Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XVII:5; 6; 7
Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam. [Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.]
Ps XVII: 2-3
Díligam te, Dómine, fortitúdo mea: Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus. [Ti amerò, o Signore, mia forza: Signore, mio firmamento, mio rifugio e mio liberatore.]
Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam. [Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.
Oratio
Orémus.
Preces pópuli tui, quǽsumus, Dómine, cleménter exáudi: ut, qui juste pro peccátis nostris afflígimur, pro tui nóminis glória misericórditer liberémur. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo: affinché, da quei peccati di cui giustamente siamo afflitti, per la gloria del tuo nome siamo misericordiosamente liberati.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor IX: 24-27; X: 1-5
Fratres: Nescítis, quod ii, qui in stádio currunt, omnes quidem currunt, sed unus áccipit bravíum? Sic cúrrite, ut comprehendátis. Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: et illi quidem, ut corruptíbilem corónam accípiant; nos autem incorrúptam. Ego ígitur sic curro, non quasi in incértum: sic pugno, non quasi áërem vérberans: sed castígo corpus meum, et in servitútem rédigo: ne forte, cum áliis prædicáverim, ipse réprobus effíciar. Nolo enim vos ignoráre, fratres, quóniam patres nostri omnes sub nube fuérunt, et omnes mare transiérunt, et omnes in Móyse baptizáti sunt in nube et in mari: et omnes eándem escam spiritálem manducavérunt, et omnes eúndem potum spiritálem bibérunt bibébant autem de spiritáli, consequénte eos, petra: petra autem erat Christus: sed non in plúribus eórum beneplácitum est Deo.
OMELIA I
[A. Castellazzi: La Scuola degli Apostoli. S. Tip. Artig. – Pavia, 1929]
“Fratelli: Non sapete che quelli che corrono nello stadio corrono bensì tutti, ma uno solo riceve il premio? Correte anche voi così da riportarlo. Ognuno che lotti nell’arena si sottopone ad astinenza in tutto: e quelli per ottenere una corona corruttibile; noi, invece, una incorruttibile. Io corro, appunto, così, non già come a caso; così lotto, non come uno che batte l’aria; ma maltratto il mio corpo e la riduco in servitù: perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia riprovato. Non voglio, infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, e tutti passarono a traverso il mare, e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare; e tutti mangiarono dello stessa cibo spirituale; e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale; (bevevano infatti della pietra spirituale che li seguiva; e quella pietra era Cristo): pure della maggior parte di loro Dio non fu contento”. (1. Cor. IX, 24-27 e X, 1-5).
S. Paolo, volendo incoraggiare i Corinti a sostenere qualunque sacrificio per conseguire l’eterna salvezza, porta l’esempio di se stesso. Come un corridore, perché vinca, non basta che sia sceso nello stadio, ma deve correre in modo da superare gli altri; così egli corre, nell’aringo della vita, senza sbandarsi qua e là, con la mente fissa al fine da conseguire. Come il lottatore, abbattuto il nemico, se lo conduce schiavo attorno per l’arena, così egli, con le privazioni e le mortificazioni, abbatte il suo corpo, e se lo rende schiavo. È vero che i Corinti avevano ricevuto molti favori da Dio. Anche gli Ebrei, sotto la guida di Mosè, ricevettero tutti da Dio favori segnalatissimi; ma pei loro peccati furono puniti nel deserto; e ben pochi di loro poterono entrare nella terra promessa. La conseguenza da tirare da questo passo della prima lettera ai Corinti è chiara. Quello che avvenne agli Ebrei poteva venire anche ai Corinti, potrà avvenire anche a noi, se non saremo perseveranti. Nessuna presunzione, dunque, perché:
1 Non basta cominciar bene; bisogna continuare,
2 Anche sottoponendosi a sacrifici e privazioni,
3 Sempre sostenuti dal primitivo favore.
1.
Non sapete che quelli che corrono nello stadio, corrono bensì tutti, ma uno solo riceve il premio?
