Mons. J. J. Gaume:
IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO vol. I.
[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]
CAPITOLO XXIII.
Storia Sociale delle due Città.
Parallelismo delle due Città nell’ordine sociale — Per costituire la Città del bene in stato sociale, lo Spirito Santo le dà da sé medesimo le sue leggi mediante il ministero dì Mosè — I Fondatori dei popoli pagani ricevono le loro leggi dal re della Città del male — Testimonianza di Porfirio — I popoli dell’Alto Oriente ricevono le loro leggi dal dio serpente con la testa di sparviero — Licurgo riceve quelle di Sparta dal serpente Pitone — Ninna, quelle di Roma, dall’antico serpente, sotto la figura della ninfa Egeria — Roma fondata mediante l’ispirazione diretta del demonio: passo di Plutarco — Le leggi di Roma, degne di satana per la loro immoralità: passo di Varrone e dì sant’Agostino.
Il parallelismo delle due Città, di cui abbiamo presentato un leggero schizzo nell’ordine religioso, si riscontra pure nell’ordine sociale, né può essere altrimenti. Per la natura stessa delle cose, la religione è stata presso tutti i popoli e sarà sempre l’anima della società: essa ispira le sue leggi, dà la forma alle sue istituzioni, e regola i suoi costumi. Esse la domina e le dà l’impulso, come l’anima stessa domina il corpo, mettendone in movimento tutti gli organi. Ora nella Città del bene lo Spirito Santo è, senza dubbio, il maestro della Religione. Questa autorità religiosa gli assicura dunque, almeno indirettamente, l’autorità sociale: anzi l’ha conquistata con mezzi diretti. – Apriamo la storia. Lasciando da parte i tempi primitivi, giungiamo all’epoca in cui il popolo fedele, essendo assai numeroso per uscire dallo stato domestico, Iddio lo fa passare allo stato di nazione. Niente di più solenne del modo con cui egli consacra questa nuova esistenza dell’umanità. Il sovrano legislatore vuole che la Città del bene sappia, che la sua costituzione e le sue leggi sono discese dal cielo, e che essa non lo dimentichi giammai. – Sulla vetta del Sinai, dove Egli stesso è presente, circondato da folte tenebre, chiama Mosè. In un lungo abboccamento gli comunica i suoi pensieri. Abbassandosi fino agli ultimi particolari dei regolamenti e delle ordinanze, che debbono dare alla nazione la sua forma politica, civile e domestica, non lascia niente all’arbitrio dell’uomo.- Affinché nel succedere dei tempi, nessuno sia tentato di sostituire, in un punto qualunque, la sua volontà a quella divina, la carta è scolpita dallo stesso Spirito Santo su tavole di pietra. Queste tavole conservate gelosamente, interrogate con rispetto, saranno l’oracolo della nazione, e la sorgente della sua vita. Così, nell’ordine sociale, come nell’ordine religioso, la Città del bene sarà, secondo tutta 1’estensione della parola, la Città dello Spirito Santo. Ad esclusione di ogni altro, Egli ne sarà Iddio, il re, il regnante e il governatore. In opposizione alla Città del bene, satana edificò la Città del male. Vediamo con qual fedeltà questa, scimmia eterna, adopra per innalzare il suo edificio, i mezzi che Dio ha adoperati per costruire il suo. Mosè riceve dallo stesso Dio la costituzione degli Ebrei sulla vetta del monte Sinai. Come contraffazione di questo grande avvenimento, satana vuole che i primi fondamenti degli imperi, dei quali si compone la Città del male siano in commercio intimo con lui. È lui stesso che si riserva di dettare le loro costituzioni e le loro leggi. Ei vuole che lo si sappia, affinché si rispettino, non come una elucubrazione umana, ma come una ispirazione divina. Infatti vediamo i primi legislatori dei .popoli pagani affermare ad una voce unanime, che le loro leggi sono discese dal cielo, e che sono state ricevute dalla bocca stessa degli dei. Chi ha il diritto di dar loro una smentita? Dietro a quel che noi sappiamo delle ispirazioni religiose di satana, come negare la possibilità di queste ispirazioni sociali? Chi più può, meno può. D’altronde i fatti rivelano la causa. Di dove vengono i delitti legali che deturpano tutti i codici pagani, niuno eccettuato? Quale spirito autorizzò, anzi comandò il divorzio, la poligamia, l’uccisione del fanciullo e dello