Mons. J. J. Gaume:
[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]
CAPITOLO XX.
(seguito del precedente).
Il Sacrificio: atto religioso il più significativo ed il più inesplicabile — Esso racchiude due misteri: un mistero d’espiazione e un mistero di rinnovamento; un mistero di morte e uno di vita — Tristezza e gioia; due caratteri del sacrificio — Manifestazione della gioia: danza, canti, banchetti — Triplice modo di mangiare la vittima — Parodia satanica di tutte queste cose — Come il Re della Città delbene, cosi il re della Città del male esige sacrifici — Esso ne determina la materia e tutte le circostanze: nuova testimonianza di Porfirio — Egli comanda in odio del Verbo incarnato, il sacrificio dell’uomo — Parallelismo: il Capro emissario presso gli Ebrei ed i Targelii presso i Greci — Medesimi sacrifici presso i popoli pagani,antichi e moderni: testimonianza.
Di tutti gli atti religiosi il sacrificio è senza dubbio il più significativo e nel tempo stesso il più inesplicabile.
Il più significativo. — Nessuno eleva così in alto la gloria di Dio: poiché nessuno proclama così eloquentemente il supremo suo dominio sulla vita e sulla morte di tutto quello che esiste. Ecco perché nell’antico come nel nuovo Testamento il Signore riserba a sé solo il sacrificio; perché colpisce con i suoi fulmini il temerario che osasse attribuirselo; (Qui immolat diis occidetur, praeterquam Domino soli. – Èxod. XX, 20.); perché non dissimula il piacere misterioso ch’egli prende all’odore delle vittime; perché infine lo chiede per sempre. (Vedi la maggior parte del capitolo del Levitico e dei Numeri).
Il più inesplicabile. — Nulla accusa più altamente una origine soprannaturale. I lumi della ragione non giungeranno giammai a scoprire, come il peccato dell’uomo può essere cancellato col sangue di una bestia. Qui essendo ogni cosa divina, si comprende che nulla è stato lasciato all’arbitrio dell’uomo. Perciò noi vediamo che nella Città del bene, la scelta delle vittime, le loro qualità, il loro numero, il modo di offrirle, il giorno e l’ora del sacrificio, i preparativi dei sacerdoti e le disposizioni del popolo; in una parola tutto ciò che si riferisce da presso o da lontano a quest’atto solenne, è divinamente ispirato e ordinato. – Ora, il sacrificio contiene un duplice mistero; mistero di espiazione e mistero di rinnovamento: mistero di morte e mistero di vita. Mistero di espiazione: l’uomo nell’offrire alla morte un essere qualunque, confessa da un lato che è desso che meriterebbe d’essere immolato, e che la vittima non è altro che il suo rappresentante; dall’altro egli proclama la più assoluta dipendenza riguardo a Dio, il bisogno che ha di Lui, e la riconoscenza alla quale è tenuto per la vita e per tutti i mezzi di conservarlo. – Mistero di rinnovamento: l’uomo mediante l’autentica protesta che egli fa della sua colpabilità e del suo nulla, si ripone di rimpetto a Dio nei suoi veri rapporti; egli si ritempera e si rigenera. Di qui due caratteri invariabili dei sacrifici: una tristezza solenne accompagnata, o seguita da una gioia che si manifesta con le dimostrazioni le meno equivoche, la danza, il canto ed i banchetti. (Come la musica, così la danza è un linguaggio divino nella sua origine e nel suo fine. Per ciò tutti i popoli hanno ballato in onore dei loro dei. David ballava in onore del vero Dio. Nella Chiesa Cattolica si è, per parecchi secoli, danzato nelle feste religiose. satana si è impadronito del ballo, e tutti i popoli, suoi schiavi, hanno ballato in suo onore, cominciando dai Coribanti della Grecia e dai Salii di Roma, sino ai Dervisci di Stamboul: dai Gitunpers e i Metodisti sino ai settari del Vandoux. — In Dionigi d’Alicamasso si legge (Kb. II, c. 18): « I Romani gli chiamano Salii (sacerdoti di questo nome) a motivo del loro movimento e del loro agitarsi continuo: imperocché essi si servono della voce salire per ballare e saltare: è per questa ragione che essi chiamano salitores tutti gli altri danzatori, traendo il loro nome da quello di Salii, perché essi saltano ordinariamente nel ballare. Ma ognuno potrà giudicare da ciò che essi fanno, se ho ben riscontrato, rapporto all’etimologia del loro nome. Imperocché essi ballano in cadenza al suono del flauto, tutti armati, ora insieme, ora uno dopo l’altro, e mentre che ballano essi cantano altresì alcuni inni del paese.) – Tuttavia il banchetto è più che un segno di gioia. II sacrificio non è utile all’uomo se non in quantoché l’uomo partecipa della vittima. Cosi insegna la fede di tutti i popoli, fondata sulla natura medesima del sacrificio. Ora l’uomo mangiando si assimila la carne immolata, facendosi vittima. Tale è il modo più energico di proclamare che è lui e non essa che deve perire. Quindi l’uso universale di mangiare, in tutti i sacrifici. Solamente succede materialmente, moralmente o in modo figurato. Materialmente, quando si mangia realmente la carne della vittima; moralmente, quando invece si mangiano delle frutta o delle focacce offerte insieme; in modo figurato quando si prende parte ai pasti dati in occasione del sacrificio. Tali sono nella Città del bene le leggi, la natura e le circostanze di questo grande atto. –