Qui c’è allusione alle corse che avevano luogo, periodicamente a Corinto,e alle quali tanto si appassionavano i Greci.Oggi le corse sono più varie, più frequenti e anche più pericolose; e le popolazioni dei nostri tempi non vi si appassionano meno che quelle dei tempi andati. Ma il buon successo della corsa è sempre il medesimo: arrivare alla fine in tempo. Corrono bensì tutti — osserva l’Apostolo— ma uno solo riporta il premio. Gli altri, o arrivano troppo tardi, o, rimasti scoraggiati, si ritirano dalla corsa. È quello che avviene anche oggi. È indetta una corsa? Un gran numero di corridori si fa inscrivere. Non tutti però prendono parte alla partenza; e non tutti quelli che vi prendono parte arrivano alla meta, specialmente se le corse sono lunghe. Chi ha ceduto il campo nella prima tappa, chi nella seconda, chi nelle successive. Molti sono partiti tra gli applausi e gli auguri, pieni di ardire e di speranza; pochi sono stati accolti dall’applauso finale.Quello che avviene nelle corse, avviene in altre circostanze della vita. Avviene nel campo delle scienze, delle arti, delle lettere, delle industrie, e specialmente nel campo spirituale. Attratti dalla grandezza del premio molti si mettono a servir Dio con slancio, ma non tutti terminano la corsa. Quanti giovani danno sul principio belle speranze! Ci fanno pensare d’aver un giorno degli Apostoli della Religione, e in pochi anni la dimenticano,quando non si volgono a combatterla. Tanti, che sul principio attirano l’attenzione per la loro vita morigerata ed esemplare, o presto o tardi, diventano pietra d’inciampo.Erano entrati pieni di buona volontà nella corsa della vita spirituale; ma non ebbero la forza di continuare.Incominciare, è necessario: chi non comincia, non finisce.Cominciar bene, è assai importante! poiché chi. ben incomincia, è alla metà dell’opera. Ma chi è, che si mette all’opera, senza, pensare di condurla a termine? Qual corridore scende in pista, con la previsione di restare a mezza via? Il buon risultato di un’opera è il suo compimento.Il fine corona l’opera. Chi ha cominciato una corsa per fermarsi a metà, ha sprecato tempo e fatica.La fatica promette il premio, e la perseveranza lo porge. Il Cristiano che ha cominciato una vita buona per fermarsi poi a metà fa pure opera inutile. Si è affaticato un po’ per la speranza del premio, ma il premio, non è dichi si ferma a metà. Chi vuol il premio deve perseverare.« Sii fedele fino alla morte, e ti darò la corona della vita » (Ap. II, 10). Dice il Signore.
2.
Dopo aver incitato i Corinti a imitare i corridori, in modo da poter riportare la vittoria finale, l’Apostolo passa a parlare dei lottatori.
Ognuno che lotti nell’arena si sottopone ad astinenze in tutto. Con queste parole viene a indicare il segreto della perseveranza finale: Non prendersi pensiero delle difficoltà. I lottatori non si accingono alla vittoria dormendo sopra un letto di rose. E si sottopongono a disagi, a sudori, a privazioni, a sacrifici, a prove durissime per mettersi in grado di riportar vittoria. – Il Cristiano, invece, trema davanti alle difficoltà, che incontra per giungere alla meta. Quanto più si dirada il numero di coloro che avevano cominciato bene; tanto più dà nell’occhio chi continua coraggiosamente. Sulle prime si farà poco caso di lui; ma quando si vede che continua sul serio, si cerea di disturbarlo. Non si parla davanti a un ladro, si rimane muti davanti a un bestemmiatore o a un impudico. Bisogna divertirsi a punzecchiare un Cristiano che continua coraggiosamente per la propria via. Forse i primi frizzi fanno poca impressione, Ma se continuano, cominciano a seccare. Poi si va pensando se non sia il caso di non dar pretesto a queste seccature. E quando si discute in queste cose, vuol dire essere vinti presto. Per non dar nell’occhio, prima si dissimula, poi si tralascia. Proprio tutto all’opposto di quanto fanno i lottatori, i quali tanto più si