domenica, ma può essere fatto in qualsiasi altro momento. Il prete legge diverse preghiere, tra cui un esorcismo del sale e dell’acqua, dopo di che il sale viene messo nell’acqua sotto forma di una triplice croce, nel nome delle Persone della Trinità.

Un esorcismo è una preghiera destinata a liberare persone o cose dal potere del Maligno.

Il simbolismo dell’acqua santa.

L’acqua è usata per la pulizia e per spegnere il fuoco; il sale è usato per preservare dalla decomposizione. Perciò la Chiesa li combina in questo Sacramentale, per esprimere il lavaggio delle macchie del peccato, la tempra del fuoco delle nostre passioni e la conservazione delle nostre anime dalle ricadute nel peccato.

Il sale è anche un simbolo di saggezza. Nostro Signore chiamò i suoi Apostoli “il sale della terra”, perché dovevano istruire l’umanità.

L’indulgenza.

C’è un’indulgenza di cento giorni nell’usare l’acqua santa.

Pio IX lo rinnovò nel 1876, a queste condizioni:

1. Il segno della croce deve essere fatto con l’acqua santa.

2. Dobbiamo dire: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

3. Dobbiamo avere contrizione per i nostri peccati.

4. Per questa, come per ogni indulgenza, dobbiamo essere nello stato di grazia.

THE VISIBLE CHURCH

BY Rt. Rev. JOHN F. SULLIVAN, D.D.

A TEXT-BOOK FOR CATHOLIC SCHOOLS

NEW YORK, P. J. KENEDY & SONS

PUBLISHERS TO THE HOLY APOSTOLIC SEE

Nihil Obstat: ARTHURUS J. SCANLAN, S.T.D. Censor Librorum

Imprimatur: Patritius J. Hayes, D.D. Archiepiscopus Neo-Eboracensis

Neo-Eboraci die 5, Aprilis 1921.

Copyright, 1920, 1922, by P. J. Kenedy & Sons, New Yobk

Printed in U. S. A.

Lesson 33

HOLY WATER, p.p. 125-129

Aqua benedicta è un sacramentale molto importante della Chiesa cattolica.

Nel Rituale Romanum “Aqua benedicta” è normalmente tradotta come “Acqua Santa”, cioè acqua santificata attraverso il rito prescritto, che consiste in un esorcismo del sale, la benedizione del sale, l’esorcismo dell’acqua, la benedizione dell’acqua, la miscelazione del sale con l’acqua con la formula prescritta e una raccolta finale.

Aqua benedicta può anche essere tradotto letteralmente: “Acqua benedetta”.

Il legittimo ministro di quel sacramentale è un Sacerdote (Sacerdos), non un laico.

La procedura descritta di seguito non è un sacramentale approvato dalla Chiesa. Se avesse avuto l’approvazione ufficiale, sarebbe nel Rituale Romano, che non lo è.

Invece, sembra una superstizione. Quindi, le seguenti istruzioni superstiziose su come i laici possano ottenere “l’acqua benedetta”, cosa che non è approvata dalla Chiesa, devono essere respinte:

CAN. 1148

1. In Sacramentalibus conficiendis seu administrandis accurate serventur ritus ab Ecclesia probati.

2. Consecrationes ac benedictiones sive constitutivae sive invocativae invalidae sunt, si adhibita non fuerit formula ab Ecclesia praescripta.

Nell’eseguire o amministrare i Sacramentali, i riti approvati dalla Chiesa devono essere attentamente osservati.

Le consacrazioni e le benedizioni, quelle chiamate costitutive, così come quelle chiamate invocative, non sono valide se non sono state impiegate le formule prescritte dalla Chiesa.

Per la maggior parte di queste benedizioni, la Chiesa ha prescritto determinati riti o formule, che sono tutti contenuti nel rituale romano, e dovrebbero essere seguiti attentamente e accuratamente, senza mescolanze di cerimonie frivole o l’uso di oggetti inadatti. Questo vale soprattutto per le preghiere prescritte per gli esorcismi.

A COMMENTARY ON THE NEW CODE OF CANON LAW

By THE REV. P. CHAS. AUGUSTINE, O.S.B., D.D.

Professor of Canon Law

BOOK III

De Rebus, or Administrative Law

VOLUME IV

On the Sacraments (Except Matrimony) and Sacramental

(Can. 726-1011, 1144-1153)

B. HERDER BOOK CO.

17 SOUTH BROADWAY, ST. Louis, Mo.

AND 68, GREAT RUSSELL ST., LONDON, W. C.

1920

CUM PERMISSU SUPERIORUM

NIHIL OBSTAT Sti. Ludovici, die 11 Martii, 1920. F. G. Holweck, Censor Librorum.

IMPRIMATUR Sti. Ludovici, die 12. Martii, 1920. +Joannes J. Glennon,

Archiepiscopus, Sti. Ludomci.

Copyright, 1920 by Joseph Gummersbach

All rights reserved. Printed in U. S. A. pp. 565, 566

Nostro Signore Gesù Cristo ci ha dato un mezzo facile per ottenere la Sua benedizione per il nostro cibo e la nostra bevanda, e questa è la preghiera di ringraziamento prima e dopo i pasti.

RINGRAZIAMENTO PRIMA DEI PASTI

Benedic, Domine, nos et hæc tua dona, quæ de tua largitate sumus sumpturi. Amen.

Mensæ cœlestis particepes faciat nos, Rex æternæ gloriæ. Amen.

[Benedici noi, o Signore, e questi tuoi doni, che stiamo per ricevere dalla Tua generosità. Per Cristo nostro Signore. R. Amen. – Il Re dell’eterna gloria ci faccia partecipi della mensa celeste. Amen.]

RINGRAZIAMENTO DOPO I PASTI

Agimus tibi gratias, omnipotens Deus, pro universis beneficiis tuis: qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen.

[Ti rendiamo grazie, O Dio Onnipotente, per tutti i Tuoi benefici. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.]

Degnati, o Signore, di ricompensare con la vita eterna tutti quelli che ci fanno del bene per il tuo nome. R. Amen.

V. Benedici il Signore.

R. Grazie a Dio.

Possano le anime dei fedeli defunti, per la misericordia di Dio, riposare in pace.

R. Amen.

A MANUAL OF PRAYERS

FOR THE USE OF THE CATHOLIC LAITY PREPARED AND PUBLISHED BY ORDER OF THE THIRD PLENARY COUNCIL OF BALTIMORE

New York: The Catholic Publication Society Co., 9 Barclay Street. London: Burns & Oates, Limited

The Prayer Book ordered by the Third Plenary Council of Baltimore, having been diligently compiled and examined, is hereby approved.

+ James Card. Gibbons, Archbishop of Baltimore, Apostolic Delegate. Baltimore, May 17, 1889.

Imprimatur. + Michael Augustine, Archbishop of New York

Copyright, 1888, BY CLARENCE E. WOODMAN. pp. 58,59

AN ACT OF SPIRITUAL COMMUNION – L’ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE.

AN ACT OF SPIRITUAL COMMUNION

L’ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE

To the faithful who make an act of spiritual Communion, using any formula they may choose, there is granted:

 An indulgence of 3 years;

A plenary indulgence once a month on the usual conditions when the act is performed every day of the month (S. P. Ap., Mar. 7, 1927 and Feb. 25 1933).

The following forms of prayer are given as example of spiritual Communion:

a) My Jesus, I believe that Thou art present in the Blessed Sacrament. I love Thee above all things  and I desire Thee in my soul. Since I cannot now receive Thee sacramentally, come at least spiritually into my heart. As though thou wert already there, I embrace Thee and unite myself wholly to Thee; permit not that I should ever be separated from Thee.(St. Alphonsus Maria de’ Liguori).

b) At Thy feet, O my Jesus, I prostrate myself and I offer Thee the repentance of my contrite heart, which is humbled in its nothingness and in Thy holy presence. I adore Thee in the Sacrament of Thy love, the innefable Eucharist. I desire to receive Thee into the poor dwelling that my heart offers Thee. While waiting for the happiness of sacramental Communion, I wish to pocess The in spirit. Come to me, O my Jesus, since I, for my part, am coming to Thee! May Thy love embrace my whole being in life and in death. I believe in Thee, I hope in Thee, I love Thee. Amen. (Raphael Cardinal Merry del Val).

THE RACCOLTA
A MANUAL OF INDULGENCES PRAYERS AND DEVOTIONS
IN FAVOR OF ALL THE FAITHFUL IN CHRIST
OR OF CERTAIN GROUPS OF PERSONS AND
NOW OPPORTUNELY REVISED
Edited and in part newly translated into English from the 1950
official edition “Enchiridion Indulgentiarum – Preces et Pia Opera”
issued by the Sacred Penitentiary Apostolic.
By Rev. Joseph P. Christopher, Ph.D.
The Catholic University of America, Washington, D.C.
The Rt. Rev. Charles E. Spence, M.A. (Oxon.),
St. Gregory’s Seminary, Cincinnaty, Ohio
The Rt. Rev. John F. Rowman, D.D.,
St. Charles Seminary, Philadelphia, Pa.
By authorization of the Holy See
BENZIGER BROTHERS, Inc.
PRINTERS TO THE HOLY SEE  AND
THE SACRED CONGREGATION OF RITES
NEW YORK, BOSTON, CINCINNATI, CHICAGO, SAN FARNCISCO
1952. MADE IN U.S.A.
SACRA PAENITENTIARIA APOSTOLICA
OFFICIUM DE INDULGENTIIS
May 30, 1951. The Sacred Penitentiary Apostolic, by virtue of the faculties given it by His Holiness, Pope Pius XII, hereby graciously grants the petition as set forth, provided that His Eminence, the petitioner, is
sure of the fidelity of the translation. All to the contrary notwithstanding: By order of His Eminence.
N. Card. Canali, Major Penitentiary. S. Luzio, Regent
IMPRIMATUR. Francis Cardinal Spellman, Archbishop of New York
IN FESTO SANCTAE FRANCISCAE XAVERII CABRINI, 1951. pp. 95,96

When we cannot go really to Communion we can merit God’s grace by making a spiritual Communion. What is a spiritual Communion? It is an earnest desire to receive Communion. You prepare yourself as if you were really going to Communion; you try to imagine yourself going up, receiving the Blessed Sacrament, and returning to your place. Then you thank God for all His blessings to you as you would have done had you received. This is an act of devotion, and one very pleasing to God, as many holy writers tell us.

I cannot leave this lesson on the Holy Eucharist without telling you something of the devotion to the Sacred Heart of Jesus, now so universally practised and so closely connected with the devotion to the Blessed Sacrament. The Church grants many indulgences, and Our Lord Himself promises many rewards to those who honor the Sacred Heart. But what do we mean by the Sacred Heart? We mean the real natural heart of Our Lord, to which His divinity is united as it is to His whole body. But why do we adore this real, natural heart of Our Lord? We adore it because love is said to be in the heart, and we wish to return Our Lord love, and gratitude for the great love He has shown to us in dying for us, and in instituting the sacraments, especially the Holy Eucharist, by which He can remain with us in His sacred humanity. When Our Lord appeared to Saint Margaret Mary He said: “Behold this Heart, that has loved men so ardently, and is so little loved in return.” The first Friday of every month and the whole month of June are dedicated to the Sacred Heart.

AN EXPLANATION OF THE Baltimore Catechism
of Christian Doctrine
FOR THE USE OF Sunday-School Teachers and Advanced Classes
BY Rev. THOMAS L. KINKEAD
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS,
Printers to the Holy Apostolic See
Nihil Obstat. D. J. McMAHON, Censor Librorum
lmprimatur. + MICHAEL  AUGUSTINE, Archbishop of New York
New York, September 5, 1891
Nihil Obstat. ARTHUR J. SCANLAN, S.T.D., Censor Librorum
lmprimatur. + PATRICK J. HAYES, D. D. Archbishop of New York
New York, May 7, 1927
COPYRIGHT, 1891, 1921, BY BENZIGER BROTHERS
Printed in the United States of America
LESSON TWENTY-FOUR
ON THE SACRIFICE OF THE MASS p. 242

Spiritual Communion

Jesus, my Saviour and my God! I am not worthy to appear before Thee, for I am a poor sinner; yet I approach Thee with confidence, for Thou hast said, “Come to Me, all you that labor and are burdened, and I will refresh you.” Thou wilt not despise a contrite and humble heart. I am truly sorry for my sins, because by them I have offended Thee, Who art infinitely good. Whatever may have been my foolish transgressions in the past, I love Thee now above all things, and with all my heart. I desire, good Jesus, to receive Thee in holy communion, and since I can not now receive Thee in the Blessed Sacrament, I beseech Thee to come to me spiritually and to refresh my soul with Thy sweetness.

Come, my Lord, my God, and my All ! Come to me, and let me never again be separated from Thee by sin. Teach me Thy blessed ways; help me with Thy grace to imitate Thy example; to practise meekness, humility, charity, and all the virtues of Thy sacred Heart. My divine Master, my one desire is to do Thy will and to love Thee more and more; help me that I may be faithful to the end in Thy service. Bless me in life and in death, that I may praise Thee forever in heaven. Amen.

Shorter Acts for a Spiritual Communion

I

I BELIEVE that Thou, O Jesus, art in the Most Holy Sacrament! I love Thee and desire Thee! Come into my heart. I embrace Thee; oh, never leave me!

II

My Jesus, I love Thee with my whole heart, and I wish to live always united to Thee. As I can not now receive Thee sacramentally, I receive Thee in spirit. Come, then, into my soul; I embrace Thee, and I unite my entire self to Thee; and I beseech Thee never more to allow me to be separated from Thee.

III

O my Jesus, living in the blessed Eucharist,  come and live in my heart in the might of Thy love, by which all within me may become transformed. Reign in me over all my faculties, so that I may no longer live or act but by Thy life and movement. Be Thou, O my Love, the Life of my life, that so each day my heart may become more and more like Thine.

IV

My sweet Jesus, come into my poor heart and remain with me. Poor as it is, may it be to Thee a sanctuary from those who hate Thee, as Thy Heart is to me a refuge and a sanctuary from my enemies.

V

My heart is ready, O my Jesus, to receive Thee. Enter, and stay with me, for the day is far spent. Tribulation draws nigh and there is none to help, but if Thou art with me, I shall not fear.

WITH GOD A Book of Prayers anb Reflections
By Rev. F.X. Lasance
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS, Printers to the Holy Apostolic See 1911
Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor Librorum.
lmprimatur. + JOHN M. FARLEY, Archbishop of New York
New York, June 7, 1911.
Copyright, 1911, by Benziger Brothers.
pp. 644-647

From the Most Rev. William Henry Elder, D. D., Archbishop of Cincinnati.

” … With very particular pleasure I welcome your new edition of Goffine’s Instructions, with an introduction by His Eminence Cardinal Gibbons. And I am glad that you offer it at a reduced price, for it is a book that I commonly recommend all our families to procure and keep and use diligently. Particularly for families living at a distance from church, and not able to attend Mass regularly, GOFFINE’S INSTRUCTIONS for the Sundays and Festivals will help them more than any other book that I know of to sanctify the Sunday in the spirit of the Church …”

From the Right Rev. John Dunne, D.D., Bishop of Wilcannia, Australia.

” … The edition is indeed worthy of your well-known firm, and reflects the highest credit on it. To the isolated family unable to hear Holy Mass on Sunday, it is especially to be recommended for devotion and instructions … “

From the Right Rev. N. Z. Lorrain, P.P., Vicar Apostolic of Pontiac, Ont.

” … No better book can be recommended to Catholic families, particularly to those living far away from the church, and, consequently, are unable to attend Mass every Sunday. I will do my best to have this good and instructive book introduced among the Catholic families of the Vicariate … “

A METHOD OF HEARING MASS SPIRITUALLY,

WHICH MAY BE USED BY THOSE WHO ARE PREVENTED
FROM GOING TO CHURCH.

A GOOD INTENTION BEFORE MASS.

I BELIEVE, Lord Jesus, that in the Last Supper Thou didst offer up a true sacrifice; I believe it because Thou hast made it known to us through the Catholic Church, which from the apostles’ times has constantly taught it to us. Since Thou didst command the apostles and the priests ordained by them, to do the same till the end of time, I therefore offer to Thee, with the priest, this holy sacrifice of the Mass (which I believe to be one with that offered on Mount Calvary), to Thy honor and glory, in acknowledgment of my most bounden service, in thanksgiving for the innumerable benefits which Thou hast con ferred upon me and upon the whole world, in satisfaction for my sins and the sins of all mankind, and for obtaining the grace of perfect contrition for my sins. I also offer to Thee this holy Mass for my friends, benefactors, for those for whom I am bound, and for whom Thou wiliest me to pray. I also offer it for my enemies, that they may be converted, for all the faithful departed, particularly for my parents and relatives, and for the welfare of all Christendom.

I. HEARTFELT DESIRE TO PARTICIPATE IN THE HOLY SACRIFICE.

Most Holy Trinity, God, Father, Son, and Holy Ghost, almighty source of all things; my best Father, my merciful Redeemer, the Fountain of my sanctification and happiness, I, Thy most unworthy creature, venture to appear before Thee, to show Thee, my true God and Creator, all honor, adoration, and trustful submission; to thank Thee for the innumerable benefits which I have received from Thee; to praise Thee for Thy glory (for I am created for Thy praise); to implore Thy mercies, and to appease Thy justice, because I have so often and so grievously sinned against Thee. All this I cannot do in a worthier and more perfect manner than by hearing, with faith and devotion, holy Mass. For in that holy sacrifice is offered to Thee the most sublime sacrifice of praise and thanksgiving, the most efficacious sacrifice of supplication and propitiation, the most worthy sacrifice of salvation for the living and the dead. But because I cannot this day be present bodily at the holy Mass, I will, at least in spirit, place myself before the altar where Jesus Christ in an unbloody manner offers Himself, O heavenly Father, to Thee. With this glorious sacrifice I unite my present prayer; I fervently desire, united with the Son of God, in the strongest manner to praise, love, supplicate Thee, O heavenly Father, to repair all the wrong and shame that I have wrought, and com pletely to accomplish all that can be accomplished by the holy sacrifice of the Mass. To this end give me Thy divine grace, and grant that I may perform all this with sincere devotion. Amen.

II. CONTRITION FOR SINS, WITH FAITH AND CONFIDENCE IN
JESUS CHRIST, AND AN OFFERING OF HIS PRECIOUS MERITS.

Holy Father, I confess with sorrow that I have seldom served Thee with an undivided heart, but rather have often offended Thee, and by my slothfulness and neglect have brought upon myself infinitely great guilt before Thee. I therefore take refuge in the merits of Thy beloved Son, now present upon the altar, Who so freely commends and imparts to us His grace and favor. In the holy sacrifice of the Mass Jesus offers to Thee, for me, the highest veneration and love, the most perfect praise, the most hearty thanksgiving, and the most kind expiation. For the perfect forgiveness of my sins, O heavenly Father, I offer to Thee the whole suffering and death of Jesus Christ, which now, in an unbloody manner, is renewed upon the altar. O most benign Father, Thy Son has suffered and died even for me, a poor sinner. With thankful love I bring before Thee as a precious and pleasing offering, the infinite merits of His suffering and death. I firmly trust that, on account of this inestimable sacrifice of Thy Son, Thou wilt not regard my guilt, and that Thou wilt increase in me Thy graces. Amen.

O Father of mercies, and God of all consolation, to Thee I turn for help and grace. Graciously look upon my misery and wretchedness, and let my supplications come before Thee. That I may the more surely be heard by Thee, I appear before the throne of Thy grace, which for our salvation, is set up in the holy sacrifice of the Mass, where the innocent Lamb of God is mysteriously offered up to Thee, holy Father, Almighty God, for the remission of our sins. Regard, I beseech Thee, the innocence of this holy sacrifice, and for the sake thereof extend to me Thy mercy. O my Saviour, how great is Thy love for me which, to make satisfaction for my sins, and to gain me the grace of Thy Father, impelled Thee to endure for me such bitter pains, and even death itself. Oh, how great is yet Thy love for me, which causes Thee, in every holy Mass to renew, in an unbloody manner, Thy death of propitiation, in order to apply and communicate to me Thy merits. With my whole heart I thank Thee for Thy great love, and from the depths of my soul I beseech Thee to make me a partaker of the fruits of it, and to strengthen and confirm me by the grace of the Holy Ghost, that I may detest sin and all unholy living, that I may crucify my flesh, with all its passions, deny myself, and follow in Thy foot steps, that all my thoughts and words, all that I do or leave un done, may be a living service of God, and a sacrifice well pleasing to Him. As Thou hast offered up Thyself to Thy heavenly Father, so take me also in the arms of Thy love and mercy, and present me, a poor erring sinner, as an offering to Thy Father, and let me no more be separated from His love. Amen.

III. ADORATION OF THE MOST HOLY BODY AND BLOOD OF JESUS
CHRIST, UNDER THE APPEARANCES OF BREAD AND WINE.

O most holy Jesus, before Thee the heavenly choirs kneel and adore; with them I lift up my voice and cry. Holy, holy, holy, art Thou, O Lord of hosts. Heaven and earth are full of Thy grace and glory. Thou art present, O Jesus, under the appearances of bread and wine. Hear, O hear my prayer. I strike my breast and confess my unworthiness; but with firm confidence I implore Thee, O Jesus, be merciful to me. O most benign Jesus, forgive me my sins. O holy blood, wash me from my sins. O precious blood of Jesus, O blood of Jesus, rich in grace, cry out to Heaven for mercy upon me. Most holy God, receive this precious blood, together with the love through which it was shed ; receive it as an offering of my love and thankfulness, for the greatest glory of Thy name; for the forgiveness of my sins; in satisfaction of the punishments which I have deserved; for the washing away of the stains of my guilt, as reparation for all my neglects, and as amends for all the sins which I have committed through ignorance or frailty; receive it also as a sacrifice for the consolation of the afflicted; for the conversion of sinners; for the recovery of the sick and suffering; for the strengthening of those who draw near to death; for the refreshment, purification, and deliverance of the souls of the departed in purgatory. Amen.

IV. UNSHAKEN CONFIDENCE IN JESUS CHRIST.

To Thee, O most benign Jesus, I lift up my eyes and my heart. Oh, turn upon me Thy gracious countenance, and Thy true love. Behold, O Lord, my manifest need, and the great danger of my soul. Oh, receive me, Thou Who art my only true mediator and helper. Be Thou, through the holy sacrifice of the Mass, my salvation, and obtain for me the entire remission of my sins. Oh, represent to Thy Father how cruelly Thou wast scourged, crowned, crucified, and put to death for us, and thereby reconcile with the strict justice of God me, a miserable sinner. Amen.

Our Father. Hail Mary.

V. HE WHO ASKS IN THE NAME OF JESUS SHALL RECEIVE.

O Lamb of God, Who suffered for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up to the Father Thy passion for the forgiveness of my sins. O Lamb of God, Who died for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up to God Thy death in satisfaction for my sins! O Lamb of God, Who didst sacrifice Thyself for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up Thy holy blood to the Father for the cleansing of my soul. Heavenly Father, I offer to Thee this precious and most worthy oblation. My sins are more in number than the hairs of my head, but, O just and merciful God, lay this precious offering in the one scale and my sins in the other, and that will far outweigh my guilt. O merciful, O holy God, give me Thy blessing before I end my prayer, and through this blessing let me obtain grace at once to begin to amend my life, and to re nounce whatever is sinful and displeasing to thee. Support me in my weakness; strengthen me when temptations assail me, and let me never forget that Thou art near me. O precious day! but perhaps the last of my life. O happy day! if it shall make me better. Holy Mother of God, Mary, holy angels and friends of God, pray for me and lead me in the way of truth. O God, grant Thy love to the living, and Thy peace to the dead. Amen.