Con una abilità sovrumana, il re della Città del male si è impadronito di questi mezzi divini e li ha fatti volgere a pro suo. Il sacrificio è la proclamazione autentica della divinità dell’essere a cui si rivolge. satana che vuole essere tenuto per Dio, se l’è fatto offrire; e persino nei minimi particolari egli contraffà Jehovah: « I demoni vogliono essere dii, dice Porfirio, e il capo che li comanda aspira a sottentrare al Dio supremo. Essi si dilettano nelle libazioni e nel fumo delle vittime, che ingrassa nel tempo stesso la loro sostanza corporea e spirituale. Essi si nutrono di vapori, di esalazioni, diversamente, secondo la diversità della loro natura, ed acquistano delle forze nuove col sangue e col fumo delle carni abbrustolite. » (Apud Euseb., Præp. evang., lib. IV, c. XXII). – Sant’Agostino e san Tommaso ci danno il vero significato delle parole di Porfirio, spiegandoci la natura del piacere che i demoni pigliano dall’odore delle vittime: « Quel che si stima nel sacrificio non è il pregio della bestia immolata, ma ciò che essa significa. Ora significa l’onore reso al sovrano padrone dell’universo. Quindi quella parola: I demoni non godono dell’odore dei cadaveri, ma degli onori divini. 2 » [In oblatione sacrifìcii non pensatur pretium occisi pecoris, sed signifìcatio, qua fìt in onorem summ rectoris totius universi. Unde sicut Augustinus dicit (De civ. Dei, lib. X, c. xix, ad fin.): « Dæmones non cadaverinis nidoribus, sed divinis honoribus gaudent. » 2a 2æ, q. LXXXIV, art. 2, ad 2]. satana non si contenta di domandare dei sacrifici: come il vero Dio, così egli si permette di determinarne la materia e di regolarne le cerimonie. Dopo aver fatto giuramento di dire la verità intorno ai misteri demoniaci, Porfirio si esprime in questi termini: « Trascriverò per conseguenza i precetti di pietà e di culto divino che l’oracolo ha proferiti. Quest’oracolo d’Apollo espone l’insieme e la divisione dei riti che debbonsi osservare per ciascuno Dio. « Entrando nella via tracciata da un Dio propizio, ricordati di compiere religiosamente i sacri riti. Immola una vittima alle beate divinità: a quelle che abitano gli emisferi celesti; a quelle che regnano nell’aria e nell’atmosfera piena di vapori: a quelle che presiedono al mare ed a quelle che sono nell’ombre profonde dell’Èrebo. Imperocché tutte le parti della natura sono sotto la potestà degli dei che la riempiono. Io conterò da prima il modo con cui le vittime debbono essere immolate. Inscrivi il mio oracolo sopra vergini tavolette. « Agli dei Lari tre vittime; altrettante agli dei celesti. Ma con questa differenza: tre vittime bianche agli dei celesti; tre di color di terra agli dei Lari. Dividi in tre le vittime degli dei Lari; quelle degli dei infernali tu le seppellirai in una fossa profonda col loro sangue ancor caldo. Alle ninfe, fai delle libazioni di miele e doni di Bacco. Quanto agli dei che svolazzano intorno la terra, che il sangue inondi i loro altari da ogni parte; e che un uccello intero sia gettato nei sacri focolari; ma innanzi tutto consacra loro delle focacce di miele e di farina e orzo, misti ad incenso e ricoperti di sale e di frutta. Allorché tu sarai venuto per sacrificare sulla riva del mare, immola un uccello e gettalo intero nelle profondità dei flutti. « Compiute tutte queste cose secondo i riti, avanzati verso gli immensi cori dei celesti dei. A tutti rendi lo stesso onore sacro. Che il sangue mescolato alla farina sgorghi a grosse gocce, e formi dei depositi stagnanti. Che le membra conosciute delle vittime rimangano come dono agli dei; getta le estremità alle fiamme e il rimanente serva per i conviti. Co’ grati profumi di cui tu riempirai l’aria, fai salire sino agli dei le tue ardenti suppliche.1 » – Ibid.,lib. IV, c. IX). – Tali sono con molti altri, i riti obbligati dei sacrifici richiesti dal re della Città del male. Sono tutti una contraffazione sacrilega delle prescrizioni religiose del Re della Città del bene. Ora l’immaginazione indietreggia spaventata dinanzi all’incalcolabile moltitudine di animali di ogni specie, dinanzi alla somma favolosa di ricchezze d’ogni genere, involate alla povera umanità dal suo odioso e insaziabile tiranno. Pur tuttavia, respirare la