sentono spinti a lottare coraggiosamente, quanto più danno nell’occhio agli spettatori. Così, quelli che si erano messi di buon animo a occuparsi di Dio e dell’anima, tornano a occuparsi del mondo. Altra difficoltà è il cattivo esempio. Non tutti possono ripetere le parole del Salmo: « I superbi agiscono sempre iniquamente, ma io non mi allontano dalla tua legge» (Salm. CXVIII, 51). «L’imitazione dei vizi è pronta» (S. Gerolamo Ep. 107, 4 ad Læt.), più pronta che l’imitazione della virtù. E anche chi non abbandona sulle prime la legge di Dio, non sa sottrarsi alla deleteria influenza che il male continuato esercita sugli uomini. Quando, poi, la cattiva condotta diventa generale, si produce il rilassamento anche nei buoni. « Quando abbonda la dissolutezza, la carità si raffredda »; osserva in proposito S. Ilario (Comm. in Matth. cap. XXV, 2). E chi aveva messo le sue delizie nella legge del Signore, finisce col trascurare i propri doveri. Non mancano neppure in questo caso i forti, ma son pochi. Difficoltà particolare, accennata dall’Apostolo è la lotta contro le nostre cattive inclinazioni. Maltratto il mio corpo e lo riduco in servitù: perché non avvenga, che dopo aver predicato agli altri, io stesso sia riprovato. – Le nostre cattive inclinazioni hanno una forza particolare per trattenerci sulla buona via intrapresa. Se non si dominano continuamente, riescono ad avere il sopravvento.Nel primo fervore della vita spirituale, si crocifigge volentieri la carne, si accettano le umiliazioni, si sopportano le privazioni per ridurre in servitù le nostre cattive tendenze. Ma poi, cominciamo a stancarci. A lungo andare pesa anche la paglia. Molto più pesa questa lotta che ci imponiamo da noi stessi, o, più frequentemente,accettiamo dagli altri. Se appena, appena perdiam di vista la meta da raggiungere, vacilliamo nella lotta, e veniamo soggiogati. – La vita dei Santi è come uno specchio, che ci fa vedere ciò che facciamo di bene, ciò che facciamo di male.«Vi troviamo — per dirla con S. Gregorio M. — quale è il nostro progresso e quale è la lunga distanza dal progresso» (Mor. L. 2, c. 1). Nella perseveranza tra le difficoltà, siamo in progresso o in regresso? Il Beato Ghebre Michele, nato ed educato nell’eresia eutichiana. la quale in Gesù Cristo ammette una sola natura, non trova appagata la sua ardente aspirazione alla verità. Per trovare questa verità va pellegrinando di convento in convento in cerca di libri e di maestri, che rispondano alle sue domande sulla Persona di Gesù Cristo. Non di rado accolto male, sempre disilluso, si rimette in cammino in cerea di altri libri e di altri maestri che lo possano illuminare: e continua la non piacevole peregrinazione per ben dieci anni, sempre sostenuto dal fervore dei primi giorni. Venuta l’ora della grazia, abiura l’eresia, e abbracciata la verità, non l’abbandonerà più. Ne sarà uno zelante e strenuo banditore, non ostante la guerra spietata dell’eretico vescovo Salama che vuol chiudergli la bocca. Dieci anni di persecuzione non trovano in lui un istante di titubanza. Il carcere e i tormenti più raffinati non lo smuovono d’un passo dalla sua via. Davanti al tiranno Teodoro II, che vuol fargli piegare la coscienza, è incrollabile. I carnefici fanno scendere sul santo vecchio, colpi di flagelli fitti come la gragnola. Ne restano talmente stanchi che devono darsi il cambio. Chi resiste a ogni stanchezza è il nostro Beato. Sospesa la flagellazione, perché lo si crede morto, disteso com’è in un lago di sangue, egli solleva la testa, e rompe il silenzio sepolcrale con queste parole, rivolte ai carnefici: « Siete già stanchi? » (A. Otti S. I . Abessiniens Heimkehr, in Die Katholischen Missionen, 1926, p. 322 segg.). Da questo eroe della costanza non abbiam proprio nulla da imparare? Per la maggior parte di noi non sarebbe fuor di proposito, e non avrebbe alcun ombra di ironia, la domanda del Beato: « Siete già stanchi? ».
3.