GOFFINE’S DEVOUT INSTRUCTIONS
ON THE EPISTLES AND GOSPELS
FOR THE SUNDAYS AND HOLYDAYS;
WITH THE LIVES OF MANY SAINTS OF GOD,
EXPLANATIONS OF CHRISTIAN FAITH
AND DUTY AND OF CHURCH CEREMONIES,
A METHOD OF HEARING MASS, MORNING AND EVENING PRAYERS,
AND A DESCRIPTION OF THE HOLY LAND.
WITH A PREFACE BY HIS EMINENCE JAMES, CARDINAL GIBBONS,
ARCHBISHOP OF BALTIMORE.
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO
BENZIGER BROTHERS
Printers to the Holy Apostolic See
PUBLISHERS OF BENZIGER’S MAGAZINE
Nihil Obstat. THOMAS L. KINKEAD, Censor Librorum.
lmprimatur. + MICHAEL AUGUSTINE, Archbishop of New York.
New York, April 29, 1896.
Copyright, 1896, by BENZIGER BROTHERS
APPROBATIONS from sixty one Catholic bishops.
pp. 508-512

UN ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

 Un’indulgenza di 3 anni;

Iindulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit. Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Si propongono le seguenti formule di preghiera come esempio di comunione spirituale:

a) Mio Gesù, credo che Voi siate presente nel Santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e Vi desidero nella mia anima. Poiché non posso ora ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, vi abbraccio e mi unisco a Voi; non permettere che io mi abbia a separare da Voi. (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori).

b) Ai vostri piedi, o mio Gesù, mi prostro e vi offro il pentimento del mio cuore contrito, che è umiliato nel suo nulla e nella vostra santa presenza. Vi adoro nel Sacramento del vostro amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero ricevervi nella povera dimora che il mio cuore vi offre. Nell’attesa della felicità della Comunione sacramentale, desidero processarvi in  spirito. Venite a me, o mio Gesù, poiché io, per parte mia, vengo a Voi! Che il vostro amore abbracci tutto il mio essere nella vita e nella morte. Io credo in Voi, spero in Voi, vi amo. Amen. (Cardinale Raffaele Merry del Val).

ENCHIRIDION INDULGENTIORUM

PRECES ET PIA OPERA – EDITIO ALTERA

TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS MCMLII

Quando non possiamo materialmente andare alla Comunione, possiamo meritare la grazia di Dio facendo una Comunione spirituale. Cos’è una comunione spirituale? È un desiderio sincero di ricevere la Comunione. Ci si prepara come se si stesse veramente andando alla Comunione; si immagina di andare, ricevere il Santissimo Sacramento e tornare al proprioo posto. Allora si ringrazia Dio per le Sue benedizioni su di noi come se l’avessimo ricevuto. Questo è un atto di devozione molto gradito a Dio, come ci dicono molti santi scrittori.

Non posso lasciare questa lezione sulla Santa Eucaristia senza dirvi qualcosa della devozione al Sacro Cuore di Gesù, ora così universalmente praticato e così strettamente connesso con la devozione al Santissimo Sacramento. La Chiesa concede molte indulgenze e Nostro Signore stesso promette molte ricompense a coloro che onorano il Sacro Cuore. Ma cosa intendiamo per il Sacro Cuore? Intendiamo il vero cuore naturale di Nostro Signore, al quale la Sua divinità è unita come lo è per tutto il Suo corpo. Ma perché adoriamo questo cuore reale e naturale di Nostro Signore? Lo adoriamo perché l’amore si dice che sia nel cuore e desideriamo restituire l’amore del Nostro Signore e la gratitudine per il grande amore che Lui ci ha mostrato morendo per noi e istituendo i Sacramenti, specialmente la Santa Eucaristia, mediante la quale Egli può rimanere con noi nella Sua sacra umanità. Quando Nostro Signore apparve a Santa Margherita Maria le disse: “Guarda questo Cuore che ha amato gli uomini così ardentemente, ed in cambio è così poco amato “. Il primo venerdì di ogni mese e l’intero mese di giugno sono dedicati al Sacro Cuore.

AN EXPLANATION OF THE Baltimore Catechism
of Christian Doctrine
FOR THE USE OF Sunday-School Teachers and Advanced Classes
BY Rev. THOMAS L. KINKEAD
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS,
Printers to the Holy Apostolic See
Nihil Obstat. D. J. McMAHON, Censor Librorum
lmprimatur. + MICHAEL  AUGUSTINE, Archbishop of New York
New York, September 5, 1891
Nihil Obstat. ARTHUR J. SCANLAN, S.T.D., Censor Librorum
lmprimatur. + PATRICK J. HAYES, D. D. Archbishop of New York
New York, May 7, 1927
COPYRIGHT, 1891, 1921, BY BENZIGER BROTHERS
Printed in the United States of America
LESSON TWENTY-FOUR
ON THE SACRIFICE OF THE MASS p. 242

Comunione spirituale

Gesù, mio ​​Salvatore e mio Dio! Non sono degno di comparire davanti a Te, perché sono un povero peccatore; eppure mi avvicino a Te con fiducia, poiché Tu hai detto: “Venite a me, tutti voi che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. Non disprezzerai un cuore contrito ed umile, sono veramente dispiaciuto per i miei peccati perché con essi ho offeso Te, sei infinitamente buono. Qualunque possa essere stato il mio insensato peccato nel passato, ti amo ora sopra ogni cosa e con tutto il mio cuore, desidero, Gesù buono, di riceverti nella santa Comunione, e poiché non posso ora riceverti nel Santissimo Sacramento, ti supplico di venire da me spiritualmente e di ristorare la mia anima con la Tua dolcezza.

Vieni, mio ​​Signore, mio ​​Dio e mio Tutto! Vieni da me, e non lasciare più che il peccato mi separi da te. Insegnami le tue sante vie; aiutami con la Tua grazia ad imitare il Tuo esempio: praticare la mansuetudine, l’umiltà, la carità e tutte le virtù del Tuo sacro Cuore. Mio divino Maestro, il mio unico desiderio è di fare la Tua volontà e di amarti sempre di più; aiutami ad essere fedele fino alla fine nel Tuo servizio. Benedicimi in vita e in morte, affinché io possa lodarti per sempre nei cieli. Amen.

Brevi atti per una comunione spirituale

I

IO CREDO che Tu, o Gesù, sia nel Santissimo Sacramento! Ti amo e ti desidero! Vieni nel mio cuore. Ti abbraccio; oh, non lasciarmi mai!

II

Mio Gesù, ti amo con tutto il mio cuore e desidero vivere sempre unito a Te. Poiché non posso ora riceverti sacramentalmente, Ti ricevo in spirito. Vieni, quindi, nella mia anima; Ti abbraccio e mi unisco con tutto me stesso a Te; e Ti prego di non permettermi mai più di essere separato da te.

III

O mio Gesù, vivendo nella benedetta Eucaristia, vieni e vivi nel mio cuore nella forza del Tuo amore, mediante il quale tutto in me può essere trasformato. Regna in me in tutte le mie facoltà, affinché io non possa più vivere o agire se non per la vita Tua ed le Tuoi azioni. Sii, o mio amore, la vita della mia vita, così che ogni giorno il mio cuore possa diventare sempre più simile al Tuo.

IV

Mio dolce Gesù, vieni nel mio povero cuore e resta con me. Povero com’è, possa essere per te un santuario per quelli che ti odiano, come il Tuo cuore è per me un rifugio ed un santuario per i miei nemici.

V

Il mio cuore è pronto, o mio Gesù, a riceverti. Entra, e resta con me, perché il giorno è ormai passato . La tribolazione si avvicina e non c’è nessuno che mi possa aiutare, ma se Tu sei con me, e non avrò paura.

WITH GOD A Book of Prayers anb Reflections
By Rev. F.X. Lasance
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS, Printers to the Holy Apostolic See 1911
Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor Librorum.
lmprimatur. + JOHN M. FARLEY, Archbishop of New York
New York, June 7, 1911.
Copyright, 1911, by Benziger Brothers.
pp. 644-647

Dal Rev. William Henry Elder, D.D., Arcivescovo di Cincinnati.

“… Con grande piacere, accolgo con favore la nuova edizione delle Istruzioni di Goffine, con un’introduzione di Sua Eminenza, il Cardinale Gibbons. E sono lieto che tu me la offra ad un prezzo ridotto, perché è un libro che raccomando di solito a tutte le famiglie di procurarsi e mantenere ed usare diligentemente. In particolare per le famiglie che vivono distanti dalla chiesa, e non sono in grado di frequentare regolarmente la Messa, le ISTRUZIONI di GOFFINE per la domenica e i giorni festivi li aiuteranno più di ogni altro libro che conosco per santificare la domenica nello spirito della Chiesa … “

Dal Rev. John Dunne, D.D., Vescovo di Wilcannia, Australia.

“… L’edizione è davvero degna della tua nota azienda, e riflette il più alto merito su di essa. È soprattutto da raccomandare per le devozione e le istruzioni … Alla famiglia isolata ed impossibilitata ad ascoltare la Santa Messa della Domenica, “

Dal Rev. N. Z. Lorrain, P.P., Vicario Apostolico di Pontiac, Ont.

“… Nessun miglior libro può essere raccomandato alle famiglie cattoliche, in particolare a coloro che vivono lontano dalla Chiesa, e, di conseguenza, non sono in grado di partecipare alla Messa ogni domenica. Farò del mio meglio per avere questo libro buono e istruttivo introdotto tra le famiglie cattoliche del Vicariato … “

UN METODO PER ASCOLTARE SPIRITUALMENTE LA MESSA CHE PUO’ ESSERE USATO DA COLORO CHE SONO IMPOSSIBILITATI AD ANDARE IN CHIESA

UNA BUONA INTENZIONE PRIMA DELLA MESSA

CREDO, Signore Gesù, che nell’Ultima Cena hai offerto un vero Sacrificio; lo credo perché ce lo hai fatto conoscere attraverso la Chiesa Cattolica, ché dai tempi degli Apostoli ci è stato costantemente insegnato. Poiché Tu hai comandato agli Apostoli e ai Sacerdoti ordinati da loro, di fare lo stesso fino alla fine dei tempi, io Ti offro così, mediante il Sacerdote, questo santo Sacrificio della Messa (che credo sia tuttuno con quello offerto sul Monte Calvario), a Tuo onore e gloria, in riconoscimento del mio servizio più profondo, in ringraziamento per gli innumerevoli benefici che Tu hai conferito a tutto il mondo, in soddisfazione dei miei peccati ed i peccati di tutta l’umanità, e per ottenere la grazia della perfetta contrizione dei miei peccati. Ti offro questa santa Messa per i miei amici, i miei benefattori, per coloro ai quali sono legato e per coloro i quali Tu mi imponi di pregare. La offro anche per i miei nemici, affinché possano convertirsi, per tutti i fedeli defunti, in particolare per i miei genitori e parenti e per il bene di tutta la cristianità.

I. IL DESIDERIO DEL CUORE DI PARTECIPARE AL SANTO SACRIFICIO

Santissima Trinità, Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo, fonte onnipotente di tutte le cose; il mio miglior Padre, il mio misericordioso Redentore, la Fonte della mia santificazione e della mia felicità, io, la tua più indegna creatura, mi permetto di comparire davanti a Te per mostrarmi a Te, mio ​​vero Dio e Creatore: a Te tutto ogni onore, adorazione e sottomissione fiduciosa; per ringraziarti degli innumerevoli benefici che ho ricevuto da Te; per lodarti per la tua gloria (poiché sono stato creato per la tua lode); per implorare la tua misericordia e per placare la tua giustizia, perché ho così spesso e gravemente peccato contro di Te. Tutto ciò non posso farlo che in modo più saggio e più perfetto che ascoltando, con fede e devozione, la Santa Messa. Perché in quel Santo Sacrificio è offerto a Te il sacrificio più sublime di lode e di ringraziamento, il sacrificio più efficace di supplica e propiziazione, il sacrificio più degno di salvezza per i vivi e per i morti. Ma poiché oggi non posso essere presente fisicamente alla santa Messa, lo farò, almeno in spirito, posto davanti all’altare dove Gesù Cristo in modo incruento offre Se stesso, a Te, o Padre celeste. Con questo glorioso Sacrificio unisco la mia attuale preghiera; io desidero con fervore, unito al Figlio di Dio, nel modo più forte, di lodare, amare, supplicare Te, o Padre celeste, per riparare a tutto il torto e le ignominie che ho operato, e realizzare pienamente tutto ciò che può essere compiuto dal santo Sacrificio della Messa. A tal fine dammi la tua grazia divina e concedici di compiere tutto questo con sincera devozione. Amen.

II. CONTRIZIONE PER I PECCATI, CON FEDE E FIDUCIA IN GESÙ CRISTO E UN’OFFERTA DEI SUOI MERITI PREZIOSI.

Santo Padre, confesso con dolore che raramente ti ho servito con tutto il cuore, ma piuttosto ti ho spesso offeso, e con la mia indolenza e negligenza ho riportato una colpa infinitamente grande davanti a Te. Mi rifugio quindi nei meriti del Tuo amato Figlio, ora presente sull’altare, che ci ha riscattato e ci ha dato la sua grazia e il suo favore. Nel sacro Sacrificio della Messa, Gesù offre a Te, per me, la più alta venerazione ed amore, la lode più perfetta, il ringraziamento più cordiale e l’espiazione efficace. Per il perdono perfetto dei miei peccati, o Padre celeste, ti offro tutta la sofferenza e la morte di Gesù Cristo, che ora, in modo incruento, si rinnova sull’altare. O padre benigno, il tuo Figlio ha sofferto ed è morto anche per me, povero peccatore. Con amore riconoscente ti porto davanti, come offerta preziosa e gradita, i meriti infiniti della sua sofferenza e morte. Confido fermamente che, a causa di questo inestimabile sacrificio del Tuo Figlio, Tu non considererai la mia colpa, ed aumenterai in me le Tue grazie. Amen.

O Padre di misericordia, e Dio di ogni consolazione, a Te chiedo aiuto e grazia. Guarda con benevolenza la mia miseria e disgrazia e lascia che le mie suppliche vengano a te. Che io possa essere ascoltato da Te, che appaia davanti al trono della Tua grazia che, per la nostra salvezza, è posto nel santo Sacrificio della Messa, dove l’innocente Agnello di Dio è misteriosamente offerto a Te, santo Padre, Dio Onnipotente, per la remissione dei nostri peccati. Riguardo, ti supplico, l’innocenza di questo santo Sacrificio, e per suo mezzo estendi a me la tua misericordia. O mio Salvatore, quanto è grande il Tuo amore per me che, per riparare i miei peccati e farmi guadagnare la grazia del Tuo Padre, ti ha spinto a sopportare per me tali dolori amari e persino la morte stessa. Oh, quanto è grande il Tuo amore per me, che ti spinge, in ogni Santa Messa a rinnovare, in modo incruento, la Tua morte propiziatoria, per applicarmi e comunicarmi i Tuoi meriti. Con tutto il mio cuore Ti ringrazio per il Tuo grande amore, e dal profondo della mia anima ti supplico di farmi partecipe dei suoi frutti, e di rafforzarmi e confermarmi per la grazia dello Spirito Santo, affinché io possa detestare il ​​peccato e tutto il vivere empio, perché io possa crocifiggere la mia carne, con tutte le sue passioni, negare me stesso e seguire i tuoi passi, affinché tutti i miei pensieri e le mie parole, tutto ciò che faccio o che non faccio, possano essere un servizio vivente di Dio e un sacrificio ben gradito a lui. Così come Tu hai offerto Te stesso al tuo Padre celeste, prendimi pure tra le braccia del Tuo amore e misericordia, e presentami, povero peccatore errante, come offerta al Padre, e non lasciare più che sia separato dal Suo amore. Amen.

III. ADORAZIONE DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI GESÙ CRISTO, SOTTO LE SPECIE DEL PANE E DEL VINO.

O santissimo Gesù, davanti a Te i Cori celesti si inginocchiano e ti adorano; con loro alzo la voce e piango. Santo, santo, santo, sei Tu, o Signore degli eserciti. Il cielo e la terra sono pieni della Tua grazia e della Tua gloria. Tu sei presente, o Gesù, sotto le specie del pane e del vino. Ascolta, ascolta la mia preghiera. Batto il mio petto e confesso la mia indegnità; ma con ferma fiducia ti imploro, o Gesù: sii misericordioso con me. O Gesù benigno, perdona i miei peccati. O Sangue santo, lavami dai miei peccati. O sangue prezioso di Gesù, Sangue di Gesù, ricco di grazia, grida al Cielo per pietà! Dio Santissimo, ricevi questo prezioso Sangue, con l’amore con cui è stato versato; ricevilo come offerta del mio amore e della mia gratitudine, per la maggior gloria del tuo Nome; per il perdono dei miei peccati; in soddisfazione delle pene che ho meritato; per lavare via le macchie della mia colpa, come riparazione per tutte le mie negligenze e come ammenda per tutti i peccati che ho commesso per ignoranza o fragilità; ricevilo anche come Sacrificio per la consolazione degli afflitti; per la conversione dei peccatori; per il conforto degli ammalati e dei sofferenti; per il rafforzamento di coloro che si avvicinano alla morte; per il ristoro, la purificazione e la liberazione delle anime dei defunti dal Purgatorio. Amen.

IV. INCROLLABILE FEDE IN GESÙ CRISTO.

A te, o benigno Gesù, alzo gli occhi e il cuore. Oh, rivolgimi il tuo grazioso aspetto e il tuo vero amore. Ecco, o Signore, il mio pressante bisogno ed il grande pericolo della mia anima. Oh, accoglimi, Tu che sei il mio unico vero Mediatore e Aiuto. Sii Tu, attraverso il santo Sacrificio della Messa, la mia salvezza, e ottienimi l’intera remissione dei miei peccati. Oh, rappresenta al tuo Padre quanto crudelmente Tu sia stato flagellato, incoronato, crocifisso e messo a morte per noi, e quindi riconcilia. con la rigida giustizia di Dio, me miserabile peccatore. Amen.

Pater noster…. Ave Maria….

V. CHI CHIEDE IN NOME DI GESÙ RICEVE …

O Agnello di Dio, che ti sei offerto per noi miseri peccatori, abbi pietà di me e offri al Padre la Tua passione per il perdono dei miei peccati. O Agnello di Dio, che sei morto per noi miseri peccatori, abbi pietà di me ed offri a Dio la tua morte in soddisfazione dei miei peccati! O Agnello di Dio, che ti sei sacrificato per noi miserabili peccatori, abbi pietà di me e offri il tuo Sangue santo al Padre per la purificazione della mia anima. Padre Celeste, Ti offro questa oblazione preziosa e degna. I miei peccati sono più numerosi dei miei capelli, ma, Dio giusto e misericordioso, pesa questa preziosa offerta in un piatto e i miei peccati nell’altro, ed essa supererà di gran lunga la mia colpa. O misericordioso, o santo Dio, dammi la tua benedizione prima che io finisca la mia preghiera, e attraverso questa benedizione fammi ottenere subito la grazia per cominciare a cambiare la mia vita, e per rimproverare ciò che è peccaminoso e ti dispiace. Sostienimi nella mia debolezza; rafforzami quando le tentazioni mi assalgono affinchè non dimentichi mai che Tu sei vicino a me. O preziosa giornata! … forse l’ultima della mia vita. O felice giorno! se mi renderà migliore. Santa Madre di Dio, Maria, santi Angeli e amici di Dio, pregate per me e guidatemi sulla via della verità. O Dio, concedi il Tuo amore ai viventi e la Tua pace ai defunti. Amen.GOFFINE’S DEVOUT INSTRUCTIONS
ON THE EPISTLES AND GOSPELS
FOR THE SUNDAYS AND HOLYDAYS;
WITH THE LIVES OF MANY SAINTS OF GOD,
EXPLANATIONS OF CHRISTIAN FAITH
AND DUTY AND OF CHURCH CEREMONIES,
A METHOD OF HEARING MASS, MORNING AND EVENING PRAYERS,
AND A DESCRIPTION OF THE HOLY LAND.
WITH A PREFACE BY HIS EMINENCE JAMES, CARDINAL GIBBONS,
ARCHBISHOP OF BALTIMORE.

Fr.UK, Sacerdote Cattolico.

[Trad. redaz. di G.D. G. ]

CONOSCERE SAN PAOLO (44)

LIBRO V

I canali della redenzione.

CAPO II.

I Sacramenti.

[F. Pratt: La teologia di San Paolo – Parte SECONDA,  S.E.I. Ed. – Torino, 1927 – impr.]