fragranza dei più preziosi aromi, assaggiare l’offerta delle più belle frutta, bere a lunghi sorsi il sangue degli scelti animali, non gli basta: gli bisogna il sangue dell’uomo. La storia degli umani sacrifici rivela nelle sue ultime profondità l’odio del grande Omicida, contro il Verbo incarnato e contro l’uomo suo fratello. Quest’odio non potrebbe essere più intenso nella sua natura, né più esteso nel suo oggetto. Da una parte esso va fin dove può andare, cioè alla distruzione; d’altra parte, il sacrificio umano ha fatto il giro del mondo. Egli regna ancora dappertutto dove regna senza contrapposto il re della Città del male. Tanto ò il divertirsi a stabilire l’esistenza del sole, che l’accumulare le prove di questo mostruoso fenomeno. Noi ci contenteremo di ricordare alcuni fatti, atti a mostrare fin dove satana spinge la parodia delle divine istituzioni, la sua sete inestinguibile di sangue umano e la sua preferenza, libera o forzata, per la forma del serpente. – Tra i riti sacri prescritti a Mosè, io non so se ve ne sia nessuno dei più misteriosi e più celebri di quello del “caprone emissario”. Due caproni, nutriti per quest’uso, erano condotti dal gran sacerdote all’ingresso del Tabernacolo. Carichi di tutti i peccati del popolo, uno era sacrificato in espiazione, l’altro cacciato nel deserto per segnare l’allontanamento dei meritati flagelli. Il sacrificio aveva luogo ogni anno verso l’autunno, per la festa solenne delle Espiazioni. Questa istituzione divina, il re della Città del male si dà premura di contraffarla. Ma egli la contraffà a suo modo: invece del sangue di un caprone, esige il sangue di un uomo. Ascoltiamo come ce lo raccontano gli stessi pagani con la loro gelida calma e orribile usanza. Nelle repubbliche della Grecia, e specialmente ad Atene, si nutrivano a spese dello Stato alcuni uomini vili ed inutili. Accadeva una peste, una fame od altra calamità, si andava a prendere due di queste vittime e le si immolavano per purgare la città e liberarla! Queste vittime si chiamavano demosioi, nutriti dal popolo; pharmakoi, purificatori; Katarmata, espiatori. Era costume sacrificarne due alla volta: uno per gli uomini, ed uno per le donne, senza dubbio, allo scopo di rendere più completa la parodia dei due capri emissari. L’espiatore per gli uomini portava una collana di fichi neri; quello delle donne una di fichi bianchi. Affinché tutti potessero godere della festa, si sceglieva un luogo comodo per il sacrificio. Uno degli arconti, o principali magistrati, era incaricato di curarne tutti i preparativi e di sorvegliarne tutti i particolari. Il corteggio si poneva in marcia accompagnato da cori di musici, esercitati da lunga mano e superbamente organizzati. Durante il tragitto, si battevano sette volte le vittime con rami di fico e con reste di cipolle selvatiche, dicendo: Sia la nostra espiazione e il nostro riscatto. Giunti al luogo del sacrificio, gli espiatori erano arsi sopra un rogo di legno selvatico e le loro ceneri gettate al vento in mare, per la purificazione della città infetta. D’accidentale che era in principio, il sacrificio divenne periodico, e ricevette il nome di festa dei Thargelii. Lo si faceva in autunno, e durava due giorni, durante i quali, i filosofi celebravano con allegri banchetti la nascita di Socrate e di Platone. Così ogni anno nella stessa stagione, mentre il vero Dio si contentava del sangue di un montone, satana si faceva offrire il sangue di un uomo. (Annali, luglio 1861, p. 46 e seg. Si crederebbe forse che i dizionari greci classici, invece di darci delle parole il loro vero significato, amino di fare dei contro sensi, piuttosto che rivelare questi abominevoli particolari? Cosi è che il Rinascimento inganna la gioventù e con essa l’Europa cristiana, sul conto della bella antichità. Id., ib.). – Nella stessa categoria si può collocare l’annuo sacrificio offerto dagli Ateniesi a Minosse. Gli Ateniesi, avendo fatto morire Androgeo, essi furono decimati dalla peste e dalla fame. L’oracolo di Delfo, interrogato sulla causa della duplice calamità e sul modo di porvi un termine, rispose: « La peste e la fame cesseranno, se voi designate con la sorte sette giovanetti e altrettante giovanette vergini per Minosse: voi le imbarcherete sul mare sacro come rappresaglia del vostro delitto. A questo modo voi vi renderete propizio il Nume. » (Ex Oenomao apud, Euseb., Præp. e vang. lib. V. c. XIX). Le infelici vittime venivano condotte nell’isola di Creta e rinchiuse in un labirinto, dove esse erano divorate da un mostro, mezz’uomo e mezzo toro, il quale non si nutriva che di carne umana. « Chi è dunque quell’Apollo, quel dio salvatore che consultano gli Ateniesi, chiede Eusebio agli autori