CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XVII)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XVI.

(fine del precedente.)

La potenza dei demoni regolata dalla sapienza divina — Essi puniscono e tentano — Puniscono: prove, l’Egitto, Saul, Acabbo — Celebre confessione del demonio — Tentano: prove. Giobbe, il Nostro Signore, san Paolo, i Padri del deserto, tutti gli uomini — Perché  tutti non resistono ad essi — Imprudenza e castigo di quelli che si pongono in relazione col demonio — Egli tenta per odio al Verbo incarnato.

Abbiamo detto della potenza dei demoni. Iddio seguendo i consigli della sua infinita sapienza la mantiene in giusti limiti. [S. Aug. Enarr, in ps. c. 12]. Da ciò resulta che i principi della Città del male non possono nuocere all’uomo ed alle creature in tutta la misura del loro odio. [S. Th., III p.7 q. XXXIX, art. 1, ad 3]. Non solamente Iddio ristringe la loro potenza ma la dirige; imperocché, come tutto ciò che esiste, questa potenza deve, al modo suo, contribuire alla gloria del Creatore. Su questo punto essenziale nel governo della Città del bene, noi ricordiamo l’esatto insegnamento della teologia cattolica: « Gli Angeli buoni, dice san Tommaso, fanno conoscere ai demoni molte cose risguardanti i divini segreti. Queste rivelazioni hanno luogo tutte le volte che Dio esige dai demoni certe cose, sia per castigare i malvagi, ossia per esercitare i buoni. Cosi nell’ordine sociale, gli assessori del giudice notificano agli esecutori la sentenza chegli ha recata. Affinché dunque non vi sia nulla d’inutile nell’ordine generale, neppure nei demoni, Iddio gli ha fatti concorrere alla sua gloria, dando loro la missione di punire il delitto, ovvero lasciando loro la libertà di tentare la virtù. » [I p., q. CIX, art. 4, ad 1]. E altrove: « Gli angeli cattivi assalgono l’uomo in due modi. Il primo, eccitandolo a peccare: in questo senso essi non sono mandati da Dio ma qualche volta, secondo i consigli della sua giustizia, Iddio gli lascia fare. Il secondo, castigandolo e provandolo: in questo senso sono essi mandati da Dio. [Id., q. LXIV, art. 4. Corp.]. Fa d’uopo notare, che a cagione del suo odio inveterato contro il Verbo, il demonio è naturalmente tentatore dell’uomo: quest’è il suo uffizio. Di più bisogna osservare Ch’egli tenta anche quando è mandato per punire. Infatti, altra è la sua intenzione nel punire, altra quella di Dio che lo manda. Egli punisce per odio e per gelosia; mentre Dio lo manda per vendicare i diritti della sua giustizia. [Viguier, p. 91]. Occorre infine notare che questa delegazione o permissione divina, nulla aggiunge alla naturale potenza dei demoni: essa non fa altro che aizzarla e determinarne L’uso. Per intromissione dei buoni Angeli, Iddio indica loro i luoghi e le persone alle quali debbono far sentire la loro terribile presenza; il genere ed il limite dei castighi e delle prove di cui sono i ministri. Chi oserebbe alzarsi contro questa condotta della Sapienza infinita? Dio non è egli libero di fare, per mezzo di chi vuole e come vuole, rendere al malvagio, secondo le sue opere, e guadagnare al giusto la corona che Egli gli riserba? Di questa duplice funzione di punire e di provare, data ai cattivi angeli, le prove abbondano nella Scrittura e nella storia della Chiesa. Eccone alcune.

Funzione di castigare. — È per mezzo del demonio che furono colpiti di morte i primogeniti degli Egizi, in punizione della caparbietà di questo popolo e del suo re di resistere agli ordini di Dio. Oh abisso della giustizia divina! I demoni avevano, con i loro prestigi, potentemente contribuito all’ostinazione dell’Egitto, e gli stessi demoni vengono incaricati di punirli! Fors’anche questi spiriti maligni avevano il presentimento di ciò che doveva avvenire. Tant’è vero, che in tutto ciò che essi fanno, non hanno che uno scopo, il male dell’uomo. [Viguier, p. 92]. – Nel primo libro dei Re si legge: « Uno spirito maligno venuto dalla parte del Signore tormentava Saul. Questo spirito, mandato da Dio, s’impadroniva di Saul, e Saul profetizzava. » [I Reg., XVI, 14; XVIII, 10]. Secondo i commentatori, lo spirito maligno di cui si trattava, era un demone mandato da Dio per punire Saul. « Il primo re d’Israele, dice Teodoreto, essendosi volontariamente sottratto all’impero dello Spirito Santo, fu dato in preda alla tirannia di un demone.3 » [In hunc loc. q. XXXVIII]. – San Gregorio aggiunge: « Lo stesso spirito è chiamato a un tempo spirito del Signore e spirito maligno: del Signore, per notare rinvestitura di una giusta potenza: maligno, a cagione del desiderio di una ingiusta tirannia. » [Moral, lib. II, c. VI]. Questo sacro testo ha ciò di prezioso che non prova soltanto la delegazione divina data al demonio, ma altresì che ne determina l’uso. Saul non perde né l’udito, né la parola, né la salute, come certi ossessi del Vangelo: altra è la punizione regolata dal Giudice Supremo. Usurpando le funzioni sacerdotali, questo principe aveva voluto diventare il veggente d’Israele, e soffre delle violenti agitazioni, vede dei fantasmi, cade nell’eccesso del furore; e in questo stato, il quale manifesta sempre la presenza dello spirito del disordine, egli proferisce degli oracoli incoerenti [Theodor., ubi supra]. – Apprendiamo dallo stesso libro, che uno spirito della menzogna è mandato dai Signore per ingannare Acabbo re d’Israele, in punizione della sua ipocrisia: [III Reg., c. ultim.]; per dirla in brevi parole; l’ultimo dei sacri libri annunziando ciò che deve accadere alla fine dei tempi, ci mostra quattro demoni incaricati di punire la terra, il mare e i loro abitanti; ricevendo però, secondo gli interpreti, la loro missione da Dio mediante il ministero degli Angeli buoni. [Apoc., VIII, et Corn. a Lap. in hunc loc.]. – Nei secoli intermedi tra l’Antico Testamento e la consumazione del mondo, la missione di punire delegata al demonio non è stata mai sospesa. Come prova tra mille, citiamo soltanto un fatto celebre nella storia. Noi diciamo celebre, poiché ha dato luogo a quattro concili. A tempo di Carlomagno facevasi una solenne traslazione delle reliquie dei santi martiri Pietro e Marcellino. Numerosi miracoli si operavano sul loro passaggio; ma ve ne fu uno che meravigliò più di tutti gli altri. Una giovine ossessa fu condotta a uno dei sacerdoti perché l’esorcizzasse. Il sacerdote le parlò latino: qual fu la meraviglia della moltitudine, allorché si udì la giovine rispondere nella stessa lingua! Il sacerdote rimasto stupito egli stesso le domandò: « Dove hai tu imparato il latino? di qual paese sei tu? chi è la tua famiglia? » Il demonio rispose per bocca della giovine: « Io sono uno dei satelliti di satana, e sono stato per lungo tempo portinaio dell’inferno. Ma da qualche anno in qua abbiamo ricevuto ordine io e undici miei compagni di devastare il regno dei Franchi. Siamo noi che abbiamo fatto mancare le raccolte di grano e di vino, e attaccate tutte le altre produzioni della terra che servono di nutrimento all’uomo. Siamo noi che abbiamo fatto morire i bestiami con diversi generi di epidemie, e gli stessi uomini con la peste e con altre malattie contagiose. In breve, siamo stati noi che abbiamo fatto cadere sopra di essi tutte le calamità e tutti i mali, di cui soffrono da parecchi anni. » – « Perché, gli domandò il sacerdote, vi è stata data una simile potestà? » Il demonio rispose: «A cagione della malizia di questo popolo e delle iniquità di ogni genere di quelli che lo governano. Essi amano i doni e non la giustizia; essi temono l’uomo più di Dio. Essi opprimono i poveri, rimangono sordi alle grida delle vedove e degli orfani e vendono la giustizia. Oltre a questi delitti particolari ai superiori, havvene una infinità d’altri che sono comuni a tutti; lo spergiuro, la ubriachezza, l’adulterio e l’omicidio. Ecco perché noi abbiamo ricevuto ordine di render loro secondo le loro opere. » — Esci, gli disse il sacerdote minacciandolo, esci da questa creatura. — « Io ne uscirò, rispose, non in forza dei tuoi ordini, ma in forza della potenza dei martiri che non mi permettono di rimanervi più a lungo. » A queste parole egli gettò con violenza la giovine per terra, e ve la tenne per qualche tempo come addormentata. Appena che egli si fu ritirato, l’ossessa uscendo come da un sonno letargo,- per la potestà del Nostro Signore, e per i meriti dei beati martiri, si alzò sana e salva alla presenza di tutti gli spettatori. Una volta che si fu partito il demonio, non le fu più possibile parlare in latino; il che mostrò chiaramente che non era lei medesima che parlasse quella lingua, ma il demonio che la parlava per bocca sua. [Labbe, Collect., concil., t. VII, col. 1668]. – La fama di questo avvenimento, compiuto alla presenza di una moltitudine di testimoni, si sparse da per tutto, né tardò molto a giungere alle orecchie dell’imperatore. Carlo Magno era un grand’uomo, ma non a modo dei pigmei dei nostri dì, i quali usurpano questo titolo. Carlo Magno era un grand’uomo, perché era un gran Cristiano. Come tale ei credeva, con la Chiesa e con tutto quanto il genere umano, ai demoni ed alla loro potenza sull’uomo e sulle creature. Alla vista del prodigio e dei flagelli che desolavano l’impero, non disse come i piccoli grand’uomini d’oggidì : « Levate i bruci, fognate, insolfate e basta. » Carlo Magno, fatto comporre un antidoto col veleno stesso del serpente, convoca i Vescovi. D’accordo con essi egli ordina in tutto l’impero tre giorni di digiuno e di pubbliche preghiere. Poiché non bastasse guarire il male, ma bisogna prevenirne il ritorno, il magno Imperatore fa radunare quattro concili in diversi punti delle Gallie, allo scopo di provvedere alla correzione degli abusi ed alla riforma dei costumi. Questi concili furono tenuti a Parigi, a Magonza, a Lione ed a Tolosa: sapienti regolamenti furono in essi stabiliti, e dopo questa fognatura cattolica i flagelli cessarono e ritornò l’abbondanza.1 [Labbe, Collect. concil., t. VII, col. 1668].

Funzione di prova. — Tutti conoscono la storia di Giobbe. Questa storia scritta sotto l’ispirazione di Dio medesimo, è la prova eternamente perentoria della potenza data al demonio per provare il giusto. Giobbe, grande fra tutti i principi dell’Oriente, padre di una bella e numerosa famiglia, pacifico possessore di immense ricchezze, patriarca della fede d’Abramo, eccita la gelosia di satana. Il re della Città del male domanda il permesso di sottoporlo alla tentazione. Iddio che conosceva l’anima del suo servo, ne accorda il permesso. Egli sapeva che questo puro oro gettato nel crogiuolo del dolore, ne uscirebbe più lucido; che il trionfo della debolezza umana aiutata dalla grazia diverrebbe la confusione di satana, l’ammirazione dei secoli ed il modello di tutte le vittime dell’avversità. Come la missione dipunire, così questa del provare è determinata dalla sapienza divina: il sacro testo ce ne fornisce ancora la prova. « Il Signore dice a satana: Tutto ciò che Giobbe possiede ti è dato; ma tu non distenderai la mano sopra la sua persona. » [Job. I, 12]. Noi vediamo difatti, in questo primo assalto, tutte le possessioni di Giobbe crudelmente colpite e cosi interamente distrutte, che il sant’uomo può pronunziare con verità la parola di sublime rassegnazione, che da quattro mila anni in qua è ripetuta da tutti gli echi del mondo: « Io sono uscito dal seno di mia madre e nudo vi rientrerò. Il Signore mi aveva dato, il Signore mi ha tolto: come è piaciuto al Signore così è stato fatto: che il nome del Signore sia benedetto. » [Id 21]. Giobbe è spogliato di tutto; ma gli resta la salute. Malgrado la potenza del suo odio, il demonio non ha potuto far cadere un capello dal capo della sua vittima. Furibondo nel vedere che la sua malizia non fa che dare alla virtù di Giobbe uno splendore che lo confonde, satana ritorna a fare nuove prove: chiede a Dio il permesso di colpire Giobbe nella sua carne. Appena ottenutolo, il patriarca vien ricoperto da capo a piedi di un’ulcera della peggiore specie. Con la stessa rassegnazione ch’egli ricevette la perdita dei suoi beni, cosi accoglie Giobbe la perdita della sua salute. A fine di inacerbirlo e di strappargli se non delle bestemmie, almeno un rammarico, satana si serve contro l’eroico patriarca dell’ultimo degli esseri cari, che gli rimane. La moglie di Giobbe, complice dello spirito malvagio, gli dice: « Maledici quegli che ti colpisce. » Giobbe risponde benedicendolo. [Job., II, 7-10]. Fatto ciò, la prova è finita: satana resta confuso, e il giusto trionfa. Divenuto l’ammirazione degli Angeli e degli uomini, Giobbe non ha da attendere altro che le divine benedizioni, come ricompensa della sua vittoria. Senza parlare della tentazione di Nostro Signore nel deserto, troviamo nel Nuovo Testamento una simile missione data al demonio riguardo a san Paolo. Udiamo il grande apostolo: « E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in altura mi è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana che mi schiaffeggi. Sopra di che tre volte pregai il Signore che da me fosse tolto. E dissemi: A te basta la mia grazia, perché nell’infermità la virtù si fa perfetta. » [II Cor., XII, 7, 8]. Notiamolo bene: san Paolo non dice: « Un angelo di satana mi schiaffeggia, ma dice: un angelo di satana mi è stato dato, datus est mihi, per schiaffeggiarmi. » Quest’angelo, aggiungono i commentatori, non è altro che un demonio, al quale Dio permise di tentare la castità del grande Apostolo, come aveva permesso allo stesso satana di tentare la pazienza di Giobbe. [Corn. a Lap. ibid.]. Ma perché san Paolo nomina schiaffi e non semplicemente tentazioni gli assalti che gli fa subire l’angelo di satana? Eccolo: in quanto ai Santi le tentazioni della carne producono l’effetto di uno schiaffo applicato sulla guancia. Esse non gli feriscono, ma fanno loro salire sul volto il rossore e sentire dei salutari dolori di umiliazione. Quanto più è grande la santità tanto più l’umiltà dev’essere profonda: quanto magnus es humilias in omnibus. Che cosa di più conforme ai savi consigli di Dio sopra i suoi eletti che Paolo, elevato al terzo cielo, fosse di continuo richiamato al sentimento della sua debolezza e del suo nulla per mezzo del demonio il più adatto ad umiliarlo! « Questo consigliere, dice san Girolamo, fu dato a Paolo per reprimere in lui l’orgoglio; a similitudine di quelli che trionfavano, ai quali in sul carro stava dietro uno schiavo incaricato di ripetergli di continuo: Ricordati che tu sei uomo. » Ep., xxv, ad Paulam, de obitu Blœsillœ].Paolo ha compreso la paterna intenzione del suo divino Maestro. Come atleta generoso, egli cinge le sue reni al combattimento, e assicurato che la prova tornerà a vergogna del suo nemico esclama: « Ebbene, volentieri mi glorierò negli oltraggi, nelle mie umiliazioni, nelle mie infermità: e quanto più la lotta sarà viva, tanto più grande sarà lo splendore della forza divina che combatte in me. » [II Cor., XII, 9]. Infatti l’Oriente e l’Occidente, Gerusalemme, Atene, Roma vedono passare l’instancabile atleta. Malgrado il suo importuno consigliere, procede di vittoria in vittoria sino al giorno in cui, il demonio per sempre confuso, Paolo intuona l’inno della liberazione e dell’eterno trionfo: « Ho combàttuto nel buon arringo, ho terminata la mia corsa, ho conservata la fede, del resto è serbata a me la corona della giustizia. » [II Tm., IV, 7]. – La Storia della Chiesa offre mille splendidi esempi della medesima delegazione o permissione divina data ai demoni. Per non ne citare che un solo, che vi ha egli di più famoso di quello delle tentazioni di sant’Antonio e dei Padri del deserto? Volete voi veder brillare di tutto il suo splendore una di queste belle armonie, che riscontrasi ad ogni istante nei consigli di Dio? fa d’uopo riferirsi alle circostanze di queste lotte formidabili. Eravamo a mezzo al terzo secolo. La guerra contro la Chiesa stava per diventare la mischia più spaventosa; diciamo meglio, la più orribile carneficina che il mondo avesse ancor visto. Da un capo all’altro dell’impero, risuonava il grido tremendo: I Cristiani al leone, Christianos ad leonem! e migliaia di giovanetti, vergini timide, deboli donne andavano a scendere negli anfiteatri ed a lottare corpo a corpo con le fiere e con i ministri di satana, più feroci delle bestie. A un dato momento Iddio fa partire per le sante montagne della Tebaide novelli Mosè. « Tutti quanti consacrati al servizio di Dio, dice Origene, e prosciolti dalle cure della vita, sono incaricati di combattere pei loro fratelli, mediante la preghiera, il digiuno, la castità, e mediante la pratica sublime di tutte le virtù. » [HomiL, XXIV in Num.]. Non sarà mai missione meglio adempiuta. Dal fondo della loro solitudine, Paolo, Antonio, Pacomio ed i loro numerosi discepoli alzarono verso il cielo le loro mani supplichevoli, e la voce della virtù, disarmando Diocleziano e Massimiano, otterrà la vittoria ai martiri, e Costantino alla Chiesa. satana vede ciò che si prepara e rugge. Iddio gli permette di scatenarsi contro gli intercessori, la cui potente preghiera va a scuotere i suoi altari e distruggere il suo impero. La lotta sarà una lotta a tutto sangue: all’oggetto di rendere più splendida la gloria del trionfo e la vergogna della sconfitta, essa avrà luogo nella stessa fortezza del demonio e contro i suoi più terribili satelliti. Qual’era questa fortezza ? Erano i deserti dell’alto Egitto, specie di galera, dove la giustizia di Dio teneva rilegati i più terribili di questi spiriti maligni. Questa non è solamente una vana supposizione, ma un fatto. Non leggiamo noi nella storia di Tobia che l’Arcangelo Raffaello, avendo preso il demonio che tormentava Sara, lo confinò nei deserti dell’alto Egitto dove l’incatenó?2 [Tob., VIII,[. Iddio, padrone sovrano di tutte le creature, non può Egli prescrivere ai demoni certi confini al loro potere, tanto in rapporto ai tempi ed ai luoghi quanto in rapporto alle persone ed alle cose? Il Nostro Signore nel Vangelo fa allusione alle stesse solitudini. Parlando di un demonio cacciato dall’anima, dice che se ne va in paesi aridi e senz’acqua, dove egli recluta sette altri demoni più maligni di lui. [Luc., XI, 24]. Quali sono questi paesi infamati? Gli interpreti più dotti rispondono senza esitare: « Sono gli orridi deserti situati nella parte orientale dell’Egitto, tante vaste solitudini ricoperte di ardenti sabbie, dove non piove mai, dove il Nilo cessa d’essere navigabile, dove lo spaventevole rumore delle cateratte riempie l’anima di spavento, e dove formicolano i serpenti e le bestie velenose.  » [Hier. in Ezech., c. xxx; Com. A Lap., in Tob. VIII, 3; Serarius, quoestiuncul., ad lib. Tob.; Scriptur. Sacr., cursus complet, t. XII, 647, etc.]. È là, in quei luoghi orridi, di cui Satana faceva come la sua cittadella, che la divina Sapienza condusse i Paoli, gli Antoni, i Pacomi, i Pafnuzi ed i loro valorosi compagni. É su quel campo di battaglia che avranno da sostenere contro i demoni frequenti e giganteschi combattimenti. La storia gli ha descritti, e la vera filosofia ne dà la ragione. Queste lotte accanite di lucifero contro gli eroi della Tebaide, simili a quelle che intraprese contro Giobbe e contro il grande Apostolo, tornarono a sua vergogna ed a gloria dei Santi. Ascoltiamo lo storico illustre e l’amico di sant’Antonio: «Guardatelo, esclama sant’Atanasio, quel fiero dragone sospeso all’amo della croce; trascinato da un capestro come una bestia da soma: con un monile al collo e le labbra forate da un anello come uno schiavo fuggitivo! Lo vedete, così orgoglioso, sotto ai nudi piedi di Antodio come un passero che non ardisce fare un movimento né sostenere il suo sguardo! 3 » [Vit. S. Ant.]. – La potenza di provare, che i demoni manifestano qualche volta con assalti straordinari, come quelli che si leggono, è abituale presso di loro. Notte e giorno dalla caduta originale in poi, e su tutti i punti del mondo, essi resercitano rispetto a ciascun figliuolo di Adamo. [S. Th., I p. q. CXIV, art. 1, ad 1]. Ne risulta che il Re della Città del male a cui obbediscono, è la cagione indiretta di tutti i delitti; imperocché è desso che spingendo il primo uomo al peccato, ci ha resi eredi dell’inclinazione a tutte le iniquità. [S. Th. I p. q. CXIX, art. 3, c.]. Aggiungasi che il peccato al quale ci porta con maggior furore e che gli cagiona la più grande gioia, a motivo della sua aderenza, è il peccato dell’impurità. Pur nonostante, la Sapienza di Dio determina l’esercizio di questa terribile potenza, e la sua bontà ne circoscrive i limiti. Essi sono tali ai quali possiamo resister sempre. « Iddio è fedele, dice san Paolo; egli non permetterà mai che siate tentati al di là delle vostre forze; egli vi farà pure trar profitto dalla tentazione, a fine di assicurare la vostra perseveranza. 4 [I Cor. X, 13].  Per rendere più palpabile la consolante verità insegnata dall’Apostolo, sant’Efrem adopera parecchi paragoni: « Se i mulattieri, dice egli, hanno abbastanza buon senso ed equità di non caricare le loro bestie da soma di pesi che non possono portare; con più ragione Iddio non permetterà che l’uomo sia in balia a tentazioni superiori alle sue forze. » E altresi: « Se il vasellaio conosce il grado di cottura che occorre ai suoi vasi in modo che non gli lasci nel forno se non il tempo necessario per dare ad ognuno quella solidità e bellezza che gli si conviene; a maggior ragione Iddio non ci lascerà nel fuoco della tentazione che quel tempo necessario per purificarci ed abbellirci. Ottenuto che sia l’effetto, cessa la tentazione. [Tractatus de patientia]. Disgraziatamente non tutti fanno uso della grazia di resistenza che è loro data. Essendo deboli, sono presuntuosi, e perciò essi soccombono ai colpi del nemico; e ad una sconfitta tosto ne precede una seconda. satana gli inebria del suo veleno, paralizza le sue forze, e sconvolge talmente il loro senso morale, che vengono ad amare le loro catene. Invece di spaventarli, il tiranno che s’impossessa di loro, non è altro che un essere immaginario, o un possente agente la cui intimità può in molti incontri procurare seri vantaggi. Per questo l’uomo aumenta a suo riguardo l’impero dei demoni, e questa potenza data volontariamente, è la più temibile, di tutte. Per rispetto alla libertà dell’uomo Iddio permette che succeda cosi, salvo a chieder conto all’uomo dell’uso della sua libertà. Di qui nascono le pratiche occulte mediante le quali l’uomo si pone in relazione diretta e immediata con gli spiriti delle tenebre. Noi nomineremo fra le altre i patti espliciti o impliciti, il potere di gettare dei malefìci e fare apparire il demonio, ottenerne i responsi e dei prestigi, o i mezzi di soddisfare le passioni. Come abbiamo visto, tutte queste cose sono antiche quanto il mondo e cosi volgari presso i popoli infedeli, quanto il culto medesimo degl’idoli. Sebbene siano meno generali tra i Cristiani, pure esse esistono sotto forme sempre antiche e sempre nuove. Per negarle bisognerebbe stracciare la storia. [Vedi la descrizione particolare della maggior parte delle pratiche demoniache nella costit. di Sisto V. Cœli et terrœ creator, etc., 1586 ; Ferraris, art. Superstitio.]. – Di qui ancora le leggi, giustamente severe, portate contro quelli che si danno a simili pratiche. Noi leggiamo nel Levitico: « Che l’uomo o la donna in cui sarà uno spirito pitonico o di divinazione, sia posto a morte senza misericordia » [XX, 27]. E nel Deuteronomio : « Che nessuno si trovi in Israello che purifichi il suo figliuolo o la sua figliuola facendogli passare per il fuoco, ovvero chi «consulti gli indovini e che dia retta ai sogni ed agli auguri, che non vi sia né fattucchiere né incantatore, nè consultore di serpenti e di maghi, né alcuno che domandi la verità ai morti. » [XVIII, 10, 11, 12].Le antiche legislazioni cristiane non sono meno rigorose. La degradazione, l’infamia, la prigione temporaria o perpetua, le pene corporali, la morte e la scomunica maggiore sono i castighi che esse infliggono agli addetti del demonio. [Vedi Ferraris ubi sopra.]. Agli occhi di ogni uomo imparziale, l’enormità del delitto in sé medesimo e nelle sue conseguenze tanto religiose che sociali, come l’esempio del medesimo Iddio, giustificano altamente i nostri avi. Che la nostra epoca neghi le pratiche demoniache e abolisca le pene che le proibiscono, ciò prova semplicemente la sua stupidità e l’influenza troppo reale che il demonio ha ripreso nel mondo. Ancor qui, se noi riepiloghiamo le operazioni dei principi della Città del male, vediamo che i loro artifizi infiniti, come i loro implacabili furori, tendono allo stesso scopo, cioè alla distruzione del Verbo incarnato, in sé medesimo e nell’uomo, fratello suo. Verità spaventosa e preziosa nel tempo stesso: spaventosa, perché ci rivela la natura e l’enormità incomprensibile dell’odio satanico; preziosa, perché ci colpisce di un timore salutare, e, riconducendo il male all’unità, ci mostra il vero punto del combattimento, e ci dà l’idea più alta di noi stessi.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XVI)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XV.