Ci sono altri che camminano nella via del bene come a caso. Si direbbe che non hanno uno scopo fisso. Si muovono, ma non corrono. Si avanzano come uno schiavo che trascina le catene. Si dimenticano lo scopo della loro vocazione. – Il mondo dà pure noie e guai a coloro che vogliono arrivare a una meta; eppure quanta costanza! Uno vuol arricchire. Vedetelo: non si stanca mai. Viaggi, privazioni, notti insonni, pericoli di perdere la vita e i beni, acquistati con tante fatiche, non valgono a rallentare il fervore dei primi giorni. Sentieri ripidi, passaggi pericolosi, ascese affaticanti, ghiacciai, tormente, non trattengono l’alpinista dal tentare di raggiungere la vetta. Gli aviatori lottano coi venti, non si curano del pericolo della nebbia, non si spaventano dell’aria gelata. Se le loro macchine si guastano, atterrano con la più grande calma.Tranquilli, attendono alle riparazioni, senza un momento di sfiducia. Se altre circostanze ritardano la ripresa del volo, aspettano pazienti che le circostanze si mutino, in attesa di proseguire il viaggio con lo stesso entusiasmo che li ha spinti alla partenza. È degna di ammirazione la costanza di chi vuol arrivare a una scoperta, a una invenzione. Sono veglie, studi, esperimenti non mai interrotti. Incanutiscono i capelli, ma il suo spirito è sempre giovane. Anzi, quanto più è vicino alla meta, tanto più cresce il suo ardore negli studi e nei tentativi. E tutto questo per acquistarsi una gloria che forse non verrà. Il Cristiano, invece, si scoraggia, e abbandona ben presto i lavoro per l’acquisto della gloria eterna. Sulla bocca di chi lavora, e non si crede retribuito abbastanza o vede il frutto dei suoi sudori dissipato da altri, si sente, delle volte, questo lamento: « Per chi lavoro io? ». E’ una domanda troppo fondata, fatta da chi lavora per il mondo. È una domanda che deve ringagliardire le forze, fatta da chi lavora per Dio, il quale dice ai perseveranti: « Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Matth. V, 12).Quando non si è sotto l’occhio del padrone o di chi lo rappresenta, si è tentati di rallentare il lavoro o magari di sospenderlo. Tanto, il padrone non vede. I pigri, i neghittosi nel servizio di Dio possono dire: «Tanto il padrone non vede »? Nulla del bene che facciamo sfugge all’occhio di Lui; e quindi nulla andrà perduto. «Pertanto, o fratelli, state fermi e irremovibili, sempre assidui nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è infruttuosa nel Signore ».
Graduale
Ps IX: 10-11; IX: 19-20
Adjútor in opportunitátibus, in tribulatióne: sperent in te, qui novérunt te: quóniam non derelínquis quæréntes te, Dómine, [Tu sei l’aiuto opportuno nel tempo della tribolazione: abbiano fiducia in Te tutti quelli che Ti conoscono, perché non abbandoni quelli che Ti cercano, o Signore]
Quóniam non in finem oblívio erit páuperis: patiéntia páuperum non períbit in ætérnum: exsúrge, Dómine, non præváleat homo. [Poiché non sarà dimenticato per sempre il povero: la pazienza dei miseri non sarà vana in eterno: lévati, o Signore, non prevalga l’uomo.]
Tractus
Ps CXXIX:1-4
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi vocem meam. [Dal profondo ti invoco, o Signore: Signore, esaudisci la mia voce.]
Fiant aures tuæ intendéntes in oratiónem servi tui. [Siano intente le tue orecchie alla preghiera del tuo servo.]
Si iniquitátes observáveris, Dómine: Dómine, quis sustinébit? [Se baderai alle iniquità, o Signore: o Signore chi potrà sostenersi?]
Quia apud te propitiátio est, et propter legem tuam sustínui te, Dómine. [Ma in Te è clemenza, e per la tua legge ho confidato in Te, o Signore.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
[Matt XX: 1-16]
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Simile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne autem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod justum fúerit, dabo vobis. Illi autem abiérunt. Iterum autem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero autem factum esset, dicit dóminus víneæ procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes autem et primi, arbitráti sunt, quod plus essent acceptúri: accepérunt autem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi et æstus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non facio tibi injúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo autem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”
[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fissare degli operai per la sua vigna. Avendo convenuto con gli operai un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito fuori circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà giusto. E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora, e ne trovò altri, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro per ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo. Ma egli rispose ad uno di loro, e disse: Amico, non ti faccio ingiustizia, non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? o è cattivo il tuo occhio perché io son buono? Così saranno, ultimi i primi, e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.]
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
Tutti i secoli, che già passarono dal principio del mondo, uniti insieme con tutti quelli che restano a passare sino alla fine del medesimo, mentre per noi sembrano gran cosa, dinanzi a Dio, secondo la spiegazione di Origene, non sono altro che un giorno. Ora, poiché Iddio vuole che tutti gli uomini, i quali compaiono successivamente sulla terra durante questo gran giorno, attendano al lavoro della loro santificazione, perciò in tutte le ore diverse di questo giorno istesso nella sua bontà infinita si degnò di chiamarli a questo lavoro. – Al mattino, ossia alla prima ora, chiamò i nostri progenitori Adamo ed Eva; all’ora terza chiamò Noè e la sua famiglia; all’ora sesta chiamò Abramo e gli altri patriarchi; all’ora nona chiamò il suo servo Mosè. Finalmente all’ora undecima, che dura tuttora e durerà sino alla fine del mondo, per la bocca dello stesso divin Redentore chiamò gli Apostoli e nella loro persona tutte le nazioni che essi dovevano convertire. Queste varie chiamate rivolte dal Signore al suo popolo e segnatamente agli infedeli, secondo l’insegnamento dei Santi Padri, sono mirabilmente designate nella parabola del Vangelo d’oggi. Noi tuttavia, per nostra maggiore utilità ne faremo l’applicazione alla nostra vita cristiana.