pagani, storici del fatto? Senza dubbio, egli va ad esortare gli Ateniesi al pentimento ed alla pratica della giustizia. Si tratta bene di simili cose! Che cosa importano tali cure per questi eccellenti dei, o piuttosto per questi demoni perversi? Al contrario fa loro d’uopo di atti dello stesso genere, spietati, feroci, inumani, aggiungendo, come dice il proverbio, la peste alla peste, la morte alla morte. « Apollo ordina loro di mandare ogni anno al Minotauro sette adolescenti e sette giovani vergini, scelti tra i loro figli. Per una sola vittima quattordici vittime innocenti e candide! E non una volta solamente, ma per sempre; di maniera ché sino al tempo della morte di Socrate, più di cinquecento anni dopo, l’odioso e atroce tributo non era ancora soppresso presso gli Ateniesi. Ciò fu infatti la causa del ritardo apportato all’esecuzione della sentenza capitale decretata contro questo filosofo. » (Præp. evang., lib. V, c. XVIII). – Oltre queste periodiche immolazioni, gli Ateniesi nelle circostanze difficili, non esitavano nulla più degli altri popoli della bella antichità di ricorrere, a richiesta degli Dei, ai sacrifici umani. Era il momento di dichiarare battaglia alla flotta di Serse. « Mentre che Temistocle, scrive Plutarco, faceva agli Dei dei sacrifici sulla nave ammiraglia, gli si presentarono tre giovani prigionieri di una straordinaria bellezza, magnificamente vestiti e carichi di ornamenti d’oro. Dicevasi che fossero i figli di Sandace, sorella del re, e di un principe di nome Artaycte. « Al momento in cui gli apparve l’indovino Eufrantide osservò che una pura e chiara fiamma usciva di mezzo alle vittime, ed un augure a destra mandò uno starnuto. Allora appoggiando la sua mano diritta sopra Temistocle gli ordinò, dopo avere invocato Bacco Omestis (mangiatore di carne cruda), di sacrificare a lui questi giovanetti, assicurandolo che la vittoria e la salute dei Greci sarebbero in tal modo assicurati. » Temistocle, sembra esitare; ma i soldati vogliono che sia secondato il parere dell’indovino, ed i giovani sono sacrificati.22 (In Themist, c. III , n. 8). – A similitudine dei Greci, avevano i Romani eziandio i loro pubblici espiatori. Erano tante vittime scelte e anticipatamente consacrate. Nelle pubbliche calamità si andava a prenderle per scannarle nel luogo in cui erano nutrite: simile al macellaio che va a cercare nella stalla il bove che dee esser macellato. (Com. a Lap., in Levit., xvi, 10; et Dyon, Halicarn. apud Euséb., Præp. evang., lib. IV, c. XVI). – La capitale della civiltà pagana, Roma, ha sacrificato umane vittime sino alla comparsa del Cristianesimo; e tra i sacrificatori, Dione Gassio cita l’uomo il più eminente dell’antichità, Giulio Cesare. « In seguito ai giuochi ch’egli fece celebrare dopo i suoi trionfi (nei quali fu scannato Vercingetorige) i suoi soldati si ammutinarono. Il disordine non cessò che allor quando Cesare si fu presentato in mezzo ad essi, e che ebbe preso da sé uno degli ammutinati per consegnarlo al supplizio. Questi fu punito per questo motivo; ma altri uomini furono inoltre scannati a modo di sacrificio. Essi furono sacrificati nel campo di Marte, dai pontefici e dal flamine di Marte. (Hist. Rom., XLIII, c. 24). – Aggiungiamo con Tito Livio, che era permesso al console, al dittatore ed al pretore, quando consacrava le legioni dei nemici, di consacrare non sé medesimo, ma il cittadino che egli voleva, preso nella legione romana. (Lib. VIII, c. 10 – Tutti i giochi dell’ anfiteatro in onore di Giove Laziale cominciavano con un sacrificio umano). – I Romani ed i Greci non erano che gli imitatori dei popoli dell’Oriente e dei Fenici in particolare. Vicini degli Ebrei, dei quali conoscevano i sacri riti, questi ultimi poterono infatti ricevere sino da principio, e accettare senza resistenza, la contraffazione del capro emissario. « Presso questo popolo, dice Filone di Biblos, vi era un’antica usanza, che nei gravi pericoli, per prevenire una rovina universale, i capi della città o della nazione consegnano i più cari dei loro figli per essere immolati, come riscatto ai due vendicatori. Cosi Crono re di quel paese, minacciato di una guerra disastrosa, sacrificò egli medesimo il suo unico figlio sull’altare che aveva per questo eretto. L’immolazione della vittima era accompagnata da misteriose cerimonie. » (Apud Euseb., Præp. evang. lib. IV, c. XVI). – In tutti i luoghi in cui il Cristianesimo non ha distrutto il suo impero, il re della Città del male continua la feroce parodia. I Tergelii sussistono tuttora presso i Condii popolo dell’India, tali all’incirca come gli abbiamo visti nella Grecia or sono tre mila anni. Ivi si ingrassano dei fanciulli che si scannano a centinaia