(altra continuazione del precedente.)

Nuovo tratto di parallelismo tra la Città del bene e la Città del male — Come i buoni Angeli, cosi sono deputati dei demoni ad ogni nazione, ad ogni città, a ciascun uomo, a ciascuna creatura — Passi notevoli di Platone, di Plutarco, di Pausania, di Lampridio, di Macrobio, e altri storici profani — Evocazioni generalmente note e praticate — Evocazioni dei generali romani: Formule — Nome misterioso di Roma — Natura ed estensione dell’azione dei demoni — — Prove: la Scrittura, la teologia, l’insegnamento della Chiesa — Parole di Tertulliano — Il Rituale e il Pontificale — Ragione — Essi possono mettersi in rapporto diretto con l’uomo — I patti, le evocazioni — Il legno che si anima e che parla — Testimonianza importante di Tertulliano — Consacrazione attuale dei bambini cinesi ai demoni.

Bossuet dice: « Che dalle Sacre Scritture apparisce che satana e gli angeli salgono e scendono. Essi salgono, dice san Bernardo, [In Ps. Qui habitat., Ser. XII, n. 2] per l’orgoglio, e discendono contro di noi per gelosia: Ascendit studio vanitatis, descendit livore malignitatis. Essi hanno intrapreso a salire quando hanno seguitato colui che ha detto: Ascendam, cioè io mi innalzerò e mi renderò simile all’Altissimo. Ma la loro audacia essendo respinta, sono discesi pieni di rabbia e di disperazione, come dice san Giovanni nell’Apocalisse: O terra, o mare! guai a voi, perchè il diavolo scende a voi pieno di gran collera; Væ terræ et mari, quia descendtt diabolus ad vos, hàbens ìram magnam. » [Apoc,, XII, 12. — Bossuet, Ser, sopra i SS, Angeli]. Infatti con un nuovo tratto di parallelismo e che non è il meno temibile, l’azione generale dei demoni s’individua come quella dei buoni Angeli. Nella sua infinita bontà Iddio ha dato a ciascun regno, ad ogni città, ad ogni uomo un Angelo tutelare, incaricato di vegliare su di essi e di dirigerli verso il loro ultimo fine, che è l’amore eterno del Verbo incarnato. Parimente, nella sua implacabile malizia, satana deputa ad ogni nazione, ad ogni città, ad ogni uomo, fino dal momento che cominciano ad esistere, un demonio particolare, incaricato di pervertirli e di associarli al suo odio verso il Verbo incarnato, [Corn, a Lap,, in Dan,, x, 18]. – Questa delegazione satanica, fondata sul parallelismo rigoroso delle due Città, è un fatto di storia universale. I pagani ne avevano piena cognizione: essi sapevano che a ciascun regno, a ciascuna città come ad ogni individuo, presiedevano delle particolari divinità. « Parimente dicevano, che all’istante della nascita, differenti spiriti si pongono in contatto con i bambini; cosi nell’istesso giorno ed ora in cui s’innalzano le mura di una città, giunge un destino o un genio, il cui governo assicurerà la potenza della città. » [Prudent. Adv. Symmach., lib. II]. Essi conoscevano pel loro nome le divinità tutelari di un gran numero di città. Il protettore di Dodona era Giove; di Tebe, Bacco; Giunone di Cartagine e di Samo, Plutone di Micene; d’Atene Minerva; di Delfo, centro del mondo, Apollo; Fauno delle foreste dell’Arcadia; il Sole di Rodi; di Gnido e di Paphos Venere; così di molte altre. [Eplgram. ad custod. hortor. apud Ansaldi, De Romana tutelarium deorum evocatione, In-8, Oxford, 1765].Sapevano che gli Dei prendevano parte pei loro protetti, gli assistevano con i loro oracoli, e gli animavano del loro spirito. Tutti i poeti, tutti gli storici, tutti i riti religiosi depongono questa credenza. Le vittorie le attribuivano al favore dei loro Dii; le sconfitte al loro corruccio, tanto erano convinti che il mondo inferiore è diretto dal mondo superiore.  [Ovid. Trist. Lib. I, eleg. 2]. Sapevano che gli dei protettori erano presenti nei templi, o nelle statue regolarmente consacrate; ma che l’evocazione gli costringeva ad uscire fuori. « Sappiamo benissimo, dicevano, che il bronzo, l’oro, l’argento ed altre materie delle quali facciamo statue, non sono per se stessi dei, né gli riguardiamo come tali; ma nelle statue noi  onoriamo quelli che la consacrazióne attira in esse, e fa abitare in tanti simulacri fabbricati da mano umana. » [Amob. adv. Gentes. VI] In questa potente consacrazione, come non vedere la parodia dei nostri sacri riti, pei quali viene conferita ad oggetti benedetti una virtù soprannaturale? Se la consacrazione attraeva gli dei nelle statue, l’evocazione o la sconsacrazione gli faceva sopire. [Arnaldi, ibid. p. 21]. I Romani in particolare avevano una tal fede nella potenza della evocazione, che non esitavano ad attribuirle l’universalità del loro impero. [Vedi Minuzio Felice, Octav.; e Ansaldi, p. 49]. Di qui le usanze di cui adesso parleremo. – Presso i diversi popoli dell’Oriente e dell’Occidente si legavano le statue degli dei, affinché l’evocazione non potesse trarli fuori dal loro santuario, e fare abbandonar loro il regno o la città posti sotto la loro protezione. « Le statue di Dedalo, dice Platone, sono legate. Quando esse non lo sono, si scuotono e si salvano, e se lo sono, il Dio resta al suo posto. » [In Menone, apud Philipp. Carnerar., Medit. Mst., par. II, c. X, p. 37]. Pausania riferisce che eravi a Sparta una vecchissima statua di Marte attaccata per i piedi. « Col tenerla attaccata, dice il grave storico, gli Spartani avevano voluto avere questo dio per difensore perpetuo delle loro persone e della loro repubblica, e pigliandolo all’impegno, impedirgli di non mai disertar la loro causa.  » [In Menone, apud Philipp. Carnerar., Medit. Mst., par. II, c. X, p. 37.]. –  E Plutarco: « I Tirij si dettero premura di onorare i loro dii…, quando Alessandro venne ad assediare la loro città. Difatti, un gran numero di abitanti credettero udire in sogno che Apollo dicesse: Ciò che si fa nella città mi dispiace, e voglio andare da Alessandro. Per il che, contenendosi a suo riguardo come verso un disertore che vuol passare dalla parte nemica, essi legarono la statua colossale del nume, la inchiodarono nella base, chiamandolo l’Alessandrista. » [In Alexand.]. Omero afferma che i tripodi di Delfo camminavano da sé, [Iliade  XVIII]. Questi fatti e molti altri dello stesso genere provano, che i pagani credevano alla potenza della evocazione. Né s’ingannavano: anzi la praticavano sovente: i loro autori ed i nostri ne fanno fede. [Plin., Hist. lib. 28, c. 9; Festus, In peregrin; Virgil. Aeneid. lib. 2; Macrob., Salum ai. Ili, 9; Horaz., Carmin. lib. 2, ode 1.; Ovid., Fast. 6; Patron. Satyricon, Stace, Thehaid. lib. II, v. 8, 10; Glaudian., De Probo et Olibr. coss.; Tertull. Apolog. x; Prudent, lib. 2 adv. Symmachi; S. Ambr., epist. ad Valent adv. Symmach.; etc.]. Questa credenza universale spiega la condotta di Balac, che chiama Balaam per maledire Israello. La Potenza della evocazione ed il muoversi delle statue o degli dei, si manifestavano specialmente, quando il popolo, la città o il tempio erano minacciati da qualche grande infortunio. Parlando di certe pubbliche calamità, Stazio dice: « Voci terribili si fecero sentire nei santuari e le porte degli dei si chiusero da sé stesse. »  [Terrificaeque adytis voces, claus aeque deorum. Sponte fores. Thebaid. lib. 7]. – E Xifìlino: « Si trovo nel Campidoglio grandi e numerose vestigia degli dei che se ne andavano; ed i custodi annunziarono che durante la notte il tempio di Giove erasi aperto da sé con un gran fracasso. » [In Vitellium]. E Lampridio: « Si videro nel Foro le pedate degli dei che se ne andavano. »  [Vestigia deorum in Foro visa sunt exeuntium. In Commod. ]. E lo storico Giuseppe: « Qualche tempo innanzi la rovina di Gerusalemme, si senti nel tempio una voce che diceva: Usciamo di qui, migremus hinc. » Nell’antichità pagana lo stesso fenomeno ebbe luogo migliaia di volte. [Quod millies factum esse tradidere scriptores. Yid. Bulenger, De prodigiis veter. c. 48]. – Giusta la testimonianza di Lucano, ciò successe in una delle circostanze più memorabili della Storia Romana. Innanzi la battaglia di Farsalia, Pompeo conobbe che gli dei e i destini di Roma, evocati da Cesare, l’avevano abbandonato. [Transisse deos, Romanaque fata Senserat infelix. Parsal. VII]. Era parimente conosciuto che gli dei restavano immobili e revocazione inefficace, se non si pronunziava il nome proprio, il nome misterioso della città, o del luogo di dove si voleva fare uscire. [Carrier., ibid. C. x, p. 37. — Così nella Città del male le città avevano un nome volgare noto a tutti, e un nome misterioso dato senza dubbio dal demonio e la cui conoscenza era confidata, sotto gravi pene, a un piccolissimo numero di iniziati]. Questa tradizione, comune all’Oriente e all’Occidente, si riassume in un duplice fatto che illumina tutta una parte della Storia Romana. Macrobio riporta quei versi di Virgilio: « Gli Dei tutelari di quest’impero, uscirono tutti dai loro santuari e dai loro abbandonati altari. » Aggiunge poi: « Questa parola è uscita tutta intera dal fondo della più alta antichità romana, e dal segreto dei più reconditi misteri. Infatti, è cosa costante, che tutte le città sono sotto la custodia di qualche dio; e l’usanza dei Romani, usanza segreta e ignota al volgo, è, allorché assediano una città della quale hanno speranza d’impadronirsi, di evocarne, per mezzo di un incantesimo, carmen, gli dei tutelari. Senza di che, o essi non crederebbero poter prendere la città, e riguarderebbero come un delitto farne gli Dei prigionieri. Ecco perché i Romani stessi hanno voluto che la divinità protettrice di Roma, e il nome misterioso della loro città, fossero completamente sconosciuti, anche dai più dotti. L’evocazione ch’essi avevano fatta spesso contro i loro nemici, non volevano che una indiscretezza permettesse a nessuno al mondo di farla contro di essi. » [Saturn. Lib. III, c. IX]. – Il nome misterioso, il nome magico di Roma, non era Roma. Qual era? Nessuno oggi lo sa. Anche presso i Romani, questo nome era appena noto a qualche iniziato, al quale era proibito, sotto pena di morte, di rivelarlo. Varrone, Plinio, Solino c’insegnano che a tempo di Pompeo, un tribuno del popolo eruditissimo, Valerio Sorano, avendolo un dì pronunziato, fu immediatamente posto in croce.[Plin., Hist. Lib. III., C. 9, n. III. — Vedi altri particolari negli’ Annali di fil. crist. Febbraio 1865, p. 126 e seg. Intorno all’autorità di Pomponio Fiacco che viveva nel 3° e 4° secolo, Pierio e Camerario hanno preteso che il nome misterioso di Roma fosse Valentia. Ma questo non è punto provato. Camer., par. II, c. IX]. « Quanto alla formula di evocazione, continua Macrobio, eccola quale io l’ho trovata nel libro quinto delle Cose nascoste, di Sammonico Sereno. Lui stesso dichiara averla attinta in un antichissimo libro di un tal Furio. – Allorché l’assedio è formato, il generale romano pronunzia questo incantesimo evocatore degli dei: « Dio o dea, chiunque tu sia, protettore di questo popolo o di questa città; te soprattutto a cui la custodia di questo popolo e di questa città è stata specialmente affidata, ti prego, ti onoro, ti scongiuro di andartene via da questo popolo o da questa città; di abbandonare le loro terre, i loro templi, i loro sacrifici, le loro abitazioni, e di allontanartene; di dimenticare questo popolo e questa città e di diffondere in essi il timore e lo spavento; dopo essere usciti, di venire a Roma, presso di me e presso i miei e di dare le tue preferenze ed i tuoi favori al nostro paese, ai nostri templi, ai nostri sacrifici, alla nostra città; di essere d’ora in poi protettori miei, del popolo romano e dei miei soldati, in modo da averne certa la prova. Se tu fai così, io ti prometto con voto dei templi e dei giuochi. » – « Pronunziando queste parole si offrivano delle vittime e s’interrogavano le viscere circa l’esito della evocazione. » [Macrob. Saturn., lib III, c. IX]. – Macrobio dice che per mezzo di un canto, carmen da cui è venuto la nostra parola incantesimo, si invocavano gli dei, cioè i demoni. Questo carmen che variava probabilmente secondo i luoghi e le circostanze, era volgare tra i pagani. Cesare non saliva mai in cocchio senza pronunziare il suo carmen. In tutti i misteri, in tutte le feste, dove si mettevano più direttamente in relazione con gli spiriti, aveva luogo il carmen. – Anche oggi, gli incantatori di serpenti, nelle Indie, i Derwischi Giratori a Costantinopoli, gli Aissaoua dell’Africa che abbiamo visti a Parigi nel 1867, cominciano sempre con un canto, specie di melodia, che invoca lo spirito, il quale s’impadronisce di essi, e fa operar loro i più meravigliosi prestigi. – Ora tutto questo è una nuova parodia satanica delle usanze della vera religione. Per citarne un solo esempio; noi leggiamo che i re d’Israele, di Giuda e di Edom, consultando il profeta Eliseo, questi rispose: « Conducetemi l’incantatore o il musico. E appena che questo musico si messe a cantare, lo spirito o la potenza del Signore discese sopra Eliseo che profetò. » [IV Re, III, 15]. – Dopo la formula di evocazione veniva la formula del sacrificio. Essa aveva per fine di consegnare agli dei nemici la città o l’esercito, privata, con la evocazione, dei suoi dei tutelari. Più solenne della prima, era essa riserbata esclusivamente ai dittatori ed ai comandanti in capo dei grandi corpi d’esercito. Eccola: « O Dio Padre, ovvero Giove, ovvero Manete, o voi che con qualunque altro nome, sia permesso di chiamarvi, tutti riempite questa città (il nome della città) e il suo esercito, intendo dire, del desiderio di fuggire di spavento e di terrore; conducete via con voi le legioni che mi sono contrarie, l’armata, questi nemici e questi uomini, e le loro città ed i loro campi, e quelli che abitano questi luoghi, questi paesi, queste campagne o queste città; private del lume superno e l’esercito dei nemici, le città e le campagne, di quelli che io intendo dire; affinché queste città e campagne, le teste e l’età vi siano sacrificate e consacrate, secondo le più terribili formule con cui i nemici sono mai stati consacrati; e che io, in mia vece, per me, in virtù del mio giuramento e dell’autorità mia, per il popolo romano, i nostri eserciti e le nostre legioni, io do e consacro; affinché io, il mio giuramento ed il mio comando, le nostre legioni ed il nostro esercito, impegnati in questa spedizione, siano pienamente tutelati. Se voi fate cosi, in modo che io lo sappia, lo intenda e lo comprenda, allora, chiunque sia colui che abbia fatto questo voto, il luogo ove egli l’abbia fatto, che sia tenuto per ben fatto. Io ve lo domando per il sacrificio di tre pecore nere, a voi, o madre degli Dei e a voi Giove.1 » [Macrob. Saturnal. III, c. IX]. – « Nei tempi antichi, aggiunge Macrobio, ecco le citta che io trovo consacrate in questo modo: Tonies, Frégelles, Grabio, Veio. Fidene in Italia; all’estero, oltre Cartagine e Corinto, una moltitudine di eserciti, e di citta nemiche nelle Gallie, nelle Spagne, nell’Africa, presso i Mori e presso le altre nazioni. » – Così la prima operazione di un generale romano, quale si fosse il suo nome, Paolo, Emilio, Cesare o Pompeo, ponendo l’assedio dinanzi una città, o sul momento di dare battaglia, era d’invocare per sé gli dei protettori dell’esercito o della città nemica. [« Verno Fiacco, dice Plinio, cita quegli autori ch’egli ha per garanti, perché nell’assedio delle città si dovevano innanzi tutto fare evocare dai sacerdoti romani quel Dio sotto la protezione del quale era posta quella città, e promettergli che a Roma avrebbe lo stesso culto e anche più solenne; e questa sacra cerimonia esiste tuttora nelle prescrizioni dei Pontefici, ed è certo che si e nascosto il nome del Dio sotto la protezione del quale Roma è posta, affinché i nemici non potessero fare altrettanto. Imperocché non avvi alcuno che non tema di essere vittima di quelle terribili imprecazioni. – Hist, nat, lib. XXVIII, c. 4, n. 4]. Che cosa diranno tanti baccellieri apprendendo questo fatto che dieci anni di studi pagani lascian loro ignorare? Forse sorrideranno. Ma il ridere di un fatto non è distruggerlo. Ora la credenza alla delegazione speciale dei demoni è un fatto che ha per testimoni da mille anni in qua i Cammilli, i Fabii, gli Scipioni, i Paolo Emilii, i Marcelli, i Cesari. – Qui il riso non ha luogo affatto, perché non si tratta, né di Padri della Chiesa, né dei Santi, né degli uomini del medio evo, per la fede semplice ed ingenua; è questione di uomini, che i letterati considerano come tanti esseri quasi sovrumani, per il carattere serio, per la solidità della ragione, per la maturità dei consigli e per la superiorità dei talenti militari. – Aggiungiamo che l’uso di questa evocazione decisiva non veniva da loro. Gli oracoli più misteriosi l’avevano rivelato ; tutta l’antichità l’aveva praticato con una costante fedeltà. D’altronde, riflettendovi, si vede che questa evocazione rientrava a meraviglia nel destino di Roma pagana. satana voleva Roma per capitale. Ora chi vuole il fine vuole i mezzi. È dunque naturalissimo ch’egli abbia insegnato ai Romani il modo di disarmare i loro nemici, cioè di privarli del soccorso dei demoni, che egli medesimo aveva loro delegati. Tutti i demoni subalterni non dovevano cedere dinanzi agli ordini del loro re, e cedendo, contribuire alla formazione del suo impero? Perciò tutti manifestavano un gran desiderio di venire a Roma. [Ansaldi, p. 26 a 28]. – Che i Romani abbiano riconosciuta l’efficacia di queste terribili formule di evocazione e di sacrificio, tutta la loro storia lo dimostra. Senza di ciò, tutti i grandi uomini gli avrebbero così costantemente e così