III. L’EUCARISTIA.

1. FORMULE DI PAOLO. — 2. ALLUSIONI AL SACRIFIZIO.

1. Se il Battesimo fa nascere il corpo mistico, l’eucaristia lo alimenta e lo fa crescere. San Paolo presenta insieme il tipo dei due Sacramenti. Gli Ebrei, egli dice, « furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare; e tutti mangiarono il medesimo cibo spirituale e bevvero la medesima bevanda spirituale (I Cor. X, 1-21) ». La manna e l’acqua della rupe sono dette spirituali, sia perché erano frutto di un miracolo, sia perché figuravano i due elementi dell’Eucaristia, cibo e bevanda dell’uomo rigenerato nel Battesimo. – Ad una combinazione fortuita noi siamo debitori dell’insegnamento di Paolo riguardo l’Eucaristia. Egli lo aveva dato a viva voce ai Corinti, come a tutti gli altri catecumeni, e non lo avrebbe ripetuto per iscritto, se non fossero stati i dubbi dei nuovi Cristiani circa gli idolotiti, e se non fossero state le loro irriverenze nella celebrazione dell’agape. Si può credere che il suo insegnamento orale sia stato più diffuso, ma è difficile che fosse più preciso. L’Apostolo ci indica anzitutto la fonte delle sue affermazioni, Gesù Cristo medesimo: « Io ho ricevuto dal Signore quello che alla mia volta ho trasmesso a voi (I Cor. XI, 23) ». Nel descrivere l’istituzione dell’Eucaristia, egli insiste su le circostanze di tempo — « la notte stessa in cui il Signore Gesù veniva consegnato » ai suoi nemici, « alla fine del banchetto » di addio — sia per meglio fissare la scena nella mente dei neofiti, sia piuttosto per metterla in relazione diretta con la morte del Signore Gesù. – La formula della consacrazione del pane non potrebbe essere più chiara. Essa sarebbe non soltanto oscura, ma incomprensibile e contradittoria, se il Salvatore avesse detto: « Questo pane è il mio corpo »; poiché è assolutamente impossibile che una cosa sia e non sia nel medesimo tempo, e non si toglierebbe la difficoltà col racchiudere il corpo del Cristo nel pane ordinario, perché sarebbe sempre falso che il pane reale sia il vero corpo del Cristo. Ma Gesù parla senza equivoco: « Questo è il mio corpo il quale (è) per voi (I Cor. XI, 24) ». Il soggetto della frase è il pronome dimostrativo « questo », cioè questo che voi vedete dinanzi a voi. questo che io vi indico col gesto, questo che non è ancora designato né come pane ordinario né come corpo del Cristo, ma il cui senso sarà determinato alla fine della proposizione, quando si sarà affermato qualche cosa.  verbo sostantivo che serve di copula, esprime, come sempre, l’identità pura e semplice tra il soggetto e il predicato. È consolante il vedere oggi gli esegeti protestanti e razionalisti unirsi ai Cattolici nel riconoscere una verità tanto elementare e nel respingere l’esegesi tendenziosa che traduceva « essere » con « significare », contro l’uso biblico non meno che contro l’uso profano. L’equivoco sarebbe nel predicato? Il « corpo » si dovrebbe prendere in senso figurato, per il simbolo del corpo? L’ipotesi è già inaccettabile per questo, che sconvolge senza ragione il senso naturale dei termini; ma se ne sentirà meglio l’assurdo col sostituire a « corpo » il suo preteso equivalente: « Questo è il simbolo del mio corpo, il quale (simbolo) è per voi. Chiunque mangia il pane e beve il calice indegnamente è colpevole del simbolo del corpo e del simbolo del sangue del Signore ». In quanto poi all’identificazione del corpo eucaristico con la Chiesa, è meglio non parlarne: certi sistemi non hanno bisogno di confutazione e si accennano unicamente per far vedere a quali soluzioni disperate si riduca l’abbandono del solo senso naturale e legittimo. Presa in se stessa indipendentemente dalle allusioni e dalle circostanze che la determinano, l’altra formula di consacrazione: « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue (I Cor. XI, 25) », presenterebbe qualche oscurità. Vi sono due metonimie delle quali l’una prende il contenente per il contenuto, e l’altra prende l’effetto per la causa, cioè la nuova alleanza conchiusa nel sangue del Cristo, per il sangue del Cristo che suggella la nuova alleanza. Però la prima è di uso tanto comune, che « questo calice » desta subito nella mente l’idea di una bevanda. Del resto, eccetto che si fosse adoperato il solo dimostrativo indeterminato « questo », il linguaggio metonimico era qui indispensabile. Difatti Gesù non poteva dire: « Questo vino è il mio sangue » senza profferire un errore e senza imporre alla fede dei suoi discepoli un’equazione incomprensibile. La seconda metonimia è un po’ meno comune, ma essa diventa chiara se si mette nel suo contesto: non potendo il contenuto di un calice materiale essere l’alleanza sigillata nel sangue, bisogna che questo sia il sangue dell’alleanza.  — Gesù Cristo si comporta nella stessa maniera nelle due consacrazioni; tra i due atti v’è un parallelismo completo; dunque se, in virtù delle parole sacramentali, vi è da una parte il Corpo del Cristo, vi sarà dall’altra il suo Sangue. — L’allusione manifesta al racconto dell’esodo, non lascia più nessun dubbio. Mosè, aspergendo il popolo col sangue del sacrificio, dice: « Ecco il sangue dell’alleanza ». Il sangue dell’alleanza e l’alleanza nel sangue sono dunque una medesima cosa. – Certamente nell’una e nell’altra formola la parola del Figlio di Dio è creatrice. La verità enunciata non è anteriore all’enunciazione stessa, come nelle affermazioni ordinarie; essa ne è il prodotto. Ma Gesù Cristo aveva abituato i discepoli a tali miracoli della sua parola, e Colui che guariva con una parola, dicendo: « Tuo figlio è guarito », eppure: « Tu sei libero dalla tua infermità », meritava la stessa fede quando, con una formola analoga, concedeva il dono promesso del suo corpo e del suo sangue. San Paolo aggiunge alla doppia consacrazione l’ordine dato dal Cristo agli Apostoli, di perpetuare l’Eucaristia fino alla consumazione dei secoli. San Luca lo ricorda soltanto dopo la consacrazione del pane, e gli altri due Sinottici non ne fanno menzione, giudicandolo forse superfluo, per motivo della tradizione vivente della Chiesa.

2. In virtù del precetto divino e della spiegazione data dall’Apostolo, l’Eucaristia diventa un rito commemorativo: « Fate questo in memoria di me. Poiché tutte le volte che mangerete questo pane e che berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore fino a che Egli venga ». Ma il rito eucaristico non è una semplice commemorazione del Sacrificio della croce: è esso medesimo un sacrificio commemorativo. San Paolo non dice già: « Questo calice è commemorativo della nuova alleanza conchiusa sul Calvario nel mio sangue »; egli dice invece: « Questo calice è esso medesimo l’alleanza; » in altri termini: « Il sangue contenuto in questo calice sigilla l’alleanza ». È dunque il sangue di una vittima; e il rito che lo versa misticamente avrà il carattere di un sacrificio. Questo risulta anche più chiaramente dal testo parallelo di san Luca: « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue il quale è sparso per voi ». San Luca non dice che il sangue sarà sparso nel momento della passione; ma dice che il sangue è sparso presentemente, nel momento in cui si compie il rito eucaristico; dice anzi, con maggiore energia, che il calice — il sangue contenuto nel calice — è sparso per gli uomini. Presa isolatamente, la formula della consacrazione del pane non suggerisce l’idea del sacrificio: « Questo è il mio corpo il quale è per voi ». Si potrebbe intendere: « che vi è dato come nutrimento » invece di: « che è immolato per voi ». Anche il testo, più esplicito, di san Luca, non toglierebbe pienamente il dubbio: « Questo è il mio corpo che è dato (o abbandonato) per voi ». Si potrebbe, è vero, domandare se un corpo dato in cibo non sia per questo stesso un corpo immolato, e soprattutto se le parole « dato per voi » significhino veramente « dato in cibo » e non indichino piuttosto, come in tutti gli altri casi, l’atto col quale il Cristo si offre come vittima. Ma una certa quale oscurità resterebbe sempre, se si fa astrazione dal parallelismo. – Un altro passo di san Paolo ci fornisce un supplemento di luce. Volendo dimostrare ai Corinzi, che la partecipazione ai banchetti idolatrici è un abuso illecito, qualunque sia l’intenzione con cui si faccia, perché è uno scandalo, un pericolo e un atto formale d’idolatria, l’Apostolo si appella alla loro coscienza: « Io parlo a gente sensata; giudicate voi medesimi quello che dico. Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è la comunione al sangue del Cristo? E il pane che spezziamo non è forse la comunione al corpo del Cristo! Poiché vi è un solo pane, noi siamo, nonostante il nostro numero, un solo corpo; perché noi partecipiamo a questo medesimo pane. Vedete Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime non comunicano forse all’altare? ». E san Paolo, traendo la morale da questa dottrina, conchiude con queste parole: « Quello che i pagani immolano, lo immolano non a Dio ma ai demoni; ora io non voglio che voi siate i commensali dei demoni. Voi non potete bere il calice del Signore e la tazza dei demoni; voi non potete prendere parte alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (I Cor. X, 15-21) ». Se i ragionamenti dell’Apostolo non sono paralogismi, la comunione eucaristica è per i Cristiani quello che per i Gentili è il mangiare gli idolotiti, quello che per gli Ebrei è il banchetto sacro. Ora il banchetto sacro ha un significato religioso; esso costituisce un atto di culto in quanto è il complemento del sacrificio e unisce i fedeli col sacerdote sacrificatore, con l’altare sul quale fu immolata la vittima, e con la vittima stessa.

IV. L’ORDINE.

Il rito d’inaugurazione dei sacri ministri fu sempre e in ogni luogo l’imposizione delle mani. Questo rito, indeterminato per se stesso, prende il suo significato preciso dalle circostanze che lo circondano o dalle parole che lo accompagnano. Noi vediamo nella Scrittura che si fa l’imposizione delle mani dal superiore per benedire, dal taumaturgo per guarire, dagli Apostoli per conferire lo Spirito Santo, dalle autorità ecclesiastiche per comunicare il potere di cui sono investite. L’idea comune a questi quattro modi è la trasmissione di un dono spirituale, di un favore soprannaturale o di un potere sacro. Tutti i fedeli avevano concorso all’elezione dei sette diaconi ellenisti, ma i soli Apostoli imposero loro le mani. Si trattava di renderli atti ad una funzione santa per sua natura, poiché la celebrazione dell’agape era ancora strettamente legata all’Eucaristia. Così si era vigilato affinché i candidati fossero ripieni dello Spirito Santo; l’imposizione delle mani si era fatta in mezzo alle preghiere pubbliche; terminata la cerimonia, i Sette, oltre la cura delle mense, si erano assunto il ministero della predicazione e l’amministrazione del Battesimo, ma senza pretendere di conferire lo Spirito Santo, potere esclusivamente riservato agli Apostoli. La loro istituzione aveva avuto un carattere religioso, e il loro potere era di ordine spirituale, pure rimanendo subalterno (Act. II, 1-6). L’imposizione delle mani era pure adoperata per il grado intermediario del chiericato. Quando Paolo scrive a Timoteo: « Non imporre troppo presto le mani a chiunque (I Tim. V, 22) », parla nominatamente degli anziani nel senso ecclesiastico, e non degli uomini avanzati in età. Finalmente lo stesso rito — fatta astrazione dalle parole o dalle preghiere che dovevano accompagnarlo — serviva egualmente per il grado superiore della gerarchia; e qui i testi sono alquanto più espliciti. Non si può quasi resistere all’impressione, che l’imposizione delle mani descritta nel capo XIII degli Atti avesse lo scopo di trasmettere a Barnaba ed a Saulo il supremo potere dell’ordine. Una semplice benedizione di addio non sarebbe stata circondata da tanta solennità, preceduta da digiuni e compiuta durante la liturgia, per comando dello Spirito Santo. I missionari sono specialmente designati per la conversione dei Gentili, cioè per la fondazione di nuove chiese ove è loro indispensabile il potere dell’ordine. Infatti subito noi li vediamo stabilire degli anziani (πρεβυτέρους = presbuterous) nelle città ove hanno fondato delle cristianità. Si può credere che nessuno avrebbe inteso diversamente il passo degli Atti, senza le difficoltà di trovare in Antiochia un ministro idoneo. Se Barnaba, il personaggio principale di quella chiesa, secondo ogni apparenza, non fosse stato Vescovo, come supporre che fossero Vescovi gli altri profeti e dottori nominati dopo di lui! D’altra parte san Luca non fa menzione della presenza degli Apostoli in Antiochia, in quella circostanza. Si può dire, è vero, che non aveva bisogno di farne menzione, se era cosa riconosciuta, come tutto ci lascia credere, che un potere non viene mai conferito se non da chi lo possiede. Allorché si trattasse di una semplice benedizione, la difficoltà rimarrebbe ancora, perché la benedizione discende dal superiore e non viene data da inferiori o da uguali. – Con la consacrazione di Timoteo da parte di san Paolo, noi ci troviamo in terreno più sicuro. L’Apostolo scrive al suo discepolo: « Non trascurare la grazia (χάρισμα = karisma) che è in te per la profezia (oppure a causa delle profezie . con l’imposizione delle mani del collegio presbiterale. — Io ti esorto a ravvivare la grazia di Dio (χάρισμα = karisma), la quale è in te per l’imposizione delle mie mani (I Tim. IV, 14) ». Noi abbiamo qui un rito esterno — l’imposizione delle mani — ed una grazia interna prodotta dal rito. Qual è questa grazia, questo carisma? Evidentemente non è il dono puramente gratuito che lo Spirito Santo concede o ritira a suo talento, che non è permanente, e che nessuno è in grado di ravvivare o di far nascere. Non è neppure, come certuni suppongono, il carattere episcopale, il potere dell’ordine, poiché non ha nessun bisogno di essere ravvivato, non essendo suscettibile di diminuzione né di perdita. Questo carisma è piuttosto l’attitudine soprannaturale ricevuta col degno esercizio di un ministero sacro, è presso a poco quella che noi chiamiamo grazia dello stato, ossia il complesso dei doni spirituali e il diritto alle grazie attuali che i doveri dell’episcopato esigono. Benché associata al carattere e al potere dell’ordine, ne è tuttavia distinta. Mentre il carattere è indelebile e il potere è inalienabile, il carisma può languire per mancanza di sforzo o di vigilanza; se non arriva a estinguersi, ha bisogno almeno di essere ravvivato. San Paolo indica abbastanza nettamente la natura di questo carisma quando aggiunge: « Poiché Dio non ci ha dato uno spirito di timore ma (uno spirito) di forza, di carità e di temperanza ». Questo carisma ammette dunque un aumento di grazia interiore, con le grazie attuali richieste dalla carica di Vescovo. Ora tutto questo è conferito « dall’imposizione delle mani » dell’Apostolo, non senza il concorso e l’assistenza del collegio presbiterale di Efeso, se la consacrazione, come è probabile, avvenne a Efeso. – Abbiamo dunque, nell’ordinazione di Timoteo, i tre elementi di ciò che la Chiesa oggi chiama Sacramento: un rito esteriore, l’imposizione delle mani; una grazia permanente (χάρισμα = karisma), sorgente di diverse grazie dello stato, prodotta da questo rito; una grazia interiore corrispondente al simbolo del rito esteriore, determinata nel suo significato da un complesso di circostanze, come la designazione profetica e la missione alla quale era destinato Timoteo. L’istituzione divina con la promulgazione immediata o mediata da parte di Gesù Cristo, si sottintende, dal momento che si tratta di annettere la grazia ad un rito.

V. IL MATRIMONIO.

A questa citazione della Genesi: « L’uomo lascerà suo padre e sua madre, e si unirà alla sua sposa, e saranno tutti e due una sola carne », san Paolo aggiunge questa riflessione: « Questo mistero è grande; e io dico: per rapporto al Cristo e alla Chiesa (Ephes. V, 12) ». Secondo il Concilio di Trento, il Sacramento del matrimonio è insinuato in questo testo (Sess. XXIV). Questa è la parola più esatta. In mancanza di affermazione espressa, vi è qui un’indicazione di cui il teologo deve tener conto. Non già che non si possa nulla dedurre dalla traduzione latina: Sacramentum hoc magnum est. Il significato biblico di sacramentum (μυρτήριον= murterion) non è sacramento; esso è o un segreto disegno di Dio relativamente alla salute degli uomini, o una parola o fatto che racchiude un significato simbolico. L’argomentazione da fondare sul testo dell’Apostolo, per provare che il matrimonio è un vero Sacramento, è assai complessa e, qualunque sia la cura con cui venga istruita, vi saranno sempre dei punti deboli. Che l’unione coniugale abbia un carattere sacro — che sia un Sacramento nel senso più largo della parola — non lo nega nessuno. Secondo san Paolo, l’istituzione primitiva del matrimonio o, il che è quasi la stessa cosa, il racconto della Genesi che riferisce tale istituzione, è un gran mistero che simboleggia l’unione del Cristo e della sua Chiesa e che per conseguenza è segno di una cosa eminentemente santa: Sacramentum hoc magnum est, id est sacræ rei signum, scilicet conjunctionis Christi et Ecclesiæ, dice san Tommaso. Se si tratta di un tipo propriamente detto, il matrimonio sarebbe, sotto questo aspetto, un sacramento allo stesso titolo che la circoncisione ed i sacrifici dell’Antica Legge. Siamo ancora ben lontani dal segno sensibile istituito da Gesù Cristo per produrre la grazia che significa. Senza dubbio, una volta che fosse dimostrata la produzione efficace della grazia, l’istituzione divina si dedurrebbe naturalmente dal fatto che a Dio solo appartiene l’annettere la grazia ad un rito esteriore; e la promulgazione da parte del Cristo ne seguirebbe come corollario, poiché Gesù Cristo è il mediatore unico e universale della nuova Alleanza. La questione principale è di sapere se il nostro testo ci permette di concludere che il matrimonio cristiano, al momento in cui si contrae, conferisce la grazia santificante. Non vi è teologo cattolico il quale abbia sostenuto quest’affermazione con più di sottigliezza scolastica o con maggiore erudizione scritturale che il P. Palmieri. Il suo ragionamento si può riassumere così: I riti figurativi della nuova legge sono per loro natura pratici e non speculativi, cioè producono la grazia che significano; ora il matrimonio cristiano, secondo san Paolo, figura l’unione del Cristo e della sua Chiesa; dunque produce la grazia significata da questa unione. Se il matrimonio cristiano in facto esse impone agli sposi obblighi soprannaturali, bisogna che conferisca in fieri una grazia interiore proporzionata a tali obblighi. Si obbietterà che il simbolo del misterioso imene del Cristo e della sua Chiesa è il matrimonio in se stesso, e non il matrimonio cristiano; che per conseguenza, se la dimostrazione precedente provasse qualche cosa, proverebbe che ogni matrimonio è un sacramento. Ma questa obbiezione si può benissimo risolvere. Anzitutto il matrimonio cristiano — e san Paolo parla soltanto di questo perché si rivolge esclusivamente ai fedeli — impone ai coniugi doveri speciali che richiedono l’aiuto di grazie speciali. Gli sposi cristiani, nei loro mutui rapporti, si devono modellare sopra il Cristo e sopra la sua Chiesa: da una parte, sommissione rispettosa fino al sacrificio, dall’altra amore e devozione fino alla morte. Questa fonte di obblighi soprannaturali suppone una fonte corrispondente di grazie soprannaturali; e san Paolo ragiona appunto in tale ipotesi quando esorta i fedeli ad effettuare in se stessi l’imene della Chiesa e del Cristo, di cui la loro unione è l’emblema. In secondo luogo ogni matrimonio potrebbe essere segno, senza essere, per questo, segno efficace, come è il matrimonio cristiano. I riti della nuova legge sono commemorativi e non profetici; essi non guardano verso un avvenire che è ancora in potenza, ma verso il passato che essi fanno rivivere; essi sono pratici e non speculativi: non figurano soltanto la grazia, ma la producono. Se la circoncisione fosse stata mantenuta da Gesù Cristo, come segno della sua alleanza con l’umanità, abbiamo ragione di credere che essa sarebbe diventata un sacramento nel senso stretto della parola. Mutando direzione e significato rivolta verso il passato e non più verso l’avvenire, essa sarebbe stata capace di produrre effettivamente la grazia dell’alleanza; mentre invece, abbandonata a se stessa come un rito infimo e grossolano, perde ogni valore dopo la morte del Cristo. Così il matrimonio, che era in altri tempi il tipo dell’unione del Cristo con la sua Chiesa, cambia significato quando questa unione si consuma sul Golgota: da profetico diventa commemorativo; da speculativo diventa pratico; da inerte diventa efficace. Tuttavia perché l’argomento ricavato dal nostro testo fosse decisivo, bisognerebbe dimostrare: che il simbolismo indicato da san Paolo non è una creazione della sua mente o un rapporto mistico immaginato da lui — ego autem dico — ma che esiste veramente e parte rei per il fatto di una volontà positiva di Dio; che questo simbolo non è un semplice tipo profetico ma un segno pratico e commemorativo; che la grazia annessa al matrimonio non deriva soltanto dai nuovi obblighi inerenti allo stato coniugale — come avviene, per esempio, per lo stato religioso —: ma che essa viene conferita strumentalmente dal rito stesso del contratto matrimoniale in fieri. Ora tutto questo è piuttosto insinuato che affermato nelle parole dell’Apostolo. Quando già si sa che il matrimonio è un Sacramento, si può benissimo trovare in questo testo un’allusione più e meno chiara al rito sacramentale; altrimenti non si penserebbe forse a cercarcela.

11 FEBBRAIO (2019), APPARIZIONE DELL’IMMACOLATA VERGINE MARIA

APPARIZIONE DELL’IMMACOLATA VERGINE MARIA

[DomP. Guéranger, L’Anno liturgico. Vol. I, Ed Paoline, Alba, imprim. 1957]

Il messaggio di Lourdes.

Nelle nubi comparirà il mio arco, ed io mi ricorderò del mio patto con voi (Gen. IX, 14-15). Nell’Ufficio del 1 febbraio 1858 (giovedì di Sessagesima) le lezioni liturgiche ricordavano queste parole alla terra, quando il mondo apprese che in quello stesso giorno Maria era apparsa più bella del segno della speranza, che al tempo del diluvio fu la sua meravigliosa figura. Era il tempo in cui si moltiplicavano per la Chiesa i sintomi forieri di un avvenire che oggi s’è fatto presente e che ben conosciamo. La vecchia umanità sembrava fosse sul punto di sommergere in un diluvio peggiore dell’antico.- IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE, dichiarò la Madre della divina grazia all’umile fanciulla scelta in quel momento a recare il suo messaggio ai custodi dell’arca della salvezza. Alle tenebre che salivano dall’abisso Ella opponeva, come un faro, l’augusto privilegio che, tre anni prima, il supremo Nocchiero aveva proclamato come dogma in sua gloria. Infatti se, come afferma Giovanni il prediletto, è la nostra fede che possiede quaggiù le promesse della vittoria (1 Gv. V, 4); e, se la fede si alimenta di luce: qual dogma meglio di questo che racchiude e proclama tutti gli altri, li rischiara allo stesso tempo disi soave splendore? Sul capo della Trionfatrice temuta dall’inferno, esso è veramente la regale corona su cui, come nell’arca vincitrice delle tempeste, convergono i diversi splendori del cielo. – Tuttavia occorreva aprire gli occhi dei ciechi a queste bellezze, incoraggiare i cuori angosciati dalle audaci negazioni dell’inferno, rialzare dall’impotenza a formulare l’atto di fede tante intelligenze debilitate dall’educazione delle scuole moderne. Convocando le folle sul luogo benedetto della sua apparizione, l’Immacolata veniva incontro, con fortezza e soavità, alle anime deboli guarendo i corpi; sorridendo alla pubblicità e accettando ogni controllo, confermava, con l’autorità del miracolo permanente, la propria parola e la definizione fatta dal Vicario del Suo Figliolo. – Come il Salmista celebrava le opere di Dio che narrano in ogni lingua la gloria del creatore (Sal. XVIII, 2-5); come S. Paolo tacciava d’insania, nonché d’empietà, chiunque non credeva alla loro testimonianza (Rom. I, 18-22): altrettanto si può dire degli uomini del nostro tempo, che sono inescusabili, se non riconoscono dalle opere sue la SS. Vergine. Ella potrebbe moltiplicare i suoi benefici, aver compassione dei più gravi infermi: ma queste anime malate che, nel timore inconfessato di importune conclusioni, ricusano di vedere oltre; o lottando apertamente contro la verità, spingono al paradosso il proprio pensiero, avvolgono nelle tenebre i loro cuori, come dice l’Apostolo (Rom. 1, 21), e fanno temere che il senso depravato, il cui castigo portavano nella carne i pagani (Ibid. 28), abbia leso la loro ragione.

Appello alla penitenza.