a primavera, ed il cui sangue sparso sui prati, passa per avere la virtù di fecondarli. Alla data del 6 settembre 1850 il vescovo d’Olène vicario apostolico di Visigapatam (India inglese) scrive: « Il governo inglese ha creduto dover portare la guerra sin nel centro dei Condi: eccone la ragione. Gli umani sacrifici sono ancora in uso presso questo popolo disgraziato. In occasione di una festa o di una calamità, all’epoca soprattutto delle semente, essi immolano dei fanciulli dell’uno e dell’altro sesso. A questo fine si formano di queste vittime innocenti come tanti depositi per servire nelle differenti circostanze…. Ogni pretesto è buono per questo macello: un pubblico flagello, una grave malattia, una festa di famiglia ecc. « Otto giorni innanzi il sacrificio, l’infelice fanciullo o adolescente, che deve farne le spese, viene legato. Gli si dà da bere e da mangiare quel che desidera. Durante questo intervallo, i vicini villaggi vengono invitati alla festa. Vi accorrono in gran numero. Allorché tutti sono riuniti, si conduce la vittima nel luogo del sacrificio. In generale si ha cura di metterla in uno stato di ubriachezza. Dopo averla attaccata, la folla gli balla intorno. Ad un dato segnale, ogni astante corre a tagliare un pezzo di carne che porta via seco. La vittima è fatta a brani ancor viva. Il pezzo che ciascuno ne stacca per suo proprio conto, deve essere palpitante. A questo modo caldo e sanguinante è portato in tutta fretta sul campo che si vuol fecondare. Tale è la sorte riserbata a coloro che mi parlavano, e pur tuttavia ballarono una gran parte della notte. » (Annali della Propag. della Fede, n. 138, p. 402 e seg.). – Gli stessi sacrifici succedono presso certe popolazioni maomettane dell’Africa orientale: « In una città araba che io conosco,scrive un missionario, (Id. marzo 1863, p. 132), ho visitato una casa nella quale si immolò, quattro anni sono, tre verginelle per allontanare un infortunio che minacciava il paese. Questa barbarie non era il fallo di un solo, ma l’adempimento d’una decisione presa in consiglio dai grandi del paese. Io so da fonte certa, e potrei addurre i testimoni, che quelle infelici vittime della superstizione mussulmana furon fatte a pezzetti, e le loro membra portate e sotterrate in diversi punti del territorio minacciato. » (Annali della Prop. della Fede, n. 138, p. 337, 380). – Simili orrori si commettono in Cina e nell’Oceania: satana è sempre e dappertutto lo stesso. (Ibid., n. 116, p. 49, etc., etc.). – Il genere particolare di sacrifici che abbiamo segnalati, non offre che un’idea molto imperfetta della sua sete insaziabile di sangue umano. Per conoscerla un po’ meglio, è d’uopo ricordarsi che i sacrifici umani hanno esistito dappertutto per duemila anni; che essi sono stati praticati sopra una grande scala; che i giuochi dell’anfiteatro, nei quali comparivano in un solo giorno parecchie centinaia di vittime, erano tante feste religiose; che sotto i Cesari questi giuochi si rinnovavano parecchie volte la settimana; che vi erano anfiteatri in tutte le citta importanti dell’impero romano; che il sacrificio umano aveva luogo fuori delle frontiere di quest’impero; che in America egli ha oltrepassato tutte le conosciute proporzioni; finalmente che la stessa carneficina continua anche adesso, su tutti i luoghi rimasti sotto l’intera dominazione del principe delle tenebre. [Oggi il sacrificio umano offerto a satana, continua nei macelli-sale-operatorie delle cliniche e degli ospedali pubblici e privati, con la barbara pratica omicida degli aborti, che miete milioni di vittime innocenti… – ndr.-]. Nel 1447, trentaquattro anni innanzi la conquista spagnola, ebbe luogo al Messico la consacrazione del Teocalli, o tempio del Dio della guerra, fatto da Ahuitzotl, re del Messico. In nessun paese aveva avuto luogo mai tanta spaventevole carneficina, per onorare questa divinità. Gli storici indigeni, che non si possono accusare né d’ignoranza né di parzialità in questa occasione, portano a 80 mila il numero delle vittime umane immolate in quella festa, della quale danno la seguente descrizione. Il re ed i sacrificatori salirono sopra la piattaforma del tempio. Il monarca messicano si pose accanto alla pietra dei sacrifizi, sopra una sedia ornata di orribili pitture. Ad un segnale dato da una musica infernale, gli schiavi cominciarono a salire i gradini del teocalli; essendo coperti di abiti da festa, e col capo ornato di penne. Via via che arrivavano in cima, quattro ministri del tempio, col volto tinto di nero e le mani di rosso (immagini viventi del demonio), afferravano la vittima e la distendevano sulla pietra ai piedi del regio trono. Il re s’inginocchiava, volgendosi successivamente