misteriosamente adoprati? Avrebbero eglino invariabilmente attribuito le loro vittorie alla superiorità degli dei di Roma? Avrebbero eglino, sotto pena di morte, proibito di rivelare il nome della divinità protettrice della loro città? Per una unica eccezione nella storia, avrebbero essi religiosamente recato a Roma, alloggiato in templi sontuosi, onorato con sacrifici e coi giochi del circo o dell’anfiteatro, gli dei delle nazioni vinte? Che cosa facevano i generali vittoriosi con tutte queste dimostrazioni, altrimenti inesplicabili? Essi compivano i loro voti, ringraziavano della loro compiacenza gli dei delle nazioni vinte, pagavano il debito del popolo romano. Questi non l’ignorava. Il fatto era cosi noto che il poeta il più popolare dell’impero [Virgilio] interpretava la fede comune, ringraziava pubblicamente Giove Capitolino, la cui potenza sovrana aveva evocato gli dèi dei nemici e dato la vittoria al suo popolo.2 [Macrob. Saturnal. III, c. IX]. – Passiamo adesso ai demoni deputati sulle città e sui regni. La delegazione di qualcuno di questi esseri malefìci ad ogni uomo in particolare, non è né meno certa né meno conosciuta dai pagani: « I demoni, dice Giamblico, hanno un capo che presiede alla generazione. A ciascun uomo egli invia il suo particolare demonio. Appena investito della sua missione, costui scopre al suo cliente e il culto che domanda e il suo nome, e il modo di invocarlo. Tale è l’ordine che regna fra i demoni. » [De myst, Aegypt p. 171]. Così il demone familiare di Pitagora, di Numa, di Socrate, di Virgilio e di tanti altri, di cui parla l’istoria, non è una eccezione. È un fatto che non ha di eccezionale che lo splendore più vistoso da cui è circondato. Da se medesimo egli rivela l’esistenza di un sistema generale, noto al paganesimo, come sui fianchi del Vesuvio, l’ardente cenere annunzia con certezza la nascosta vicinanza del vulcano. – L’insegnamento di Giamblico è confermato da una curiosa testimonianza di Tertulliano: « Tutti i beni portati nel nascere, dice questo Padre, il demonio stesso che gli inviò in origine, gli oscura adesso, e gli corrompe, sia allo scopo di nasconderci la causa, o di impedirci di farne uso conveniente. Difatti quale è quell’uomo a cui non sia congiunto un demone, uccellatore delle anime, appostato sullo stesso limitare della vita, o invocato da tutte le superstizioni che accompagnano il parto? Tutti hanno l’idolatria per levatrice: Omnes idolatria obstetrice nascuntur. – « È dessa che avvolge il ventre delle madri di fasce formate dagli idoli, e che consacra i loro bambini ai demoni. È lei che durante il parto fa offrire i piagnistei a Lucina e a Diana. È lei che durante tutta la settimana fa bruciare incenso sull’altare del Genio del bambino: Giunone per le bambine. Genio per i fanciulli. È lei che l’ultimo giorno fa scrivere i destini del bambino, e sotto quale costellazione è nato, a fine di conoscere il suo avvenire. È lei, che sin dalla deposizione del bambino sulla terra, fa un sacrificio alla dea Statina. «Qual è poi quel padre o quella madre che non voti agli dei un capello, o tutta la giovine chioma del suo figliuolo, che non faccia un sacrificio per soddisfare la sua particolar devozione, o quella della sua famiglia, o quella della sua stirpe, o quella del paese a cui appartiene? – Cosi un demonio s’impadronì di Socrate ancor fanciullo, e dei Genii, che è il nome dei demoni, sono deputati a tutti gli uomini: Sic et omnibus genti deputantur, quod dæmonum nomen est. » – [De anima, c. XXXIX. – La consacrazione del bambino al demonio è tuttora una legge delle religioni pagane. Per consacrare i loro infanti al Nostro Signore ed alla S. Vergine, le madri cristiane pongono loro al collo delle medaglie, votano di vestirle di bianco o di bleu. Udite invece quel che fanno le madri pagane: Una monaca francese scrive da Pinang, 10 febbraio 1868: « Noi leggiamo il Trattato dello Spirito Santo. Quest’opera c’interessa in modo particolare. Noi viviamo in paesi che appartengono al Re della città del male. Siamo circondate da pagani; vediamo con i nostri occhi le superstizioni del paganesimo. Quelli che rifiutassero di credervi vengano qui: vedranno ben tosto la verità di quel che si dice in questo libro, della schiavitù, dei disgraziati cittadini della città del male. « Abbiamo sovente la visita di donne cinesi che ci conducono le loro famigliole. L’altro giorno una di esse ci faceva vedere un bel bambino di sei mesi. Aveva in capo un berrettino a guisa di mitra, tutto ricoperto di fregi di oro puro, rappresentanti le più orribili figure d’animali; scorpioni, serpenti, draghi. Quella del diavolo era nel mezzo in diamanti. Il bambino aveva al collo altre figure appese con grosse catene parimente in oro. Il berretto solo costava più di 600 piastre, presso a poco 8000 franchi, così lo giudicavano dal peso. « Domandammo a questa donna di chi erano quelle figure. Essa ci rispose molto semplicemente che erano dei loro dii, e che quella del Padrone era nel mezzo. Del resto noi non vediamo mai di queste piccole creature infelici, ancorché così piccole, che non portino l’effigie del Re della Città del male. »]. L’angelo custode (li ciascun uomo, di ciascun regno, provincia o comune, non è inviato a caso dal Re della Città del bene; esso è scelto in vista dei particolari bisogni dell’individuo o dell’essere collettivo affidato alla sua sollecitudine. Cosi è che in uno Stato bene ordinato, non s’innalza ai pubblici impieghi gli uomini incapaci di adempierne i doveri. Si danno a quelli che mostrano le capacità necessarie nell’esito della loro missione. Con una maestria infernale, qui ancora satana contraffà la Sapienza eterna. Senza dubbio ei non possiede, come Dio, il potere di leggere nel fondo dei cuori; ma egli ha mille modi di conoscere, mediante i segni esterni, le disposizioni buone o cattive di ciascun uomo, il forte e il debole di ciascun popolo; e deputa all’uno ed all’altro il demone che gli bisogna per perderli. Ve ne ha di tutti i caratteri e di tutte le attitudini, in modo da fomentare ogni passione, e soprattutto la passione dominante. La Scrittura è spaventosa, allorché ne dà la nomenclatura. Essa nomina fra gli altri gli spiriti di divinazione o pytonici, Spiritus divinationis, seduttori del mondo, rivelatori di segreti e narratori di oracoli. Gli Spiriti di gelosia, Spiritus zelotypiæ, che gettano nelle anime i sentimenti di Caino contro Abele, o dei Giudei contro il Nostro Signore, i quali ispirano tutte le perfidie. Gli spiriti di menzogna, Spiritus mendacii maestri di ipocrisia, negatori audaci della verità conosciuta, oggi più numerosi e più potenti che mai. Gli Spiriti delle tempeste, Spiritus procellarum, a cui il mondo va debitore degli uragani, delle trombe, delle gragnuole, dei naufragi e delle fisiche rivoluzioni, così frequenti soprattutto nella storia moderna. Gli Spiriti di vendetta, Spiritus ad vindictam, i quali sostituendo la legge di odio alla legge di carità, accendono le guerre, provocano le risse e conducono all’assassinio sotto tutte le forme. Gli Spiriti di fornicazione, Spiritus fornicationis, i quali fanno dell’innocenza il loro cibo favorito. Gli Spiriti immondi, Spiritus immundus, il cui studio consiste nel cancellare nell’uomo perfino le ultime vestigia dell’immagine del Verbo incarnato, facendolo discendere al di sotto della bestia. Spiriti di infermità, Spiritus infirmitatis, che affliggono l’uomo nel suo corpo, mentre i loro confratelli uccidono la sua anima o la martoriano con piaghe.Tutta la tradizione, fondata nel Sacro Testo, è unanime nel proclamare l’esistenza di questa guerra individuale e incessante degli Spiriti di tenebre, contro ciascun uomo e contro ciascuna creatura. Uno dei testimoni più competenti, sant’Antonio, diceva: « Come in un esercito, tutti i soldati non combattono allo stesso modo né con le stesse armi; così fra i demoni, gli uffici sono divisi. La milizia prende tutte le forme: quante sono virtù, tante sono le specie di assalti.1 » [Diversa et partita dæmonum nequitia est…. atque omnes prò virium facilitate diversa contra singulas causas seu virtutes sumpsere certamina. S. Athan., in Vit S. Anton.]. – Sereno aggiunge: « Noi sappiamo che tutti i demoni non ispirano agli uomini le stesse passioni: ma ciascun demonio è incaricato d’ispirarne una in particolare. Taluni si compiacciono nelle immodestie, altri nelle bestemmie. Questi sono inclinati all’ira ed al furore e nelle turpitudini della voluttà: altri amano la cupa tristezza. Vi sono quelli che preferiscono l’allegria e l’orgoglio. Ognuno travaglia a gettare il suo vizio favorito nel cuore dell’uomo. « Che vi siano negli spiriti immondi tante passioni quante ve ne sono negli uomini, è indubitato. La Scrittura non nomina ella i demoni che accendono le fiamme del libertinaggio e della lussuria quando dice: Lo Spirito di fornicazione gli sedusse ed essi fornicarono lontano da Dio? Non parla essa egualmente di demoni diurni e di demoni notturni? Non segnala ella tra di essi una varietà che sarebbe troppo lungo far conoscere in tutti i suoi particolari? Ricordiamo solamente questa: I Profeti nominano uccelli notturni, struzzi, ricci, centauri, streghe. Nei Salmi si designano altri sotto il nome di aspidi e basilischi. Il Vangelo ne nomina altri, come leoni, draghi, scorpioni, principi dell’aria. Credere che questi nomi diversi siano dati a caso e senza motivo sarebbe un errore. Con queste qualità di bestie più o meno terribili, lo Spirito Santo ha voluto indicarci, nella loro varietà infinita, la ferocia e la rabbia dei demoni. » [Collat. VII, c. XVII; et Collat. XXXII . — In che senso tutte le passioni si trovino nei demoni, vedi S. Tommaso, I p., q. LXIII, art, 2, corp.]. – La stessa guerra si estende a tutte le parti del mondo visibile ed a ciascuna delle creature che lo compongono. È altresì un fatto di universale credenza, fondato sul parallelismo delle due Città. satana, nemico implacabile del Verbo, lo perseguita in tutte le sue opere. Dappertutto dove il Re della Città del Bene ha posto uno dei suoi Angeli per conservare e nobilitare, il Re della Città del male manda uno dei suoi satelliti per distruggere e corrompere. Di qui deriva che l’antagonismo è in tutte le parti della creazione, e che si può con certezza affermare dei cattivi angeli ciò che i Padri della Chiesa, sant’Agostino in particolare, dicono degli Angeli buoni: Non vi è creatura visibile in questo mondo che non abbia un demonio specialmente delegato per tenerla schiava, per deturparla e renderla ostile al Verbo incarnato, ed all’uomo nociva: Una quæqueres visibilis in hoc mundo angelicam potestatem hahet sibi præpositam. – Come abbiamo detto, questa lotta di satana contro il Verbo redentore, è in fondo tutta la storia della umanità. Cominciata nel Cielo, continuata nel Paradiso terrestre, essa ha attraversato, senza tregua, tutti i secoli antichi. Il Figliuolo di Dio incarnandosi, la trova più che mai accanita. Egli stesso, nel deserto, la sostiene in persona e dichiara non essere venuto sulla terra se non che per distruggere l’opera del diavolo, e cacciare l’usurpatore. Entrato nella vita pubblica, perseguita satana dappertutto, lo espelle da tutti i corpi, e si sente che il demonio ed i suoi angeli gli dicono: Santo di Dio, noi ti conosciamo; tu sei venuto per perderci. Cessa di torturarci, e se tu non vuoi lasciarci nell’uomo, permetti almeno che si passi nei porci. [Marc., I, 28; Luc., VIII, 32]. Con la sua morte vincitore del demonio, dei suoi principati e delle sue potenze, egli gli attacca alla sua croce e, nel giorno della sua resurrezione, gli conduce in trionfo alla presenza del cielo e della terra. Ma se egli indebolisce l’impero di Lucifero, non lo distrugge del tutto. Come il Signore aveVa lasciato in mezzo al popolo ebreo delle popolazioni idolatre, perché esercitassero la sua virtù, cosi il Divino Salvatore lascia al demonio un certo potere a fine di sperimentare la fedeltà del popolo cristiano. Prima di lasciare i suoi Apostoli Ei prende cura di annunziar ad essi, e insieme ai suoi discepoli nel seguito dei secoli, ch’essi dovranno continuare contro satana la guerra da Lui stesso vittoriosamente cominciata. – L’odio di satana si manifesterà con un furore particolare contro i membri del Collegio Apostolico, e soprattutto contro Pietro, loro capo: Simone, Simone, Satana ti ha domandato per tritarti a guisa del frumento; ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno [Luc. XXII, 31]. Essi partono per la loro missione, e sino dai primi passi, Pietro incontra il nemico nella persona di un apostata, per nome Simone. Quest’era il figlio maggiore di Satana; egli seduceva il popolo operando davanti a lui strani prodigi, con l’aiuto dei demoni. Un giorno il mago s’alza per aria: Pietro s’inginocchia, e prega: all’istante i demoni abbandonano Simone e questo primo Papa insegna a satana qual potenza avrà egli da combattere in tutti gli altri Pontefici di Roma, successori di Pietro. Paolo lo riconosce altresì nella Pitonessa di Filippi: In nome del Figliuolo, egli dice, io ti ordino di uscire da questa giovane; e ne usci nell’ora stessa. [Act., XVI, 18]. Con quale sicurezza lo stesso Apostolo riprende ancora satana, il quale si servi d’Elymas il mago, per paralizzare il suo apostolato-: 0 figlio del diavolo non cesserai tu mai di pervertire le rette vie del Signore? La mano di Dio è su di te, e tu diventerai cieco. 1 ]Act., XIII, 10]. – Tutti gli altri apostoli hanno pur vinto satana. Cosi avvenne lo stesso dei martiri; fu lui che per vendicarsi li fece morire in mezzo a tormenti fino allora inauditi. Sopprimete il soffio di satana nel martirio dei Cristiani e voi non lo intendete più. In questa sanguinosa lotta satana è ancor vinto ma non scoraggiato. Eccolo che tenta nuove armi. Col suo alito omicida suscita tra i Cristiani la divisione, gli scismi, le eresie. Impossibile spiegare ancor qui, senza l’intervento di satana, questo gran mistero dell’odio fraterno e dell’errore. Per distruggere nelle diverse parti del mondo gli avanzi del paganesimo, Roma invia dei missionari; e noi abbiamo veduto ch’essi ebbero a combattere satana sotto la forma palpabile di draghi e di mostruosi serpenti: a fine di riparare agli scandali occasionati dagli scismi e dalle eresie, la Provvidenza deputa nei deserti dell’alto Egitto delle legioni di espiatori. Là, tra gli Antoni, ed i Pacomio, tutti i patriarchi della solitudine, satana incomincia una guerra a morte. La vita di sant’Antonio è la grande epopea della battaglia dell’uomo contro il demonio. – Questa epopea non è finita. Sempre antica e sempre nuova, ciascuno di noi ne è l’eroe o la vittima. Avviene lo stesso delle creature che ci circondano. Più spesso che non si pensi esse sono tra le mani di satana strumenti del suo odio contro l’uomo. La Chiesa come depositaria di tutti i misteri del mondo morale e di tutte le vere tradizioni della umanità, niente di più le sta a cuore, quanto il tenere sempre presenti allo spirito dei suoi figli le terribili verità delle quali un’attenta Provvidenza aveva preso cura di conservare la conoscenza, anche presso i popoli pagani. – « Essa ci dice, per bocca dei Padri, che in antico i demoni ingannavano gli uomini, prendendo differenti sembianze; e tenendosi presso a fontane ed a fiumi, nei boschi e sugli scogli, sorprendevano con i loro prestigi gli insensati mortali. Ma dopo la venuta del divin Verbo i loro artifizi sono impotenti, poiché basta il segno della croce per smascherare tutte le loro furberie. » [S. Atanas. lib. de Incarnat. Verbi; vedi pure Origene e Sant’Agostino ec. citati più sopra.].  – La Chiesa non limita solo la sua sollecitudine nel segnalare la presenza di questi esseri malefici; ma grazie alla potenza che le è stata data dal Vincitore stesso del demonio, essa ha preparato e rimesso nelle mani dell’uomo tutte le armi necessarie per cacciare il nemico e preservarsi, lui e le creature, dai suoi perfidi assalti. Difatti, « Vi è un libro del quale nessuno può, senza abiurare la fede, rifiutare la testimonianza, o disconoscerne la competenza: quest’è il Rituale romano, l’organo il più sicuro e il più autorevole della dottrina ortodossa, il monumento più autentico della tradizione. Non solamente l’esistenza dei demoni vi è conservata ad ogni pagina, ma le astuzie di satana, le sue manovre, le sue nefande imprese contro gli uomini e contro le creature, vi sono segnalate minutamente, e direi quasi descritte.2 »2 [Vita del curato d’Ars, t. I, p. 386]. Nessun libro fa meglio conoscere i principi della Città del male, del quale ci intertiene in questo momento l’istoria; nulla conferma più potentemente ciò che abbiamo detto sin qui e che ancora diremo. Il Rituale ha principio Con esorcismi intorno al neonato che si presenta al Battesimo, e circa gli elementi che debbono servire alla sua rigenerazione. Il bambino diviene uomo, e gli esorcismi continuano. Tutte le creature con le quali ei si troverà a contatto durante il suo pellegrinaggio sono contaminate. La Chiesa per cacciare il demonio esorcizza l’acqua e la benedice. Acqua possente che raccomanda ai suoi figli di custodire con cura nelle loro case, a fine di spargerne su di essi e su tutto ciò che gli circonda. Allo stesso scopo ella esorcizza e benedice il pane, il vino, l’olio, i frutti, le case, i campi, le gregge. Finalmente, quando l’uomo è sul punto di lasciare la vita, essa impiega nuove benedizioni a fine di sottrarlo alle potestà delle tenebre.