1. Il regno dei cieli, disse Gesù Cristo, è simile ad un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fermare dei lavoratori per la sua vigna. Ed avendo convenuto coi lavoratori a un denaro per giorno, li mandò alla sua vigna. Ed essendo uscito fuori circa all’ora terza, ne vide degli altri, che se ne stavano per la piazza senza far nulla, e disse, loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà di ragione. E quegli andarono. Uscì anche di nuovo circa l’ora sesta e la nona e fece l’istesso. Circa l’undecima poi uscì e ne trovò degli altri, che stavano a vedere, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. – E qual è adunque questa vigna, che il padre di famiglia, che è Dio, vuol far lavorare da noi che siamo i suoi operai! Questa vigna è l’anima nostra. Iddio l’ha creata Egli immediatamente; l’ha fornita di tanti bei doni, l’ha arricchita di moltissime grazie, e sopra tutto l’ha innaffiata del sangue preziosissimo del suo divin Figlio per mezzo dei santi sacramenti: Egli l’ha posta ora su questa terra, destinandola tuttavia ad essere un giorno trapiantata nel Paradiso. E chi può dir quanto egli ami e quanto desideri che, arricchendosi di abbondanti frutti, abbia a raggiungere il suo fine? Con tutto ciò sebbene egli vi abbia sparso, senza che essa ne avesse alcun merito, i tesori della sua grazia, l’anima nostra non raggiungerà la sua salvezza, se noi non presteremo il nostro concorso all’azione divina, vale adire, se noi non lavoreremo efficacemente a santificarla. Importa adunque sommamente che tutti, mentre siamo in tempo, ci diamo attorno per far delle opere buone, senza le quali è impossibile la santificazione dell’anima. Guai a noi se ce ne stiamo oziosi! E sapete voi di qual maniera ce ne staremmo oziosi? Lo spiega chiaramente S. Tommaso. Si chiamano oziosi, dice egli, non solamente coloro che operano il male, ma coloro eziandio che trascurano di operare il bene: dicuntur otiosi non solum qui mala faciunt, sed etiam qui bonum non agunt (In Matth. cap. XX). Certamente sono oziosi per la vigna della loro anima coloro, che impiegano la loro intelligenza, il loro cuore, i loro sensi, il loro ingegno, la loro sanità, le loro ricchezze, la loro forza come strumenti ad operare il male e a coprire la loro anima degli sterpi del peccato. Ma sono oziosi del pari coloro, che pur non commettendo deliberatamente e di proposito gravi peccati, non impiegano tuttavia le loro forze morali, intellettuali e fisiche a far del bene. Perciocché impiegare queste forze a metter insieme denari, a far delle grandi fortune, a conseguire cariche ed onori, a raggiungere posti elevati, a far acquisto di scienza peregrina e cose simili è lavorare attorno alla santificazione dell’anima propria! Ahimè! Quid hæc ad æternitatem? Che cosa giovano tutte queste cose per l’eternità? Importa adunque che non ci lasciamo con tanta facilità distrarre dal pensiero degli affari temporali. Sì, attendiamo pure con diligenza a quella professione, a quell’arte, a quello studio, nel quale Iddio ci vuole in questa vita, ma non dimentichiamo mai che in capo a tutto deve stare l’affare della nostra eterna salute, che è questa l’unica cosa sommamente necessaria. A che mai, esclama Gesù Cristo, a che mai, o mortali, vi andate occupando in tante cose del mondo ? Una sola cosa è necessaria, e questa