schiavo, le crudeltà riguardo al debitore e al prigioniero di guerra? Chi eresse la ragione del più forte in diritto delle genti? Chi iscrisse sulle tavole di bronzo del Campidoglio la lunga nomenclatura d’iniquità civili e politiche, il cui solo nome fa ancora arrossire? Se non è lo Spirito Santo, è lo spirito maligno. In politica come in religione, non vi è per l’uomo che due fonti di ispirazioni. Ma ascoltiamo la storia. Le più antiche tradizioni c’insegnano che nell’Oriente, nella Persia, nella Fenicia, in Egitto, in tutti i luoghi vicini al paradiso terrestre, il demonio, sotto la forma di serpente, si faceva adorare non solo come il Dio supremo, ma come il Principe dei legislatori, la fonte del diritto, e della giustizia. « I Fenici e gli Egizi, dice Porfirio, hanno divinizzato il drago ed il serpente…. » I primi l’appellano Agatodemone, il buon genio, ed i secondi lo chiamano Kneph. Essi gli aggiungono una testa di sparviero, a motivo dell’energia di quest’uccello. Epeis, il più dotto dei loro gerofanti, dice precisamente ciò che segue: « La principale e più eminente divinità è il serpente con la testa di sparviero. Pieno di grazia, allorché apre gli occhi, riempie di luce tutta l’estensione della terra ; se questi vengono a chiudersi, succedono le tenebre.1 » (Porphyr. ex Sanchoniat., Apud Euseb., Præp. evang., lib. I, c. X). – Così nell’ordine sociale come nell’ordine religioso, ogni luce viene dal dio serpente, il più grande degli dei. L’antico legislatore dei Persi, Zoroastro, è anche più esplicito. « Zoroastro il mago, continua Sanconiatone, nel sacro rituale dei Persi si esprime in questi termini: il dio con la testa di sparviero, è il principio di tutte le cose: immortale, eterno; senza principio, indivisibile senza uguali, regola di ogni bene, incorruttibile, l’eccellente degli eccellenti; il più sublime pensatore dei pensatori, il padre delle leggi, dell’equità e della giustizia, non ripetendo la sua scienza che da sé solo; universale, perfetto, savio, solo inventore delle forze misteriose della natura. » (Ibid.). – Lasciamo l’alto Oriente, cuna di tutte le grandi tradizioni, e scendiamo nella Grecia. Allorché Licurgo vuol farsi legistatore va a domandare le famose leggi di Lacedemone allo stesso dio, vale a dire al serpente. Ei si reca a Delfo, luogo celebre nell’intero mondo per il suo oracolo. Appena Licurgo ha toccato il suolo del tempio, che il serpente Pitone – (Come il serpente orientale, così il serpente Pitone è un essere senza pari in natura; è rappresentato come un mostro enorme, un prodigio spaventevole. Ovidio lo chiama il gran Pitone. Serpente sconosciuto, il terrore dei popoli. Sebbene ucciso in apparenza da Apollo, era sempre lui che sotto il nome di Apollo rendeva gli oracoli. Ovidio, Metam., lib. I, v. 488), gli dice, per l’organo della sua sacerdotessa: « Tu vieni, o Licurgo, nel mio tempio ingrassato dalle vittime; tu, l’amico di Giove e di tutti gli abitanti dell’olimpo. Ti chiamerò io dio o uomo? Io sto in dubbio; ma spero piuttosto che tu sii dio. Tu vieni a chiedermi savie leggi pe’ tuoi concittadini: volentieri te le darò. » (Porphyr, apud Euseb., lib. V, c. XXVII). Ci si perdoni di profanare i nomi: Delfo è il Sinai dell’antico serpente, seduttore del genere umano. (Era il centro religioso del mondo pagano: da ciò viene che Ovidio lo chiama umbiculum orbis.). – Licurgo è il suo Mosè. Sparta e le altre repubbliche della Grecia, Roma stessa che tolsero ad imprestito da Lacedemone una parte delle loro leggi, formano il suo popolo. Licurgo di ritorno da Sparta, fa conservare preziosamente l’oracolo di Delfo nei sacri archivi della città, come lo stesso Mosè le tavole della legge nell’arca dell’alleanza (Vedi Plutarco, Disc. contro Colotes, c. XVII). – La parodia è completa. Tal’è, rapporto agli stessi pagani, l’origine di una legislazione, che dopo il Rinascimento i Cristiani fanno ammirare ai loro figli! – Nella Vita dì Teseo, fondatore di Atene, Plutarco ha cura di notare che questo legislatore non mancò esso pure, di prendere i consigli dal serpente Pitone. – Ma lasciamo la Grecia, e veniamo a Roma. Ecco la città misteriosa che per l’accrescimento irresistibile della sua potenza, assorbirà