Or dunque che cosa contiene ciascuno esorcismo? Racchiude tre atti di fede: atto di fede all’esistenza dei demoni; atto di fede alla loro azione reale permanente, generale e individuale sull’uomo e sulle creature; atto di fede sulla potestà data alla Chiesa di cacciare l’usurpatore. [S. Th., p. III, q. LXXI, art. 2 corp. et ad. 3]. E adesso se avvi qualche cosa di strano non è egli forse la disattenzione con cui i Cristiani, soggetti peraltro di mente e di cuore alla santa Chiesa, passano davanti a questi esorcismi così chiari, cosi positivi, senza essere colpiti dalle conclusioni che racchiudono? Oggi soprattutto è necessario di segnalarne qualcuna. Senza dunque uscire dai nostri libri liturgici, bramiamo sapere con certezza qual è l’azione demoniaca sull’uomo e sul mondo, e in quali modi essa diversifica? Apriamo il Rituale, a cui aggiungeremo il Pontificale: quest’altro monumento non meno officiale della fede Cattolica, quest’altro tesoro non meno prezioso di ogni vera filosofia. Che cosa viene insegnato in questi libri? È insegnato che i demoni possono allacciare l’uomo con legami visibili ed invisibili; come appunto un vincitore può caricare di ferri il suo prigioniero. Essi possono chiudere il suo spirito all’intelligenza delle cose divine: possono corromper l’acqua e farvi apparire dei fantasmi, il che costituisce l’idromanzia; possono frequentare le case, contaminarle e renderne il soggiorno penoso e pericoloso; possono spargere la peste, corrompere l’aria, compromettere la salute dell’uomo, turbare il suo riposo e molestarlo in tutti i modi; possono infestare non solamente i luoghi abitati ma i luoghi solitari, diffondervi il terrore e farne il centro di malattie contagiose o il teatro di molestie inquietanti; possono attaccar l’uomo nel suo corpo e nella sua anima, scagliarsi su di lui in gran numero, presentarsi a a lui sotto forme di spettri o di fantasmi; possono sollevare tempeste, mandare uragani, trombe, gragnuole, fulmini, insomma, mettere gli elementi in servizio dell’odio eterno; possono prestare all’uomo la loro malefica virtù, impadronirsi di lui, possederlo, comunicare al suo spirito cognizioni, ed al suo corpo forze, e sovrumane attitudini; possono infine tormentarlo nel più terribile modo negli ultimi suoi momenti; e nell’uscire dal corpo, contrastare all’anima sua il passaggio alla beata eternità. [Rituale, passim; Pontificale, specialmente la benedizione delle campane].Da questi insegnamenti, attinti alle fonti più pure, resultano due cose: primieramente la certezza di un’azione continua, generale e particolare dei demoni sull’uomo e sulle creature: secondariamente la possibilità di comunicazioni dirette, sensibili, e materiali dei demoni con l’uomo, e dell’uomo con essi. Di qui, le evocazioni, i patti, le obsessioni, le possessioni, i maleficii, l’esistenza delle quali, tanto spesso testimoniata dalla storia antica e moderna, sacra e profana, non può esser negata senza rinunziare a qualunque credenza divina ed umana. D’altra parte, per chiunque voglia riflettere, non sono motivo di dubbio, né la difficoltà intrinseca di queste comunicazioni, né le strane forme ch’esse possono rivestire. L’anima nostra non è essa una permanente comunicazione col nostro corpo? Se lo spirito può comunicare con la materia, dove sarebbe la radicale impossibilità per uno spirito di comunicare con un altro spirito? Trattasi di forme? Gli annali del genere umano non cominciano con una manifestazione satanica? Sotto tutti i punti di vista, questa manifestazione non è ella una delle più strane? Contuttociò essa è stata ammessa da tutti i popoli. Né vi ha alcuno le cui tradizioni non abbiano conservato la memoria del ‘fatto genesiaco, causa prima del male e di tutto il male.Che dico? questa primitiva comunicazione, reale e palpabile di satana con l’uomo, è un dogma di fede certo, quanto l’Incarnazione del Verbo: « Né  satana né Dio » diceva Voltaire. Bisogna allora aggiungere: né satana né caduta; non caduta, non Redenzione; non Redenzione

e nemmeno Incarnazione: non Incarnazione, non Cristianesimo; non Cristianesimo, ma pirronismo universale. Il nostro scopo non è di spiegare partitamente l’azione sensibile e moltiforme dei principi della Città del male sull’uomo e sulle creature. La possiamo vedere nelle dotte opere dei signori Mirville, Des Mousseaux e Bizouard. – Tuttavia le circostanze attuali non permettono di passare sotto silenzio certe manifestazioni demoniache, tanto più pericolose, in quanto che ci sforziamo di negare la vera causa: intendiamo parlare delle comunicazioni dirette con gli spiriti, delle tavole giranti ed altre pratiche, che non è molto, misero sossopra l’antico ed il nuovo mondo, le quali non hanno cessato mai, e che oggi si riproducono con una inaudita recrudescenza. – Quel che ci ha più stupiti al comparire di questi fenomeni è stata la meraviglia generale che essi hanno prodotto. Si direbbe che per gli uomini di questo tempo la ragione è colpita d’impotenza, la teologia non avvenuta, la storia muta. Il primo dogma della ragione è che due maestri opposti si disputano l’umanità che vive necessariamente sotto l’impero dell’uno, o sotto l’impero dell’altro. Alla vista del mondo attuale che si va emancipando rapidamente dal regno del Cristianesimo, era facilissimo e molto logico il concludere che esso ricadrebbe con la stessa prestezza sotto il regno del satanismo. Ora satana è sempre il medesimo. Ritornando nel mondo, ritorna con tutti gli attributi dell’antica sua autorità. Oracoli, prestigi, varie manifestazioni, tutto il corteggio di seduzioni, segni e istrumenti di regno, di cui aveva riempito il mondo antico, e ne riempie ancora il mondo moderno, dovevano necessariamente ricomparire in un mondo, tornato ad essere suo possesso per l’allontanamento dal Cristianesimo. La ragione dice ciò, come dice: che due e due fanno quattro. E la teologia? Sono circa seicento anni che l’Angelo della scuola, esponendo la dottrina della Chiesa, diceva, come il suo maestro sant’Agostino: [Apud S. Th., I p., q. 115. art. 5, ad 5. 1 « I demoni sono attratti da certe specie di pietre, di piante, di legni, di animali, di canti di riti, come segnali dell’onore divino dei quali sono gelosissimi. Essi si consacrano alle anime dei morti. Appariscono essi sovente sotto la forma di bestie, che designano le loro qualità. Qualche volta dicono la verità per ingannar meglio, e scendono a certe famigliarità; all’oggetto di condurre gli uomini e famigliarizzare con essi. [Id., I p., q. LXIV, art. 2, ad. 5]. In queste poche linee, che spiegheremo più sotto, non abbiamo noi la spiegazione, certo compendiata ma esatta, di ciò che accade sotto gli occhi nostri? Cosi parla la teologia. – E la storia? Trattasi, per es., del legno in particolare che si anima e che manifesta degli oracoli? È un fatto demoniaco la cui esistenza, quaranta volte secolare, ha per testimonio l’Oriente e l’Occidente. Che cosa vi ha di più celebre nella storia profana delle querce dodoniche? e che di più confermato? Se, come si vorrebbe pretendere, è falso che taluni alberi abbiano reso mai suoni articolati, la credenza sostenuta, per parecchie migliaia di anni, ad un tal fatto attestato dagli uomini più seri, compito in mezzo a popoli più còlti, sarebbe più incredibile del fatto stesso. D’altronde, non è egli posto fuor di dubbio dal libro in cui tutto è verità? Chi non ha letto nella Scrittura, gli anatemi lanciati contro chiunque dice al legno di animarsi, di alzarsi e di parlare come un essere vivente? « Guai a colui che ha detto al legno: animati ed alzati. Il mio popolo ha domandato oracoli al suo legno; ed il suo bastone gli ha risposto » [Habac. II, 19; Oseæ, IV, 12]. Per sempre più specificare la questione, trattandosi di tavole giranti e parlanti, esse sono conosciute sino dalla più remota antichità. Intorno a questo fenomeno demoniaco che non può sorprendere altro che l’ignoranza; abbiamo tra le altre la testimonianza perentoria di Tertulliano. Nella sua immortale Apologetica, cioè in uno scritto in cui egli non poteva niente asserire che potesse porsi in dubbio senza compromettere la grande causa dei Cristiani, questo Padre, nato in seno al paganesimo e profondamente istruito delle sue pratiche, nomina a tanto di lettere le tavole che i demoni fanno parlare. Quel che vi è di più notevole, egli ne parla non come di un fatto straordinario ed oscuro, ma come di una cosa abituale e nota a tutto il mondo. Egli designa francamente per il loro nome gli agenti spirituali del fenomeno, certo di diventare la favola dell’impero, se a somiglianza dei nostri pretesi sapienti, avesse voluto spiegarlo per via dei fluidi. [E i fatti straordinari avvenuti oggidì sotto i nostri occhi, di quella forma di spiritismo, che appellano ora ipnotismo, non mostra forse che nella società che ha fatto divorzio da Cristo, e che si sottrae all’influsso divino dello Spirito Santo l’intervento dello spirito maligno si fa ognor più potente e manifesto? (Vedi sull’ipnotismo il dottissimo studio pubblicato nella Civiltà Cattolica, serie XIII, vol. III. quad. 865 e segg.) – La testimonianza del- grande apologista è troppo preziosa per non essere citata per intero. « Noi diciamo che vi sono delle sostanze puramente spirituali, ed il loro nome non è nuovo. I filosofi conoscono i demoni: Socrate testimone egli stesso il quale attendeva l’ordine dal suo demonio per parlare e per agire. Perché? Perché egli aveva, cosi riferisce la storia, un demonio accanto a sé fino dalla sua infanzia. Quanto ai poeti, tutti sanno perfettamente che i demoni dissuadono dal bene. Infatti il loro lavoro è di distruggere l’uomo: Operatio eorum est hominis eversio. Hanno appunto inaugurata la loro malizia per perder l’uomo. Mandano essi al corpo, malattie e crudeli accidenti: all’anima moti violenti, subitanei e straordinari. « Per raggiungere la duplice sostanza dell’uomo hanno la loro sottigliezza e la loro tenuità. Come potenze spirituali hanno tutta la facilità di restare invisibili ed insensibili, di modo ché si mostrano piuttosto nelle loro opere che in se medesimi. Se per esempio attaccano i frutti e le messi, essi insinuano nel fiore, non so quale alito velenoso [Il che possono fare i demoni, come si intende facilmente, non solo direttamente, ma anche e più ordinariamente usando a questo fine delle cause naturali, come di mezzi.], che uccide il germe o impedisce la maturità; come se fosse l’aria viziata da una ignota cagione che manda esalazioni pestifere. Per cagione di questo stesso latente contagio eccitano nelle anime dei furori, follie vergognose, crudeli voluttà, accompagnate da mille errori, il più grande dei quali è di accecare l’uomo sino al punto di procurare al demonio, col sacrificio, il suo cibo favorito, l’esalazione dei profumi e del sangue. – « Avvi un’altra voluttà della quale è geloso, ed è quella di allontanare l’uomo dal pensiero del vero Dio, con prestigi mentitori, dei quali dirò il segreto. Ogni spirito è uccello: Omnis Spiritus ales est. Ciò è vero degli Angeli e dei demoni, poiché in un istante essi sono da per tutto. Per essi, tutto il pianeta è uno stesso luogo: Totus orbis illis locus unus est. Quel che si fa da per tutto essi lo sanno così facilmente come lo dicono. La loro volontà è presa per la divinità perché non si conosce la loro natura. Per conseguenza vogliono essi passare per essere gli autori delle cose che annunziano: e infatti lo sono spesso dei mali e mai dei beni: Et sunt piane malorum nonnunquam honorum tamen nunquam. » [Apolog. c. XXII]. La loro naturale celerità è per i demoni un primo mezzo di conoscere le cose che avvengono a molta distanza, o che sono prossime ad accadere. Havvene un altra, ed è la cognizione delle disposizioni della Provvidenza, per mezzo delle profezie che sentono leggere, e delle quali essi comprendono naturalmente il senso, molto meglio di noi. Attingendo a questa fonte la nozione di certe circostanze dei tempi, scimmiotteggiano la Divinità, rubando l’arte di divinare: Aemulator, divinitatem, dum farantur dtvinationem. Come padri e figli della menzogna, essi ravvolgono i loro oracoli di ambiguità, quando non vogliono, o non possono rispondere; di modo che qualunque si sia l’evento annunziato, possono difendere le loro parole. Creso e Pirro ne sanno qualche cosa. [L’oracolo dice a quest’ultimo: Aio te Romanos vincere posse; il che è anfibologico].« La loro abitazione nell’aria, la loro vicinanza agli astri, il loro commercio con le nubi, sono altresì per essi un mezzo di conoscere l’approssimarsi dei fenomeni fisici; come piogge, inondazioni, siccità. A queste meravigliose cognizioni aggiungono per attirarsi il culto dell’uomo, un artifizio più pericoloso; essi si offrono per guarire le infermità. Quali sono le guarigioni che si attribuiscono? Incominciano dal rendere l’uomo malato: poi per far credere al miracolo, prescrivono nuovi rimedi ed anche contrari. Fatta l’applicazione, tolgono il male che hanno comunicato, e fanno credere d’averli guariti. » [Apol, ubi supra.]. Per accreditare la fede alla loro potenza ed alla loro veracità, aggiungono a queste pretese guarigioni dei prodigi sorprendenti. La storia del paganesimo antico e moderno n’è ripiena. Tertulliano si contenta di citarne qualcuno, noto a tutto l’impero romano, e particolarmente ai magistrati ai quali indirizza la sua apologetica: « Che dirò io delle altre astuzie o delle altre forze degli spiriti di menzogna? L’apparizione di Castore e Polluce, l’acqua portata in un vaglio, il naviglio trascinato con una cintura, la barba diventata rossa al contatto di una statua: tutto ciò per far credere che le pietre sono tanti dei, e impedire di cercare il Dio vero. » [Nel momento in cui i Romani guadagnavano una battaglia in Macedonia, Castore e Polluce, semidei protettori dei Romani, apparvero a Roma ed annunziarono la vittoria. La vestale Tuscia portò dell’acqua in un paniere; la sua compagna, la vestale Claudia, trascinò alla riva con la sua cintura, una nave rimasta a secco nel Tevere e che portava la statua di Cibale, madre degli dei; Domizio con la barba bionda, se la vide diventar rossa al contatto della statua di Castore e Polluce. Di qui il nome di Oenobarbus, lasciato alla sua lunga e famosa posterità]. – La potenza dei demoni sul mondo fisico è accompagnata da una potenza non meno grande sul mondo spirituale. Cosa singolare! essi l’esercitano oggi allo stesso modo che a tempo di Tertulliano. Allora vi erano dei medium che facevano apparire dei fantasmi, che evocavano le anime dei morti; che davano il dono della parola a dei piccoli fanciulli; [L’abbiamo visto venti volte al principio dell’ultimo secolo presso i Camisardi. Leggi l’interessante e antichissima Storia dei Camisardi del Sig. Blanc], che operavano una infinità di prestigi alla presenza del popolo; che mandavano visioni e facevano parlare le capre e le tavole: due specie di esseri, i quali, grazie ai demoni, hanno costume di predire l’avvenire e rivelare le cose nascoste: Per quos et capræ et mensæ divinare consueverunt. [Apol., ubi supra]. Tale è la notorietà di tutti questi fenomeni che il grave apologista riferisce arditamente, senza frase, senza precauzione oratoria, senza tema di eccitare un sorriso, o provocare una smentita dalla parte di un pubblico ostile e motteggiatore. Poi aggiunge: « Se la potenza dei demoni è sì grande, ancorché essi operino per via di intermediari, come mai misurarla quando operano direttamente e da sé medesimi? È dessa che spinge gli uni a precipitarsi dall’alto delle torri: altri a mutilarsi; questi a tagliarsi il braccio e la gola…. è noto dalla maggior parte che le morti crudeli e premature sono opere dei demoni. » [De anima, c. LVII. — I sacerdoti galli facevano

tutto quEsto. I sacerdoti di Boudda al Thibet si sparano il ventre. In Africa e nell’Oceania, si tagliano i diti, e si fanno delle incisioni nella faccia. – Il suicidio! non mancava che quest’ultimo tratto per completare la rassomiglianza tra i fenomeni demoniaci del secondo e del diciannovesimo secolo. Sotto pena di rinunziare alla facoltà di legare due idee, fa d’uopo concludere, dicendo con Tertulliano: « La similitudine degli effetti dimostra l’identità della causa: Compar exitus furoris, et una ratio est ìnstìgationìs. » [Minuzio Felice, Araobio, Atenagora, Lattanzio, sant’Agostino e gli altri Padri della Chiesa, parlano come Tertulliano (V. Baltus, Risposta alla Storia degli Oracoli).

PICCOLI SERMONI NATALIZI DI Fr. UK, SACERDOTE CATTOLICO

I.

FOURTH SUNDAY OF ADVENT 2018 A.D.

Continuation of the Holy Gospel according to St. Luke III: 1-6

1 Now in the fifteenth year of the reign of Tiberius Cesar, Pontius Pilate being governor of Judea, and Herod being tetrareh of Galilee, and Philip his brother tetrarch of Iturea and the country of Trachonitis, and Lysanias tetrarch of Abilina,
2 Under the high-priests Annas and Caiphas: the word of the Lord was made unto John the son of Zachary, in the desert.
3 And he came into all the country about the Jordan, preaching the baptism of penance for the remission of sins;
4 As it was written in the book of the sayings of Isaias the prophet: A voice of one crying in the wilderness: Prepare ye the way of the Lord, make straight his paths.
5 Every valley shall be filled; and every mountain and hill shall be brought low: and the crooked shall be made straight, and the rough ways, plain:
6 And all flesh shall see the salvation of God. (ISAIAS 40:3-5)

In the Name of The Father and of The Son and of The Holy Ghost. Amen.