verso i quattro punii cardinali (parodia del segno della croce), gli apriva il petto, dal quale strappava il cuore, presentandolo palpitante agli stessi lati, e lo rimetteva in seguito ai sacrificatori. Questi andavano a gettarlo al quanhxicalli, specie di trogolo profondo, destinato a quest’orribile sacrifizio. Essi compievano la cerimonia scuotendo ai quattro punti cardinali il sangue, che gli era rimasto attaccato alle mani. Dopo avere sacrificato in tal guisa una moltitudine di vittime, il re stanco presentò il coltello al gran sacerdote; poi questi ad un altro, e così di seguito, fino a che le loro forze non furono esaurite. Secondo le memorie contemporanee, il sangue scorreva lungo i gradini del tempio, simile all’acqua durante i rovesci tempestosi dell’inverno; e si sarebbe detto che i ministri erano vestiti di scarlatto. Questa spaventevole ecatombe durò quattro giorni. Essa aveva luogo alla stessa ora e con lo stesso cerimoniale nei principali templi della città; ed i più grandi signori della corte vi disimpegnavano insieme ai sacerdoti, le stesse funzioni che Àhuitzotl nel santuario del dio della guerra. Ire tributari ed i grandi che avevano assistito al sacrificio, vollero imitarlo nella consacrazione di qualche tempio. Il sangue umano non fu risparmiato. Un autore messicano, Ixtlixochitl, stima a più di cento mila il numero delle vittime che si immolarono quell’anno. Il fiume di sangue umano, che in certe circostanze diventava un gran lago, non cessava mai di scorrere. Come i Greci, i Romani, i Galli ed altri popoli dell’antichità, così i Messicani avevano eziandio i loro Tergelii. In mezzo ad una folta foresta si trovava il sotterraneo consacrato a Pètela, principe dei tempi antichi. Sotto le sue oscure vòlte, il viaggiatore contempla con stupore la bocca spalancata di un abisso senza fondo, dove si precipitano muggendo le acque di un fiume. Quivi si conducevano nei momenti di prova pomposamente gli schiavi od i prigionieri, con questa intenzione. Si coprivano di fiori e di ricche vesti, e si precipitavano nell’abisso in mezzo a nuvole d’incenso, indirizzate all’idolo. Tutti i mesi dell’anno erano segnalati da sacrifici umani. Quello che corrisponde al nostro mese di febbraio, era consacrato ai Genii delle acque. Si acquistavano, per il loro sacrificio, dei piccoli bambini che i padri offrivano sovente da sé medesimi, a fine di ottenere per la prossima stagione, l’umidità necessaria alla fecondazione della terra. Questi bambini si portavano in vetta alle montagne, dove si producono le burrasche, e là si immolavano; ma se ne serbava sempre qualcuno per sacrificarli al principio della pioggia. Il sacerdote apriva loro il petto, strappandone il cuore che veniva offerto in propiziazione alla Divinità; ed i loro corpicini erano serviti dipoi in un banchetto di cannibalismo ai sacerdoti ed alla nobiltà. Un altro mese era appellato lo Scorticamento umano. Il suo patrono era Xipè, il calvo o lo scorticato, detto altrimenti Toiec, cioè dire, nostro signore, morto giovane e di morte infelice (contraffazione evidente del N. S. G. C.). Questa divinità ispirava a tutti un grande orrore. Gli si attribuiva il potere di dare agli uomini le infermità che cagionano il maggior disgusto (mezzo infernale di fare aborrire il Crocifisso); perciò gli si offrivano giornalmente sacrifici umani. Le vittime condotte ai suoi altari erano prese per i capelli e portate sino alla terrazza superiore del tempio. A questo modo sospese, i sacerdoti le scorticavano vive, si rivestivano della loro pelle sanguinosa, e se ne andavano per la città offrendo ad onore del nume. Quelli che le presentavano erano obbligati a digiunare per venti giorni in precedenza, dopo di che si regalavano di una parte dellaloro carne. (Storia delle nazioni incivilite del Messico, dell’abate Brasseur de Bombourg, t. III, p. 341, 21-503 ecc.). Citiamo ancora la festa delle Costumanze nel regno di Dahomey, nell’Africa occidentale. Eccone la relazione scritta nel 1860 da un viaggiatore europeo, testimone oculare di quel che narra: « Il 16 luglio viene presentato al re uno schiavo fortemente sbarrato. Il re gli dà delle commissioni pel suo padre defunto, gli fa rimettere pel suo viaggio, una piastra ed una bottiglia di acquavite, dopo di che lo si licenzia. Due ore dopo, quattro nuovi messaggi partivano nelle stesse condizioni. Il 23 io assisto alla nomina di ventitré ufficiali e musicanti, che stanno per essere sacrificati per entrare al servigio del re defunto. Il 28 immolazione di quattordici prigionieri di cui si portano le teste sopra differenti punti della città, al suono di una grossa campanella. « Il 29 si preparano ad offrire alla memoria del re Ghezo le vittime