« O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi !» È la preghiera che, dall’anno 1830, voi stessa c’insegnaste contro le minacce dell’avvenire. In seguito, nel 1846, i due pastorelli della Salette ci rammentavano le vostre esortazioni e le vostre lacrime. « Pregate per i poveri peccatori e per il mondo cosi sconvolto », ci ripete oggi da parte vostra la veggente della grotta di Massabielle: « Penitenza! penitenza! penitenza! »

Noi vogliamo obbedirvi, o Vergine benedetta, vogliamo combattere in noi e dovunque l’universale e unico nemico, il peccato, male supremo donde derivano tutti i mali. Lode all’Onnipotente, che si degnò preservarvi da ogni contaminazione e specialmente riabilitare in voi la nostra natura umiliata! Lode a voi che, non avendo alcun debito, rimetteste i nostri con le materne lacrime e col sangue del Figliol vostro, riconciliando la terra col cielo e schiacciando la testa al serpente (Gen. III, 15)! Preghiera ed espiazione! Non era questa, sin dai primi tempi, dai tempi degli Apostoli, in questi giorni di avvicinamento più o meno immediato alla Quaresima, l’insistente raccomandazione della Chiesa? O Madre nostra del Cielo, siate benedetta per essere venuta sì opportunamente ad armonizzare la vostra voce con quella della grande Madre della terra. Il mondo ormai rifiutava, non comprendeva più l’infallibile e indispensabile rimedio, offerto dalla misericordia e dalla giustizia di Dio alla sua miseria; sembrava aver dimenticato per sempre il monito: Se non fate penitenza perirete tutti (Lc. XIII, 3-5). La vostra pietà, o Maria, ci desta dal nostro torpore! Conoscendo la nostra debolezza, voi accompagnate con mille dolcezze il calice amaro, e per indurre l’uomo ad implorarvi i beni eterni, gli prodigate quelli del tempo. Noi non vorremo essere come quei fanciulli che ricevono volentieri le carezze materne e trascurano gl’insegnamenti e le correzioni che quelle carezze avevano lo scopo di fare accettare. D’ora innanzi sapremo, con voi e con Gesù, pregare e soffrire; durante la santa Quarantena, col vostro aiuto, ci convertiremo e faremo penitenza.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI E APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – CHARITAS QUÆ

“…. nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro.” Questa è la conclusione perentoria di questa lettera enciclica scritta in occasione dei tragici eventi francesi postrivoluzionari, con l’obiettivo deciso di sanzionare qualsiasi indebita consacrazione vescovile attuata senza l’autorizzazione della Sede Apostolica, senza mandato, priva quindi di qualsiasi forma di giurisdizione, missione canonica, illegittima, scismatica e sacrilega. Questa stessa condizione, anche se in momenti storici ben diversi, si è ripresentata in tempi più recenti nei quali pastori superbi ed indegni, si sono arrogati il potere di consacrare [ … o meglio non-consacrare] fantocci impennacchiati senza mandato Apostolico e adducendo ridicoli stati di necessità, ampiamente condannati da Pontefici di ogni tempo, ultimo S. S. Pio XII. Questi ridicoli pseudo-prelati, che hanno a loro volta creato illegittimi e scismatici finti-preti, passano addirittura per tradizionalisti Cattolici, onde carpire la buona fede di ignari e male informati fanta-fedeli illusi da una messa tridentina aleatoria, sacrilega ed invalida. In particolare sono i “figliocci” e derivati del “cavaliere kadosh” Lienart 30 :. , agente massonico della “ganascia” destra della tenaglia trita-Cristiani ideata dai nemici di Dio, di Cristo e di tutti gli uomini, per distruggere la Chiesa Cattolica … si fieri potest!, in combutta con la ganascia sinistra del satanico “novus ordo” degli antipapi delle logge del sacro (un tempo) colle. Questi pseudo-vescovi in particolare, non hanno sede diocesana, e sono totalmente abusivi e senza alcuna autorità canonica e spirituale, dispensatori di finti e funesti sacramenti oltremodo invalidi, e maledicenti. Oggi poi la situazione è totalmente confusa, essendo i kadoshiano-derivati, scismatici dagli scismatici novusordisti … un tragico pasticcio che, se non fosse così deleterio e mortale per il destino di milioni di anime, sarebbe tutto da ridere e sbeffeggiare. Che dire? … veramente la Chiesa Cattolica è in eclissi totale, anzi oramai nel sepolcro; però ricordiamoci come il suo Fondatore dal sepolcro sia uscito glorioso e vincente sul suo nemico capitale! Questa sarà la sorte della Chiesa di Cristo: quando sembrerà morta e nel sepolcro, ribalterà la pietra tombale dalla quale è stata rinchiusa da apostati e da servi del demonio, e trionfante occuperà nuovamente con onore e splendore gli edifici e gli uffici con violenza usurpati. Su questo non dubitiamo affatto, perché il Signore Nostro Gesù Cristo ce lo ha solennemente promesso, e … il suo Apostolo lo ricordava ai fedeli di Tessalonica. – Leggiamo quindi l’enciclica che condanna i lupi di ogni tempo che, sotto l’aspetto di agnelli, penetrano nell’ovile di Cristo per fare stragi di anime, lupi che al fine subiranno la sorte del loro padre lucifero “… verumtamen ad infernum detraheris in profundum laci” [Isa. XIV, 15].

 Charitas quae, docente Paulo apostolo, patiens et benigna est

S. S. PIO VI

LITT. Apostol. In forma brevis

“CHARITAS QUÆ”

 “SULLA CONDANNA DEL GIURAMENTO CIVILE DEI CHIERICI DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE, E LA RIPROVAZIONE DI ALCUNE ELEZIONI E CONSACRAZIONE DI PSEUDO-VESCOVI.

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. VI

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE.

La carità, che – come insegna l’apostolo Paolo – è paziente e benigna, tollera e sopporta tutto, fintanto che rimane la speranza che per mezzo della mansuetudine ci si possa opporre agli errori che ormai hanno cominciato a farsi strada. Tuttavia, se gli errori crescono di giorno in giorno, a tal punto da far precipitare nello scisma, allora le stesse leggi della carità, strettamente congiunte agl’impegni apostolici, che indegnamente svolgiamo, richiedono ed impongono che sia approntata una medicina paterna, ma pronta ed altrettanto efficace contro la malattia incipiente, dopo aver mostrato a coloro che sbagliano l’orrore della colpa e la gravità delle pene canoniche nelle quali sono incorsi. In tal modo, coloro che si sono allontanati dalla via della verità possono riaversi e, abiurati gli errori, potranno rientrare nella Chiesa che, come madre affettuosa, accoglierà a braccia aperte il loro ritorno; e gli altri fedeli eviteranno opportunamente gl’inganni degli pseudo-pastori, i quali (entrati nell’ovile in tutti i modi, ma non per la porta) non chiedono altro se non di rubare, uccidere, distruggere. Avendo davanti agli occhi questi precetti divini, a malapena abbiamo udito il rumore della guerra alla quale aizzavano contro la Religione Cattolica i filosofi innovatori riuniti nell’Assemblea Nazionale di Francia, della quale costituivano la maggior parte; piangemmo amaramente davanti a Dio e dopo aver partecipato ai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa l’ansietà del Nostro animo, abbiamo indetto preghiere pubbliche e private. In seguito, con lettera del 9 luglio 1790 al Nostro carissimo figlio in Cristo Ludovico, re cristianissimo, lo abbiamo reiteratamente esortato a non sanzionare la “Costituzione Civile del Clero” che avrebbe portato la Nazione verso l’errore e il Regno verso lo scisma. Non poteva in nessun modo avvenire che un’assemblea politica di persone cambiasse l’universale disciplina della Chiesa, conculcasse le sentenze dei Santi Padri e i decreti dei Concili, sovvertisse l’ordine gerarchico, regolasse a suo capriccio l’elezione dei Vescovi, distruggesse le sedi episcopali e, eliminata la migliore organizzazione, ne introducesse nella Chiesa una peggiore. Affinché le Nostre esortazioni penetrassero più a fondo nell’animo del Re cristianissimo, scrivemmo al-tre due lettere in forma di Breve, il giorno 10 dello stesso mese, ai Venerabili fratelli arcivescovi di Bordeaux e di Vienne, che erano al fianco del re, e paternamente li ammonimmo perché unissero il loro intervento ai Nostri; si doveva scongiurare che, se l’autorità regia avesse accettato la predetta “Costituzione”, il Regno stesso diventasse scismatico, e scismatici i vescovi che fossero creati secondo la forma fissata dai Decreti; nel qual caso Noi saremmo obbligati a bollarli come intrusi, totalmente privi di giurisdizione ecclesiastica. Perché non si potesse minimamente dubitare che le Nostre ansiose sollecitudini fossero motivate soltanto da preoccupazioni religiose e per chiudere la bocca ai nemici di questa Sede Apostolica, decretammo che fosse sospesa in Francia l’esazione delle tasse, dovute ai Nostri uffici dalle precedenti Convenzioni e dalla ininterrotta consuetudine. Il Re cristianissimo si sarebbe certamente astenuto dal confermare la Costituzione, ma l’incalzante, impellente comportamento dell’Assemblea nazionale lo indusse a subire e a sottoscrivere la Costituzione, come dimostrano le lettere che Ci ha inviato il 28 luglio, il 6 settembre ed il 16 dicembre; in esse chiedeva che Noi approvassimo, almeno per precauzione, prima cinque e poi sette articoli, i quali, poco dissimili l’uno dall’altro, costituivano quasi un sunto della nuova Costituzione. Ben presto ci rendemmo conto che nessuno di quegli articoli poteva essere da Noi approvato o tollera-to, in quanto contrario alle regole canoniche. Non volendo tuttavia che da ciò i nemici cogliessero l’occasione di ingannare il popolo, come se Noi fossimo contrari a qualunque forma di conciliazione, e volendo continuare sulla stessa strada di mansuetudine, annunciammo al Re, con lettera del 17 agosto a lui stesso indirizzata, che gli articoli sarebbero stati da Noi attentamente soppesati e che i Cardinali di Santa Romana Chiesa sarebbero stati chiamati a consiglio e, riuniti, avrebbero esattamente ponderato. Essi dunque si riunirono due volte, il 24 settembre ed il 16 dicembre, per esaminare i primi ed i secondi articoli; svolto un diligentissimo esame, ritennero all’unanimità che sugli articoli in questione si dovesse sentire il parere dei Vescovi francesi, perché indicassero essi stessi, se era possibile, qualche fondamento canonico che da lontano non si riusciva ad individuare, come già Noi avevamo scritto in precedenza con altra Nostra lettera al Re cristianissimo. Una non lieve consolazione al dolore che fortemente Ci affliggeva derivò dal fatto che la maggior parte dei Vescovi francesi, spontaneamente spinta dai doveri dell’impegno pastorale e mossa dall’amore per la verità, si mostrava costantemente contraria a questa Costituzione e la combatteva in tutti i modi che sono propri del regime della Chiesa. Questa Nostra consolazione fu ulteriormente aumentata allorché il Nostro diletto figlio il Cardinale Rochefoucauld e i Venerabili Fratelli l’Arcivescovo di Aix ed altri Arcivescovi e Vescovi in numero di trenta, per prevenire tanti e tanto grandi mali, si rivolsero a Noi; con lettera del 10 ottobre mandarono una “Esposizione sopra i principi della Costituzione del Clero”, firmata da ognuno col proprio nome, chiedendo il Nostro consiglio ed il Nostro aiuto; implorarono da Noi, come da un comune Maestro e Genitore, la corretta norma di comportamento, alla quale affidarsi con tranquillità. Ciò che soprattutto accrebbe la Nostra consolazione fu che molti altri Vescovi si unirono ai primi, sottoscrivendo la predetta “Esposizione”, di modo che dei 131 Vescovi di codesto Regno soltanto quattro si mantennero di diverso avviso; ed insieme a questo così grande numero di Vescovi anche la moltitudine dei Capitoli e la maggior parte dei Parroci e dei Pastori di second’ordine conveniva che questa “Esposizione”, fatta propria col consenso degli animi, dovesse far parte della Dottrina di tutta la Chiesa Francese. Noi stessi, senza frapporre indugio, mettemmo mano all’opera e sottoponemmo ad esame tutti gli articoli di detta Costituzione. Ma l’Assemblea Nazionale Francese, nonostante udisse la voce concorde di codesta Chiesa, non pensò minimamente di desistere dalla propria impresa, anzi fu maggiormente irritata dalla coerenza dei Vescovi. Rendendosi perfettamente conto che fra i Metropolitani e fra i Vescovi più anziani non se ne sarebbe trovato nessuno disponibile a legittimare i nuovi Vescovi, eletti nei Distretti municipali col voto dei laici, degli eretici, degli infedeli e degli ebrei, secondo quanto disponevano i nuovi Decreti; consapevole inoltre che questa assurda forma di regime non avrebbe potuto sussistere da nessuna parte, dal momento che senza Vescovi scompare qualunque forma di Chiesa, l’Assemblea pensò di pubblicare altri Decreti ancora più assurdi; cosa che fece il 15 e il 27 novembre e poi ancora il 3, 4 e 26 gennaio 1791. Con questi ulteriori Decreti, ai quali aggiunse forza l’autorità regia, venne stabilito che – qualora il Metropolitano oppure il Vescovo più vecchio si fosse rifiutato di consacrare i nuovi eletti – qualunque Vescovo di un altro Distretto avrebbe potuto farlo. Inoltre, per far sì che con un’unica azione ed in un solo momento venissero tolti di mezzo tutti i Vescovi onesti e tutti i Parroci animati dalla Religione Cattolica, fu disposto anche che tutti i Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, giurassero tutti, senza alcuna aggiunta, di osservare la Costituzione: sia quella già promulgata, sia le norme che fossero approvate in seguito. Coloro che si fossero rifiutati di prestare giuramento, sarebbero addirittura stati rimossi dal loro grado e le loro sedi e le loro parrocchie considerate vacanti del pastore. Espulsi dunque, anche con la violenza, i legittimi Pastori e Ministri, sarebbe stato lecito procedere all’elezione di nuovi Vescovi e Parroci nei Distretti municipali; messi in disparte i Metropolitani ed i Vescovi più vecchi, che non si fossero piegati al giuramento, questi eletti avrebbero dovuto presentarsi al Direttorio (cui competerebbe la designazione di qualunque Vescovo) per essere confermati ed istituiti. Decreti di questo tenore, successivamente pubblicati, gravarono il Nostro animo di un dolore smisurato ed aumentarono la Nostra pena, perché Ci toccò occuparci anche di questi temi nella risposta ai Vescovi

che stavamo preparando. I decreti Ci sollecitarono di nuovo ad indire pubbliche preghiere e ad implorare il Padre di ogni misericordia. Essi furono anche la causa per cui i Vescovi francesi, che già con egregie, meditate pubblicazioni si erano opposti alla Costituzione del Clero, diedero alle stampe nuove Lettere Pastorali al popolo, e si diedero da fare con il massimo impegno a contrastare le disposizioni relative alla deposizione dei Vescovi, alle vacanze delle sedi episcopali, alle elezioni e ratifiche dei nuovi Pastori. Da ciò è derivato che – per espresso accordo di tutta la Chiesa francese – i giuramenti civici vennero considerati come spergiuri e sacrileghi, totalmente indegni non solo degli ecclesiastici ma di qualunque persona cattolica; tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, furono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure. A queste lodevolissime dichiarazioni del clero francese corrisposero anche i fatti; quasi tutti i Vescovi, infatti, e la maggior parte dei Parroci si rifiutarono, con invitta coerenza, di prestare il giuramento. Allora i nemici della Religione si resero conto che tutti i loro malvagi disegni sarebbero andati a vuoto se non fossero riusciti a guadagnarsi l’animo di qualche Vescovo, debole o mosso dall’ambizione; qualcuno che prestasse il giuramento di proteggere la Costituzione e muovesse le sacrileghe mani alle Consa-crazioni, affinché niente più mancasse per introdurre lo scisma. Fra quelli abbattuti dall’altrui malizia il primo fu Carlo, Vescovo di Autun, difensore acerrimo della Costituzione; il secondo fu Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda; il terzo Ludovico, Vescovo d’Orléans; il quarto Carlo, Vescovo di Viviers; il quinto il Cardinale di Loménie ed Arcivescovo di Sens e pochissimi, infelicissimi Pastori di se-cond’ordine. Per quanto attiene al Cardinale di Loménie, con lettera indirizzata a Noi il 25 novembre scorso, tentando di giustificare il giuramento che aveva prestato, affermava che non doveva essere considerato come un “consenso dell’animo” e che comunque egli si trovava profondamente dubbioso se rifiutarsi di imporre le mani agli eletti (come fino a quel momento aveva evitato di fare) oppure no. Poiché il problema più importante era che nessuno dei vescovi consacrasse gli eletti (cosa che avrebbe rafforzato la via dello scisma), Ci parve opportuno sospendere la Nostra risposta ai Vescovi, che era quasi conclusa, e senza indugio riscrivere, il 23 febbraio, al Cardinale, dimostrandogli sia il suo errore di valutazione nel prestare giuramento, sia anche quali pene sono previste dai Canoni; pene alle quali, non senza dolore nell’animo Nostro, avremmo dovuto sottoporlo, privandolo anche della dignità cardinalizia, se non avesse riparato la pubblica offesa con una tempestiva ed adeguata ritrattazione. Per quanto poi atteneva al dubbio se consacrare o no gli pseudo-eletti, gli ordinammo formalmente di non procedere oltre nell’istituire nuovi Vescovi, neppure per stato di necessità, per non aggiungere nuovi interlocutori ostili alla Chiesa. Si tratta infatti di un diritto che spetta unicamente alla Sede Apostolica, sulla base di quanto fissato dalle norme del Concilio di Trento, e che nessuno dei Vescovi o dei Metropoliti può arrogarsi; in caso contrario, Noi siamo obbligati dal nostro dovere apostolico a considerare scismatici tanto coloro che consacrano quanto coloro che sono consacrati, e di nessun valore tutti gli atti che sia gli uni sia gli altri andranno producendo. Esaurite queste incombenze, che C’imponeva la natura del Nostro supremo compito pastorale, fu opportuno per Noi rimettere mano alla risposta, che già era costata grande impegno e lunga fatica, per le molteplici novità che si erano accumulate. Con l’aiuto di Dio la completammo, affinché una volta esaminati tutti gli articoli, chiunque avesse ben chiaro che la nuova Costituzione – sulla base del Nostro giudizio e di quello della Sede apostolica, che i Vescovi francesi Ci avevano richiesto e che i Cattolici francesi desideravano grandemente – nasceva da principi contaminati dall’eresia, e perciò in parecchi decreti era eretica a propria volta e contraria al dogma cattolico; in altri invece sacrilega, scismatica, distruttiva dei diritti del Primato e della Chiesa, contraria sia alla vecchia sia alla nuova disciplina; in definitiva, strutturata e diffusa senz’altro scopo che abolire la Religione Cattolica. Ogni libertà di professarla viene infatti negata, i legittimi Pastori vengono rimossi, i beni occupati; invece, gli uomini di altre sette vengono pacificamente lasciati nella loro libertà e nel possesso dei loro beni. Nonostante avessimo dimostrato con chiarezza tutto ciò, e tuttavia non volendo abbandonare la strada della mansuetudine, dichiarammo che fino a quel momento ci eravamo astenuti dal considerare separati dalla Chiesa Cattolica gli autori della malefica Costituzione civile del clero; ma contemporaneamente dovemmo ripetere che (come la Santa Sede ha sempre usato fare in casi di questo genere) saremmo purtroppo costretti a  dichiarare scismatici tutti coloro che non si allontanassero dagli errori che Noi abbiamo illustrati, sia che si tratti degli autori di questa Costituzione, sia di persone che vi abbiano aderito con giuramento; che siano stati nominati nuovi pastori o che abbiano consacrato gli eletti, o che dagli eletti siano stati consacrati. Tutti costoro infatti, chiunque fossero, sarebbero privi della legittima missione e della comunione con la Chiesa. Poiché – fatti salvi il dogma e la disciplina universale della Chiesa – il Nostro animo è disposto a favorire, fin dove è lecito, l’illustre nazione francese, seguendo il consiglio dei Cardinali convocati per questo motivo e ripetendo ciò che già avevamo scritto personalmente al Re cristianissimo, esortammo i Vescovi, sotto i cui occhi le cose si svolgevano, a prospettarci qualche altro tipo d’intervento – se fosse possibile trovarlo – non in contrasto con il dogma cattolico e con la disciplina universale, da sottoporre al Nostro esame ed alla Nostra decisione. Questi sentimenti del Nostro animo vennero da Noi esposti an-che al Nostro carissimo figlio in Cristo, il Re cristianissimo, al quale mandammo copia della Nostra ri-sposta ai Vescovi; inoltre lo esortammo nel Signore a preparare, con l’aiuto dei Vescovi più saggi, una medicina più adatta al male che era derivato anche dall’autorità regia e lo assicurammo che contro coloro che si fossero mantenuti pervicacemente nell’errore Noi avremmo eseguito (come deriva dall’obbligo pastorale) ciò che, posti nella stessa condizione, anche i Nostri Predecessori disposero. Entrambe le Nostre lettere, quella al Re e quella ai Vescovi, furono spedite il 10 marzo con un corriere speciale, che partì il giorno successivo. Di nuovo, il giorno 15 dello stesso mese, con l’arrivo del corriere ordinario proveniente dalla Francia, da ogni parte Ci venne riferito che il 24 febbraio a Parigi si era raggiunto il culmine dello scisma. In quel giorno infatti il Vescovo d’Autun (già colpevole di spergiuro e reo di defezione per aver abbandonato la Chiesa di propria volontà e davanti ai Laici) con un comportamento ben dissimile da quello del suo Capitolo, meritevole invece d’ogni elogio, si unì ai Vescovi di Babilonia e di Lidda. Il primo di questi, che era stato da Noi insignito del pallio e gratificato anche di sussidi, si dimostrò degno successore di un altro Vescovo di Babilonia, quel Domenico Varlet ben noto per lo scisma della Chiesa di Utrecht; il secondo, già colpevole di spergiuro, era già incorso nell’odio e nella disistima dei buoni allorché s’era mostrato dissidente dalla retta dottrina del Vescovo e del Capi-tolo della Chiesa di Basilea, della quale egli è suffraganeo. In quel giorno, dunque, il Vescovo d’Autun, con l’aiuto di questi due vescovi, senza farne parola all’Ordinario, nella chiesa dei Preti dell’Oratorio osò imporre le sacrileghe mani a Luigi Alessandro Expilly e a Claudio Eustachio Francesco Marolles, senza averne ricevuto alcun mandato dalla Sede apostolica, senza richiedere il giuramento dell’obbedienza dovuta al Pontefice; tralasciando inoltre l’esame e la confessione di fede prescritta dal Pontificale Romano (formalità che devono essere osservate in tutte le chiese del mondo) e trascurando, violando, disprezzando anche tutte le altre norme. Tutto ciò, sebbene non potesse ignorare che il primo dei due era stato eletto illegittimamente Vescovo di Cornovaglia, nonostante le gravi e ripetute contestazioni di quel Capitolo, e che l’altro ancor meno legittimamente era stato nominato Vescovo di Soissons, della diocesi che ha invece come proprio pastore vivo e vegeto il reverendo fratello Enrico Giuseppe Claudio de Bourdeilles. Questi ritenne suo preciso dovere opporsi con veemenza a tanto grande profanazione e difendere con impegno la sua diocesi, come testimonia la sua sollecita lettera al popolo datata 25 febbraio. Contemporaneamente Ci venne riferito che il vescovo di Lidda aveva aggiunto al vecchio anche un nuovo crimine. Il giorno 27 dello stesso mese di febbraio, in compagnia dei nuovi pseudo-Vescovi Expilly e Marolles, nella stessa chiesa aveva osato consacrare in maniera sacrilega il parroco Saurine come Vescovo di Aix, quantunque anche questa Chiesa gioisca lieta dell’ottimo suo Pastore, il reverendo fratello Carlo Augusto Lequien. Forse da ciò è derivato che lo stesso vescovo di Lidda, Giovanni Giuseppe Gobel, pur essendone tuttora vivo l’Arcivescovo, fu nominato capo della chiesa di Parigi, sull’esempio di Ischira, che, a compenso del crimine commesso e dell’ossequio tributato nell’accusare e nel cacciare dalla sua sede Sant’Atanasio, nel Conciliabolo di Tiro fu proclamato Vescovo di quella città. Notizie così dolorose e tristi riempirono il Nostro animo di dolore e tristezza incredibili. Confortati tuttavia dalla speranza in Dio, il giorno 17 di marzo ordinammo che fosse di nuovo convocata la Congregazione dei Cardinali, affinché Ci esprimesse il proprio parere su una situazione di tale gravità, come  già aveva fatto altre volte. Mentre Ci preoccupavamo di dar corso alla delibera assunta con il consiglio dei Cardinali, il giorno 21 dello stesso mese un altro corriere giunto da codesto Regno riferisce che il Vescovo di Lidda, divenuto ancora più perfido, insieme agli pseudo-Vescovi Expilly e Saurine, il giorno 6 dello stesso mese, nella stessa chiesa, con le stesse sacrileghe mani aveva consacrato Vescovo di Beauvais il parroco Massieu, deputato dell’Assemblea francese; un altro deputato, il parroco Lindet, Vescovo di Eureux; il parroco Laurent, anch’egli deputato, Vescovo di Moutiers; il parroco Heraudin Vescovo di Châteauroux. Egli osò far questo nonostante le due prime diocesi abbiano tuttora i loro pastori legittimi e le altre due chiese non siano state ancora erette dall’autorità Apostolica in sedi vescovili. Quale giudizio si debba dare di coloro che accettano di essere eletti e consacrati in Chiese regolarmente rette ed amministrate dai loro Vescovi, lo spiegò egregiamente, molti anni prima di Noi, San Leone. Scrivendo infatti a Giuliano, Vescovo di Coo, contro un certo Teodosio che aveva occupato la sede del Vescovo Giovenale, ancora vivente, al cap. IV sostenne: “Che uomo sia colui che s’introduce nella sede di un Vescovo vivente si desume con chiarezza dallo stesso gesto; né c’è da dubitare che sia un malvagio colui che è amato dai nemici della fede”. Con quanta ragione la Chiesa si sia sempre tenuta lontana da coloro che vengono eletti dalla turba e dalla confusione dei laici (mentre eletti ed elettori si dimostrano affetti da una stessa malattia: quella delle false opinioni) Ce lo dimostrò, anche troppo, una lettera pastorale a Noi indirizzata – giunta per il tramite dello stesso corriere – che lo pseudo-Vescovo Expilly aveva fatto pubblicare il 25 febbraio per ingannare gl’inesperti e senz’altro disegno, certamente, che stracciare l’inconsutile veste di Cristo. Costui, dunque, dopo aver ricordato il giuramento – ovverossia lo spergiuro – al quale s’è vincolato, espone tutti i fondamenti della Costituzione francese, che riporta quasi parola per parola, e – condividendo le posizioni dell’Assemblea – ne consiglia l’approvazione; sostiene che una Costituzione come quella non offende assolutamente il dogma, ma soltanto introduce una forma migliore di disciplina, riportandola alla purezza dei primi secoli, soprattutto in quella parte nella quale, allontanato il clero, le elezioni vengono restituite al popolo e le istituzioni e le consacrazioni ai Metropolitani, grazie ai primi Decreti dell’Assemblea francese, i soli che egli cita. Per ingannare meglio gl’inesperti, egli ricorda una lettera che Ci scrisse il 18 novembre 1790, come se fosse stato in accordo con la Sede Apostolica. In seguito, ri-volgendosi direttamente ai singoli Ordini della Diocesi, li esorta tutti ad accoglierlo come legittimo Pastore e ad accettare spontaneamente la Costituzione. Ah, l’infelice! Tralasciando Noi volutamente quei temi che attengono al governo civile, tuttavia, con quale mai coraggio egli intende difendere, sul piano religioso, una Costituzione che quasi tutti i Vescovi della Chiesa francese e molti altri uomini di Chiesa hanno riprovata e rigettata, considerandola contraria al dogma e difforme dalla disciplina consueta, in particolare per le elezioni e le consacrazioni dei Vescovi? Questa verità, che salta agli occhi, neppure lui avrebbe potuto dissimulare o celare se non avesse passato consapevolmente sotto silenzio i decreti più assurdi che ultimamente erano stati approvati dall’Assemblea francese. Decreti che, oltre le altre iniquità, sono arrivati al punto di attribuire il diritto di nomina e di conferma di ogni Vescovo all’arbitrio e alla volontà del Direttorio. Codesto infelice, che già tanto è avanzato sulla via della perdizione, si legga dunque la Nostra risposta ai Vescovi della Gallia, nella quale abbiamo confutato ed abbattuto in anticipo tutti i mostruosi errori della sua lettera, e capirà quanto chiaramente risplenda nei singoli articoli la verità che egli odia. Sappia intanto di essersi già condannato da solo. Se infatti è vero (come prevede l’antica disciplina sulla base del Canone del Concilio di Nicea, cui egli fa riferimento) che ogni eletto, per ottenere il riconoscimento legittimo del titolo, dev’essere confermato dal suo Metropolita e che il diritto dei Metropoliti deriva dal diritto della Sede Apostolica, come potrà accadere che Expilly si ritenga insediato legittimamente sulla base dei Canoni, dal momento che alla sua consacrazione hanno avuto parte altri Vescovi ma non l’Arcivescovo di Tours, di cui la Chiesa di Kimpercotin è suffraganea? Poiché questi Vescovi appartengono ad altre province, se poterono, con ardire sacrilego, conferirgli l’Ordine, non poterono tuttavia attribuirgli la giurisdizione, della quale essi sono completamente privi, come prevede la disciplina di tutte le epoche. Questa potestà di conferire la giurisdizione, sulla base della nuova disciplina, introdotta già da molti secoli e confermata dai Concilii generali e dagli stessi Concordati, non riguarda assolutamente i Metropoliti e – come se fosse ritornata da dove proveniva – risiede unicamente presso la Sede  Apostolica; perciò oggi “il Pontefice Romano per obbligo del suo ufficio dà a ciascuna Chiesa i suoi Pastori”, per dirla con lo stesso Concilio di Trento (Sessione XXIV, cap. 1 De ref.), e di conseguenza in tutta la Chiesa Cattolica nessuna consacrazione può considerarsi legittima se non conferita dalla Sede Apostolica. Non è assolutamente vero che la lettera che egli Ci ha inviato lo favorisca; anzi! Lo rende maggiormente colpevole e non può sfuggire alla taccia di scismatico. Infatti, pur simulando un’apparenza di comunione con Noi, la lettera non fa parola della conferma che da Noi deve ricevere, e semplicemente Ci riferisce della sua elezione, per quanto illegittima, come dispongono i Decreti francesi. Per questo, Noi, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori, giudicammo di non dovergli rispondere, ma ordinammo che fosse seriamente ammonito a non procedere oltre; speravamo che avrebbe obbedito. Egli era già stato ammonito, di propria iniziativa, dal Vescovo di Rennes, che gli negò l’istituzione e la conferma che egli insistentemente richiedeva. Perciò, anziché accoglierlo come Pastore, il popolo deve respingerlo con orrore come un invasore. Invasore, diciamo, perché rifiutò di professare quella verità che pure doveva conoscere; perché cominciò ad abusare dell’ufficio di Pastore, da lui carpito; perché divenne addirittura talmente arrogante che alla fine della lettera pastorale osò persino dispensare dal vincolo del precetto ecclesiastico quaresimale. Perciò “egli si è fatto imitatore del Diavolo e non è stato coerente nella verità, mal utilizzando l’apparenza di una carica e di un nome usurpati”, come disse di un invasore analogo San Leone Magno scrivendo ad alcuni Vescovi dell’Egitto. Vedendo Noi pertanto che con questa molteplice serie di eccessi lo scisma si diffonde e si moltiplica nel Regno francese, così benemerito della Religione e a Noi così caro; vedendo inoltre che per queste stesse ragioni di giorno in giorno in ogni luogo vengono eletti nuovi Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, e che i legittimi Ministri sono rimossi e cacciati ed al loro posto vengono insediati lupi rapaci, non possiamo non esser mossi a pietà da una vicenda così lacrimevole. Per porre il più pronto riparo allo scisma che progredisce; per riportare al loro dovere coloro che hanno sbagliato e per rinsaldare nelle loro convinzioni i buoni; per conservare fiorente la Religione in codesto regno; aderendo Noi ai consigli dei Nostri Venerabili Fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa ed assecondando i desideri di tutto l’Ordine episcopale della Chiesa francese, seguendo l’esempio dei Nostri predecessori, con la potestà Apostolica che esercitiamo, con la presente in primo luogo intimiamo: Chiunque – Cardinali di Santa Romana Chiesa, Arcivescovi, Vescovi, Abati, Vicari, Canonici, Parroci, Presbiteri, tutti coloro che partecipano alla milizia ecclesiastica, secolari o regolari – abbia prestato puramente e semplicemente, come prescritto dall’Assemblea nazionale, il “giuramento civico”, fonte avvelenata di tutti gli errori e causa principale di tristezza per la Chiesa cattolica francese, se entro quaranta giorni a contare da oggi non avrà ritrattato tale giuramento sarà sospeso dall’esercizio di qualunque ordine, e sarà colpevole di irregolarità se lo eserciterà. Inoltre dichiariamo specificamente che le elezioni dei predetti Expilly, Marolles, Saurine, Massieu, Lindet, Laurent, Heraudin e Gobel a Vescovi di Kimpercotin, Soissons, Aix, Beauvais, Eureux, Moutiers, Châteauroux e Paris sono state illegittime e sacrileghe e perciò sono state e sono da ritenersi nulle e come tali le annulliamo, cancelliamo ed abroghiamo, insieme con la nuova istituzione dei cosiddetti Vescovadi di Moutiers e Châteauroux e di altri. Dichiariamo e precisiamo inoltre che le consacrazioni fatte da costoro sono state indegne e completamente illegittime, sacrileghe e contrarie alle norme dei Sacri Canoni; pertanto coloro che sono stati eletti così temerariamente e senza alcun diritto sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica e spirituale sul governo delle anime, ed essendo consacrati illecitamente sono sospesi da ogni esercizio dell’ordine epi-scopale. Parimenti dichiariamo sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale Carlo, Vescovo di Autun, Giovanni Battista, Vescovo di Babilonia, e Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda, consacratori sacrileghi o assistenti; ugualmente sospesi dall’esercizio dell’ordine sacerdotale e da qualunque altro ordine siano tutti coloro che prestarono aiuto, opera, consenso e consiglio a tali esecrande consacrazioni.