As it was written in the book of the sayings of Isalas the prophet: A voice of one crying in the wilderness: Prepare ye the way of the Lord, make straight his paths.

God inspired the prophet to reveal God’s Will by saying these words. And that is not just curious, futuristic information about the events which should happen. This is not just a request, but it is a specific order by the Commander, Who has unlimited power. That is God’s command, because He used the imperative verbs: “prepareand “make”, that mean “do this”. The prophet only transmitted the order of the Supreme Commander and Legislator. All mountains and all hills should be made of the same level. The crooked ways should be made straight and the rough ways should be made plain. The way of Our Lord Jesus Christ, Who came down to save us from our sins, should be straight and easy. We must remove all the obstacles on His way so it should be comfortable and pleasing to Him.

God is ever independent in His actions, and He is able to do everything by Himself alone. God was independent from man when He created the heaven and earth, and when God made man to His image and likeness (Genesis 1:26; 2:7). God is the Creator and the Governor of the heaven and the earth and He is the Supreme Lawgiver.

“God is the Author of the natural and positive divine law. The natural law obliges all men, and the positive divine law of the New Testament obliges all men who have the use of reason, including Jews and pagans” (Moral Theology); and God did not depend on man when He made these laws.

But there is only one thing, in which God depends on man; and this is the salvation of man from his sins.

Today’s Gospel says to us that God wants our cooperation and assistance in the work of our salvation, and He gave us all the necessary means to participate in this work. He gave us seven Sacraments of the New Testament, specifically the Sacraments of Penance and of the Holy Eucharist.

By doing Penance we become builders of the straight and safe way, by which our Savior can easily come to our hearts and save us, and we also have safe access to God by the same way. The Sacrament of Penance restores our confidence and friendship with God.

“By the Holy Eucharist God nourishes and strengthens the spiritual life of our souls, unites us most intimately with Christ and His Mystical Body, the Church, increases sanctifying grace in us, weakens our evil inclinations and confers upon us a pledge of eternal life.” (Moral Theology)

The two exclamations of two prophets, St. Isaias and St. John the Baptist: “Prepare ye the way of the Lord, make straight his paths” and the very first words of our Savior in the beginning of His public mission: “Do penance” – this is the same command with the same meaning.

Since the very moment when the original sin happened, this command of God obliges all men, and it will oblige all men until the last day of this world’s existence, and until the last breath of every man.

By the Gospel of St. John we know, that “God so loved the world, as to give His only begotten Son; that whosoever believeth in Him, may not perish, but may have life everlasting” (St. John 3:16).

By doing penance we are preparing ourselves for life everlasting. By doing penance man helps God to return man into a state of sanctifying grace. To be in a state of sanctifying grace – this is the only way to be saved. To be saved means to be united with God in His Kingdom.

The process of salvation is a permanent process, and we take part in it by doing penance, prayers and works of mercy, by faith, hope and charity. “The virtues that unite our soul to God are the three theological virtues: Faith, Hope, Charity” (The Catechism). St. Paul says: “And now there remain, faith, hope, charity, these three: but the greatest of these is charity” (1 Cor. 13:13)

Let us ask God to provide us with spiritual and bodily support, so that we can always “prepare the way of the Lord” and “make straight his paths” by doing penance with Faith, Hope and Charity.

In the Name of The Father and of The Son and of The Holy Ghost. Amen

Fr. UK

I.

QUARTA DOMENICA DELL’AVVENTO 2018 A. D.

Continuazione del Santo Vangelo secondo San Luca III: 1-6

1 Ora nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca di Galilea, Filippo suo fratello tetrarca di Iturea e della Trachonitide, e Lisania tetrarca di Abilene,

2 Sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa: la parola del Signore scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

3 E percorse tutta la regione del Giordano, predicando il battesimo della penitenza per la remissione dei peccati;

4 Come fu scritto nel libro dei detti di Isaia, il profeta: Una voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, drizzate i suoi sentieri.

5 Ogni valle sia riempita; e ogni monte e collina siano abbassati; e i passi tortuosi siano retti, e le vie aspre, rese piane:

6 E ogni carne vedrà la salvezza di Dio.

(ISAIA XL: 3-5).

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

“Come è stato scritto nel libro dei detti di Isaia, il profeta: Una voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, drizzate i suoi sentieri”.

Dio ha ispirato il profeta a rivelare la Volontà di Dio pronunciando queste parole. E non si tratta solo di informazioni curiose e futuristiche sugli eventi che dovrebbero accadere. Questa non è solo una richiesta, ma è un ordine specifico del Capo, che ha un potere illimitato. Questo è il comando di Dio, perché ha usato i verbi imperativi: “prepara” e “fai”, che significa “fa’ questo”.

 

Il profeta trasmise solo l’ordine del Capo Supremo e del Legislatore. Tutte le montagne e tutte le colline dovrebbero essere ridotte allo stesso livello. I modi tortuosi dovrebbero diventare dritti e i modi approssimativi dovrebbero essere resi chiari. La via di Nostro Signore Gesù Cristo, che è sceso per salvarci dai nostri peccati, dovrebbe essere semplice e lineare. Dobbiamo rimuovere tutti gli ostacoli sulla sua strada in modo che tutto debba comodo e gradito a Lui.

Dio è sempre indipendente nelle sue azioni, ed è in grado di fare tutto da solo. Dio era indipendente dall’uomo quando creò il cielo e la terra, e quando Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza (Genesi 1:26, 2: 7). Dio è il Creatore e il Governatore del cielo e della terra ed è il Supremo Legislatore.

“Dio è l’autore della legge divina naturale e positiva. La legge naturale obbliga tutti gli uomini e la legge divina positiva del Nuovo Testamento obbliga tutti gli uomini che hanno l’uso della ragione, inclusi ebrei e pagani “(Teologia morale); e Dio non dipendeva dall’uomo quando ha fatto queste leggi.

Ma c’è solo una cosa, in cui Dio dipende dall’uomo; e questa è la salvezza dell’uomo dai suoi peccati.

Il vangelo di oggi ci dice che Dio vuole la nostra cooperazione e assistenza nell’opera  della nostra salvezza e ci ha dato tutti i mezzi necessari per partecipare a quest’opera. Ci ha dato sette Sacramenti del Nuovo Testamento, in particolare i Sacramenti della Penitenza e della Santa Eucaristia.

Facendo penitenza diventiamo costruttori del modo retto e sicuro, grazie al quale il nostro Salvatore può facilmente venire nei nostri cuori e salvarci, e abbiamo anche, allo stesso modo, un accesso sicuro a Dio. Il Sacramento della penitenza ripristina la nostra fiducia e l’amicizia con Dio.

“Con la Santa Eucaristia Dio nutre e fortifica la vita spirituale delle nostre anime, ci unisce più intimamente a Cristo e al suo Corpo mistico, la Chiesa, aumenta la grazia santificante in noi, indebolisce le nostre inclinazioni malvagie e ci conferisce un pegno per la vita eterna. “(Teologia morale)

Le esclamazioni di due profeti, Isaia e San Giovanni Battista: “Preparate la via del Signore, raddrizzate le sue vie” e le primissime parole del nostro Salvatore all’inizio della Sua missione pubblica: “Fate penitenza “- costituiscono lo stesso comando con lo stesso significato.

Dal momento stesso in cui è stato commesso il peccato originale, questo comando di Dio obbliga tutti gli uomini, tutti gli uomini fino all’ultimo giorno dell’esistenza di questo mondo e fino all’ultimo respiro di ogni uomo.

Secondo il Vangelo di San Giovanni, sappiamo che “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui, non muoia, ma abbia la vita eterna” (San Giovanni III: 16) .

Facendo penitenza ci stiamo preparando per la vita eterna. Facendo penitenza l’uomo aiuta Dio a riportare se stesso in uno stato di grazia santificante. Essere in uno stato di grazia santificante: questo è l’unico modo per essere salvati. Essere salvati significa essere uniti a Dio nel suo Regno.

Il processo di salvezza è un processo permanente e noi ne prendiamo parte facendo penitenza, preghiere e opere di misericordia, mediante la fede, la speranza e la carità. “Le virtù che uniscono la nostra anima a Dio sono le tre virtù teologali: Fede, Speranza, Carità” (Il Catechismo). San Paolo dice: “E ora rimangono, fede, speranza, carità; ma di queste tre: la più grande è la carità” (1 Corinzi XIII: 13)

Chiediamo a Dio di fornirci un sostegno spirituale e corporeo, in modo che possiamo sempre “preparare la via del Signore” e “raddrizzare le sue vie” facendo penitenza con Fede, Speranza e Carità.

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

II.

HOLY CHRISTMAS 2018 A.D.

Continuation of the Holy Gospel according to St. Luke 2:1-14

1 AND it came to pass that in those days there went out a decree from Cesar Augustus; that the whole world should be enrolled.
2 This enrolling was first made by Cyrinus the governor of Syria.
3 And all went to be enrolled, every one into his own city.
4 And Joseph also went up from Galilee out of the city of Nazareth into Judea, to the city of David, which is called Bethlehem: because he was of the house and family of David,
5 To be enrolled with Mary his espoused wife who was with child.
6 And it came to pass, that when they were there, her days were accomplished, that she should be delivered.
7 And she brought forth her first-born son, and wrapped him up in swaddling clothes, and laid him in a manger: because there was no room for them in the inn.
8 And there were in the same country shepherds watching, and keeping the night-watches over their flock.
9 And behold an angel of the Lord stood by them, and the brightness of God shone round about them, and they feared with a great fear.
10 And the angel said to them: Fear not; for behold I bring you good tidings of great joy, that shall be to all the people:
11 For this day is born to you a SAVIOUR, who is Christ the Lord, in the city of David.
12 And this shall be a sign unto you. You shall find the infant wrapped in swaddling clothes, and laid in a manger.
13 And suddenly there was with the angel a multitude of the heavenly army, praising God, and saying:
14 Glory to God in the highest: and on earth peace to men of good will.”

In the Name of The Father and of The Son and of The Holy Ghost. Amen.

On this Feast of The Nativity of Jesus Christ we will meditate on the Exile, Obedience, Humility and Charity.

When Cesar issued a decree that the whole world should be enrolled, our Savior was obeying the order of Cesar. By that action Our Lord gave us the example of obedience.

During His public Mission among the Jews Jesus Christ many times confirmed that in certain cases the people should give respect and obedience to earthly authority, even to a bad one.

Many times the Pharisees wanted to ensnare Jesus in His own speech. Once they sent to Him their disciples, who asked Him: “is it lawful to give tribute to Cesar, or not?”

 “18 But Jesus knowing their wickedness, said: Why do you tempt me, ye hypocrites? 19 Shew me the coin of the tribute. And they offered him a penny. 20 And Jesus saith to them: Whose image and inscription is this? 21 They say to him, Cesar‘s. Then he saith to them: Render therefore to Cesar the things that are Cesar‘s: and to God, the things that are God’s.” (St. Matthew 22:15-21)

Being God, the second Person of the Most Holy Trinity, Jesus is not obliged to obey any human authority, because He is the Supreme Authority to every man over the whole world. Our Lord just tells us, that in the things which are in jurisdiction of earthly authority, we should obey them. But in the things that belong to God, we must obey God.

For Jesus, Who is true God of true God, the King of kings, to be obedient to Cesar’s decree meant to be humiliated.

An owner of the hotel in the Bethlehem was so indifferent, if not to say cruel, that he did not give even a small place to pregnant Mary, although he saw that shortly she should give birth to a Child. And Joseph had no a choice, but to propose to Mary and Jesus a place, which was prepared for animals. For God, Who came down from Heaven, it was indeed an act of humiliation. “He came unto his own, and his own received him not.” (St. John 1:11)  But in spite of all those insults, given to Him by the people, our Savior gave them a sign of Charity, sending the angel and a multitude of the heavenly army, who praised God, saying “Glory to God in the highest: and on earth peace to men of good will.”

They “received Him not” by sending Him to the manger among animals, but in spite of that He told them in that moment, that He recognizes them to be “men of good will”. By saying so, our Savior gave a chance of salvation for everyone.

By that heavenly hymn, our Savior confirmed the purpose of His First Coming – to return mankind to the state of twofold peace – peace with God, and peace among the nations. Our Lord said that such peace would be possible, only under the condition that people will be “men of good will”. God wants all nations to be “men of good will”, and that is the reason why He did not call them “men of evil will”.

By the same hymn Jesus also said that His place is not in a manger among animals, but “in the highest”.

Being really exiled and abandoned by the majority of the mankind, Our Lord gives us His personal example of Obedience, Humility and Charity.

By the Nativity, our Lord gave us an example of how we can keep a balance between two kinds of obedience – obedience to God and obedience to Cesar.

By this heavenly hymn God declared that He is the God of peace, not a God of war.

“At the time of His birth the temple of Janus in Rome was closed, and there was peace over all the earth, because Christ was the Prince of peace (Is. ix. 6); and the God of peace (1 Cor. xiv. 33). The hymn of the angels is the keynote of His mission, to glorify God (John xiii. 32), and to give peace to men (John xiv. 27), especially peace with God, reconciling man to God by His death on the cross, peace with self, the true peace which comes from the knowledge and practice of the Gospel, and peace with the neighbor by the virtues of brotherly love, love of one’s enemy, and meekness.” (The Catechism Explained, From the original of Rev. Francis Spirago, Professor of Theology, Edited by Rev. Richard F. Clarke, S.J. p. 180.)

Also we can say that the hymn of the angels is the formula of salvation for everyone who wants to be saved from his sins in order to go into life everlasting. This formula will be in force until the end of this world, and therefore everyone is obliged to live according to this formula out of infinite love of God and love of our neighbor.

So, if our Merciful Savior calls us “men of good will”, and He indeed says so, we have no other choice except to really be men of good will, wherever we are, wherever we go, in every place, in every circumstance.

“Glory to God in the highest: and on earth peace to men of good will.”

In the Name of The Father and of The Son and of The Holy Ghost. Amen.

Fr. UK

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II.

SANTO NATALE 2018 A.D.

[Continuazione del Santo Vangelo secondo San Luca II: 1-14]

1 E avvenne che in quei giorni uscì un decreto di Cesare Augusto; che il mondo intero dovrebbe essere censito.

2 Questa iscrizione fu fatta per la prima volta da Cirinus, il governatore della Siria.

3 E tutti andarono a farsi censire, ognuno nella propria città.

4 E Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, nella città di Davide, chiamata Betlemme, perché apparteneva alla casa e alla famiglia di Davide,

5 Per essere iscritto con Maria sua sposa che era incinta.

6 E avvenne che quando furono là, i suoi giorni del parto furono compiuti.

7 E ella partorì il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

8 E c’erano nello stesso paese pastori che vegliavano e facevano la guardia notturna sul loro gregge.

9 Ed ecco un Angelo del Signore si presentò a loro, e lo splendore di Dio risplendeva intorno ad essi, ed essi furono presi da grande paura.

10 E l’angelo disse loro: Non temete; poiché ecco, vi porto un buon annunzio di grande gioia, che sarà per tutto il popolo:

11 Perché in questo giorno è nato per voi un SALVATORE, che è Cristo il Signore, nella città di David.

12 E questo sarà per voi un segno. Troverete il bambino avvolto in fasce e posto in una mangiatoia.

13 E improvvisamente apparve con l’Angelo una moltitudine dell’esercito celeste, lodando Dio e dicendo:

14 Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà “.

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

In questa festa della Natività di Gesù Cristo mediteremo sull’esilio, l’obbedienza, l’umiltà e la carità.

Quando Cesare emanò un decreto per il censimento generale, il nostro Salvatore obbedì all’ordine di Cesare. Con quella azione Nostro Signore ci ha dato l’esempio dell’obbedienza.

Durante la sua pubblica missione tra gli Ebrei, Gesù Cristo ha più volte confermato che in certi casi il popolo deve rispettare e recare obbedienza all’autorità terrena, anche a quella cattiva.

Molte volte i Farisei hanno cercato di insidiare Gesù nei suoi stessi discorsi. Una volta gli mandarono i loro discepoli, che gli chiesero: “È lecito rendere omaggio a Cesare, o no?”

18 Ma Gesù, conoscendo la loro malvagità, disse: Perché mi tentate, ipocriti? 19 Mostratemi la moneta del tributo. E gli hanno mostrato una moneta. 20 E Gesù disse loro: Di chi è l’immagine e l’iscrizione? 21 Gli dicono: di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare le cose che sono di Cesare: e a Dio, le cose che sono di Dio. “(San Matteo XXII: 15-21)

Essendo Dio,  seconda Persona della Santissima Trinità, Gesù non è obbligato ad obbedire a nessuna autorità umana, perché è Egli l’autorità suprema di ogni uomo di tutto il mondo.

Nostro Signore ci dice solo che, nelle cose che sono sotto la giurisdizione dell’autorità terrena, dobbiamo obbedire ad essa. Ma nelle cose che appartengono a Dio, dobbiamo obbedire a Dio.

Per Gesù, che è vero Dio da vero Dio, il Re dei re, obbedire al decreto di Cesare, era un essere umiliato.

Il padrone dell’albergo  a Betlemme era così indifferente, per non dire crudele, che non aveva dato neanche un piccolo posto a Maria incinta, sebbene avesse visto che tra breve avrebbe dovuto dare alla luce un bambino. E Giuseppe non aveva scelta, e dovette proporre a Maria e Gesù un luogo che era disposto per gli animali. Per Dio, che discese dal cielo, fu davvero un atto di umiliazione. “Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero.” (San Giovanni 1:11)

Ma nonostante tutti quegli insulti, dati a Lui dal popolo, il nostro Salvatore diede loro un segno di carità, inviando l’Angelo e una moltitudine dell’esercito celeste, che lodò Dio, dicendo: “Gloria a Dio nel più alto pace terrestre agli uomini di buona volontà “.

Essi “non Lo hanno ricevuto” costringendolo presso una mangiatoia tra gli animali, ma nonostante ciò ha detto loro in quel momento, che li riconosce come “uomini di buona volontà”. Dicendo così, il nostro Salvatore ha dato una possibilità di salvezza per tutti.

Mediante quell’inno celeste, il nostro Salvatore confermò lo scopo della Sua prima venuta: riportare l’umanità allo stato di duplice pace: pace con Dio e pace tra le nazioni. Nostro Signore disse che tale pace sarebbe stata possibile, solo a condizione che le persone fossero “uomini di buona volontà”. Dio vuole che tutte le nazioni siano “uomini di buona volontà”, e questa è la ragione per cui Egli non li ha chiamati “uomini di volontà malvagia”.

Con lo stesso inno Gesù ha anche detto che il suo posto non è in una mangiatoia tra gli animali, ma “nel più alto dei cieli”.

Essendo veramente esiliato e abbandonato dalla maggioranza dell’umanità, Nostro Signore ci dà il Suo esempio personale di obbedienza, umiltà e carità.

Con la Natività, nostro Signore ci ha dato un esempio di come possiamo mantenere un equilibrio tra due tipi di obbedienza: l’obbedienza a Dio e l’obbedienza a Cesare.

Con questo inno celeste Dio ha dichiarato che Egli è il Dio della pace, non un Dio della guerra.

“Al tempo della sua nascita il tempio di Giano a Roma era chiuso, e c’era pace su tutta la terra, perché Cristo era il Principe della pace (Is VI,1), e il Dio della pace (1 Corinzi XIV 33) L’inno degli Angeli è la nota dominante della sua missione, quella di glorificare Dio (S. Giovanni XIII, 32) e dar pace agli uomini (Giovanni XIV, 27): in particolare la pace con Dio, riconciliando l’uomo con Dio mediante la Sua morte sulla croce, la pace con se stessi, la vera pace che viene dalla conoscenza e dalla pratica del Vangelo, e la pace con il prossimo con la pratica delle virtù dell’amore fraterno, dell’amore per il proprio nemico e della mitezza “. (Il Catechismo spiegato, dall’originale di Rev. Francis Spirago, professore di teologia, a cura del Rev. Richard F. Clarke, S.J. p.180).