d’uso. Gli schiavi hanno una sbarra in forma di croce che deve fargli enormemente soffrire: si passa loro un ferro appuntato nella bocca, gli si applica sulla lingua, il che gli impedisce di chiuderla, e per conseguenza di gridare. Questi disgraziati hanno quasi tutti gli occhi fuori del capo. I canti non smettono, come pure le uccisioni. Durante la notte del 30 e del 31 sono cadute più di cinquecento teste. Parecchie fosse della città sono colme di ossa umane. I giorni seguenti continuazione degli stessi massacri. « La tomba dell’ultimo re è un gran sepolcro scavato nella terra. Ghezo sta in mezzo a tutte le sue mogli, le quali prima di avvelenarsi, si sono poste intorno a lui secondo il grado ch’esse occupavano alla di lui corte. Queste morti volontarie possono ascendere al numero di seicento. – Il 4 agosto esposizione di quindici donne prigioniere, destinate a prender cura del re Ghezo nell’altro mondo. Saranno uccise questa notte di un colpo di stile nel petto. – Il 5 è riserbato alle offerte del re. Quindici donne e trentacinque uomini vi figurano, sbarrati e legati con corde, con le ginocchia ripiegate sino al mento, le braccia attaccate al basso delle gambe, e contenuti ciascuno in una paniera da portarsi in capo: la processione ha durato più di un’ora e mezzo. Era uno spettacolo diabolico il vedere il movimento, i gesti, le contorsioni di tutta quella massa di negri. – Dietro di me erano quattro magnifici negri che funzionavano da cocchieri intorno ad un carrozzino destinato ad essere mandato al defunto in compagnia di quei quattro disgraziati. Essi ignoravano la loro sorte. Fattigli tosto chiamare, si sono avanzati tristamente senza proferire una parola ; uno di essi aveva due grosse lacrime che cadevano sulle sue gote. Essi vennero uccisi tutt’e quattro come tanti polli, dal re in persona…. Dopo questa immolazione il re è salito sopra un palco, ha acceso la sua pipa e dato il segnale del sacrificio generale. Furono tosto sguainate le scimitarre, e le teste caddero. Il sangue scorreva da ogni banda; i sacrificatori ne erano ricoperti, e quegli infelici che attendevano la lor volta ai piè del regio palco erano come tinti di rosso. – Queste cerimonie dureranno ancora un mese e mezzo, dopo di che il re si porrà in campagna per fare nuovi prigionieri, e ricominciare la sua festa delle Costumanze; verso la fine d’ottobre vi saranno ancora sette o ottocento teste abbattute. » (Ann. della Propag. della Fede; marzo 1861, p. 152 e seg. L’autore di questo racconto non è un missionario. Abbiamo visto un missionario che ci ha Confermato tutti questi particolari, aggiungendo che da dodici anni che è in Africa si può senza esagerazione portare a 16 mila il numero delle vittime umane, immolate nel regno di Dahomey. Vedi il Viaggio del S. Bepin, medico di marina, 1862). – Al re Ghezo è succeduto suo figlio, il principe Badou. L’ascensione al trono del nuovo monarca è stato il trionfo delle antiche leggi, che hanno ripreso tutto il rigore sanguinario reclamato dai Fetisci. « Non bisogna credere che la carneficina si limiti alle grandi feste. Non passa giorno senza che qualche testa non cada sotto la scure del fanatismo. Ultimamente l’Europa ha fremuto, apprendendo che il sangue di tremila creature umane aveva bagnato la tomba di Ghezo. Ahimè! se non vene fossero state che tremila! » Ibid., maggio 1862). – Non solamente a Cana, la città santa di Dohomey, ma ancora a Abomey, capitale del regno, si rappresentano queste sanguinose tragedie. « Chiamati al palazzo reale, scrive un viaggiatore, noi vedemmo novanta teste umane, troncate la mattina stessa; il loro sangue scorreva ancora sul terreno. Quegli avanzi spaventevoli erano schierati da ciascun lato della porta, di modo che il pubblico potesse ben vederli. Tre giorni dopo, nuova visita obbligata al palazzo e lo stesso spettacolo; sessanta teste troncate di fresco, accomodate come le prime da ciascun lato della porta, e tre giorni più tardi altre trentasei. Il re aveva fatto costruire sulla piazza del mercato principale, quattro grandi piattaforme, di dove gettò al popolo dei cauri, sorta di conchiglie che servono di moneta e sulle quali egli fece ancora immolare sessanta vittime umane. (Vedi Il Giro del mondo, n. 168, p. 107). Ecco la forma di questo nuovo sacrificio. « Si recarono grandi ceste contenenti ciascuna un uomo vivo del quale la sola testa usciva fuori. Le si ponevano in un istante in fila sotto gli occhi del re, poi le si precipitarono l’una dopo l’altra, dall’alto della piattaforma sul suolo della piazza, dove la moltitudine, ballando, cantando e urlando, si disputava questa fortuna inattesa, come in altre contrade, i fanciulli si disputano i confetti di battesimo. Ogni