Perciò disponiamo e strettamente vietiamo al citato Expilly ed agli altri illecitamente eletti ed illecitamente consacrati, sotto la stessa pena della sospensione, di arrogarsi la giurisdizione episcopale o qualunque altra autorità relativa al governo delle anime, dato che non l’ottennero mai; né di dare lettere dimissorie per prendere gli ordini, né di istituire, incaricare o confermare, con qualunque pretesto, pastori, vicari, missionari, servitori, funzionari, ministri o comunque li si voglia chiamare, incaricati della cura delle anime e dell’amministrazione dei sacramenti; né decretare, sia autonomamente sia congiuntamente, attraverso conciliabolo, in materia attinente la giurisdizione ecclesiastica; inoltre dichiariamo e rendiamo noto a tutti che lettere dimissoriali, deputazioni e conferme, sia che siano già state presentate sia che possano esserlo in futuro, insieme a tutti gli altri atti che siano derivati per temerario ardire, saranno considerati illegittimi e di nessuna rilevanza. Allo stesso modo disponiamo e vietiamo, con analoga pena della sospensione, tanto ai consacrati quanto ai consacratori, che osino impartire illecitamente tanto il sacramento della Cresima quanto l’Ordine o comunque esercitare ingiustamente l’Ordine episcopale, dal quale sono stati sospesi. Di conseguenza, coloro che sono stati iniziati agli Ordini ecclesiastici da costoro sappiano di essere soggetti al vincolo della sospensione, e che se eserciteranno gli ordini ricevuti saranno anche colpevoli di irregolarità. Per prevenire mali maggiori, con la stessa autorità e lo stesso tenore disponiamo e rendiamo noto che tutte le altre elezioni alle Chiese, alle Cattedrali ed alle Parrocchie francesi, vacanti o, peggio, occupate; vecchie o, peggio, nuove e di illegittima costituzione, compiute sin qui secondo i criteri della ricordata Costituzione del clero da parte degli elettori dei distretti municipali; quelle che vogliamo si considerino esplicitate, e quante altre seguiranno, devono essere considerate illegali, illegittime, sacrileghe e di nessun valore per il passato, per il presente e per il futuro; e Noi, per il presente, adesso per allora, le annulliamo, cancelliamo e abroghiamo. Dichiarando inoltre che quegli stessi che sono stati eletti senza fondamento giuridico e gli altri che lo saranno in analogo modo, sia nelle Chiese sia nelle Cattedrali, sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica o spirituale relativa al governo delle anime; che i Vescovi sin qui illecitamente consacrati, che parimenti vogliamo si ritengano citati, e gli altri che in seguito lo siano, debbono ritenersi totalmente privi dell’esercizio dell’Ordine episcopale né godranno del Ministero sacerdotale ora o in futuro. Perciò proibiamo strettamente sia a coloro che sono stati eletti Vescovi, sia a coloro che eventualmente lo saranno, di osare ricevere l’Ordine, cioè la consacrazione episcopale, da chiunque, sia egli Metropolita o Vescovo. Quanto agli stessi pseudo-Vescovi ed ai loro sacrileghi consacratori, e a tutti gli altri Arcivescovi e Vescovi, non presumano di consacrare gli illecitamente eletti o quelli che lo dovessero essere in futuro, trincerandosi dietro qualsiasi pretesto o colore. Comandando inoltre agli eletti di questo tipo e agli eventuali futuri Vescovi o Parroci, che non si comportino assolutamente come Arcivescovi, Vescovi, Parroci o Vicari, né s’incoronino del titolo di alcuna Chiesa cattedrale o parrocchiale, né si arroghino alcuna giurisdizione o facoltà relativa al governo delle anime, sotto pena di sospensione e di nullità; pena dalla quale nessuno di quelli fin qui nominati potrà mai essere liberato, se non da Noi personalmente o da coloro che la Sede Apostolica avrà delegato. Con la maggior benignità possibile abbiamo illustrato fin qui le pene canoniche inflitte per emendare i mali fino ad ora compiuti e per evitare che si dilatino ulteriormente in futuro. Noi confidiamo nel Signore che i consacratori e gli invasori delle cattedrali e delle parrocchie, gli autori e tutti i fautori della Costituzione riconoscano il loro errore e, spinti dalla penitenza, ritornino a quell’ovile dal quale furono strappati non senza macchinazione ed insidia. Sollecitandoli con parole paterne, Noi li esortiamo e li scongiuriamo nel Signore affinché si allontanino da siffatto ministero; affinché distolgano il piede dalla via della perdizione nella quale si sono gettati a capofitto; affinché non permettano che uomini imbevuti della filosofia di questo secolo diffondano tra il popolo queste mostruosità dottrinarie, contrarie all’istituzione di Cristo, alla tradizione dei Padri ed alle regole della Chiesa. Se dovesse mai accadere che il Nostro benevolo modo d’agire, le Nostre paterne ammonizioni, Dio non voglia, restassero inascoltati, sappiano costoro che non abbiamo intenzione di liberarli dalle più gravi pene alle quali sono sottoposti dai Canoni. Si persuadano che incorreranno nel Nostro anatema e che li denunceremo a tutta la Chiesa come scomunicati, come scismatici dalla Comunione ecclesiale e da Noi allontanati. Infatti è quanto mai opportuno che “chiunque abbia scelto di giacere nel fango della propria insipienza, sappia che le leggi mantengono la loro forza e che condividerà la sorte di coloro dei quali ha seguito l’errore”, come C’insegna Leone Magno, Nostro predecessore, nella lettera a Giuliano, Vescovo di Coo. A Voi ora Ci rivolgiamo, Venerabili Fratelli, che – salve poche eccezioni – avete correttamente riconosciuto i vostri doveri nei confronti del gregge e senza preoccuparvi dei rispetti umani li avete professati di fronte a tutti; che avete ritenuto che occorressero maggior impegno e maggior fatica proprio dove incombeva più grande il pericolo; a Voi adattiamo l’elogio nel quale il lodato Leone Magno accomunò i Vescovi dell’Egitto cattolico riuniti a Costantinopoli: “Sebbene io soffra assieme con voi, di tutto cuore, per i travagli che avete sopportato per osservare la Fede cattolica, ed io senta tutto ciò che avete subìto da parte degli eretici non diversamente che se fosse stato fatto personalmente a me, tuttavia riconosco che c’è ragione maggiore di gaudio che non di tristezza, dal momento che, con l’aiuto del Signore Gesù Cristo, siete rimasti saldi nella dottrina evangelica ed apostolica. E quando i nemici della Fede cristiana vi cacciarono dalla sede delle chiese, preferiste subire l’offesa dell’esilio piuttosto che essere infettati dal contagio della loro empietà”. Pensando a voi, non possiamo non sentire grande consolazione e non possiamo non esortarvi con forza a perseverare nel comportamento. Richiamiamo alla vostra memoria il nesso di quel matrimonio spirituale con il quale siete legati alle vostre Chiese e che può essere annullato in forma canonica soltanto dalla morte o dalla Nostra autorità apostolica. Ad esse dunque mantenetevi stretti e non abbandonatele mai all’arbitrio dei lupi rapaci, contro le cui insidie, traboccanti di santo ardore, voi avete già levato la voce e non avete tentennato nel compiere i doveri derivanti dalla legittima autorità. Ora parliamo a voi, diletti Figli, Canonici degli spettabili Capitoli, che, come è giusto, siete fedeli ai vo-stri Arcivescovi e Vescovi e – come tante membra collegate con la testa – date vita ad un unico corpo ecclesiastico, che non può essere sciolto o sconvolto dal potere civile. Voi dunque, che così lodevolmente avete seguito i nobili esempi dei vostri Presuli, non allontanatevi mai dalla retta via sulla quale state procedendo, e non permettete che qualcuno, indossate le mentite spoglie di Vescovo o di Vicario, s’impadronisca del governo delle vostre Chiese. Esse infatti, se sono rimaste vedove del loro Pastore, apparterranno soltanto a voi, ad onta di qualunque nuova macchinazione venga compiuta contro di voi. Con la concordia degli animi e delle opinioni, tenete dunque lontano da voi, più che potete, ogni invasione e scisma. Ci rivolgiamo anche a voi, diletti Figli, Parroci e Pastori del second’ordine che, moltissimi per numero e costanti per virtù, avete svolto il vostro dovere, completamente diversi da quei vostri colleghi che – vinti dalla debolezza o catturati dall’ambizione – divennero schiavi dell’errore e che ora, da Noi ammoniti, speriamo ritorneranno sollecitamente al loro dovere. Continuate coraggiosamente nell’opera iniziata e ricordate che il mandato che riceveste dai vostri Vescovi legittimi non può esservi tolto che da loro; ricordate che, per quanto espulsi dal vostro incarico dal potere civile, tuttavia siete sempre Pastori legittimi, obbligati dal vostro dovere a tener lontani, per quanto possibile, i ladri che tentano d’introdursi nella vostra casa con l’unico disegno di perdere le anime affidate alle vostre cure e della cui salvezza sarete chiamati a rendere conto. Parliamo anche a voi, diletti Figli, Sacerdoti ed altri Ministri del clero francese, che – chiamati a partecipare del Signore – dovete attenervi ai vostri legittimi pastori e rimanere costanti nella fede e nella dottrina, nulla avendo di più caro che evitare i sacrileghi invasori, e rigettarli. Infine preghiamo voi tutti nel Signore, diletti Figli attolici del Regno di Francia: ricordandovi della Religione e della fede dei vostri padri, col più grande affetto del cuore vi sollecitiamo a non discostarvene, perché questa è la sola e la vera religione che dona la vita eterna e che sorregge e rende prospere anche le società civili. State ben attenti a non prestare orecchio alle insidiose voci della filosofia di questo seco-lo, che sono foriere di morte. Tenetevi lontani da tutti gli usurpatori, che si facciano chiamare Arcivescovi, Vescovi o Parroci, e non abbiate con loro nulla in comune, men che meno nelle cose divine. Ascoltate assiduamente le voci dei legittimi Pastori, quelli che vivono ancora e quelli che in futuro vi verranno assegnati nelle forme canoniche. In una parola, insomma, tenetevi solidali con Noi; nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro. Affinché tutti siano spinti a compiere più coraggiosamente i loro doveri, Noi invochiamo per voi dal Padre Celeste lo spirito di saggezza, verità e costanza; in pegno del Nostro amore pater-no dal più profondo del cuore impartiamo a voi, diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli e diletti Figli, l’Apostolica Benedizione. Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 13 aprile 1791, anno diciassettesimo del Nostro Pontificato.

PIO PP. VI

DOMENICA V dopo EPIFANIA (2019)

DOMENICA V DOPO EPIFANIA (2019)

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus


Jer XXIX :11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.


Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob. [Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio


Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.  
[Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio


Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17
Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli, Omelie, vol. I, Marietti ed., 1899 , Omelia XIX].

“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „ .

S. Paolo due volte fu sostenuto in carcere: la prima in Cesarea di Palestina e la seconda in Roma. La prigionia, che sostenne in Cesarea di Palestina avvenne dal 63 al 66 dell’era volgare, e secondo ogni verosimiglianza di là scrisse la lettera ai fedeli di Colossi, città dell’Asia Minore. Dal capo terzo di questa lettera sono presi i sei versetti, che vi ho recitati e che versano interamente sulla materia morale. Nulla di più semplice e più pratico e insieme più degno delle nostre considerazioni. – “Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza e pazienza. „ S. Paolo, rivolgendosi ai suoi cari figliuoli, li chiama eletti di Dio, cioè da Dio in special maniera eletti e preferiti a tanti altri nel ricevere la grazia della fede. Quanti allora erano ancora sepolti nelle tenebre della superstizione pagana ed essi, i fedeli di Colossi, erano illuminati dalla luce della verità evangelica! Donde questa differenza ? Era la bontà di Dio, che li aveva eletti prima e chiamati, e a cui essi con la grazia avevano corrisposto. Erano eletti e chiamati ad essere santi. Non vi sia grave ponderare per un istante la natura ed il pregio altissimo di questa elezione, di cui parla S. Paolo. Chi fa un atto qualunque deve anzi tutto pensare la cosa che vuol fare: poi delibera con la volontà di farla e poi allora la fa. Dio vuole salvi gli uomini e necessariamente prima pensa a loro, poi vuole fornire loro il mezzo perché si possano salvare e finalmente lo dà ed è la grazia, o meglio quella serie di grazie, che sono necessarie. Nell’opera adunque della nostra salvezza dal lato di Dio il primo atto è di fissare sopra di noi il suo pensiero, e il secondo atto la sua volontà, che decreta la grazia. Ora vi domando qual cosa da parte nostra poteva muovere la mente e la volontà di Dio a chiamarci a sé e largirci la sua grazia? Noi non eravamo ancora e Dio da tutta l’eternità fissava sopra di noi il suo sguardo pietoso e ci amava: noi non avevamo fatto, né potevamo fare un atto solo, che precedesse la sua grazia, perché per farlo si richiedeva che Dio ci desse prima la grazia. Può forse il campo produrre la messe se prima non è seminato, o l’occhio vedere se la luce non lo rischiara? La nostra elezione e vocazione adunque, di cui parla S. Paolo, è dono, puro dono di Dio, senza merito dal canto nostro. – Più volte S. Paolo chiama santi i fedeli, ancorché sia bene da supporre che non tutti fossero veramente santi: li chiama santi, perché rigenerati col Battesimo, perché discepoli di Lui, che è il Santo per eccellenza, perché il fine della loro vocazione, a cui devono essere rivolti tutti i loro sforzi, è la santità. Vedete, o carissimi, altezza e sublimità della nostra professione di Cristiani: dobbiamo essere santi, cioè sciolti da ogni disordinato affetto alle cose di quaggiù e interamente dedicati al servizio di Dio. Voi siete eletti, santi, dice S. Paolo, e aggiunge, bene amati, ossia cari a Dio, come figli. Qual gioia per noi poter dire: Io sono amato da Dio! Io sono caro a Lui, come un figlio ad un padre! Agli eletti di Dio, ai santi, ai bene amati si conviene, prosegue l’Apostolo, “vestire viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di mitezza, di pazienza : „ cioè, come Cristiani, dobbiamo, a somiglianza di Dio e di Gesù Cristo, nostro capo, essere pieni di compassione e carità verso ogni maniera di sofferenti: dobbiamo mostrarci, non duri, austeri, rozzi, ma facili e piacevoli con tutti, e saremo tali se umili di cuore, perchè l’umiltà è la madre della benignità, della mitezza e della pazienza, che qui propriamente significa longanimità, quella pazienza cioè che non si stanca mai ed è sempre benevola e soave. E come mostreremo noi queste virtù, che tra loro si legano si strettamente? “Con il sopportarci, dice l’Apostolo, gli uni gli altri e perdonarci, se alcuno ha querela verso di un altro. „ Non vi è uomo, per quanto sia virtuoso, che non abbia difetti. Noi, per necessità di natura, dobbiamo vivere insieme, in famiglia, in società, in contatto più o meno continuo. Ora come vivere insieme se a vicenda non tolleriamo i nostri difetti e non ci condoniamo le offese, che talvolta, anche senza volerlo, ci facciamo gli uni gli altri? Se non ci sopportiamo scambievolmente e non ci condoniamo i nostri torti, la vita sarebbe insopportabile e saremmo in continua guerra tra di noi stessi. E come sopportarci e perdonarci gli uni gli altri? Ecco il modello sovrano, grida S. Paolo, Gesù Cristo: “Come il Signore vi ha perdonato, voi pure così.  – Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, fu e sarà sempre l’eterno esemplare, su cui gli uomini dovranno tener sempre fermi gli occhi della fede, per ritrarne in sé le ineffabili perfezioni. Qualunque virtù si deve misurare dalla sua somiglianza con Gesù Cristo, e tanto essa è più alta quanto maggiormente s’avvicina a questo impareggiabile modello. E perciò l’Apostolo in tutte le sue lettere ha cura di mettercelo innanzi sotto tutte le forme, e qui ci inculca: “Come il Signore ha perdonato a voi, così pur voi. „ Egli perdonò ai suoi nemici, ai suoi stessi crocifissori fino a pregare per loro in croce ed a morire per essi: e noi, suoi figli, noi miserabili creature e poveri peccatori saremo restii a perdonare ai nostri offensori? E impossibile. Sempre fermo in inculcare la virtù, regina di tutte le altre, l’Apostolo continua e dice: “Ma soprattutto vestite la carità, siate ripieni di carità, che è il vincolo della perfezione. „ Come l’anima avviva il nostro corpo tutto, ne lega insieme le varie membra, dà loro moto e forza, così la carità dà vita, moto e forza a tutte le altre virtù e unisce insieme e mirabilmente armonizza le famiglie e la società civile. Frutto prezioso della carità sarà ” la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, e che regnerà ne’ vostri cuori. „ La pace, non la pace ingannevole del mondo, la pace vera, quella pace che Cristo ha portato sulla terra, quella pace, a cui tutti ci chiama, facendoci membri della sua Chiesa, regni tranquilla nei nostri cuori e di là si spanda al di fuori e informi tutte le nostre parole e tutti gli atti nostri. Qual tesoro è questa pace, questa tranquillità dello spirito e del cuore, che si possiede anche in mezzo alle tempeste della vita! Di tanto beneficio siamone grati a Lui, che ce lo dà, Gesù Cristo! ” La parola di Cristo abiti riccamente in voi, con ogni sapienza. „ La parola di Cristo, che è quanto dire, la dottrina, il Vangelo di Gesù Cristo, che avete ricevuto mercé della parola o della predicazione, rimanga nelle anime vostre, vi ricolmi della vera sapienza in tutta la sua pienezza. Comprendete, o cari, l’insegnamento di S. Paolo? Egli vuole che non solo ascoltiamo la parola del Vangelo, ma che abiti, rimanga in noi, e rimanga in gran copia e sia così la luce che scorge i nostri passi sulla via della virtù e regoli i nostri pensieri ed affetti. E gioverà a conservare in voi ed accrescere il conoscimento del Vangelo “se vi istruirete ed ammonirete a vicenda con salmi ed inni e cantici spirituali, „ soggiunge l’Apostolo. Da queste parole di S. Paolo chiaramente rileviamo, che anche nella primitiva Chiesa era comune l’uso di cantar salmi ed inni sacri nelle radunanze de’ fedeli. In tal modo rinfrescavano nella memoria le verità della fede e viemaggiormente le apprendevano e ne penetravano il senso. Il canto, come il riso, è naturale all’uomo. Allorché egli conosce chiaramente la verità e il cuor s’infiamma al pensiero della grandezza, della bontà di Dio e de’ suoi benefici, quasi inconsciamente scioglie la lingua al canto, loda, benedice, ringrazia ed esalta il suo Dio. L’anima allora è come un incensiere, da cui s’innalza verso il cielo un soave profumo; è come un fiore, che dischiude il suo calice, spande le sue foglie, e sotto i raggi del sole diffonde d’ogni intorno la sua fragranza. Il canto sacro nella Chiesa non solo è un bisogno che l’anima sente di aprirsi e sfogare l’affetto interno, ma giova assai ad avvivarlo in sé ed in altri e ad accrescerne la fiamma. – Allorché un popolo insieme raccolto fa risuonare de’ suoi cantici le vòlte del tempio, confondendosi con le armonie dell’ organo, il mio cuore si commuove, il mio spirito si esalta, l’anima mia s’innalza fino a Dio, una santa e dolce ebbrezza mi invade e gusto una gioia, che non è terrena, ma celeste. S. Agostino, udendo a Milano i salmi cantati dal popolo, si struggeva in lagrime soavissime ed esclamava: Come è dolce il Signore con quelli che lo amano! – Siamo all’ultimo versetto della nostra epistola: “Quanto fate, in parole ed in opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo rendendo grazie a Dio Padre per Lui. „ Chi può mai conoscere e ricordare tutte le opere e tutte le parole, tutti i pensieri e tutti gli affetti d’una persona qualunque in un solo giorno! Sono senza numero. Poniamo che nulla vi sia di riprensibile e che tutto sia buono od almeno indifferente. Il pregio di tutte queste opere e parole, di tutti questi pensieri ed affetti dipende per la massima parte dall’intenzione nostra: se questa è volta sempre a Dio, con essa e per essa tutto è fatto ad onore di Dio ed acquista un valore speciale, e l’intera nostra vita è un’offerta, un inno incessante, che innalziamo a Dio. Perché dunque non seguiremo il precetto o consiglio dell’Apostolo e non offriremo a Dio tutte le parole ed opere nostre? Direte: Ci torna quasi impossibile far questo in mezzo alle mille nostre occupazioni e distrazioni. E vi torna forse impossibile, al mattino, allorché recitate le vostre orazioni, con la intenzione abbracciare tutte le parole ed opere del giorno e farne a Dio l’anticipata offerta? No, certo. Ebbene questa offerta del mattino è bastevole e conferisce a tutte le opere e parole vostre anche indifferenti e senzaché poi vi poniate mente, il merito dell’intenzione, come se questa la faceste ad ogni istante. Sia che lavoriate nei campi o nelle botteghe, sia che discorriate o passeggiate, sia che mangiate o beviate, sia che riposiate e vi sollazziate, tutto è fatto a gloria di Dio e tutto è meritevole dinanzi a Lui. Su dunque, o carissimi: all’aprirsi del giorno, allorché fate la vostra preghiera del mattino, dite con la lingua e più con il cuore: Signor mio, ecco ch’io sto per incominciare questo nuovo giorno, che mi accordate. Ebbene: tutto, ciò che farò o dirò: tutto ciò che penserò o soffrirò, fin da questo momento lo offro a voi unitamente alle parole ed alle opere che Gesù Cristo compì nei giorni di sua vita mortale. — Come il sole, nel suo primo spuntare sull’orizzonte inonda di luce e vagamente colora tutti gli oggetti, così la vostra intenzione del mattino abbellisce e santifica tutte le parole ed opere dell’intera giornata. E poi perché anche lungo la giornata, in mezzo ai vostri lavori della officina o del campo, non potete a quando a quando sollevare la mente e il cuore a Dio e rinnovare la vostra offerta? Vi troverete un conforto, un ravvivamento di fede, una novella energia. Il pensiero di Dio è come una scintilla elettrica, che spande la luce e il calore nell’anima, è un tepido soffio che accarezza un fiore e ne dilata il calice e ne diffonde la fragranza. Sì, spesso la mente e il cuore a Dio, dilettissimi, e la via della virtù sarà facile e bella.

Graduale


Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.
Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.
[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30
In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizáania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

OMELIA II

[G. Bonomelli, Omelie, ut supra – Omelia XX.]

“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ . E questa una delle più belle e più semplici parabole, che si incontrino nel Vangelo e che Gesù Cristo si degnò di spiegare partitamente. La voce “parabola,, per sé, significa quella curva, che un corpo grave, gettato in alto, descrive nel cadere: e poiché nel gettare un corpo vi è l’idea d’una cosa che si avvicina ad un’altra, ne venne l’uso di significare con la voce parabola la similitudine, che la nostra mente scopre tra un fatto e una dottrina, onde la parabola non è altro che un fatto verosimile, che serve a farci conoscere la verità, con la quale ha una somiglianza o affinità facile a rilevarsi. È una maniera di istruire, massime il popolo, piana ed efficacissima, vestendo la verità di forme sensibili e così imprimendola profondamente nell’anima. L’uso di queste parabole è frequentissimo, particolarmente nel Vangelo di S. Matteo, e danno all’insegnamento di Gesù Cristo un’aria di semplicità e di candore singolare, un’attrattiva amabile e meravigliosa, che non si trova in nessun altro libro né antico, né moderno. — Ma è da venire alla spiegazione della parabola, quale abbiamo dalla bocca stessa del Salvatore. “Il regno de’ cieli è simile ad un uomo che seminò seme buono nel suo campo. „ Quelle parole: Il regno dei cieli possono significare ora il cielo, la vita futura, ora la Chiesa, ora il regno della grazia in ciascuno di noi; qui vogliono semplicemente dire: Avviene nel regno dei cieli come in un campo che si semina. In questa parabola abbiamo colui, che semina, il campo seminato, il seme buono, le zizzanie, l’uomo nemico, che soprassemina, i mietitori, la mietitura, il granaio. Colui che semina è Gesù Cristo, il campo seminato è il mondo: il seme buono sono i buoni, le zizzanie sono i cattivi: l’uomo nemico è il diavolo, i mietitori sono gli Angeli, la mietitura è la fine del mondo e il granaio evidentemente è il cielo, ancorché questo Gesù Cristo non lo dica in termini. E questa l’applicazione fattane dal Salvatore istesso, richiestone dagli Apostoli. La parabola è in compendio la storia dell’umanità dalla sua origine, possiam dire, fino alla fine dei secoli. Ora spieghiamola nelle singole sue parti. – “Un uomo seminò seme buono nel suo campo. „ Iddio creò il mondo, e poiché l’ebbe convenientemente preparato, creò l’uomo e formò la donna e ve li introdusse, come si introducono i sovrani nella loro reggia. È questo il buon seme che il padrone ha seminato nel suo campo e che doveva coprirlo di copiosa messe. La prima coppia umana era adorna della grazia e d’ogni dono più eccellente, grazia e doni che dovevano trasmettersi ai loro figli. Che avvenne? “Mentrechè gli uomini dormivano, venne il nemico di lui e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. „ Come si intende questo dormire degli uomini? Si sa che talvolta certe parti d’una parabola possono anche considerarsi aggiunte come ornamento e non è necessario applicarle nella spiegazione: tale potrebb’essere quella particolarità del ” mentrechè dormivano gli uomini.„ Del resto nulla vieta il dire che la caduta dei primi nostri padri fu cagionata dalla loro trascuratezza colpevole, con cui si lasciarono ingannare dall’uomo nemico, dal demonio, che sparse in loro e nei loro figli il mal seme del peccato. Da quel dì fino alla consumazione dei tempi il buon grano è mescolato alle zizzanie, i buoni sono frammisti ai cattivi. – Ciò che qui la parabola vuol far notare in particolar maniera si è che la comparsa del male sulla terra, l’origine del peccato, non vuolsi attribuire a Dio, ma al demonio, al nemico suo e nostro, primo artefice d’ogni nostro male, che è punto capitale di nostra fede. Dio creò l’uomo buono, il demonio lo fece diventare cattivo: ecco la spiegazione del nemico che soprassemina le zizzanie nel buon grano. Proseguiamo. ” Quando fu nata l’erba ed ebbe fatto il frutto, allora apparvero anche le zizzanie, „ cioè allorché il grano cominciò a mettere la spiga, allora si videro anche le zizzanie (La parola zizzania è ignota ai latini e sembra d’origine araba. I latini dicevano lolium e noi italiani loglio), che vengono dopo, ma spesso soverchiano il grano. Una osservazione semplicissima, o cari. Il buon grano non nasce mai nel campo se non vi è sparso dalla mano dell’uomo, né cresce e vigoreggia se da lui non è coltivato; doveché le male erbe attecchiscono e largamente si abbarbicano senza l’opera dell’uomo, anzi malgrado l’opera sua. Così la grazia, la fede, la virtù non germoglia nel cuore dell’uomo se non ve la semina Iddio; mentreché le passioni ed il peccato vi germinano da se stesse. “I servi del padre di famiglia vennero a lui, dicendo: Non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde dunque le zizzanie? „ Manifestamente questi servi, che vanno dal padrone e gli narrano delle zizzanie cresciute in mezzo al grano, sono messi nella parabola per dare maggior colorito ed accrescere la forza drammatica, giacché il padrone del campo, che è Dio stesso, non aveva bisogno che altri gli narrasse la cosa. “Ed egli disse loro: Ciò ha fatto un uomo nemico; ed essi a lui: Vuoi dunque, che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No, perché potrebbe essere, che, sterpando le zizzanie, aveste a svellere il grano. „ In queste ultime parole si contiene il succo sostanziale, l’insegnamento principale della parabola, e perciò è prezzo dell’opera fermarvicisi sopra alquanto. – Il frumento e le zizzanie crescono nello stesso terreno e le radici loro si intrecciano per guisa, che è quasi impossibile diradicare quelle delle zizzanie senza toccare e rompere quelle del buon grano, e perciò il padrone vuole che ogni cosa si lasci al suo luogo. Ponete mente per altro che non risparmia le zizzanie per se stesse, ma unicamente per riguardo al grano, tantoché quelle sono salve fino alla mietitura in grazia del grano istesso. Le zizzanie, come dicemmo, adombrano i cattivi, il grano raffigura i buoni: qui è manifesto, essere volere di Dio, che nella vita presente i buoni vivano misti ai cattivi (1). È questo un fatto, che abbiamo continuamente sotto gli occhi, di cui i buoni si lagnano spesso e talora quasi si scandalizzano. Una delle maggiori pene dei buoni quaggiù è la compagnia dei tristi; è il vedere e l’udire le opere loro malvagie e subirne troppo spesso la tirannia in famiglia o nella società. Perché dunque Iddio, che è buono e onnipotente, ha disposto e vuole questo stato dì cose sì doloroso per i buoni? Perché vuole che le zizzanie crescano insieme col grano e vieta di sbarbicar quelle? È vero, la compagnia dei tristi può recare gravi danni ai buoni, pervertendoli nella fede e nei costumi, ma, considerata ogni cosa, i beni che ne vengono superano i mali, e perciò sapientemente Iddio volle che le cose fossero come sono. Anzi tutto Iddio vuol salvi tutti gli uomini, anche i più perduti peccatori; e come ne va preparando la conversione e la salvezza? Uno dei mezzi più efficaci è la compagnia dei buoni, i quali con la parola e con l’esempio e con tanti altri modi li ammaestrano, li correggono e li convertono. I cattivi talvolta depravano alcuni buoni, ma sono sempre i buoni che riducono a penitenza i cattivi. È S. Ambrogio che guadagna Agostino, è santa Monica che converte Patrizio, suo marito, è quella povera sposa, che a forza di pazienza riconduce a Dio lo sposo infedele, è quella madre desolata che con le attrattive della tenerezza richiama sulla buona via quel figliuolo scostumato. Ecco perché Dio vuole che accanto al malvagio viva il giusto: per conquistare quello mercé l’opera di questo. Il frumento non ha virtù di mutare la zizzania in grano, ma il virtuoso può, mercé la grazia divina, trasformare il perverso in un santo. – Non è tutto: la virtù trova il suo alimento nel patire; la cote affila il ferro e il patimento nutre e affina la virtù. La compagnia de’ malvagi è per i buoni una occasione continua di patire e per conseguenza un continuo esercizio di pazienza e di carità e, aggiungo, di meriti. Se non vi fossero stati i tiranni, dove sarebbero i martiri? Se non vi fossero le guerre, dove sarebbe il valore dei soldati? Se sulla terra gli Uomini fossero tutti credenti e virtuosi, la terra sarebbe un paradiso: nessuna o poca fatica costerebbe la virtù e ben piccolo sarebbe il merito di praticarla. Infine la vista e la compagnia dei malvagi ci fa conoscere la nostra miseria e ci tiene umili, ci obbliga a stare in guardia ed usare prudenza, ci fa sentire il bisogno di ricorrere a Dio, ci rende inchinevoli al perdono e ci fa esercitare la regina di tutte le virtù, la carità. Ah! se sulla terra non vi fossero i cattivi, i buoni correrebbero altri pericoli, e non senza una profonda ragione Gesù Cristo disse: “No, non vogliate raccogliere le zizzanie: lasciate che crescano insieme le zizzanie e il grano fino alla mietitura. „ Tolleriamo adunque, o cari, la compagnia de’ malvagi, vediamo di ricondurli a Dio, soffriamo con pazienza le molestie che ci recano e preghiamo per essi. Ma dunque i malvagi rimarranno impuniti? Sarà eguale la sorte de’ buoni e de’ cattivi? Udite la sentenza di nostro Signore: “Al tempo della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie elegatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio. „ Così avrà luogo, alla fine dei tempi, la separazione assoluta ed irrevocabile dei buoni e dei cattivi: questi, a guisa di erbe, di sarmenti, di zizzanie buone a nulla, saranno gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli, a guisa di buon grano, raccolti nel granaio, collocati per sempre in cielo. Figliuoli carissimi! per necessità delle cose e per volere divino ora siamo obbligati a vivere quaggiù in terra mescolati insieme buoni e cattivi; se siamo buoni, studiamoci di conservarci tali e adoperiamoci, come meglio possiamo, di tirare a noi i cattivi e guadagnarli a Dio; se siamo cattivi, non c’è tempo da perdere, mutiamoci di zizzanie in buon grano, affine di sfuggire il fuoco eterno edi essere un giorno raccolti in cielo.

(1) Certamente nostro Signore con questa parabola non volle insegnare che i cattivi si debbano trattare come i buoni ed abbiano eguali diritti. In tal caso avrebbe insegnato che i ladri, gli assassini, gli omicidi e via dicendo non si debbano levare di mezzo alla società e punire, che è cosa assurda. Gesù Cristo, se male non veggo, volle dire, che nello stato presente vi saranno sempre nel mondo ed anche nella Chiesa uomini cattivi, che non si possono eliminare dal corpo sociale, coi quali bisogna avere e verso de’ quali bisogna usare tolleranza, dirò meglio, carità fraterna.

Offertorium

Ps CXXIX:1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine. [Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta


Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas. [Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Communio


Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.[ In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus. [Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

ISTRUZIONI INTORNO ALL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA

 ISTRUZIONI INTORNO ALL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA.

[C.E. Dufriche Desgenettes: Notizie storiche e istruzioni intorno all’Arciconfraternita del SS. ed Immacolato Cuore di Maria per la conversione dei peccatori ridotte in compendio scritte dal sig. Dufriche Desgenettes – Tip. G. M. Campolmi, 1850]

PARTE SECONDA.

CAPO PRIMO.

BREVE APOSTOLICO

GREGORIO PAPA XVI

A perpetua memoria.