Inoltre possiamo dire che l’inno degli Angeli è la formula della salvezza per tutti coloro che vogliono essere salvati dai loro peccati per giungere alla vita eterna. Questa formula sarà in vigore fino alla fine di questo mondo, e quindi ognuno è obbligato a vivere, secondo questa formula, con  amore infinito di Dio e l’amore per il prossimo.

Quindi, se il nostro Salvatore misericordioso ci chiama “uomini di buona volontà”, e in effetti lo dice, non abbiamo altra scelta se non quella di essere veramente uomini di buona volontà, ovunque siamo, ovunque andiamo, in ogni luogo, in ogni circostanza .

“Gloria a Dio nel più alto: e in terra pace agli uomini di buona volontà”.

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Fr. UK

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XV)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XIV

(continuazione del precedente ) 

Agilità degli angeli cattivi — Loro potenza — Passo notabile di Porfirio.

L’agilità. — L’agilità dei demoni non gli rende meno terribili che la loro intelligenza. Per trasportarsi da un luogo ad un altro, occorre all’uomo un tempo relativamente abbastanza lungo: minuti, ore, giorni e settimane. Sovente i mezzi di trasporto gli mancano; altre volte l’infermità, o la vecchiaia gl’impediscono di muoversi. Al pari dei buoni angeli, i demoni non conoscono nessuno di questi ostacoli. In un batter d’occhio essi si trovano a volontà, presenti nei punti i più opposti dello spazio. Quindi quella risposta di satana riferita nel libro di Giobbe: « Donde vieni tu, gli chiede il Signore? ». satana risponde: « Io vengo dall’aver fatto il giro del mondo, circuivi terram. » Siccome non esiste distanza per i demoni, ciò che accade attualmente nel fondo dell’Asia, possono essi dirlo nel fondo dell’Europa e viceversa. Questa agilità, lo si comprende facilmente, è tanto pericolosa per noi quanto è indiscutibile. È pericolosa, perché  i demoni non hanno mezzo più possente di gettar l’uomo nello stupore e dallo stupore giungere alla fiducia, dalla fiducia alla familiarità, alla sottomissione, al culto stesso. È indisputabile: chi non ammirerebbe i consigli di Dio? Poco fa una scienza, sospetta d’origine, giovine d’età, povera di meriti, non ricca di presunzione, la geologia, veniva ad attaccare la genesi. Iddio ha detto alla terra: Apriti; mostragli gli avanzi delle creature nascoste dentro al tuo seno da seimila anni in qua. E la geologia, battuta dalle sue proprie armi, si è vista costretta a rendere uno splendido omaggio al racconto mosaico. – Il nostro tempo materialista si è fatto lecito di negare gli esseri spirituali e le loro proprietà. Per confonderlo, Iddio gli ha riserbato la scoperta dell’elettricità. Mercé di questo misterioso veicolo l’uomo può rendersi presente non solamente col pensiero ma con la parola su tutti i punti del globo, in un tempo impercettibile. Alla vista di un simile risultato, come fare a negare l’agilità degli spiriti?

La potenza. — Nella stessa guisa che il corpo appunto perché corpo, è naturalmente soggetto all’anima; cosi il mondo visibile in ragione della sua inferiorità, è naturalmente soggetto al mondo angelico. Subitoché si ammette altra cosa che la materia, la negazione di questa verità diviene una contradizione in termini. Ora, i demoni non hanno perduto nulla della superiorità o potenza inerente alla loro natura.  [Da ciò deriva che Nostro Signore medesimo chiama il demonio il Forte armato, Fortis armatus.].  Ella si estende come quella dei buoni Angeli, senza eccezione, a tutte le creature: la terra, l’aria, l’acqua, il fuoco, le piante, gli animali e l’uomo stesso, nel suo corpo e nella sua anima. Essi possono variarne gli effetti in mille maniere che sorprendono la nostra ragione, come allarmano la nostra debolezza. Questa potenza essenzialmente benefica negli Angeli buoni, è al contrario essenzialmente malefica nei demoni. Lucifero nell’assoggettarsi mediante il peccato il re della creazione, si è assoggettato anche la creazione tutta intera. All’uomo ed al mondo ei fa sentire la sua tirannia, inocula il suo veleno, comunica le sue sozzure, e sviandoli dal suo fine, gli cambia in istrumenti di guerra contro il Verbo incarnato. Che questa azione malefica dei demoni sia reale, ch’ella sia eziandio antica quanto il mondo e perciò estesa quanto il genere umano, nessuna verità ne è più certa. La tradizione universale la conserva fedelmente, e la esperienza conferma la tradizione. Non vi è nessun popolo, anche grossolanamente pagano, che non abbia ammesso l’azione malefica delle potenze spirituali sulle creature e sull’uomo. Le testimonianze autentiche di questa credenza si rivelano ad ogni pagina della storia religiosa, politica, domestica dell’umanità. Trattar ciò di favola sarebbe follia, Il vedere pazzi da per tutto è essere pazzo se medesimo. Tra mille testimonianze ci contenteremo di quella di Porfirio. Il principe della teologia pagana si esprime così: « Tutte le anime hanno uno spirito unito e congiunto perpetuamente ad esse. Fino a che non l’hanno soggiogato esse medesime, sono in molte cose soggiogate da lui. Allorché fa loro sentire la sua azione, egli le spinge all’ira, infiamma le loro passioni e le agita miserabilmente. Questi spiriti, questi demoni perversi e malefici, sono invisibili e impercettibili ai sensi dell’uomo, imperocché essi non hanno rivestito un corpo solido. Tutti d’altra parte non hanno la stessa forma, ma sono foggiati su tipi numerosi. Le forme che distinguono ciascuno di questi spiriti, ora appariscono e ora restano celate. Qualche volta cambiano e sono i più cattivi…. le loro forme corporee sono perfettamente disordinate. « Allo scopo di sfogare le sue passioni, questo genere di demoni abita più volentieri e più di frequente i luoghi vicini della terra; di modo che non è delitto che egli non tenti di commettere. Come miscuglio di violenza e di doppiezza, hanno essi dei sottili e impetuosi movimenti, come se si gettassero in un agguato; ora tentando la dissimulazione, ora usando la violenza. Fanno essi queste cose e altre simili, per distoglierci dalla vera e sana nozione degli Dei e attirarci ad essi. » [Apud Eus. Præp. Ev., lib, IV, c. XXII.] Entrando nei particolari delle loro pratiche, il filosofo pagano continua e parla come un Padre della Chiesa: essi si dilettano in tutto ciò che è disordinato ed incoerente, e godono dei nostri errori. L’esca di cui si servono per attirare la moltitudine è quella di accendere le passioni, ora con l’amore dei piaceri, ora con l’amore delle ricchezze, della potenza, della voluttà e della vanagloria. Cosi animano le sedizioni, le guerre e tutto ciò che viene loro dietro. « Essi sono i padri della magia. Anche coloro i quali, mediante il soccorso di pratiche occulte commettono azioni cattive, gli venerano, e soprattutto il loro capo. Hanno in abbondanza vane e false immagini delle cose, e con ciò sono eminentemente abili a fare giuocare delle molle segrete a fine di organizzare degl’inganni. Ad essi dunque fa d’uopo attribuire la preparazione di filtri amorosi: da essi viene l’intemperanza della voluttà, della cupidigia verso le ricchezze, e della gloria, e soprattutto l’arte della frode e dell’ipocrisia; essendo la menzogna il loro elemento. » [Apud Easeb., Præp. Evang., lib. IV, c. XXII]. Dopo aver parlato dei principi della Città del male, Porfirio si occupa del loro re ch’egli nomina Serapide o Plutone. Qui, crediamo leggere non un filosofo pagano, non un Padre della Chiesa, ma lo stesso Vangelo, tanta è la tradizione precisa su questo punto fondamentale. « Noi non siamo temerari di affermare che i cattivi demoni siano soggetti a Serapide. La nostra opinione non è fondata solamente sui simboli e sugli attributi di questo dio, ma ancora su questo fatto che tutte le pratiche dotate della virtù di invocare o di allontanare gli spiriti maligni, s’indirizzano a Plutone, come l’abbiamo mostrato nel primo libro. Ora, Serapide è lo stesso che Plutone (il re degli abissi); e quel che prova indubitatamente essere egli il capo dei demoni, egli è che esso dà i segni misteriosi per allontanarli e porli in fuga.  « È lui infatti che svela a quelli che lo pregano, come i demoni prendano ad imprestito la forma e la rassomiglianza degli animali, per mettersi in relazione con gli uomini. Di qui deriva che presso gli Egizi, i Fenici e presso tutti i popoli, niuno eccettuato, esperti nelle cose religiose, si ha cura di rompere le cuoia innanzi la celebrazione dei sacri misteri, che sono nei templi, e di battere contro terra gli animali. I sacerdoti pongono in fuga i demoni parte col soffio, parte col sangue degli animali e parte col percuotere nell’aria affinché avendo il posto, gli Dei possano occuparlo. « Imperocché bisogna sapere che ogni abitazione ne è piena. Per questo la si purifica cacciandoli tutte le volte che si vuol pregare gli Dei. Di più, tutti i corpi ne sono ripieni; poiché assaporano particolarmente un certo tal genere di cibo. Perciò, allorché ci poniamo a tavola essi non pigliano solamente posto presso le nostre persone, ma si attaccano altresì al nostro corpo. Quindi l’usanza delle lustrazioni, il cui scopo principale non è solamente l’invocare gli Dei ma di cacciare i demoni.Essi si dilettano soprattutto nel sangue e nella impurità, e per saziarsene s’introducono nei corpi di coloro che vi vanno soggetti. Ogni moto violento di voluttà nel corpo, ogni appetito veemente di cupidigia nello spirito, è eccitato dalla presenza di questi ospiti. Sono essi che costringono gli uomini a proferire dei suoni inarticolati e ad emettere dei singulti sotto l’impressione dei godimenti che dividono con essi. » [Apud Euseb,, Præp. Evang. lib. IV, c. XXIII].Fra tutte le verità che rifulgono in questo squarcio, come le stelle nel firmamento, avvene una che faremo notare di passaggio, poiché non vi ritorneremo sopra, ed è la profonda filosofia del Benedicite, e la stoltezza non meno profonda di quelli che lo disprezzano.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: MISERENTISSIMUS REDEMPTOR DI S. S. PIO XI

Questa Enciclica è uno dei documenti più importanti mai prodotti dal Magistero pontificio. Ricco di contenuti dottrinali, indica nella devozione al Cuore di Gesù uno dei mezzi più potenti contro l’empietà delle sette e del mondo odierno, coniugando la devozione alla pratica esatta e convinta della riparazione alle offese fatte a Gesù Signore nostro e Re di ogni Nazione e popolo. Chi non vede come il disconoscimento del potere regale del Cristo sia oggi il male peggiore dell’umanità che per questo sta precipitando in un baratro di immondi vizi, di abomini morali e materiali di ogni sorta, di apostasia della cattolica fede,  mascherata vergognosamente da pratiche sacrileghe e blasfeme, sostenute da chierici invalidamente e sacrilegamente consacrati, dagli ultimi fino agli usurpati uffici apicali. Pio XII, ci ricorda quanto il Signore Gesù aveva già richiesto a Santa Margherita Maria, richiesta oggi quanto mai indispensabile da esaudire per ribaltare una situazione umanamente irrecuperabile: la riparazione alle offese che si fanno al Cuore di Gesù, all’ingratitudine che anche spenti e dormienti sedicenti Cristiani dimostrano nell’ignoranza totale della dottrina cattolica e delle pratiche liturgiche e sacramentali, fonti di salvezza eterna, alla scarsissima attenzione per una Chiesa eclissata, e l’indifferenza verso la condizione del vero Vicario di Cristo imprigionato ed esiliato, sostituito sul suo seggio pietrino da uno spaventapasseri ventriloquo che proferisce mielosamente parole e concetti di indubitabile matrice gnostica e massonica, la teologia cabalista dei suoi mentori adoratori del lucifero-baphomet [Simon Mago al posto di Simon Pietro!!]. Tocca allora al “pusillus grex” utilizzare queste armi riparatorie apparentemente “ridicole” contro le atomiche della stampa e della satanica finanza mondialista, con la fiducia che animava il giovane e piccolo Davide, quando si accingeva ad affrontare  con una “ridicola” fionda un guerriero gigantesco ed armato fino ai denti. A noi quindi l’Ora di adorazione, a noi la Comunione del primo venerdì del mese, [… se non possiamo la Sacramentale, almeno la spirituale], a noi consacrarci “Anime-Ostie”, a noi recitare quotidianamente l’Atto di Riparazione posto alla fine del documento qui riportato. E ancora una volta, Davide abbatterà Golia, Costantino affosserà Massenzio, cadranno Nerone e Diocleziano, Lutero e Calvino, Wicleff e Giansenio, Federico II, Enrico VIII e Ottone di Bismark, Lenin, Stalin, e tutti i tiranni servi del demonio e … alla fine Maria “conteret caput”  del serpente maledetto, e la Chiesa di Cristo uscirà dall’eclissi attuale più bella e splendente che mai.

Pio XI
Miserentissimus Redemptor

INTRODUZIONE

Il Redentore divino presente alla sua Chiesa sempre

1. – Il nostro misericordiosissimo Redentore, dopo aver compiuto sul legno della croce la salvezza del genere umano, prima di ascendere da questo mondo al Padre, nell’intento di sollevare gli apostoli e i discepoli dalla loro afflizione, disse: a Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt XXVIII, 30).

Parole assai gradite e fonte di ogni speranza e di ogni sicurezza, che vengon da sé alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, quando da questa, per chiamarla così, più alta specola, osserviamo la società umana afflitta da tanti mali e miserie, non che la Chiesa fatta oggetto, senza intermittenza, di attacchi e di insidie. Questa divina promessa, che sollevò gli animi abbattuti degli Apostoli e così rianimati li accese e li infervorò di zelo per andare a spargere su tutta la terra il seme della dottrina evangelica, ha anche sostenuto in seguito la Chiesa, fino a farla prevalere sulle potenze degli inferi. …ma in modo speciale nei tempi più critici

2. – Sempre il Signore Gesù Cristo ha assistito la sua Chiesa, ma più potente è stato il suo aiuto e più efficace la sua protezione quando la Chiesa s’è trovata in pericoli e sciagure più gravi. Fu allora che nella sua divina sapienza, che “si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap VIII,1), offrì i rimedi più adatti alle esigenze dei tempi e delle circostanze. E non “si è accorciata la mano del Signore” (Is LIX, 1) in tempi a noi più vicini, come quando penetrò e largamente si diffuse l’errore che faceva temere che negli animi degli uomini, allontanati dall’amore e dalla familiarità con Dio, venissero a inaridirsi le fonti della vita cristiana.

Argomento dell’Enciclica: la riparazione

3. – C’è nel popolo cristiano chi ignora o non si cura di quel che l’amatissimo Gesù ha lamentato nelle sue apparizioni a Margherita Maria Alacoque e quel che ha indicato di aspettare e volere dagli uomini, in vista del loro stesso vantaggio. Perciò vogliamo, Venerabili Fratelli, trattenerci alquanto con voi a parlare di quella giusta riparazione che abbiamo il dovere di compiere verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, affinché ciascuno di voi procuri diligentemente di insegnare ed esortare il proprio gregge a mettere in pratica quel che abbiamo in animo di esporvi.

LA RIVELAZIONE DEL CUORE DI GESÙ PER I NOSTRI TEMPI

Nel S. Cuore rivelate le ricchezze della bontà divina

4. – Fra le testimonianze della benignità infinita del nostro Redentore, emerge in maniera particolare il fatto che mentre nei cristiani s’andava raffreddando l’amore verso Dio, è stata proposta la stessa carità divina ad essere onorata con speciale culto, e sono state chiaramente rivelate le ricchezze di questa bontà divina per mezzo di quella forma di devozione con cui si onora il Cuore Sacratissimo di Gesù, “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col ii,3).

Il Cuore di Gesù vessillo di pace e di amore

5. – Infatti, come un tempo al genere umano che usciva dall’arca di Noè, Dio volle far risplendere “l’arcobaleno che appare sulle nubi” (Gn II,14, in segno di alleanza e d’amicizia, così negli agitatissimi tempi più recenti, quando serpeggiava l’eresia giansenista -la più insidiosa fra tutte, nemica dell’amore e della pietà verso Dio- che predicava un Dio non da amarsi come padre ma da temersi come giudice implacabile, il benignissimo Gesù mostrò agli uomini il suo Cuore Sacratissimo, quasi vessillo spiegato di pace e di amore preannunziando certa vittoria nella battaglia..

Nel Cuore di Gesù tutte le nostre speranze

6. – Perciò, molto a proposito, il nostro predecessore di f. m., Leone XIII, nella sua Lettera Enciclica “Annum Sacrum” osservando la meravigliosa opportunità del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, non dubitò di affermare: “Quando la Chiesa nascente era oppressa dal giogo dei Cesari, apparve in cielo al giovine imperatore una croce, auspice e in pari tempo autrice della splendida vittoria che seguì immediatamente. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno: il Cuore Sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce, rilucente di splendidissimo candore tra le fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze, da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell’umanità”.

Il Cuore di Gesù compendio della Religione.

7. – Ed è giusto, Venerabili Fratelli. Infatti, in quel felicissimo segno e in quella forma di devozione che ne deriva, non è forse contenuto il compendio dell’intera Religione e quindi la norma d’una vita più perfetta, dal momento che essa costituisce la via più spedita per condurre le menti a conoscere profondamente Cristo Signore e il mezzo più efficace per muovere gli uomini ad amarlo più intensamente e a imitarlo più fedelmente? – Nessuna meraviglia, dunque, che i nostri predecessori abbiano sempre difeso questa ottima forma di culto dalle accuse dei denigratori e l’abbiano esaltata con grandi lodi e propagata con grande impegno, secondo le esigenze dei tempi e delle circostanze.

Provvidenziale l’incremento di questa devozione

8. – Ed è per ispirazione divina che la devozione dei fedeli verso il Cuore Sacratissimo di Gesù è andata crescendo di giorno in giorno, sono sorte pie Associazioni per promuovere il culto al divin Cuore, come pure la pratica, oggi largamente diffusa, di fare la Comunione ogni primo venerdì del mese, secondo il desiderio espresso da Gesù stesso.

LA CONSACRAZIONE AL CUORE Dl GESÙ

Significato della consacrazione

9. – Tra gli atti che sono propri del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, emerge -ed è da rammentarsi- la consacrazione, con la quale offriamo al Cuore divino di Gesù noi e tutte le nostre cose, riferendole all’eterna carità di Dio, da cui le abbiamo ricevute. – E fu lo stesso Salvatore, il quale, mosso dal suo immenso amore per noi più che dal diritto che ne aveva, manifestò alla innocentissima discepola del suo Cuore, Margherita Maria quanto bramasse che tale ossequio di devozione gli venisse tributato dagli uomini. E lei per prima, insieme al suo padre spirituale Claudio de la Colombière, fece questa Consacrazione. Col tempo l’esempio fu seguito da singole persone, da famiglie private e associazioni, e poi anche da autorità civili, città e nazioni.

La consacrazione argine contro l’empietà dilagante.

10. – In passato, e anche nel nostro tempo, per l’azione cospiratrice di uomini empi, s’è giunti a negare la sovranità di Cristo Signore e a dichiarare apertamente guerra alla Chiesa con la promulgazione di leggi e mozioni popolari contrarie al diritto divino e naturale, fino al grido di intere masse: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc XIX,14). Ma dalla consacrazione, di cui abbiamo parlato, erompeva e faceva vivo contrasto la voce unanime dei devoti del S. Cuore, intesa a rivendicarne la gloria e affermare i suoi diritti: a Bisogna che Cristo regni” (1 Cor XV,25), “Venga il tuo regno”! Di qui il gioioso avvenimento della consacrazione al Cuore Sacratissimo di Gesù di tutto il genere umano – che per diritto nativo appartiene a Cristo, nel quale si ricapitolano tutte le cose (Cf Ef 1,10) – che all’inizio di questo secolo, tra il plauso di tutto il mondo cristiano, fu compiuta dal nostro predecessore Leone XIII di f.m.