Dahomiano abbastanza favorito dalla sorte, per prendere una vittima e segargli la testa, poteva andare all’istante stesso a cambiare quel trofeo in tanti cauris (circa due lire e mezzo.) Quando l’ultima vittima fu decollata, e che due sanguinose pile, una di teste, l’altra di tronchi furono innalzate alle due estremità della piazza; allora soltanto mi fu permesso di ritirarmi Che cosa succedeva dei cadaveri? La storia ci insegna che sempre e dappertutto, il pasto sotto una forma o sotto un’altra, accompagna il sacrificio. Che cosa diventano dunque i corpi dell’innumerevoli vittime del Moloch Dahomiano? « Io ho posto sovente, dice un viaggiatore, questa questione a dei Dahomiani di varie classi, né ho potuto mai ottenere una risposta molto categorica. Io non credo i Dahomiani antropofagi…. Potrebbe darsi nonostante che essi annettessero qualche idea superstiziosa alla consumazione di quegli avanzi, e che essi servissero a delle segrete e ributtanti agapi; ma ripeto, io non ho su di questo che sospetti, i quali han fatto nascere nel mio animo l’esitanza e l’imbarazzo dei negri che ho interrogati a questo proposito. » (Il Giro del mondo, p. 102). Se ne giudichiamo dalla tirannia assoluta, che il grande omicida esercita su quel disgraziato popolo, è più che probabile che i sospetti del viaggiatore non tarderanno a diventare una spaventosa certezza. Con l’odio dell’uomo, e con la sete del suo sangue questa tirannia si rivela da un ultimo passo, unico nella storia: « È ad Abomey che si trova la tomba dei re, vasto sotterraneo scavato da mano umana. Quando muore un re gli si erige nel centro di quel sepolcreto una specie di cenotafio contornato di barre di ferro, e sormontato da un sarcofago, cementato di sangue di un centinaio di prigionieri provenienti dalle ultime guerre, e sacrificati per servire di guardie al sovrano nell’altro mondo. Il corpo del monarca è deposto nel sarcofago, con la testa che riposa sopra i crani dei re vinti. Come tante reliquie della monarchia defunta, si depone a piè del cenotafio tutto quel che si può porvi di crani e di ossa. – « Terminati tutti i preparativi, si apre la porta di quella tomba e vi si fanno entrare otto ahaies, danzatrici della corte, in compagnia di cinquanta soldati; ballerine e guerrieri, muniti di una certa quantità di provvisioni, sono incaricati di accompagnare il loro sovrano nel regno delle ombre: in altri termini, essi sono offerti in olocausto alle ceneri del re morto. Dopo diciotto mesi per l’esaltazione al trono del nuovo re, il sarcofago è aperto ed il cranio del re morto viene ritirato. Il reggente prende quel cranio nella mano sinistra, e tenendo una piccola scure dalla mano destra, ei la presenta al popolo, proclama la morte del re e l’avvenimento del suo successore. Con dell’argilla intrisa di sangue delle vittime umane, si forma un gran vaso, nel quale il cranio e le ossa del defunto re sono definitivamente chiusi. Giammai la sete del sangue del Moloch africano si manifesta più che in queste solennità. Migliaia di vittime umane sono immolate, sotto pretesto d’inviare e portare al fu re la nuova dell’incoronazione del suo successore. » (Il Giro del mondo, 108, 104). Tutti questi orrori si commettono in nome della religione, e vi sono dei pretesi grandi ingegni che dicono che … tutte le religioni sono buone. È dunque indifferente il praticare una Religione che difende sotto pene eterne, l’attentare alla vita dell’uomo, ed una religione che comanda d’immolare gli uomini a migliaia? … una Religione che protegge il fanciullo, la pupilla dell’occhio, e una religione che ordina ai genitori di portare quest’essere prediletto al coltello del sacrificatore, o di gettarlo vivo nelle braccia di una statua incandescente? … una Religione che condanna persino il pensiero del male, e una religione che fa della prostituzione pubblica una parte del suo culto? una Religione che dice: I beni di altri non piglierai, e una religione che adora delle divinità protettrici dei ladri? – Tutti questi orrori si commettono, oggi pure, ad alcune centinaia di leghe distante dalle coste della Francia! E l’Europa cristiana che ha delle migliaia di soldati per fare la guerra al Papa, non ne ha neppure uno per far rispettare le più sante leggi dell’umanità! Una sola cosa ha liberato l’Europa da simili crudeltà, una sola cosa ne impedisce il ritorno, ed è il Cristianesimo. E si trova oggidì in Europa migliaia d’uomini che non hanno voce se non che per insultare il Cristianesimo, non altre penne che per calunniarlo, mani che per batterlo! Ingrati! i quali senza il Cristianesimo sarebbero forse stati offerti in vittima a qualche Ghezo antico, o arsi in un canestro di vetrice, in onore di Teutatès!