è la salute dell’anima vostra. Se voi salvate quest’anima, per voi tutto è salvo, ma se la perdete, tutto è perduto. Voi potete acquistarvi ricchezze, onori, impieghi,gloria; voi potete comparire gran sapiente in faccia agli uomini; essere riputati i più valenti, i più dotti dei vostri compagni, del vostro paese, di tutto il mondo: ma tutte queste cose sono niente se le confrontate con la salvezza dell’anima vostra, che di tutto il mondo è il tesoro più prezioso. Nulla può paragonarsi al valore dell’anima, poiché essa vale il sangue di Gesù Cristo, avendo Gesù Cristo sparso il sangue per la salvezza di ciascuna delle nostre anime. Epperò, che cosa potrai dare, dice lo stesso Gesù, che possa compensare l’anima tua? Che ti giova, o uomo, guadagnare tutto il mondo, se questo guadagno reca danno all’anima tua? E l’Apostolo S. Paolo avvisava i Cristiani della città di Filippi, che con timore e tremore attendessero a salvar l’anima. S. Francesco Zaverio diceva che nel mondo avvi un solo bene ed un solo male, l’unico bene è salvarsi, l’unico male è dannarsi. E S. Teresa andava spesso ripetendo alle sue compagne: Sorelle, un’anima, un’eternità: volendo dire: un’anima sola, perduta questa, tutto è perduto, e per un’eternità. Oh quanto rincresce adunque il sentire talvolta certi Cristiani, che poco o nulla pregando,
andando di mala voglia in chiesa, trascurando di istruirsi convenientemente nella Religione e lasciando da parte molti altri doveri, si scusano col dire che hanno da pensare ad altro, a studiare e a lavorare! Quanto fa pena il vederli talvolta nella chiesa istessa anziché rivolgere la mente a Dio, dissiparla nel pensiero dei loro affari mondani! Ma poveri Cristiani! Pensano essi forse che al suo divin tribunale Dio menerà loro buone queste scuse? Ahimè! Ogni albero, che non produce buoni frutti, diceva già il Precursore di Cristo, sarà tagliato e gettato nel fuoco. E Gesù Cristo medesimo confermò ampiamente questa dottrina. Ricordiamoci adunque che non basta la fede, come insegnano i protestanti, ma sono anche necessarie le opere. « Che prò, domanda l’Apostolo S. Giacomo, che prò se uno dica di avere la fede e non abbia le opere? Potrà forse salvarlo la fede? Che se il fratello e la sorella sono ignudi e bisognosi del vitto quotidiano e uno di voi dica loro: Andate in pace, riscaldatevi e satollatevi; né diate loro le cose necessarie al corpo, che gioverà? Così come le vostre parole non sono di alcuno sollievo al fratello ed alla sorella che sono in urgente necessità ed han bisogno non di parole, ma di effettivo soccorso, così la sola fede non gioverà a voi essendo priva della carità, senza di cui la fede è morta ». Operiamo, operiamo adunque. In mezzo alle nostre occupazioni, ai nostri studi avvezziamoci a mettere le buone opere in cima ai nostri pensieri. Le preghiere del mattino e della sera, la frequenza dei Sacramenti, la santificazione delle feste, le opere di carità, l’esercizio delle cristiane virtù, siano cose che nella nostra estimazione e nella pratica passino innanzi a tutte le altre. Per tal modo, vale a dire col lavoro di una vita cristiana, noi coopereremo con Gesù Cristo, nostro Dio e nostro padrone, alla coltura di quella vigna spirituale, che è l’anima nostra, ed asseconderemo la chiamata, che Egli a tal fine ci fa udire in tutte le età della vita umana.