Posti nella Cattedra eccelsa del Principe degli Apostoli non certamente per alcun nostro merito, ma per arcano Consiglio della provvidenza divina e perciò stando in grande pensiero su tutta la greggia del Signore, siamo usati di accogliere con singolare benignità le pie suppliche di Coloro i quali hanno principalmente in mira che i fedeli di Cristo ognora più saldi e fondati nella Fede, e accesi d’amore per la pietà e la religione, camminino nelle vie del Signore, e ne osservino diligcntemente e con venerazione i precetti, Grande certamente fu il gaudio del paterno nostro cuore in sentire che il diletto figlio Carlo Eleonoro Dufriche-Desgenettes Sacerdote Parroco della Chìesà della B. Vergine Maria, delta delle Vittorie, volgarmente Les Petits-Pères della città di Parigi io Francia con Autorità del Venerabile fratello l’Arcivescovo’ di Parigi istituì nella Chiesa parrocchiale una Congregazione ad onore del Santissimo ed Immacolato Cuore della B. V. Maria per la conversione dei peccatori, insieme con gli statuti e le leggi approvate, come dicesi dallo stesso venenerabil fratello, e che da siffatta istituzione non leggieri beni ridondarono a spirituale utilità dei fedeli. Il perché lo stesso diletto figliuolo Carlo-Eleonoro Dufriche-Desgenettes, Sacerdote pastore dell’anime della mentovata Chiesa, con calde suppliche ne fece istanza, di volere onorare, questa Congregazione col titolo e con i diritti di Arciconfraternita, e di volerla arricchire d’alcune indulgenze, perché vada ogni di più accrescendosi, la pietà dei Fedeli. Noi pertanto, ai quali .nulla può stare più a cuore, che il procurare con ogni aiuto ed industria l’eterna salvezza dei Fedeli di Cristo e dilatare il culto della Vergine Madre: di Dio, la quale come Regina che siede a destra di Dio in dorato vestimento e circondata di varietà, nulla è che non possa da Lui impetrare, e la quale è sì pronto e saldo sostegno dalla cattolica Chiesa, e fedelissima speranza nostra, abbiamo giudicato di dover più che volentieri secondare siffatte brame. Che però a crescere, splendore a quella Congregazione quanto possiamo nel Signore, a tutti e a ciascuno di coloro che da queste lettere sono favoriti, usar volendo particolare beneficenza, e da qualsivoglia censura o pena di scomunica e d’interdetto, e da altre censure e pene ecclesiastiche; inflitte in qualunque modo e per qualunque cagione, se mai alcune ne avessero incorse, a contemplazione di ciò solo, assolvendoli, e tenendoli per assoluti, con nostra autorità Apostolica decoriamo con queste lettere in perpetuo del titolo di Arciconfraternita (Arciconfraternita vuol dire Confraternita Madre. L’Aggregazione che porti questo titolo ha il diritto d’iscrivere, di aggregare delle particolari Unioni, purché elle s’abbiano lo stesso fine di farle partecipi di tutte le grazie e favori che le sono stati personalmente, direm cosi accordati. Questa pie unioni, aggregate che siano, divengono e si rimangono membra dell’ Arciconfraternita),  la Congregazione in onore del Santissimo ed Immacolato Cuore; della B. Vergine per la conversione dei peccatori cogli statuti e colle leggi del venerabile fratello l’Arcivescovo di Parigi, come ne viene asserito, approvate o da approvarsi’, nella chiesa Parrocchiale della B. Vergine Maria delle Vittorie, volgarmente les Petits-Pères della città di Parigi in Francia, nei debiti modi già istituita. Le concediamo perciò e le accordiamo di buon grado tutti e singoli i diritti, i privilegi, gli onori e gl’indulti da chiamarci con qualunque nome, dei quali per costumanza e consuetudine usano e godono le altre Congregazioni Primarie, e possono e potranno usare e godere. – Inoltre colla medesima nostra Autorità Apostolica concediamo e accordiamo misericordiosamente nel Signore a ciascun confratello e a ciascuna consorella della mentovata Arciconfraternita veramente pentiti; confessati e comunicati la plenaria indulgenza e remissione di tutti i loro peccati, il giorno che saranno stati in essa aggregati. Concediamo parimente ai medesimi in articolo di morte indulgenza plenaria, qualunque volta veramente pentiti o confessati riceveranno il SS. Sacramento dell’Eucaristia, e ciò non potendo fare, invocheranno colla bocca o almeno col cuore il Nome; SS. di Gesù. – Accordiamo ancora indulgenza plenaria agli stessi confratelli e alle stesse consorelle; che la domenica di ciascun anno la quale precede immediatamente la domenica diSettuagesima, del pari che nelle feste della Circoncisione del Signore, e della Purificazione, e dell’Annunciazione, della Natività, dell’Assunzione, della Concezione della B. V. Maria, e dei Dolori di Lei; e della Conversione del B. Paolo Ap. e di S. Maria Maddalena, fatta la confessione sacramentale, si accosteranno alla santa Comunione. Concediamo altresì plenaria indulgenza a ciascuno dei confratelli e a ciascuna delle consorelle di quell’Arciconfraternita, i quali reciteranno devotamente ogni giorno la Salutazione Angelica per la conversione dei peccatori, da guadagnarsi il giorno anniversario del loro battesimo, purché si siano confessati e comunicati. Inoltre tanto ai predetti confratelli e consorelle, come agli altri che assistono devotamente alle Messe che si celebrano ogni sabato in onore del SS. Cuore di Maria nell’oratorio o nella Chiesa della medesima Congregazione Primaria, e quivi pregano per la conversione de peccatori, rimettiamo cinquecento giorni delle penitenze loro imposte o in qualsivoglia altro modo loro dovute, nella forma consueta della Chiesa. Finalmente ai direttori della stessa Arciconfraternita, con la medesima nostra autorità diamo por sempre facoltà, in forza della quale possono liberamente e lecitamente ascrivere e aggregare alla mentovata Arciconfraternita tutte le altre Congregazioni del medesimo nome ed istituto erette dovunque fuori della città osservando per altro la forma della costituzione emanata dalla felice, memoria di Clemente. VIII nostro predecessore, e comunicare con quelle tutte e singole le indulgenze, le remissioni de’ peccati, e le condonazioni delle penitenze di cui si è fatta menzione Queste cose concediamo e accordiamo facendo decreto che queste lettere siano e sempre debbano esser ferme, valide ed efficaci, e sortire e ottenere i loro pieni ed interi effetti, e favorirli pienissimamente in tutto e per tutto, che cosi si debba nelle anzidette cose giudicare, definire da tutti i giudici ordinari o delegati anche dagli uditori del palazzo apostolico, dai nunzi della Sede Apostolica, e dai Cardinali, di S. R. C., anche Legati a latere, tolta loro e a qualunque di loro qualsivoglia facoltà o autorità, di giudicare e d’interpretare altrimenti, e decretando che sia nulla e vana se alcuna, cosa sopra di ciò da qualcheduno con qualunque autorità con saputa o per ignoranza avverrà che si attenti in contrario. Non ostante le costituzioni e le sanzioni apostoliche, e ancora quando fosse bisogno gli statuti e le consuetudini della stessa Congregazione anche afforzate da giuramento da confermazione apostolica o da qualunque altra convalidazione, e quant’altro potesse esservi contrario.

Dato in Roma presso S. Pietro sotto l’anello del pescatore, li 24 Aprile 1833 l’anno ottavo del nostro pontificato.

E . CARD., DE GREGORIO.

Luogo del Sigillo dell’anello del pescatore.

INDULGENZE CONCESSE ALLA CONGREGAZIONE DEL SANTISSIMO ED IMMACOLATO CUOR DI MARIA.

Il regnante Sommo, Pontefice Gregorio XVI, nell’ approvare la Congregazione del SS. ed Immacolato Cuor di Maria, che ha per scopo la conversione de1 peccatori, con suo Breve 24 aprile 1838, ha concesse le seguenti Indulgenze, le quali si possono lucrare dai fedeli, che saranno ascritti alla detta Congregazione canonicamente eretta in qualsivoglia Chiesa, od Oratorio, ed aggregata alla Congregazione Primaria stabilita in Parigi nella Chiesa Parrocchiale di nostra Signora delle Vittorie.

I. Indulgenza Plenaria nel giorno, in cui i fedeli confessati e comunicati si ascrivono alla Congregazione.

2. Indulgenza Plenaria in articolo di morte per quelli che, veramente pentiti riceveranno i santi Sacramenti; o invocheranno almeno col cuore se non possono colla bocca il Nome SS. di Gesù.

3. Indulgenza Plenaria nella Domenica che immediatamente precede la Settuagesima come pure nelle feste della Circoncisione del Signore, della Purificazione, dell’Annunciazione, dell’Assunzione, della Concezione e dei Dolori della Vergine, della Conversione di S. Paolo Apostolo, e di S. Maria Maddalena.

4. Indulgenza Plenaria recitando la Salutazione Angelica ogni giorno per la Conversione dei peccatori da lucrarsi nel giorno anniversario del proprio Battesimo.

5. indulgenza di giorni 500., assistendo alla Messa solita celebrarsi, alle ore 9, ogni Sabato ad onore del Cuore Immacolato di Maria nella Chiesa od Oratorio della Congregazione, pregando ivi per la Conversione dei peccatori.

Per l’acquisto delle suddette Indulgenze Plenarie bisogna confessarsi e comunicarsi, e pregare secondo l’intenzione della S. Chiesa. Non é pero necessario che ciò si faccia nella Chiesa, od Oratorio della Congregazione.

ALTRE INDULGENZE ULTIMAMENTE ACCORDATE DAL S. PADRE NELL’UDIENZA DEL 4 FEBBRAIO 1841.

Sua Santità il Sommo Pontefice Gregorio XVI. accordò benignamente ad istanza. degli aggregati dell’Arciconfraternita un’Indulgenza Plenaria applicabile in suffragio de fedeli defunti da lucrarsi da ciaschedun confratello due volte il mese nel giorno, che gli piacerà scegliere, purché veramente contrito, confessato, è comunicato visiti devotamente una Chiesa, od Oratorio pubblico, e vi preghi secondol’intenzione di Sua Santità; e questa Indulgenza estesa pare agli Aggregati, a cui per malattia o per qualunque altro caso fosse impossibile il recarsi alla chiesa, purché ricevano i SS. Sacramenti, e adempiano invece quegli atti di pietà, che il confessore avrà loro imposti. Questa Indulgenza fu concessa alla Congregazione in perpetuo benché non espressa in forma di Breve.

Dato in Roma dalla Segreteria della S. Congregazione delle Indulgenze il 4febbraio 1841.

Segnato C. Cardinale CASTRACANE Prefetto,

A- PRIMAVALLE, Sostituto del Cancelliere.

Stato per l’esecuzìone: Dionisio Arcivescovo di Parigi 31 maggio 1841.

Per mandato: Goujou Canonico Onorario, Pro-Segretario.

C A P O II.

STATUTI DELL’ ARCICONFRATERNITA

I. Ad onore dell’ immacolato Cuore della Vergine SS., per ottenere con i suoi meriti la conversione dei peccatori, varie preghiere soglionsi recitare nella Chiesa Parrocchiale di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi.

II. Tutti i Cattolici, di qualunque età, sesso o condizione essi siano, sono invitati ad associarvisi. Non altro da loro si richiede, che lo zelo della gloria di Dio, della salute dei loro fratelli, e un santo desiderio d’imitare, secondo il proprio stato, le virtù, di cui Maria SS. ci ha lasciati esempi sì ammirabili.

III. Tutti i congregati, per partecipare delle sante indulgenze, dovranno dare, il loro nome e cognome da scriversi nel registro dell’Associazione, e così verranno ammessi mediante la segnatura del Direttore. Nel tempo stesso sarà loro dato la Medaglia dell’Immacolata Concezione, detta, volgarmente la Medaglia Miracolosa., arricchita delle indulgenze. Si ricordino però di recitare a quando a quando la breve preghiera impressavi sopra; O Maria concepita senza peccato pregate per noi che a Voi ricorriamo.

IV. Il Parroco di Nostra Signora delle Vittorie sarà in perpetuo il Direttore dell’Associazione. E però egli ammette e inscrive nel registro le persone che entrano nella medesima, ne sottoscrive la patente di ammissione, ed è il custode del registro. Elegge, se così stima, un Vice-direttore tra i Sacerdoti del clero della Parrocchia per fare quando che sia le sue veci, e supplire in tutto ciò che appartiene all’Associazione. È in suo potere il sostituirne un altro quando gli piaccia.

V. Ogni, associato il dì della sua Associazione è invitato a contribuire con una volontaria offerta per le spese della medesima: cioè a dire, per gli Uffizi, che verranno celebrali in tutte le domeniche e le feste, per le prediche nei giorni delle feste proprie della Congregazione, per le Messe, che si celebreranno in nome degli Associati ad onore del Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, e per suffragio dei Confratelli defunti; infine per l’ornamento della Cappella e dell’Altare, dell’Associazione.

VI. II prodotto di questo offerte, e delle limosine, che si raccoglieranno in tempo degli uffizi dell’associazione sarà depositato presso il Direttore che ne terrà esatto conto, come delle spese, che occorreranno! Tutto verrà pure notato in un particolare registro da esaminarsi da Mons. Arcivescovo di Parigi ogni qual volta, giudicherà. Due volte l’anno sarà reso conto del prodotto e dell’uso delle offerte e limosino ad una Commissione composta del Parroco, del Vice-Direttore, del presidente della fabbrica, del tesoriere e d’un altro membro del Consiglio della fabbrica da eleggersi dal Parroco direttore. Questa Adunanza o Commissione, si terrà ogni anno nei primi quindici giorni di febbraio e agosto; esaminerà i libri dell’entrata, e dell’uscita, e dopo un esame verbale vi apporrà la sua firma, rilevando il residuo del quale sarà depositario il Parroco.

VII. Procurino gli associati d’offrire ogni mattina al sacro Cuore di Maria tutte le loro buone azioni, le preghiere, le limosine, gli atti di pietà, le mortificazioni, e le penitenze che faranno nella giornata. La loro intenzione sarà di unirle ai meriti del sacro Cuore di Maria e agli ossequi, che esso fa di continuo all’Altissimo? di adorare con esso lui la SS. Trinità, il divino Cuore di Gesù, e d’Implorare dalla infinita sua misericordia la conversione dei peccatori.

VIII. Inoltre una volta al giorno da ciascun associato si reciterà devotamente la Salutazione Angelica, anzi il più sovente possibile insieme con quella supplica a Maria: Memorare etc. o in volgare Ricordatevi etc., e con quella invocazione: Refugium peccatorum ora pro nobis; Maria rifugio dei peccatori pregate per noi.

IX. Sovvengansi i congregati, che specialmente per mezzo della purità del cuore si meriteranno la protezione del Cuore immacolato di Maria: mettano però ogni lor diligenza per serbarlo, puro e, mondo, accostandosi spesso e con fervore ai santi Sacramenti della Confessione, e Comunione, massimamente nelle feste proprie della Congregazione

X. Per determinazione di Monsignore Arcivescovo di Parigi la festa principale (1)  della Congregazione si celebra la Domenica, che immediatamente procede, la Settuagesima. (1- La festa principale si deve celebrare nello stesso giorno da tutte le Congregazioni aggregate alla Primarie; in quel dì i Confratelli, si fanno un premuroso dovere di accostarsi alla S. Comunione per lucrare l’indulgenza plenaria che vi é annessa. Nel giorno dei Dolori – Venerdì della Settimana di Passione – la Congregazione onora io particolar miniera il Cuore afflitto di Maria SS. V’è pur la Comunione generale alla Messa bassa che si celebra all’altare di Maria, Dopo la Messa si canta lo Stabat Mater). – Il clero della Parrocchia è obbligato recitarne l’Uffizio, proprio; le altre feste sono la Circoncisione, la Purificazione, l’Annunciazione, la Desolata, la Natività, l’Assunzione, e l’Immacolata Concezione della Vergine SS., la Conversione di S. Paolo e la festa di S. Maria Maddalena. Tutti i sabati poi dell’anno, e in modo singolare il primo d’ogni mese sono consociati al Culto di Maria, e al fervore degli associati appartiene l’onorare tutti questi giorni distintamente.

XI.  Ogni Domenica dell’anno, e festa di precetto, come pure tutti gli altri giorni nell’articolo X, mentovati, si celebrerà una sacra funzione in nome di tutti gli Associati. In questa si canteranno prima i Vespri (1) della Vergine SS. poi vi sarà una predica, od istruzione sopra le verità d nostra santa Religione, seguirà quindi la benedizione col divin Sacramento preceduta dal canto delle Litanie della Madonna, dell’inno proprio, del Sub tuum praesidium, e del Parce Domine con le orazioni analoghe. La della funzione sarà celebrata dai Sacerdoti della Parrocchia destinati dal Parroco. Comincerà sempre alle ore 7 della sera nella Cappella di Nostra Signora delle Vittorie, all’Altare dell’ Associazione.

(1) Prima di cominciare l’Uffizio si recita à voce alta ed in comune l’Ave Maria. Là predica che si fa dopo l’Uffizio non è che una semplice istruzione sopra le Verità dogmatiche, storiche , o morali della nostra S. Religione. Al termine dell’istruzione il predicatore esorta gli Aggregati a pregare i generate per tutti i peccatori, e in particolare per quelli che hanno richiesto nella settimana precedente di esser particolarmente raccomandali. Questi per maggior chiarezza si sogliono distribuire in varie classi, v. g. uomini, donne, ammalati, vecchi etc. aggiungendo a ciascuna classe qualche, breve riflessione,. Giova ancora in quest’occasione, ad eccitamento comune, raccontare le conversioni già ottenute, purché lo permetta il penitente, e si usi somma-cautela per non dar giammai verun indizio di chi si parli. Dopo laBenedizione si recita ad alta voce nella Congregazione ‘Primaria, quanto in tutte le altre Aggregazioni, un Pater ed Ave, e la Giaculatoria Sancta Maria refugium peccatorum, ora-pria nobis. Questa pratica non si tralascia giammai per essere uno dei fini principali di questo devoto esercizio. Quando il bisogno della conversione di gualche peccatore fosse molto urgente, si sogliono esortare i Confratelli dì offrire a questo fine al Cuor di Maria: Comunioni, preghiere, ed altre simili opere di cristiana pietà).

XII. Ogni sabato dell’ anno, tranne il Sabato Santo, alle ore 9 della mattina si offrirà all’Altare dell’Associazione il S. Sacrificio in onore del Cuore di Maria per la conversione de’ peccatori (Chiunque o per la troppa lontananza, o per altro impedimento non vi potesse intervenire, entrerà a parte di questo pio esercizio, purché si unisca in spirito ai Congregati, assistendo, se gli sarà possibile, ad altra Messa in qualsivoglia Chiesa più vicina, od almeno congiungendo te sue preghiere, a quelle dei Confratelli). – Il Sacerdote prima della Messa reciterà ai piedi dell’Altare l’Orazione Memorare ec. e dopo il Sub tuum præsidium, e l’Ave Maria, Ogni primo sabato del mese alle ore 10 del mattino si offrirà il S. Sacrificio in suffragio degli Associali defunti; dopo il quale il Sacerdote reciterà il De profundis.

C A P O III.

SCOPO DELL’ ARCICONFRATERNITA.

Molte e varie sono le Congregazioni, che nella Chiesa Cattolica si stabilirono, onde rendere special culto di venerazione alla augustissima Regina del cielo, e Madre nostra Maria. Ed avvegnaché altre s’istituissero per compatirla nei suoi dolori, altre per ossequiarla nei misteri della sua vita, ed altre per imitarla nelle sue virtù; tutte però concordemente mirarono a quest’ultimo fine di onorare, glorificare, e farsi propizia sì possente Avvocata nei nostri bisogni, e soprattutto di rendere onore, e gloria al sommo Iddio dei favori, e privilegi, che in tanta copia degnossi di compartirle. Ecco in poche parole lo scopo principale, e comune di tutte le Congregazioni Mariane, ed ecco pure uno dei fini della Congregazione del SS. ed immacolato Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, la quale non differisce punto da tutte le altre, siccome quella che intende principalmente di venerare con tenero, e filiale affetto il Cuore amabilissimo della Madre di Dio e rendere cosi all’augustissima Trinità quegli omaggi di ossequio, e divozione di cui le siam debitori. Senonchè per un secondo scopo, tutto Suo proprio,’ e singolare, da ogni altra pur si distingue, eziandio da quella che fregiata del titolo istesso del S. Cuore di Maria, si è oggimai fra fanti popoli e in tante città stabilita. Conciossiaché questa non mira più in là di ogni altra Associazione Mariana; venera l’amabil Cuore della Vergine, come sorgente di mille benedizioni; lo compassiona addolorato; si rallegra dei suoi gaudii; e si sforza d’imitarne le virtù, onde renderselo favorevole nei pericoli della vita e della morte. Laddove la nostra pia Unione, dopo la gloria di Dio, e l’onore di Maria, intende con grande impegno alla conversione dei peccatori. E  perciò è che i suoi congregati non si debbono giammai dimenticare di questo lor fine peculiare e distintivo, ed animati di quel santo zelo di cui arde il Cuore amoroso della Vergine, la sollecitano, e dolcemente la sforzano con le preghiere, e buone opere ad intercedere presso Dio per i poveri peccatori, e ritornare a Cristo tante pecorelle che vanno sviate e vagabonde dal suo ovile. E per mantenere sempre vivo in petto questo fuoco di carità, e porgere con maggior premura un sì pietoso soccorso ai suoi fratelli che pericolano nel più importante degli affari, oh! quanto possente motivo non trovano nel considerare il numero innumerevole di quelli che vivono in odio a Dio o abusano delle sue grazie, perdendo cosi il fine nobilissimo di lor creazione: ora l’alta impresa che è la salute delle anime per cui il Verbo eterno non dubitò di partirsi dal seno del Padre, e vestir le nostre carni; ora la sollecitudine con che la Congregazione affida loro per cosi dire lutti i peccatori che sono in questa terra, e li costituisce quasi apostoli della loro conversione. Epoiché Gesù Cristo è morto per la salvezza di tutti gli uomini, ragion vuole che essi non escludano nelle loro preghiere verun peccatore sia Cattolico, sia eretico, o di qualunque setta infedele (Alla congregazione sta molto a cuore la conversione dell’Inghilterra: a desidera che in tutte le Aggregazioni s’introduca il pio costume di raccomandarli ogni Domenica al Cuore SS. ed Immacolato di Maria, siccome ai suole dalla Primaria di Parigi). Questo è lo spirito della Congregazione del Santissimo ed Immacolato Cuor di Maria, istituita per la conversione dei peccatori; e questi sono i sentimenti comuni che stabiliscono una stretta unione fra tutti i suoi aggregati, per cui, ancorché sparsi in qualsiasi parte del mondo, vengono a partecipare scambievolmente dei meriti, e delle preghiere di tutta la pia Unione, non meno che delle copiose indulgenze perciò benignamente accordate dal sommo Vicario di Cristo. – La Congregazione non si limita ad alcuna determinata pratica di divozione, tranne un’Ave Maria da recitarsi ogni giorno; ma, proposto il suo fine, lascia al fervore di ciascheduno l’usare quei mezzi che più gliene possono facilitare il conseguimento. Suole bensì, il che è proprio di ogni pia Associazione, per motivo di culto esteriore, e per dimostrare anche.al di fuori, a comune edificazione dei fedeli gl’interni sentimenti dell’animo avere suoi esercizi di pietà, prediche, Messe, orazioni etc. come di leggieri si può rilevare dai suoi Statuti, i quali però servono piuttosto ad accennare, che a determinare quanto sia da praticarsi a tal riguardo. Notisi tuttavia che secondo il detto di S. Francesco di Sales nelle pie Unioni in cui non si contrae veruna obbligazione, come è la nostra, non si può altro che guadagnare senza correre giammai pericolo di perdere. Quindi chi trascurasse, od eziandio omettesse le pratiche della Congregazione, non solo menerebbe per questo alcun peccato neanche, leggiero. Che se taluno, o per infermità, o per qualunque altra legittima cagione non potesse adempierle non resterà privo, dei meriti, ove si unisca almeno con lo spirito, agli esercizi degli aggregati; anzi pe potrà lucrare tutte le Indulgenze, quando all’opere prescritte a Congregati supplisca con altre, da determinarsi sempre dal suo confessore. Ed è da avvertire ancora che l’adempimento di tali pratiche poiché, sono volontarie, e di sopra più non deve in nessuna guisa essere di discapito delle obbligazioni del proprio stato. – Finalmente la Congregazione raccomanda caldamente ai suoi aggregati, la purità di cuore, e una sincera compassione delle altrui miserie spirituali; ed a tal uopo possono essere di qualche giovamento alcune devote preghiere; e giaculatorie, che si trovano in fine di questo libro, notando però che l’Ave Maria deve essere come l’orazione comune di tutti i Confratelli. La Congregazione ammette tra i suoi aggregati, ogni ceto di fedeli di qualsivoglia età, non eccettuato neppure i bambini; conciossiacosaché il loro aggregarli sia più tosto un consacrarli a Colei a cui, tornano oltremodo grate le voci, e gli affetti dell’innocenza. Né esclude dal suo seno i peccatori per quantunque scandalosi, e incorreggibili; che anzi li accoglie a braccia aperte, e con solo riceverli tiene per certo d’averne già espugnata in parte la durezza, e spera che Maria non tarderà a compire l’opera incominciata; e però per questi in generale, e per taluno eziandio in particolare di cui venga richiesta, oltre ciascun giorno alla divina misericordia l’immenso tesoro delle preghiere di tutti gli aggregati insieme con i meriti del SS. ed Immacolato Cuor di Maria ed appena è mai che per mezzo di sì Valida Protettrice non ne ottenga il desiderato intento. Nei giorni di sabato siccome sacri a Maria, la Congregazione rende un particolar culto di venerazione ed ossequio a tanto buona Madre, e in onore del suo amabilissimo Cuore, offre a nome di tutti gli Aggregali sparsi per ogni parte del mondo l’augustissimo sacrificio dell’Altare. Tale è in compendio l’idea chiara, e giusta della Congregazione del SS. ed Immacolato Cuore di Maria, istituita in questi ultimi, tempi a vantaggio principalmente dei peccatori. Le meravigliose conversioni, che, si sono narrate nella prima parte di quest’operetta, e le troppe che resterebbero a raccontarsi, ove la prudenza noi vietasse, provano abbastanza che la premurosa e possente intercessione di Maria non ha limiti, e si estende ad ogni luogo, e ad ogni classe di persone; e che gode grandemente, di trionfare dei cuori più indurati nel male, e restii alle divine ispirazioni.