Consacrazione riaffermata con la festa di Cristo Re

11. – Queste felici e confortanti iniziative, Noi stessi, come dicemmo nella nostra Enciclica “Quas primas” abbiamo condotto, per grazia di Dio, a pieno compimento, quando aderendo agli insistenti desideri e voti di moltissimi Vescovi e fedeli, al termine dell’anno giubilare, abbiamo istituito la Festa di Cristo Re dell’universo, da celebrarsi solennemente da tutto il mondo cristiano. – Con questo atto non solo mettemmo in luce la suprema autorità che Cristo ha su tutte le cose, nella società sia civile che domestica e sui singoli uomini, ma pregustammo pure la gioia di quell’auspicatissimo giorno in cui il mondo intero, liberamente e coscientemente, si sottometterà al dominio soavissimo di Cristo Re. – Perciò ordinammo pure che in occasione di tale festa, ogni anno si rinnovasse questa consacrazione. nell’intento di raccoglierne più sicuramente e più copiosamente il frutto, e stringere nel Cuore del Re dei re e Sovrano dei dominatori, tutti i popoli, in cristiana carità e comunione di pace.

LA RIPARAZIONE

Alla consacrazione segue la riparazione

12. – A questi ossequi, e in particolare a quello della consacrazione – tanto fruttuosa in sé e che è stata come riconfermata con la solennità di Cristo Re – conviene che se ne aggiunga un altro, del quale, Venerabili Fratelli, vogliamo parlarvi alquanto più diffusamente: del dovere, cioè, della giusta soddisfazione o riparazione al Cuore Sacratissimo di Gesù. – Nella consacrazione s’intende, principalmente, ricambiare l’amore del Creatore con l’amore della creatura; ma quando questo amore increato è stato trascurato per dimenticanza o oltraggiato con l’offesa, segue naturalmente il dovere di risarcire le ingiurie qualunque sia il modo con cui sono state recate. È quel dovere che comunemente chiamiamo “riparazione”. Richiesta dalla giustizia e dall’amore

13. – Sono le medesime ragioni che ci spingono sia alla consacrazione che alla riparazione. Vero è però che al dovere della riparazione e dell’espiazione siamo tenuti per un titolo più forte di giustizia e di amore. Di giustizia, perché dobbiamo espiare l’offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire con la penitenza l’ordine violato; di amore al fine di patire insieme con Cristo sofferente e “saturato di obbrobri” e recargli, per quanto può la nostra debolezza, qualche conforto. – Siamo, infatti, peccatori e gravati di molte colpe; dobbiamo perciò rendere onore al nostro Dio non solo con quel culto che è diretto sia ad adorare, con i dovuti ossequi, la sua Maestà infinita, sia a riconoscere, mediante la preghiera, il suo supremo dominio e a lodare, con azioni di grazie, la sua infinita generosità; ma è necessario inoltre che offriamo anche a Dio giusto vindice, soddisfazioni per i nostri “innumerevoli peccati, offese e negligenze”. – Per questo, alla consacrazione per mezzo della quale ci offriamo a Dio e diventiamo a lui sacri – con quella santità e stabilità che è propria della consacrazione, come insegna l’Angelico (2-2, q. 81, a. 8, c.) – si deve aggiungere l’espiazione al fine di estinguere totalmente le colpe, affinché l’infinita santità e giustizia di Dio non abbia a rigettare la nostra proterva indegnità e rifiuti, anzi che gradire, il nostro dono.

Dovere che grava su tutto il genere umano

14. – Questo dovere di espiazione grava su tutto il genere umano, giacché, come insegna la fede cristiana, dopo la funesta caduta di Adamo, l’umanità, macchiata della colpa ereditaria, soggetta alle passioni e in stato di grave depravazione, avrebbe dovuto finire nell’eterna rovina. – Non ammettono questo stato di cose i superbi sapienti del nostro tempo, i quali, seguendo il vecchio errore di Pelagio, rivendicano alla natura umana una bontà congenita, che di suo interno impulso spingerebbe a perfezione sempre maggiore. – Ma queste false invenzioni della superbia umana sono respinte dall’Apostolo che ammonisce che a eravamo per natura meritevoli d’ira” (Ef II,3). E di fatti, fin dagli inizi, gli uomini, hanno riconosciuto in qualche modo il debito che avevano d’una comune espiazione e mossi da naturale istinto si adoperarono a placare Dio anche con pubblici sacrifici.

La riparazione adeguata fu offerta dal Redentore

15. – Nessuna potenza creata però era sufficiente ad espiare le colpe degli uomini, se il Figlio di Dio non avesse assunto la natura umana per redimerla. – È ciò che lo stesso Salvatore degli uomini annunziò per bocca del Salmista: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo” (Eb X,5-7). – E realmente “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; è stato trafitto per i nostri delitti” (Is LIII,4-5). a Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2,24), “annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col II,14), “perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt II,24).

È richiesta però anche la nostra riparazione

16. – È vero che la copiosa redenzione di Cristo ci ha abbondantemente perdonato tutti i peccati (Cf Col II,13), tuttavia, in forza di quella mirabile disposizione della divina Sapienza per cui si deve completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa (Cf Col 1, 24), noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere le nostre lodi e soddisfazioni alle lodi e soddisfazioni che “Cristo tributò in nome dei peccatori”.

che ha valore per l’unione al sacrificio di Cristo

17. – Si deve però sempre tenere a mente che tutto il valore espiatorio dipende dall’unico Sacrificio cruento di Cristo, che senza intermittenza si rinnova nei nostri altari. Infatti “una sola e identica è la Vittima, il medesimo è l’Offerente che un tempo si offrì sulla croce e che ora si offre mediante il ministero dei Sacerdoti; differente è solo il modo di offrire” (Conc. Trid. Sess. XXII, c. 2). – A questo augustissimo Sacrificio Eucaristico, perciò, si deve unire l’immolazione sia dei ministri che dei fedeli, in modo che anch’essi si dimostrino a ostie viventi, sante e gradite a Dio” (Rm XII, 1). – Anzi S. Cipriano non dubita di affermare che “non si celebra il Sacrificio di Cristo con la conveniente santificazione, se alla passione di Cristo non corrisponde la nostra offerta e il nostro sacrificio” (Ep. 63, n. 381). – Perciò ci ammonisce l’Apostolo che “portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù” (2 Cor IV,10), e sepolti con Cristo e completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua (Cf Rm VI,4-5), non solo crocifiggiamo la nostra carne con le sue passioni e i suoi desideri (Cf Gal V,24), fuggendo alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2 Pt 1,4), ma anche che “la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Cor IV,10) e resi partecipi del suo sacerdozio eterno, offriamo “doni e sacrifici per i peccati” (Eb V,1).

Tutti i cristiani partecipi del sacerdozio di Cristo…

18. – Partecipi di questo misterioso sacerdozio e dell’ufficio di offrire soddisfazioni e sacrifici, non sono soltanto quelle persone delle quali il nostro Pontefice Cristo Gesù si serve come ministri per offrire l’oblazione pura al Nome divino, dall’oriente all’occidente in ogni luogo (Cf Ml 1,11), ma tutti i Cristiani – chiamati a ragione dal Principe degli Apostoli “stirpe eletta, il sacerdozio regale” (1 Pt II,9) – devono offrire per i peccati propri e per quelli di tutto il genere umano (Cf Eb V,2), a un di presso come ogni sacerdote e pontefice “scelto fra gli uomini viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb V,1). – E quanto più perfettamente la nostra oblazione e il nostro sacrificio saranno conformi al sacrificio del Signore -cosa che si compie immolando il nostro amor proprio e le nostre passioni e crocifiggendo la carne con quel genere di crocifissione di cui parla l’ Apostolo- tanto più copiosi saranno i frutti di propiziazione e di espiazione che raccoglieremo per noi per gli altri.

…e per l’unione in Cristo si aiutano a vicenda.

19. – C’è, infatti, un mirabile legame dei fedeli con Cristo, simile a quello che vige tra il capo e le membra del corpo. Parimenti, per quella misteriosa comunione dei Santi, che professiamo per fede cattolica, sia gli uomini singoli che i popoli, non solo sono uniti fra loro, ma anche con Colui “che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef IV, 15-16). Che è quel che lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, vicino a morire, domandò al Padre: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv XVII,23).

LA RIPARAZIONE NEL CULTO AL CUORE Dl GESÙ

La riparazione nell’intenzione di Gesù

20. – La consacrazione esprime e rende stabile l’unione con Cristo; l’espiazione inizia questa unione con la purificazione dalle colpe, la perfeziona partecipando alle sofferenze di Cristo e la porta all’ultimo culmine offrendo sacrifici per i fratelli. – Tale appunto fu l’intenzione che il misericordioso Signore Gesù ci volle far conoscere nel mostrare il suo Cuore con le insegne della passione e le fiamme indicanti l’amore, che cioè riconoscendo noi da una parte l’infinita malizia del peccato e dall’altra ammirando l’infinita carità del Redentore, detestassimo più vivamente il peccato e rispondessimo con maggior ardore al suo amore.

Preminenza della riparazione nel culto al S. Cuore

21. – Lo spirito di espiazione e di riparazione ha avuto sempre la prima e principale parte nel culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, e tale spirito è senza dubbio il più conforme all’origine, all’indole, all’efficacia e alle pratiche proprie di questa devozione, come appare dalla storia, dalla prassi, dalla liturgia e dagli atti dei Sommi Pontefici. – Infatti, nel manifestarsi a Margherita Maria, Gesù, mentre proclamava l’immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato, si lamentò dei molti e gravi oltraggi che gli venivano recati dagli uomini ingrati, e pronunziò queste parole che dovrebbero rimanere sempre scolpite nelle anime pie e mai dimenticate: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di ogni genere di benefici, e che in cambio del suo amore infinito non solo non ha avuto alcuna gratitudine, ma, al contrario, dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi recati, a volte, anche da coloro che sono tenuti per dovere, a rispondere con uno speciale amore”.

Atti di riparazione richiesti da Gesù stesso

22. – In riparazione di tali colpe, tra le molte altre cose, raccomandò questi atti, a Lui graditissimi; che cioè i fedeli, con l’intenzione di riparare si accostassero alla S. Comunione – chiamata perciò “Comunione riparatrice” – e compissero atti e preghiere di riparazione per un’ora intera, che per questo viene giustamente chiamata “Ora santa“. – Tali pratiche la Chiesa non solo le ha approvate ma le ha anche arricchite di favori spirituali. –

Come si può consolare il Cuore di Gesù glorioso

23. – Ma, se Cristo regna ora glorioso in cielo, come può venir consolato da questi nostri atti di riparazione? “Dà un’anima amante, e comprenderà ciò che dico”, rispondiamo con le parole di S. Agostino (Sul Vang. di Giovanni, tr XXVI, 4) che qui vengono a proposito. – Infatti, un’anima ardente di amor di Dio, guardando il passato vede e contempla Gesù affaticato per il bene dell’umanità, addolorato e sottoposto alle prove più dure; lo vede “per noi uomini e per la nostra salvezza” oppresso da tristezza, angoscia, quasi annientato dagli obbrobri, “schiacciato per le nostre iniquità” (Is LIII,5) e che con le sue piaghe ci guarisce. Queste cose le anime pie le meditano con maggiore aderenza alla realtà per il fatto che i peccati e i delitti, in qualsiasi tempo siano stati commessi, costituiscono la causa per cui il Figlio di Dio fu dato a morte, e anche al presente cagionerebbero a Cristo la morte accompagnata dai medesimi dolori ed angosce, dal momento che ogni peccato rinnova in qualche modo la passione del Signore: “Per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb VI,6). – Pertanto, se a motivo dei nostri peccati che sarebbero stati commessi nel futuro, ma che furono previsti allora, l’anima di Cristo divenne triste fino alla morte, non vi può esser dubbio che abbia provato anche qualche conforto già da allora a motivo della nostra riparazione anch’essa prevista, quando “gli apparve un Angelo dal cielo” (Lc XXII,43) per consolare il suo Cuore oppresso dalla tristezza e dall’angoscia. – Sicché, anche ora, in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati. Ed è Cristo stesso, come si legge nella Liturgia, che si duole per bocca del Salmista dell’abbandono dei suoi amici: “L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati” (Sal LXVIII, 21).

Si consola Gesù anche nelle sue membra sofferenti.

24. – A ciò s’aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si rinnova e in certo modo continua e si completa nel suo corpo mistico, che è la Chiesa. – Infatti, per servirci ancora delle parole di S. Agostino, “Cristo patì tutto quello che doveva patire; ormai nulla più manca al numero dei patimenti. Dunque i patimenti sono completi, ma nel capo; rimanevano ancora le sofferenze di Cristo da compiersi nel corpo” (In Sal. LXXXVI). – Che è quel che il Signore Gesù stesso ha voluto dichiarare quando, parlando a Saulo “sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli” (At IX, 1), disse: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At IX,5). – Con ciò significò chiaramente che le persecuzioni mosse alla Chiesa, andavano a colpire e affliggere lo stesso capo della Chiesa. – Giusto, dunque, che Cristo, sofferente ancora adesso nel suo corpo mistico, voglia averci compagni della sua espiazione, cosa che richiede la stessa nostra unione con Lui, perché essendo noi “corpo di Cristo e sue membra” (1 Cor. XII, 27), ciò che soffre il capo bisogna che con lui soffrano anche le membra (Cf 1 Cor XII, 26).

LA RIPARAZIONE RICHIESTA PER I NOSTRI TEMPI

Offensiva attuale contro Dio e la cristianità

25. – Quanto sia urgente, specialmente in questo nostro tempo, l’espiazione o riparazione appare manifesto, come abbiamo detto all’inizio, a chiunque osservi con gli occhi e la mente questo mondo che giace sotto il potere del maligno” (1 Gv V,19). – Da ogni parte giunge a Noi il grido di popoli afflitti, dove capi e governanti sono, nel vero senso, insorti e congiurano insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa (Cf Sal II,2). – Vediamo in quelle regioni calpestato ogni diritto divino e umano. I templi demoliti e distrutti, i religiosi e le sacre vergini cacciati dalle loro case, insultati, tormentati, affamati, imprigionati; strappati dal grembo della madre Chiesa schiere di fanciulli e fanciulle, spinti a negare e a bestemmiare Cristo e a commettere i peggiori crimini di lussuria; il popolo Cristiano gravemente minacciato e oppresso, e in continuo pericolo di apostatare dalla fede o andare incontro a morte anche la più atroce. – Cose tanto tristi, che con tali avvenimenti sembra si preannunzi e si anticipi fin da ora “l’inizio dei dolori”, quali apporterà “l’uomo iniquo che s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto” (2 Ts II,4).

Deficienze tra i Cristiani.

26. – Ma è ancor più doloroso il fatto, Venerabili Fratelli, che tra gli stessi Cristiani, lavati col sangue dell’Agnello immacolato nel Battesimo e arricchiti della sua grazia, ce ne siano tanti, appartenenti ad ogni classe, i quali ignorando in maniera incredibile le verità divine e infetti da false dottrine, vivono una vita viziosa, lontana dalla casa del Padre; una vita che non è illuminata dalla vera fede, non confortata dalla speranza nella futura beatitudine, non sostenuta né ravvivata dall’ardore della carità, sicché sembra davvero che costoro siano nelle tenebre e nell’ombra di morte. – Inoltre, va sempre più crescendo tra i fedeli la noncuranza della disciplina ecclesiastica e delle antiche istituzioni, da cui è sorretta tutta la vita cristiana, regolata la società domestica e difesa la santità del matrimonio. – Trascurata affatto è poi o deformata da troppe delicatezze e lusinghe l’educazione dei fanciulli e perfino tolta alla Chiesa la facoltà di educare cristianamente la gioventù. – Il pudore cristiano purtroppo dimenticato nel modo di vivere e di vestire, specialmente nelle donne. Insaziabile la cupidigia dei beni transitori, gli interessi civili predominanti, sfrenata la ricerca del favore popolare rifiutata la legittima autorità, disprezzata la parola di Dio, per cui la fede stessa vacilla o è messa in grave pericolo. Al complesso di questi mali si aggiunge l’ignavia e l’infingardaggine di coloro che, a somiglianza degli Apostoli addormentati o fuggitivi, mal fermi nella fede, abbandonano Cristo oppresso dai dolori e circondato dai satelliti di Satana. E c’è anche la perfidia di coloro che seguendo l’esempio di Giuda traditore, con sacrilega temerarietà si accostano all’altare o passano al campo nemico. – E così, anche senza volerlo, si presenta alla mente il pensiero che si stiano avvicinando i tempi predetti dal Signore: a Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà” (Mt XXIV,12).

Ci sono però anche confortanti reazioni

27. – Riflettendo su queste cose i buoni fedeli, infiammati d’amore per Cristo sofferente, non potranno fare a meno di dedicarsi ad espiare con maggiore impegno le proprie colpe e quelle commesse da altri, risarcire l’onore di Cristo e promuovere la salvezza delle anime. – E possiamo davvero descrivere la nostra età adattando in qualche modo il detto dell’Apostolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm V,20). – Infatti, è vero che è cresciuta di molto la perversità degli uomini, ma è anche vero che va meravigliosamente aumentando, per impulso dello Spirito Santo, il numero dei fedeli dell’uno e dell’altro sesso, i quali con animo volenteroso si adoperano a dare soddisfazione al divin Cuore per tante ingiurie che gli si recano e giungono anche ad offrire a Cristo le loro stesse persone come vittime. – Certo che chi riflette con spirito di amore a quanto abbiamo fin qui rammentato e l’imprime, per così dire, nell’intimo del cuore, arriverà non solo ad aborrire il peccato come il sommo dei mali e a fuggirlo, ma anche ad abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio e risarcire l’onore leso della divina Maestà con la preghiera assidua, le volontarie penitenze e col sopportare pazientemente le eventuali calamità, fino a vivere tutta la vita in spirito di riparazione. – E così che sono sorte molte famiglie religiose di uomini e di donne, le quali, con ambito servizio, si propongono di fare in qualche modo, giorno e notte, le veci dell’Angelo che conforta Gesù nell’orto. – Di qui pure le pie associazioni di uomini, approvate dalla Sede Apostolica e arricchite di indulgenze, che si assumono il compito dell’espiazione con opportuni esercizi di pietà e atti di virtù. – Di qui, infine, per non parlare di altre, quelle pratiche religiose e solenni attestazioni d’amore, introdotte allo scopo di riparare l’onore divino violato, usate frequentemente non solo da singoli fedeli ma anche da parrocchie, diocesi e città.

Atto di riparazione da farsi nella festa del S. Cuore

28. – Ebbene, Venerabili Fratelli, come la pratica della Consacrazione, cominciata da umili inizi e poi largamente diffusasi, ha raggiunto lo splendore desiderato con la nostra conferma, così grandemente bramiamo che la pratica di questa espiazione o riparazione, già da tempo santamente introdotta e propagata, abbia con la nostra apostolica autorità il più fermo suggello e diventi più solenne e universale nel mondo cattolico. – Stabiliamo perciò e ordiniamo che tutti gli anni, nella festa del Cuore Sacratissimo di Gesù – che in questa occasione abbiamo disposto che sia elevata al grado di doppio di prima classe con ottava – in tutte le Chiese del mondo si reciti solennemente, con la formula di cui uniamo esemplare in questa Lettera, la preghiera espiatrice o ammenda onorevole, com’è chiamata, per esprimere con essa il pentimento delle nostre colpe e risarcire i diritti violati di Cristo sommo Re e Signore amatissimo.