la più gran parte del mondo, e di tutti gl’imperi fondati da satana, non formerà che un solo impero, del quale sarà la capitale. Qual fu l’influenza del serpente legislatore circa la fondazione di Roma? È facile prevedere che essa deve essere qui, più notevole che dappertutto altrove: la previsione non è chimerica. Avanti che ella ancora esista, satana comincia col dichiarare che questa città sarà la sua, e ne prende possesso nel modo il più solenne. Per ordin suo, alcuni sacerdoti, iniziati ai suoi più segreti misteri, sono mandati di Toscana per compiere le cerimonie, con le quali deve essere fondata la futura capitale del suo impero: « Romolo, dice Plutarco nell’antico francese di Amyot, dopo che ebbe seppellito suo fratello, si diede a fabbricare e a fondare la sua città, avendo fatti chiamare dall’Etruria uomini che con certi sacri riti e caratteri gli dichiararono ed insegnarono appuntino tutte le cerimonie che aveva ad osservare, secondo i formulari che possedevano, come se si trattasse di qualche mistero, o di qualche sacrificio. « Imperocché fu scavata una fossa circolare intorno a quel luogo che ora si appella Comizio, e riposte vi furono le primizie di tutte le cose; quindi portando ognuno una piccola quantità di terra dal paese d’onde era venuto, ve la gettarono dentro, e mescolarono insieme ogni cosa: questa fossa nelle loro cerimonie si chiama Mondo; indi all’intorno di questo centro, designarono la città a guisa di cerchio. « Il fondatore, avendo inserito nell’aratro un vomero di rame, ed aggiogati un bue ed una vacca, tira egli stesso, facendoli andare in giro, un solco profondo sui disegnati confini; e in questo mentre, coloro che gli vanno dietro, s’adoperano a rivoltare al di dentro le zolle che solleva l’aratro, non trascurandone alcuna rovesciata al di fuori. Dove poi divisano di far porta, estraendo il vomero e alzando l’aratro, vi lasciano un intervallo non tocco; onde reputano sacro tutto il muro, eccetto le porte. Poiché se credessero sacre anche queste, non potrebbero senza scrupolo né ricever dentro, né mandar fuori le cose necessarie e le impure. » (Vita dì Romolo, traduzione di Girolamo Pompei. Tomo I p. 119, Firenze 1822). Tale fu la fondazione piena di superstizioni sataniche della città di Roma. Ed i Romani del Risorgimento non hanno arrossito di celebrarne l’anniversario con feste religiose! – Se Romolo è il fondatore della città materiale, Numa, suo successore, è considerato con ragione come il fondatore della città morale. satana non poteva sceglier meglio. Noi diciamo scegliere, imperocché è per grazia dello stesso satana che Numa fu re di Roma. Prima di riferire a quelli che l’ignorano questo fatto significantissimo, è bene far conoscere gli antecedenti di Numa. « Dopo la morte di sua moglie, scrive Plutarco, Numa, lasciata allora la città, dimora per le più volte in campagna, dove se n’andava tutto solo vagando e conducendo la vita nei boschi dei numi e ne’ prati sacri e nei luoghi deserti. Dalle quali cose principalmente ebbe origine ciò che si dice intorno alla Dea, cioè che Numa non già per una certa tristezza e vagazione di mente abbia lasciato di conversare con gli uomini, ma perché gustata egli aveva una conversazione più nobile, ed era fatto degno d’incontrar matrimonio divino, unito essendosi ad Egeria, dea innamorata di lui, e passando la vita insieme con essa lei, onde egli era divenuto un uomo beato e nelle divine cose peritissimo. » (Vita di Numa, Plut, Traduz. del Pompei, t. I, p. 227,c. III. — Sed ut ad anguem redeamus, ne adeo mirum sit eum voluptatis et libidinis habere significatum: legimus apud Plutarchum, serpentem Etoliae amasium puellae. Pierius, [il serpente etolia era l’amante della fanciulla] Hierogly., lib. XIII , p. 148, ediz. in fol., Lyon, 1610). A ogni modo, di questo matrimonio e di altri simili, dei quali, stando allo stesso Plutarco, l’alta antichità ammetteva la realtà, (Vedi sant’Agostino e in tutti i grandi teologi, la questione de incubisi) resta che il primo legislatore di Roma ebbe, come i due oracoli della filosofia pagana, Socrate e Pitagora, il suo demone familiare. Vedremo che a questo tenebroso commercio Numa dovette la sua sovranità, e Roma le sue