CAPO IV.

VANTAGGI CHE ARRECA L’ARCICONFRATERNITA.

I vantaggi che arreca l’Arciconfraternita sono numerosi ed immensi. I fedeli .che ne fan parte si assicurano cogli omaggi speciali ch’essi fanno al santo ed Immacolato Cuor di Maria; tutte le grazie della potente sua protezione, lo zelo che li anima per la gloria di Dio, la carità che l’infiamma per la salute dei loro fratelli, esercitano ed aumentano la loro fede e pietà. Noi lo attestiamo perché lo abbiamo costantemente osservato. Essi concorrono con i loro voti, e preghiere al buon effetto delle apostoliche fatiche dei missionari che vanno a recar la luce del Vangelo ai. popoli infedeli. E vi dan mano con le tenere loro suppliche, e partecipano al valore del zelo e dei meriti di tanti pii sacerdoti che in grembo alla stessa Chiesa si adoperano perla conversione dei peccatori. E domandano e ottengono le grazie del ritorno e della salute a tanti peccatori che probabilmente si sarebbero perduti per una eternità senza il loro soccorso. – Egli è questo una specie di apostolato che da loro si esercita col mezzo di voti e di preghiere. Ah sì, perseverino nei preziosi sentimenti, nelle sante disposizioni che la grazia ha loro ispirato, e si animino di una viva e santa confidenza nella divina misericordia. Maria cui han supplicato per i loro fratelli, Maria alla quale han le tante volte ripetuto: pregate per noi, poveri peccatori, ora e nel puntò di nostra morte, Maria non li abbandonerà in quel terribile momento. – Pei peccatori poi, oh quali vantaggi!Perduti il maggior numero, sommersi entro un mare d’iniquità, ingolfati nei disordini, negli eccessi di una vita al tutto brutale; agghiacciati dal gelo della indifferenza del secolo, somiglianti alle bestie, dice lo Spirito Santo; vivendo all’atto spensierati e prossimi a morire colla stupidità dei bruti, quale speranza loro resta’ a salute?Le grazie stesse di Dio, i soccorsi per se sì potenti della Religione, tornano a nulla, perché i miseri li disdegnano e li dispregiano; perciocché il cuor loro divenuto fango non è più capace di sentimenti celesti; ed ecco che la carità, divina trae dai suoi tesori e ci presenta un nuovo pegno di salute por i più disperati: perciocché ella ci offre il Santo ed immacolato Cuor di Maria. O potente o salutare, o dovizioso trovato! Da che-foste a noi ispirato, quante vittorie già contansi sull’inferno riportate? quante vittime a lui strappate? quanti peccatori sono rientrati nelle vie della grazia? quanti morienti che si parevano destinati all’eterno danno, non partironsi di questa vita se non dopo essersi riconciliati con la divina giustizia! Diciamo a gloria vostra, ó Maria rifugio dei peccatori, che il numero è troppo grande da non poterne noi far ragione: o quali vantaggi non procaccia questa santa devozione alle Parrocchie che hanno la fortuna, di possederla! Qui sì che potremmo parlare ancora per esperienza. Ma troppo da dir vi sarebbe se contar volessimo tutte le sante gioie, tutte le consolazioni onde la bontà divina si compiacque ricolmare la indegnità nostra, Ci contenteremo di darne un’idea dicendo come oggi 1 dicembre 1838, il novero delle Comunioni dal 1 gennaio, sorpassa la somma di undici mila in una Parrocchia, ove, fa due anni non potevasene contare, che settecento venti nel corso di un anno intero. – Un vantaggio poi, al quale per avventura non farebbesi attenzione, se nel prendessimo a notare e che frattanto è reale ed immenso, si è quello appunto che proviene dal concorso e dalla partecipazione a tutte preci, a tutti voti che offerti sono nell’Arciconfraternita. Tutti i membri che la compongono non formano che un sol voto, la conversione dei peccatori per la gloria di Dio. Essi uniscono i loro omaggi a Maria con questa intenzione; e questa unione è si stretta che le preci offerte dalla moltitudine dei fratelli al Sacro Cuor, di Maria, appartengono ad ogni fratello in particolare come quelle di ogni fratello in particolare appartengono a tutto il corpo dell’Arciconfraternita; per forma che un membro di essa isolato, abitante in America, o a Pietroburgo, in pregando per la conversione di un parente, di un amico, può applicare a questo pio fine tutte le preghiere, il merito di tutte le buone opere, comunioni etc. che vengono offerte per la conversione dei peccatori nel corpo della Arciconfraternita, Parimente il direttore di essa e così li direttori delle particolari Unioni che compongono il corpo dell’Arciconfraternita possono e debbono per la massima gloria di Dio e per procurare con maggior sicurezza e facilità la salute delle anime che sono loro raccomandate, applicar tutti i meriti riuniti di preci e di buone opere che sono tutte nel corpo dell’Arciconfraternita ai bisogni spirituali dei peccatori po’ quali sono stati impegnati. Dichiarano qui di fatto che tale si è lo spirito col quale l’Arciconfraternita è stata eretta e che non manchino mai di farne l’applicazione. Qual sentimenti di confidenza, di consolazione spargerà nelle anime di quella sposa, di quella desolata madre, di quel padre afflitto, che tremano e pregano per una persona che è loro cara e preziosa: il pensiero la certezza che migliaia di fratelli sparsi sopra tutta la terra, dividono i loro sentimenti ed unisconsi ai loro voti, alle loro preghiere, fermamente appoggiandosi su quella promessa di Gesù Cristo; se due di voi insieme si uniscono sulla terra, qualunque cosa domandino sarà loro accordata dal Padre mio che è nei cieli (S. Math, XVIII). – Se non entra nei disegni della divina Provvidenza di accordar loro di presente la grazia che essi sollecitano, non cadranno di animo per questo, pregheranno ancora, dappoiché dice Gesù Cristo: si convien pregar sempre, e mai stancarsene, tanto più che l’esperienza ci mostra come Iddio ritardi il momento della sua misericordia soltanto per renderla più strepitosa e consolante. D’altra parte e noi avvisiamo di averlo detto, un peccatore raccomandato all’Arciconfraternita rimane oggetto alle sue preci e v’e sempre compreso finché la bontà divina abbia accordato la grazia della sua conversione. – Per ultimo non sono voti soltanto e preci, valevoli per se stesse sul cuor di Dio, che l’Arciconfraternita offre alla divina giustizia a favore dei suoi clienti per disarmarla: v’ha pure l’adorabile Sacrificio della croce nel consumare il quale la divina Vittima profferì queste potenti, parole: Padre mio, perdonate loro, che non sanno quel che si fanno. V’ha pur dunque il divin Sacrifizio col favor del quale i peccati del mondo sono stati tolti e il genere umano con Dio riconciliato. Sono ben 62 volte all’anno che il Sangue adorabile di Gesù Cristo si offre in sull’Altare per soddisfare alla collera di Dio ed ottenere la conversione dei peccatori. E quante volte non vi si offrirà in seguito, quando questa santa e caritatevole istituzione sarà propagata in Francia e, lo speriamo, pel mondo intero? Avete voi inoltre notato quelle preci, quel divin Sacrificio offerto dodici volte l’anno, una volta al mese, per la eterna beatitudine dei fratelli defunti, degna ricompensa del loro zelo della pietà loro? Pensate che sino alla consumazione dei secoli si farà menzione di loro ai sacri Altari, si porgeranno suppliche e Gesù Cristo, sovrano nostro Mediatore, s’immolerà per la salute eterna dei fratelli, dei quali un gran numero sarebbe stato per avventura ben presto, senza questo aiuto, perpetuamente obbliato in terra. Arrogi a tanti vantaggi ì voti, le preghiere, gli omaggi di riconoscenza che le anime santificate dalla propria conversione, ammesse nel seno di Dio, e veggenti nella sua luce i caritatevoli sforzi per i quali uscirono dell’abisso, offriranno alla Maestà divina, con le quali elleno chiameranno incessantemente sui loro benefattori le grazie e le celesti benedizioni; e poi ditemi se questa santa istituzione non riunisce lutti i mezzi capaci di procurar la gloria di Dio, la felicità della Chiesa, la salute delle anime, la pace del mondo e un buon successo agli spirituali interessi di coloro che ne fan parte.

LO SCUDO DELLA FEDE (XLVIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S. E. I. Ed. Torino, 1927]

XLVIII.

L’INFERNO.

Esistenza dell’inferno. — Come credervi se nessuno mai è venuto dall’altro mondo a dirci che ci sia? — È certo che l’inferno sia eterno? — È possibile che Iddio voglia punire così il peccato, che è l’opera di pochi minuti? — Le pene dell’inferno. — Come mai, se Dio è buono, condanna all’inferno anche per un solo peccato mortale?

— È dunque proprio certo che l’inferno esista?

L’esistenza dell’inferno, oltre ad essere chiaramente insegnata nelle Sacre Scritturedell’antico e del nuovo Testamento, è ancora una credenza di tutta l’umanità. Scorri pure il mondo, consulta pure la storia, fruga pure negli archivi, ma non ti sarà dato mai di trovare un sol popolo o incivilito o barbaro, che non abbia creduto all’esistenza d’un inferno. Su questo punto essenziale tutti vanno pienamente d’accordo: Siri, Caldei, Egizi, Persiani, Indiani Scandinavi, Brettoni, Greci, Romani, e persino i selvaggi dell’America, dell’Africa e dell’Oceania! – Né devi pensarti che questa universale credenza si trovi soltanto nelle menti volgari. Tutt’altro! Essa è nella mente e nei libri dei più grandi filosofi e dei più grandi poeti, quali un Socrate, un Platone, un Aristotele, un Cicerone, un Seneca, un Omero, un Virgilio, ed un Ovidio. E Lucrezio, l’empio Lucrezio, esclama: « È impossibile dormire tranquillo; e perché? Perché si è forzati a temere dopo la vita delle pene eterne » (Della natura degli dèi, I, 108 — III, 37). Dopo di ciò ei si propone di strappare dal cuore degli uomini il timore dell’inferno. Inutili sforzi? Impresa cento volte tentata e cento volte resa vana. Diciotto secoli dopo Lucrezio, Voltaire ad uno de’ suoi discepoli, che si vantava di aver trovate prove infallibili che l’inferno non esiste, rispondeva : « Voi siete ben felice! queste prove io non l’ho ancor trovate ». E non si troveranno mai, a meno di mettersi in disaccordo con tutta l’umanità, giacché tutta l’umanità crede all’esistenza dell’inferno.

— Eppure sono molti che gridano : « L’inferno non esiste; questo dogma ha fatto il suo tempo: dalle persone serie non ci si crede più !»

Ebbene, se vi hanno di coloro che negano l’inferno (e ve ne hanno pur troppo), sono pur essi una prova, che l’inferno esiste, giacché non si combatte il nulla e non si infierisce contro una chimera. In costoro il dire « l’inferno non esiste, » si riduce a nient’altro che questo: « Vorremmo bene che l’inferno non esistesse, affine di non avere impaccio a vivere come ci piace ». Ecco tutto: giacché chi sono alla fin fine coloro, che negano l’inferno? Sono forse gente dabbene, fior di galantuomini? Sono quei superbi e quei libertini, che calpestano ogni dettame della ragione per darsi in preda al loro orgoglio ed ai loro vizi.

— Tuttavia come si fa a credere all’inferno, se nessuno mai è venuto dall’altro mondo a dirci che vi sia?

E sei tu veramente sicuro che non mai sia venuto alcuno di là a dirci che l’inferno esiste? Io posso invece assicurarti che le prove del contrario vi sono nelle Sacre Scritture e nella storia. Perché sebbene di regola generale dall’inferno non si esca più mai, tuttavia Iddio per qualche suo giusto fine può permettere ed ha realmente permesso, che qualche anima dannata, non restando tuttavia libera dalla pena infernale, ne uscisse fuori a fare qualche apparizione. – Ma via: sia pure che nessuno mai sia venuto dall’altro mondo per dirci che l’inferno esiste, che perciò? Si potrà inferire che esso non esista? È forse necessario, indispensabile per l’esistenza dell’inferno che i dannati ne vengano fuori e compaiano a noi per istruirci di quello che passa nell’al di là? Non siamo noi istruiti abbastanza di questa verità dalla Chiesa? Se pertanto non si crede alla Chiesa, non si crederebbe neppure ai morti che risuscitassero. – È lo stesso Gesù Cristo che lo ha detto nella parabola del ricco Epulone. A questo ricco che richiedeva Abramo di mandare azzaro ad avvertire i suoi fratelli dell’esistenza dell’inferno, fece rispondere da Abramo: « Hanno Mosè e i Profeti che ne parlano chiaro; se non credono a Mosè e ai profeti, non crederanno neppure ad un morto risuscitato ». Il dire adunque: « Come si fa a credere all’inferno, se nessuno è venuto dall’altro mondo a dirci che vi sia » è lo stesso che pretendere che Dio per farci credere all’esistenza dell’inferno faccia ad ogni istante e da per tutto risuscitare dei morti, e distrugga Egli stesso per tal guisa l’autorevole testimonianza della Chiesa e della stessa umanità; è un pretendere che Dio si acconci ai capricci dell’uomo, e che l’uomo possa imporsi alle disposizioni di Dio, è insomma perdere il senno e disconoscere che Dio è Dio, e che l’uomo è uomo. Nessuna obbiezione adunque, per quanto speciosa, può scemare la forza di questa verità sì chiaramente rivelata, e sì profondamente e universalmente creduta: l’inferno esiste.

— Ma è pur certo che l’inferno sia eterno?

Certissimo; tanto la Scrittura come le credenze di tutti i popoli dall’idea dell’inferno non disgiungono mai quella dell’eternità della sua durata. E per ciò l’eternità delle pene dell’inferno è una verità non meno chiaramente rivelata da Dio, né meno profondamente e universalmente creduta dagli uomini di quella dell’esistenza dell’inferno istesso. Chi pertanto volesse negare l’eternità delle pene, dovrebbe negare anzitutto la veracità di Dio, e dire che se Iddio ha detto agli uomini che l’inferno è eterno non altrimenti lo ha detto che per trastullarsi e farci paura. E non sarebbe questa un’orribile bestemmia? – In secondo luogo, per negare l’eternità delle pene bisognerebbe negare altresì ogni distinzione tra il bene e il male, tra il vizio e la virtù, tra i buoni e i malvagi. Ed in vero se passato qualche migliaio, e mettiamo pure qualche milione d’anni, l’inferno cessasse di esistere e i dannati ne fossero liberati, a meno che fossero da Dio annichilati, ciò che è assurdo, dovrebbero allora passare a godere in cielo coi santi, Caino con Abele, Giuda con S. Giovanni, Nerone con S. Pietro, Voltaire con S. Vincenzo de’ Paoli! – E allora a che varrebbe il far il bene, il soffrire con rassegnazione in questa vita? Che anzi qual ritegno vi sarebbe ancora nel male? Ognuno che amasse di peccare ragionerebbe così: Per intanto mi prendo il piacere che voglio. Sia pure che nell’altra vita io ne abbia ad essere punito ed anche per molti anni. Ma alla fin fine quella pena cesserà ed allora sarò ancora in tempo di godermi per sempre il paradiso. Così direbbe la più parte degli uomini e così farebbe; e in questo modo l’uomo non verrebbe egli ad averla vinta sopra Iddio? È chiaro adunque che l’inferno deve essere eterno, come eterno è il paradiso, dovendo pure esservi una correlazione tra la ricompensa dei buoni e la punizione dei malvagi. E lo è propriamente, e la ragione decisiva di questa sua eternità si è, che Dio, libero dispensatore de’ suoi doni, ha stabilito di darci la sua grazia per evitare il peccato o rialzarci dal medesimo finche siamo in vita, e di non darcela più dopo la morte. Cosicché il disgraziato che passa all’altro mondo nello stato di peccato, privo della grazia di Dio non potrà più mai liberarsi dal peccato. E, come perciò il suo peccato durerà in lui eternamente, così eternamente dovrà soffrirne la pena.

— Ma come mai Iddio vorrà punire con pene eterne un peccato che si commise in un brevissimo spazio di tempo?

Anche questo sofisma è molto sciocco ed è molto antico, giacché veniva messo fuori fin dai tempi di S. Giovanni Crisostomo. Il quale a coloro, che lo adducevano, rispondeva: « E dove mai avete imparato che il tempo impiegato a commettere il male debba essere la misura e la regola della punizione? L’assassinio, il parricidio, l’appiccar il fuoco non sono essi delitti, che si possono commettere in un momento? Eppure gli stessi tribunali di questo mondo condannano per lo più coloro, che li commettono, ad una pena di lunghi anni e ben anche alla morte, che è l’esclusione perpetua di questi scellerati dalla società. Ora, ciò che fanno gli uomini nei tribunali di questo mondo, senza che alcuno possa in questi casi tacciarli d’ingiustizia, perché non lo potrà fare Iddio al tribunal suo? – Del resto, amico mio, è proprio vero che il peccato del dannato nell’inferno sia un male commesso in un brevissimo spazio di tempo? Nell’atto sì ma nella volontà no. Perciocché coloro, i quali commettono il peccato, dice San Gregorio, in generale vorrebbero commetterlo sempre, se loro fosse possibile; e la prova chiara e certa di ciò si è, che costoro, quando non possono più commetterlo con le opere, lo commettono tuttavia col desiderio. In generale adunque il peccato benché nell’atto sia cosa di brevissimo spazio di tempo, nella volontà invece è cosa che può durare mesi ed anni interi. – Ma nel dannato in particolare poi il peccato dura non solo mesi ed anni, ma eternamente e proprio per sua colpa. Giacché finché fu in vita anche nell’ultimo istante della sua esistenza, se egli l’avesse sinceramente voluto, Iddio gli avrebbe data la grazia per pentirsi del suo peccato e liberarsene, ma egli non ostante che vedesse dinanzi a sé l’eternità, anche all’ultimo istante di vita, ha disprezzato la misericordia e la giustizia di Dio, si è ostinato nella colpa, e da quel momento entrando nell’eternità ha eternato altresì la perversità del suo animo. E non è dunque sommamente giusto che Iddio punisca con una pena eterna lo sciagurato, che da se stesso si è messo nell’eterna volontà di essere nemico di Dio? – Il peccato, come insegna S. Tommaso, per ragione dell’oltraggio che reca alla maestà infinita di Dio racchiude in sé una certa malizia infinita. E poiché il dannato, passato che è all’altra vita rimane eternamente in questo stato di infinita malizia, è senza alcun dubbio giustissimo che Iddio eternamente colpisca della meritata pena questo suo eterno oltraggiatore della sua infinita maestà. Non vi ha nulla adunque di più logico che l’eternità delle pene. E se è vero, come è verissimo che l’inferno esiste, è vero altresì ch’esso è eterno.

— Sono ora ben convinto di questa verità. Desidererei ora di sapere se i dannati nell’inferno soffrano tutti pene eguali?

No, certamente, questo ripugnerebbe alla Giustizia di Dio. Pertanto quantunque nell’inferno i dannati siano tutti infelicissimi, nondimeno hanno gradi di pena diversi, e soffrono più o meno intensamente a seconda dei loro diversi demeriti, vale a dire secondo il numero e la gravezza dei loro peccati.

— E quali sarebbero propriamente le pene dell’inferno?

* Di queste pene basta che tu sappia e creda che sono acerbissime in quanto all’anima e al corpo e che fra di esse vi è quella del fuoco.

— È vero che nell’inferno vi sia propriamente il fuoco?

Non se ne può dubitare: anche questo è insegnamento chiaro e preciso delle Sacre Scritture. Almeno otto volte nel Vangelo, e quasi trenta volte nel Nuovo Testamento, il supplizio dell’inferno è designato con questo termine o di fuoco o di fiamma. E per certo non si capirebbe questo linguaggio, qualora la pena del fuoco, la più terribile delle pene terrene, non avesse un’intima connessione col supplizio dell’inferno, né fosse la più atta a darci un’idea del suo rigore.

— Ma si tratta di fuoco vero, reale, corporeo?

Ti dirò: la Chiesa a questo riguardo non ha fatto alcun decreto dogmatico. Vi furono e vi sono ancora di coloro (pochissimi in vero), che questo fuoco, di cui parlano le Scritture, l’hanno inteso per metaforico: ma l’opinione della Chiesa, si è che si tratti di un fuoco vero, reale, corporeo, benché, senza dubbio, differente dal nostro. Anzi la S. Penitenzieria Apostolica (il 30 aprile 1890) ha risoluto che quando s’incontra alcuno che intenda il fuoco dell’inferno come espressione metaforica, con cui si vuole dare un’idea dell’intensità delle pene che si soffrono in quel luogo di tormenti, si cerchi di istruirlo; e se si ostini, non si giudichi degno di assoluzione.

— Con tutto ciò se l’inferno esiste, se l’inferno è eterno, se in esso vi è il fuoco che abbrucia… io non posso capire come mai Iddio, che è buono e ci ama, condanni all’inferno, ed anche solo per un peccato mortale.

Ascolta: certamente Iddio è buono, infinitamente buono, Dio ci ama, infinitamente ci ama; ma Egli è altresì giusto, infinitamente giusto. La sua bontà, il suo amore per noi lo induce a far di tutto perché noi ci salviamo. E quando vede che v’ha tra di noi chi si fa a negargli la corrispondenza dovuta alla grazia da Lui data a ciascuno per la sua eterna salvezza, come dice il Bougaud, « oh! non si arrende al primo rifiuto. Non si confessa facilmente vinto. Ritenta la prova. Per colui che resiste ha tenerezze, indugi, insistenze che sorprendono. Sarà necessario che egli si getti ginocchioni ai piedi dell’infedele, dell’ingrato! Lo farà, perché nessun sacrificio gli è grave ». Ed invero Dio sarebbe in pieno diritto di mandar subito all’inferno il peccatore al primo grave peccato che commette, e come ha fatto con gli angeli ribelli, così avrà fatto e andrà facendo con taluno degli uomini per i suoi giustissimi motivi; ma si può dire che questa sia la regola ordinaria da Lui seguita? O non si deve piuttosto riconoscere da quanto appare dinanzi agli stessi nostri occhi, che Iddio per lo più non pronunzierà la sentenza di dannazione se non quando vede la misura colma? E dopo che Iddio per parte sua ha fatto di tutto per salvare gli uomini, e taluno di essi non ha voluto fino all’ultimo arrendersi alla sua bontà, al suo amore, non è giusto che Egli lo condanni? … e lo condanni in ragione della malizia delle sue colpe? Alla fin fine non ha Egli fatto intendere prima che questa sarebbe stata la punizione del malvagio? Vi è forse alcuno che ignori ciò? – Come dunque si potrà accusare la bontà, l’amore che Dio ci porta, se Egli punirà con l’inferno chi ha preso a giuoco la bontà e l’amor suo fino all’ultimo? Forseché non accade anche tra gli uomini che si respinga lontano colui, che ha disprezzato, tradito, insultato l’altrui amore? E lo si respinga tanto più sdegnosamente e inesorabilmente, quanto più si è cercato di guadagnarlo ? Ritieni adunque che Dio è buono, che Dio ci ama non ostante l’inferno, il quale non solo è effetto della sua giustizia, ma altresì della sua bontà e del suo amore oltraggiato e da Lui sapientemente punito. Sicché aveva ben ragione il nostro sommo poeta di leggere sulla porta dell’inferno questa iscrizione:

Per me si va nella città dolente

Per me si va nell’eterno dolore,

Per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto Fattore,

Fecemi la divina Potestate,

La somma Sapienza e il primo Amore.