2. E qui notiamo quale fosse il costume degli antichi. Essi dividevano il giorno in dodici ore. La prima cominciava al levar del sole, la dodicesima al suo tramonto. Tale giorno aveva quattro parti di tre ore, più o meno lunghe, secondo che il sole stava più o meno tempo sull’orizzonte. Quindi la prima, la terza, la sesta, la nona, l’undecima ora corrispondevano a ciò che noi chiamiamo le sei, le nove ore del mattino, il mezzodì, le tre e le cinque ore pomeridiane. Ora, chi non vede come tutte le età della vita umana, assai più acconciamente delle epoche della storia, possono essere paragonate alle ore di un solo e medesimo giorno? Sì, la vita dell’uomo è come un giorno, ma un giorno, cui assai presto succede la notte, dice il profeta Isaia: Venti mane et nox. La prima ora, dice S. Gregorio, è l’infanzia dell’uomo; la terza è la sua adolescenza, in cui comincia a crescere il calore dell’età, come il sole nella terz’ora del giorno; la sesta è la giovinezza, in cui è nella sua forza la pienezza dell’età, come quando il maggior astro è al suo mezzodì; la nona è l’età matura, l’età perfetta, in cui decresce e si diminuisce tutti i giorni il calore; l’undecim’ora è la vecchiezza, in cui per così dire non vi è più che un punto tra la vita e la morte, tra il giorno ed una notte eterna. Ebbene, o miei cari, in tutte le età della vita Dio chiama gli uomini a lavorare nella sua vigna. Egli li chiama anzi tutto nell’infanzia. Benché nulla possiamo ancora fare per Iddio, Egli si mostra fin d’allora infinitamente generoso. Per mezzo del santo Battesimo egli infonde in noi le virtù soprannaturali, che sono in allora altrettante potenze, per cui siamo obbligati ad operare il bene, appena saremo giunti all’uso della ragione. Epperò col compiere in noi questa opera, benché noi non possiamo intendere
la sua voce, tuttavia Iddio ci chiama al suo santo servizio, alla santificazione dell’anima nostra, facendo con noi la convenzione di darci per mercede del nostro lavoro la vita eterna del cielo. Egli chiama gli uomini nell’adolescenza, età, in cui le nostre facoltà incominciano a metter fuori i primi raggi e a dare i primi slanci. E chi sa dire le molteplici guise, con cui Iddio fa sentire la sua voce al cuore di un fanciullo? Egli lo chiama con la sana educazione dei genitori e dei maestri, lo chiama col catechismo e con l’apprendimento delle prime verità cristiane, lo chiama con gli insegnamenti, che il sacerdote dà in modo adatto alla sua tenera mente, lo chiama colle dolcezze delie pratiche di pietà e soprattutto con quelle della prima Comunione;
lo chiama insomma in mille modi ed amorosamente lo invita a darsi interamente al suo amore. – Ma Iddio non chiama meno all’età della giovinezza, età delle passioni e de’ suoi scatti impetuosi. Pur troppo allora più che mai anche il mondo fa sentire la sua voce e grida che quella è l’età del piacere. E guai se il giovane insensatamente ascolta la voce del mondo! Egli allora butta nel vizio la forza e l’energia della sua vita e da se stesso si conduce innanzi tempo ad una vergognosa vecchiaia. Ma se invece egli ascolta le chiamate di Dio, chi sa dire il gran bene, di cui diventa capacissimo operatore? Che non fecero mai in questa età un S. Luigi Gonzaga, un S. Stanislao Kostka, un S. Giovanni Berchmans? Iddio chiama ancora all’età matura. Anzi allora, quanto più il giorno della vita si avanza, tanto più insistente diventa la sua chiamata. E quando l’uomo ha resistito, quando ha passato il fiore della sua vita nell’indifferenza, nella mollezza e nell’ingratitudine, quando arriva alla triste età della vecchiezza, quando già porta sulla fronte il segnale d’una morte vicina, Iddio degnasi di chiamarlo ancora, accontentandosi degli estremi avanzi di una vita, che sta per spegnersi, e che forse fu passata tutta a disconoscerlo e ad oltraggiarlo. Con tutto ciò, o miei cari, guardiamoci bene dall’inganno del demonio, dal fidarci cioè di poter poi rispondere facilmente alla chiamata di Dio nell’estrema nostra età. S. Agostino e S. Girolamo insegnano, che colui il quale nella sua gioventù si dà al mal fare, si viene abituando allo stesso, e l’abitudine forma come una seconda natura, una catena di ferro, una forza tirannica e prepotente, che malgrado qualche buon desiderio in contrario, trascina al male. Or come farà a darsi al servizio del Signore e per conseguenza a cangiare costume di vita, colui che per una lunga serie di anni è sempre vissuto nella spensieratezza della vita cristiana e talvolta nei più gravi disordini del vizio? Ecco perché si vedono pur troppo talora dei vecchi, che hanno già il crin canuto e bianco e pur sono sì spudorati nel parlare, sì disonesti nell’agire, sì irreligiosi nel sentire. Ecco perché costoro talvolta scendono nella tomba senza aver punto corretta la loro vita, che cominciò ad essere malvagia nella loro gioventù. È proprio la sentenza dello Spirito Santo, che si avvera: Ossa eius implébuntur vitiis adolescentiæ eius, et curri eo in pulvere dormient: Le ossa di lui saranno imbevute dei vizi della sua gioventù, e questi andranno a giacere con lui nella tomba (Giobb. XX, 11). Tutti adunque, in qualunque età ci troviamo, ascoltiamo la voce di Dio che ci chiama al lavoro della santificazione, e tutti senza dubbio ne avremo l’adeguata mercede. È Gesù Cristo stesso, che ce lo assicura nella seconda parte della parabola di quest’oggi.