leggi. – Ascoltiamo ancora Plutarco: «Avendo Numa accettato il regno e sacrificato agli Dei, s’incamminò alla volta di Roma. Essendo a lui state presentate le insegne reali, egli comandò che fossero trattenute dicendo, di voler prima far preghiere agli Dei che il confermasse nel regno. Tolti però seco indovini e sacerdoti, salì sul Campidoglio, e quivi il maggiore degli indovini voltartelo a mezzo giorno, colla testa coperta, e standogli presso al di dietro e colla destra toccandogli il capo, si diede a far le sue preghiere, ed osservava d’intorno, guardando per ogni dove, ciò che dagli dei si manifestasse con uccelli o con altri segni. Intanto nella piazza se ne stava un sì numeroso popolo con incredibile silenzio tutto sospeso e in aspettazione di ciò che fosse per avvenire, finché apparvero uccelli destri e favorevoli che approvarono la cosa. Allora Numa, presa avendo la veste regale, discese dal Campidoglio verso la moltitudine, ed ebbe allora acclamazioni ed accoglienze, quali si convenivano ad uomo religiosissimo e carissimo ai Numi. (Vita di Numa, p. 233). Numa divenne re per la grazia del demonio, come Licurgo, come Teseo, come gli altri fondatori degli imperi pagani, legislatore sotto l’ispirazione del medesimo Spirito. Di già i rudimenti di legislazione che Romolo aveva dati ai Romani, uscivano dalla stessa sorgente. Abilissimo nel commercio con i demoni, optimus augur, come lo chiama Cicerone, egli ne aveva composto una parte; il resto, l’aveva tolto in imprestito dai Greci, i quali come abbiamo visto, ripetevano tutto dal serpente legislatore. (Dion. Halyc. Antiquit, rom., lib. XI, in Romul.). – Ma per Roma, sua città di predilezione e la futura capitale del suo impero, una ispirazione indiretta a satana non bastava. Egli stesso in persona volle dettare le sue leggi: Numa fu il suo Mosè. Questo personaggio che oggi noi appelleremo Medium, praticava apertamente l’idromanzìa. Questo genere di magia essendo noto a tutta l’antichità, e tante volte condannato dalla Chiesa, consiste nel fare sull’acqua stagnante o corsiva, delle invocazioni e dei cerchi concentrici, in mezzo ai quali apparisce il demonio sotto una forma visibile, e che pronunzia degli oracoli. (Delrio, disquisit. magic,, lib. IV, c. XI, sect. 3.). – Apulejo riporta questo celebre fatto d’idromanzìa : « Io mi ricordo, egli dice, d’aver letto in Varrone, filosofo di molta erudizione e storico di una grande esattezza, che gli abitanti di Tralles, inquieti dell’esito della guerra contro Mitridate, ricorsero alla magia. Apparve un fanciullo nell’acqua, il quale col volto verso una immagine di Mercurio annunziò loro in centosessanta versi quel che doveva accadere. » (Apolog,, p. 301). Tale fu il mezzo adoperato dal legislatore di Roma. « Numa, scrive sant’Agostino, che non aveva per ispiratore nè un profeta di Dio, né un buon angelo, ricorse all’idromanzia. 3 » (Civ. Dei, lib. VII, c. XXXV). Ei si portò presso ad una fontana solitaria che ancor si mostra, e faceva le pratiche d’uso. Allora sotto la figura di una giovine che pigliava il nome di Egeria, il demonio gli dettava i diversi articoli della costituzione religiosa e civile di Roma e gliene spiegava i motivi. Ora i motivi di questo codice, divenuto per le conquiste dei Romani come il vangelo dell’antichità, erano di tal natura che Numa, benché fosse re, non osò mai farli conoscere. A questo timore umano si aggiungeva un timore divino, che gettò il regio medium nella più grande perplessità. Da una parte, pubblicando le infamie che il serpente gli aveva dettate, temeva di rendere esecrabile agli stessi pagani, la teologia civile dei Romani; dall’altra, non ardiva annientarle, temendo la vendetta di quello al quale si era consacrato. Prese dunque il partito di far sotterrare presso la sua tomba questo monumento di oscenità. Ma un oprante, passando col suo aratro, lo fece uscire di sotto terra. Lo portò al pretore che lo sottomise al senato, e il senato ordinò di bruciarlo. Tale fu la rispettabile origine della legislazione religiosa e civile di Roma. Le cose utili e sensate che essa racchiude, sono un inganno di colui che non dice talora la verità, se non per meglio ingannare.(De civ. Dei, lib. VII, c. XXXV)