3. Venuta la sera, prosegue egli, venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori, e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi sino ai primi. Tenuti adunque quelli che erano andati circa l’undecima ora, ricevettero un denaro per ciascheduno. Et reliqua. Or bene, o miei cari, la sera, di cui trattasi qui è il fine della vita. L’economo è Gesù Cristo, a cui il suo padre ha dato ogni podestà, e che dopo essersi a noi dato come Salvatore, si presenterà un giorno come rimuneratore divino. Il denaro consegnato all’operaio laborioso si è la vita eterna, retaggio di tutti gli eletti. E se, come accadde agli operai della prima ora, ci sorprende che gli operai dell’ultima ricevano come gli altri quel denaro della beatitudine infinita, riflettiamo, che Dio pesa piuttosto i santi ardori dell’anima di quello che misuri la durata del lavoro. Vi sono di quelli che datisi assai tardi al servizio del Signore, vi hanno portato tuttavia un ardore sì grande, una così mirabile energia, una forza di volontà così potente, che ben presto hanno sorpassato coloro che, non avendo mai disertato dalla via del bene, non vi hanno però fatto progressi sensibili, e non camminarono che a piccioli passi nel sentiero della perseveranza. Non han fatto così un S. Paolo, un S. Agostino, un S. Ignazio di Loyola, un S. Francesco Zaverio e tanti altri? Inoltre non dobbiamo dimenticare quella sentenza del Salvatore: « Nella casa di mio Padre vi sono molte mansioni » (Ioann. XIV, 2); e quell’altro insegnamento di S. Paolo: « In quella guisa che le stelle differiscono in chiarezza, così sarà nella risurrezione dei morti » (1 Cor. XV, 41). I Santiri fletteranno gli splendori divini del Signore secondo la maggiore o minore loro santità e perfezione. Finalmente riflettiamo, che se molti sono i chiamati, pochi sono gli eletti; vale a dire, come molti commentatori spiegano, se il numero dei Cristiani chiamati con grazie ordinarie ad una vita ordinaria è grande, in quella vece è scarso quello di coloro, che con grazie straordinarie sono chiamati ad una straordinaria santità; epperò se Iddio darà un premio specialissimo a quei pochi che da lui eletti praticarono una santità eroica, la comune dei Cristiani dovrà accontentarsi della ricompensa ordinaria, che sarà ad ogni modo troppo grande in confronto dei loro pochi meriti, secondo quel che disse Iddio al suo servo Abramo: « Ego merces tua magna nimis » (Gen. XV, 1). Quindi senza più oltre voler scrutare quanto vi restasse di impenetrabile in questa condotta del Signore, Padre di tutta quanta l’umana famiglia, accertiamoci, nulla di meno, che Egli, giusto rimuneratore dei buoni, in paradiso darà certamente a ciascuno il premio corrispondente a quel tanto di bene che avrà fatto, e con questo consolantissimo pensiero animiamoci senz’altro a fare il maggior bene per noi possibile. Suvvia, mettiamoci davvero con impegno. Obbediamo al comando del padrone delle anime nostre: « Ite et vos in vineam meam ».
Credo …
Offertorium
Orémus
Ps XCI:2
Bonum est confitéri Dómino, et psállere nómini tuo, Altíssime. [È bello lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]
Secreta
Munéribus nostris, quæsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. [O Signore, Te ne preghiamo, ricevuti i nostri doni e le nostre preghiere, purificaci coi celesti misteri e benevolmente esaudiscici.]
Communio
Ps XXX: 17-18
Illúmina fáciem tuam super servum tuum, et salvum me fac in tua misericórdia: Dómine, non confúndar, quóniam invocávi te. [Rivolgi al tuo servo la luce del tuo volto, salvami con la tua misericordia: che non abbia a vergognarmi, o Signore, di averti invocato.]
Postcommunio
Fidéles tui, Deus, per tua dona firméntur: ut eadem et percipiéndo requírant, et quæréndo sine fine percípiant. [I tuoi fedeli, o Dio, siano confermati mediante i tuoi doni: affinché, ricevendoli ne diventino bramosi, e bramandoli li conseguano senza fine.]