Frutti che si sperano

29. – Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che da questa pratica santamente rinnovata ed estesa a tutta la Chiesa, molti e segnalati siano i beni che ne verranno non solo alle singole persone, ma anche alla società religiosa, civile e domestica. Lo stesso Redentore nostro, infatti, ha promesso a Margherita Maria che “avrebbe colmato con l’abbondanza delle sue grazie celesti tutti coloro che avessero reso questo onore al suo Cuore”. – I peccatori “volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv XIX,37) e commossi dai gemiti e dalle lacrime di tutta la Chiesa, pentiti per le ingiurie recate al Sommo Re, “rientreranno in se stessi” (Cf Is XLVI, 8), perché non avvenga che ostinandosi nei loro peccati, quando vedranno “venire sulle nubi del cielo” (Mt XXVI, 64) colui che trafissero, troppo tardi e inutilmente piangano su di Lui (Cf Ap 1,7). I giusti diventeranno più giusti e più santi (Cf Ap XXII,11 ) e si consacreranno con rinnovato fervore al servizio del loro Re che vedono tanto disprezzato e combattuto e oggetto di tante e così gravi ingiurie. Soprattutto s’infiammeranno di zelo per la salvezza delle anime, nel meditare il lamento della vittima divina: “Quale vantaggio dal mio sangue” (Sal XXIX,10), e nel riflettere al gaudio che avrà quel Sacratissimo Cuore “per un peccatore convertito” (Lc XV,7). – Ma quel che principalmente desideriamo e speriamo è che la giustizia divina, la quale per dieci giusti avrebbe usato misericordia e perdonato a Sodoma, molto più voglia perdonare a tutto il genere umano, in vista delle suppliche e delle riparazioni che dappertutto innalza la comunità dei fedeli, insieme con Cristo Mediatore e Capo. –

Sia propizia Maria Riparatrice

30. – Sia propizia a questi nostri voti e a queste nostre disposizioni la benignissima Vergine Madre di Dio, la quale col dare alla luce il nostro Redentore, col nutrirlo e offrirlo come vittima sulla croce, per la mirabile unione con Cristo e per sua grazia del tutto singolare, è divenuta anch’essa Riparatrice e come tale è piamente invocata. – Noi confidiamo nella sua intercessione presso Cristo, il quale pur essendo il solo “Mediatore fra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5) volle associarsi la Madre come avvocata dei peccatori, dispensatrice e mediatrice di grazia.

L’apostolica benedizione

31. – Auspice dei divini favori e in testimonianza della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, e all’intero gregge affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore l’apostolica benedizione.

Dato a Roma presso S. Pietro, il giorno 8 del mese di maggio dell’anno 1928, settimo del nostro Pontificato.

Pio Papa XI

ATTO DI RIPARAZIONE AL CUORE SACRATISSIMO Dl GESÙ

Prostrati dinanzi al tuo altare, noi intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini il tuo amatissimo Cuore.

Gesù dolcissimo: il tuo amore immenso per gli uomini viene purtroppo, con tanta ingratitudine, ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo.

Memori però che pure noi altre volte ci macchiammo di tanta ingratitudine, ne sentiamo vivissimo dolore e imploriamo la tua misericordia.

Desideriamo riparare con volontaria espiazione non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salvezza, ricusano di seguire Te come pastore e guida, ostinandosi nella loro infedeltà, o, calpestando le promesse del Battesimo, hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

E mentre intendiamo espiare il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare:

l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento;

le insidie tese alle anime innocenti dalla corruzione dei costumi; la profanazione dei giorni festivi; le ingiurie scagliate contro di Te e i tuoi Santi;

gli insulti rivolti al tuo Vicario e l’ordine sacerdotale; le negligenze e gli orribili sacrilegi con i quali è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino e in fine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il Magistero della Chiesa da Te fondata.

Intanto come riparazione dell’onore divino conculcato, Ti presentiamo quella soddisfazione che Tu stesso offristi un giorno sulla croce al Padre e che ogni giorno si rinnova sugli altari: Te l’offriamo accompagnata con le espiazioni della Vergine Madre, di tutti i Santi e delle anime pie.

Promettiamo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto potremo, con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore, con la fermezza della fede, la santità della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica e specialmente della carità. – Inoltre d’impedire, con tutte le forze, le ingiurie contro di Te e attrarre quanti più potremo, a seguire e imitare Te. Accogli, te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della B.V. Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci nella fedele obbedienza a Te e nel tuo servizio fino alla morte, col dono della perseveranza, così che possiamo un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

Amen.

VII

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare fiagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitae cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

MESSA DELL’EPIFANIA (2019)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA 2019

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Malach 3: 1; 1 Par XXIX: 12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio
Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX: 1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

OMELIA I

GESÙ CRISTO RE.

[A. Catellazzi, La scuola degli Apostoli,

Ed. Artig. Pavia, 1929]

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore” (Isaia LX 1-6).

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola l a fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che  ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:

  1. Il Re preannunciato,
  2. Che esercita su noi l’autorità legittima,
  3. E al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.

1.

Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’umbra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magi e li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la città si conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda.Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione di questo regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile, se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech » (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele, ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.) . Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando : «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).

2.

Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi ai piedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffonde dal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli ha il diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re,  non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando: « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).

3.

Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore. – Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono : e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza. Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristo in segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristo non è un regno materiale. È un regno spirituale, che si esercita principalmente sulle anime. In primo luogo è il regno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivano la faccia della terra, Gesù comparve come il sole che illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna, l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere una giusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è la guida sicura.Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinché avete la luce credete nella luce, affinché siate figliuoli di luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re sarà dunque quello di accogliere con docilità e semplicità la sua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cui contano più i fatti che le parole, è precisamente il regno di Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore. E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quanti trasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non può essere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.). Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.

Graduale
Isa. LX: 6; 1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja. [Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II: 2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja. [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum
S. Matt II: 1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,” [Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia II

FESTA EPIFANIA

RAGIONAMENTO I.

Nel mistero dell’epifania si adombrano i tre periodi storici della Chiesa.

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana ed. Brescia, 1898 –imprim. -]

Gesù Cristo è la stessa verità Ego sum veritas-. Ora in faccia alla verità, vogliasi o non vogliasi, tre partiti soltanto sono possibili: o noi la respingiamo, la combattiamo, cerchiamo di soffocarla e ucciderla, poco importa poi se col ferro o col sofisma; o noi le cadiamo ai piedi, l’adoriamo e ci professiamo suoi seguaci fedeli e, al bisogno, suoi soldati; o noi non ci curiamo di essa, passiamo oltre senza degnarla d’uno sguardo o d’un saluto, e nemmeno d’un insulto. In altri termini, in faccia alla verità non vi possono essere, che o amici o nemici, od indifferenti: sfido chicchessia a trovare un quarto partito; è assolutamente impossibile. Questo triplice partito oggi apparisce in tutta la sua luce.  – Il divino Infante, l’eterna Verità, è là a Betlemme. Erode, i suoi consiglieri, satelliti e cortigiani, l’odiano e mandano sicari per trucidarlo nella culla: ecco i nemici. I Magi, venuti da lontane contrade (Nei Libri Santi la parola generica Oriente significa la Caldea, la Mesopotamia, la Persia, l’Arabia Petrea e altri paesi posti ad Oriente della Giudea e in qualche modo conosciuti dai Giudei.), si prostrano ai suoi piedi, l’adorano e gli offrono doni e regali: ecco gli amici. – Gli scribi e farisei, i capi del popolo, i principi dei sacerdoti, interrogati da Erode: – dove ha da nascere il Messia?- con la Scrittura alla mano, senza esitare, rispondono: – a Betlemme: lo disse il profeta -. E a Betlemme inviano i Magi stranieri, che ignorano la sacra Scrittura, ed essi, maestri in Israele, custodi delle tradizioni e dei Libri Santi, non si muovono, non li accompagnano, non se ne curano nemmeno, come se fosse cosa che punto li interessava: ecco gli indifferenti. In queste tre classi di uomini, che all’apparire del divino Infante sì diversamente si atteggiano, noi abbiamo anticipata in compendio la storia tutta della Chiesa, continuatrice della vita e delle opere di Gesù Cristo. Le generazioni, passando dinanzi alla Chiesa di Cristo si dividono in tre grandi schiere, di nemici, spesso armati della legge e della forza, che tentano di spegnerla; di amici fedeli, che la onorano, la ubbidiscono e la soccorrono; di indifferenti, che non se ne danno pensiero e tutte e tre queste schiere di uomini a loro modo mettono a prova la vita divina della Chiesa; Essa vince la prova del ferro, con cui i nemici si argomentano di ucciderla: vince la prova dell’oro, con cui gli uomini, senza volerlo, sembrano tentarla e sedurla; vince la prova della indifferenza, con cui una società freddamente cinica si avvisa di schiacciarla. – In questi tre punti, per vero dire. Soverchiamente vasti, fermeremo la nostra attenzione. Toccherò appena i primi due notissimi e che riguardano quasi esclusivamente il passato e mi fermerò alquanto più a lungo sul terzo, perché  è il periodo nel quale entra a piene vele la società moderna (Il Gesuita P. Felix, al Congresso Cattolico di Malines, nel 1863 – se bene mi ricordo – recitò un discorso eloquentissimo, intitolato: “Le tre fasi della Chiesa, ossia la fase di persecuzione materiale, di protezione legale, e di separazione dello Stato”. Ho tolto da lui il pensiero e lo svolgimento). È argomento che merita tutta la vostra attenzione. Erode, udendo dai Magi ch’era nato il Re dei Giudei e udendo riconfermata la voce dai Sacerdoti, e da essi determinato il luogo, si turbò Turbatus est rexe con lui si turbarono i suoi cortigiani – Et omnìs Hierosolyma cum illo -. Erode non solo si turbò, ma impaurì, e nei re che tengono la mano sulla spada, la paura è crudele e tremenda consigliera. – Come? diceva seco stesso quell’efferato tiranno. (Chi era Erode? Eccovelo: – Appena salito sul trono domandò ad Antonio – il Triumviro che regnava in Oriente – la testa del vinto Antigono – suo emulo – e Antigono fu decapitato. Egli fece massacrare tutti i membri del Sinedrio, che durante l’assedio di Gerusalemme avevano parteggiato contro di lui e i suoi alleati, i Romani; fece affogare Aristobalo, suo cognato, e il figlio di Alessandro in un bagno a Gerico, e sotto il vano pretesto di tradimento, diede in mano al carnefice Ircano, ottuagenario, ultimo degli Asmonei. Nutre a torto sospetti su Marianna una delle sue mogli: la uccide. Gli intrighi di Sefora e di Salome destano sospetti sui figli Alessandro e Aristobalo: li fa strozzare. Invecchiando diviene più crudele e più sospettoso. I Farisei, esasperati per la sua politica antinazionale e irreligiosa, congiurano ed eccitano una rivolta; piglia i due capi, Giuda e Mattia e li fa bruciar vivi. – Giuseppe Ebreo, presso Didon, Volume I, p. 62-63 -. È la storia lo disse Erode il Grande!!!), come? un altro re dei Giudei? E non sono io, io solo il re dei Giudei e dopo di me i miei figli? E un nuovo Re annunziato dai Profeti? E il Sacerdozio e il popolo l’aspettano? E se ne conosce il luogo? E il cielo l’annunzia con segni miracolosi? E sotto a’ miei occhi si cerca di lui? E vengono da lontani paesi per ossequiarlo? E lo si dice a me, quasi non fossi io il re dei Giudei? Se si agitano i lontani, che vorrà essere dei vicini? Questo bambino, che dicesi nato a Betlemme, può essere pretesto a tumulti, a rivolte: il popolo è sì mobile, sì superstizioso! Non c’è tempo da perdere: bisogna spegnere la prima scintilla che può divampare in incendio: bisogna tagliare subito la radice del male. Un bambino più o meno che monta! La sicurezza del trono, la tranquillità pubblica, la ragione di Stato lo esigono. Olà, soldati, a Betlemme: senza pietà uccidete, scannate tutti i bambini al di sotto dei due anni nella città e luoghi vicini -. E l’orrido comando era eseguito. Ma il divino Infante è sottratto alla strage. Come? forse con un miracolo della onnipotenza divina? Forse Iddio manda una legione di Angeli a circondare l’asilo del Figliuolo suo? Forse arma di fulmini la destra e incenerisce Erode e i suoi sicarii? Usa forse d’uno di quei mezzi strepitosi, dei quali son piene le storie dell’antico Patto? No, fratelli miei; molte volte Cristo fu cercato a morte dai suoi nemici prima dell’ora per Lui stabilita; mandò a vuoto i loro disegni in varie guise, ma non ricorse mai alle manifestazioni strepitose della sua onnipotenza; preferì la fuga. Fa conoscere al suo custode l’imminente pericolo; per opera di lui con pochi passi muta luogo, mette fra sé ed Erode un lembo di terra: il persecutore è reso impotente e Gesù è salvo. Noi forse avremmo amato ch’Egli fin dalla culla, con uno di quei lampi della sua infinita potenza che gli erano sì facili, sfolgorasse i suoi nemici e mostrasse tosto al mondo chi Egli era: non lo volle, né valeva a pena. E proprio della sua sapienza fare le grandi cose coi mezzi minimi. È la storia della Chiesa dei primi tre secoli, e che poi a vari intervalli di tempo e di spazio, continua fino a noi e continuerà fino al termine dei tempi; giacche la vita della Chiesa non è che la continuazione della vita di Cristo. Essa nasceva nel Cenacolo, vagiva ancora nella culla, giaceva sulla paglia, povera come il suo Fondatore, indifesa, e coloro che avevano confìtto alla croce Gesù Cristo, che avevano ancora le mani calde del sangue di Lui, Pontefici, Scribi, Farisei, turbe aizzate dal fanatismo, il figlio di Erode, degno del padre, i successori di Pilato, armati della legge, si gettano sopra di essa per trucidarla. Il sangue di Stefano, di Giacomo e di mille altri scorre per le contrade della Giudea: chi difenderà questo piccolo greggia di Cristo? Chi salverà questa agnella del divino Pastore, caduta, sotto le zanne di tanti lupi rapaci? Essa non ha altre armi, che quelle datele dal suo Fondatore: fuggire, soffrire, pregare, tener salda la fede, confessarla coraggiosamente e morire per essa. E così Essa fece! Il sangue de’ martiri è seme di Cristiani; l’albero reciso per uno mette dieci, venti vigorosi germogli. Viventi ancora gli Apostoli, la Chiesa porta dovunque le sue tende; se Erode costringe il divino Infante a correre le vie dell’esilio e a portare la luce della verità in Egitto, terra di incirconcisi, il figlio di lui e la Sinagoga forzano gli Apostoli ad annunziare il Vangelo ai gentili, ad allargare la Chiesa in Oriente e ad Occidente e noi la vediamo in pochi anni stabilita in Alessandria, a Corinto, Efeso, Tessalonica, Soma, in Spagna e pressoché in tutto il mondo allora conosciuto. Allora contro questa Chiesa, bambina, sì debole, priva di tutto, ricca solo di fede e di coraggio, si leva il gigante dell’Impero Romano; egli ha pronte a’ suoi cenni quelle legioni, che corsero vincitrici e trionfanti il mondo: ha con sé le glorie del passato, il prestigio dell’antichità, della scienza, delle arti, delle lettere, la sapienza e la forza del codice, tutto. Il mondo non vide e forse non vedrà mai tanta potenza e tanta gloria, riunite in un impero, anzi nelle mani d’un solo uomo, arbitro dell’Impero. Ebbene: questo uomo, questo imperatore, in cui si incarna tutta la potenza della terra, che stende le sue mani di ferro, dall’Eufrate al Tago, dalla Mosa al Nilo, per tre secoli quasi continui si getta sulla Chiesa: col ferro, col fuoco, con la scienza, con tutti i mezzi, che sono in suo potere, la ferisce, la lacera, la squarcia con un furore, con una rabbia che non ebbe, né avrà mai l’uguale. Essa non ricorre una sola volta alle armi per difendersi: la sua forza sempre e tutta è nel patire e morire. Dei due chi vinse? Vinse il debole, l’inerme; vinse quella Chiesa che ogni giorno saliva il patibolo e soggiacque il gigante armato: vinse la vittima e soggiacque il carnefice. – Non basta: la gran lotta, cominciata in Giudea, allargatasi in tutta l’ampiezza del Romano Impero, che sembrava chiusa per sempre allorché la Croce comparve scintillante sulla corona di Costantino, rinacque qua e là e talvolta più feroce dell’antica; rinacque con Maometto, che dal mezzogiorno versò sul mondo Cristiano le sue orde sterminate, quasi fiume di lava ardente e distruggitrice: rinacque con le immani incursioni dei barbari, che dal settentrione, quasi onde accavallatesi le une sulle altre, copersero tutte le regioni che la Chiesa aveva appena conquistate; rinacque più tardi nel Medio Evo, allorché imperatori e re, che la Chiesa aveva nutriti e cullati sulle sue ginocchia, volsero contro di lei l’armi matricide; rinacque nel secolo XVI, allorché principi e popoli si levarono a rivolta, posero a soqquadro quasi tutta l’Europa settentrionale e apersero nei fianchi della Chiesa sì larghe e profonde ferite, che tre secoli e mezzo non hanno ancora chiuso. Rinacque sullo spirare del secolo passato, allorché sulla primogenita della Chiesa scoppiò quel nembo procelloso, che tutta l’avvolse, che disertò i campi dianzi sì ricchi, la coperse di rovine. E ai nostri giorni, i venti che soffiano da Oriente e da Mezzogiorno non fanno giungere troppo spesso alle nostre orecchie atterrite i gemiti e le grida strazianti dei fratelli nostri, che la barbarie pagana massacra in Cina, in Corea, al Tonchino e sulle rive dei grandi laghi dell’Africa Centrale? Oh! il sangue della Chiesa di Cristo scorre in tutti i secoli e alla sua corona non vengono meno giammai le rose del martirio, e se fosse raccolto insieme vi navigherebbe sopra una flotta. Non vi è terra sì inospite, non angolo sì remoto, che in un secolo o in un altro, non abbia bevuto il sangue dei suoi figli, vittime volontarie della fede e della carità. E nella formidabile e sì diuturna e sì vasta lotta tra la Chiesa sì debole ed inerme e i suoi nemici sì numerosi, si possenti e sì crudeli, da qual parte sta la vittoria? Scorrete con lo sguardo della memoria il passato: voi vedrete lungo la via percorsa dalla Chiesa le tombe e gli ossami de’ suoi nemici, dei quali non resta che il nome, e la Chiesa vi sta dinanzi ritta, piena di cicatrici, sì, ma anche di vita. Come Gesù sfuggì agli artigli di Erode e de’ suoi consiglieri, così la Chiesa uscì salva dalle mani dei mille e mille nemici e carnefici, che l’inferno lanciò sopra di essa. Essa adunque vinse la prima prova, la prova della forza materiale; la prova del ferro e del sangue, nella quale, secondo i calcoli della umana sapienza, doveva inesorabilmente soccombere: chi doveva vincere fu vinto, e chi doveva esser vinto rimase vincitore: le parti sono invertite contro tutte le leggi dell’umana ragione; è dunque l’opera, non degli uomini, ma di Dio e chi noi vede fa oltraggio alla ragione. – Lo so, si disse e si dice dagli uomini della scienza: La Chiesa debole e inerme vinse i nemici potenti ed armati: la vittoria della Chiesa è il risultato naturale delle cose: così e non altrimenti doveva essere. – E perché, o uomini della scienza? – Perché la persecuzione crea la reazione e la reazione dà la sconfitta ai persecutori e la vittoria ai perseguitati -. Stupendo ragionamento! Allorché voi volete che una pianta cresca rigogliosa, sfrondatela, tagliate i suoi rami, incidetela, fatene il peggior scempio. – Quando volete che un fanciullo cresca sano e robusto, non solo dategli scarso l’alimento e rifiutategli il riposo, ma battetelo, flagellatelo, feritelo, straziatelo. Quando volete che una società prosperi e grandeggi e voi opprimetela, tiranneggiatela, sterminatela.- La Chiesa si propagò e crebbe perché spietatamente perseguitata!- Se fosse stata, nei primi secoli specialmente, onorata, protetta, colmata di favori e di ricchezze, come fu più tardi, che avreste voi detto? Che doveva il suo trionfo alla forza, ai favori, alle protezioni, ai mezzi umani. Non ebbe tutto questo, anzi ebbe il rovescio di tutto questo, l’odio, le persecuzioni più implacabili; ed ecco gli uomini della scienza invertire il ragionamento e dirci: – E appunto a codeste persecuzioni che la Chiesa va debitrice naturalmente del suo finale trionfo (Non nego che talvolta la persecuzione produce la reazione e per conseguenza l’effetto contrario, come il vento, che invece di spegnere il fuoco lo fa maggiormente divampare. Ma quando? Quando la persecuzione è fiacca, ristretta per ragione del tempo e dello spazio e per altri rispetti tale, che sia impotente a soffocare le forze dei perseguitati; ma certo non erano tali le persecuzioni di cui fu bersaglio la Chiesa. Considerate le forze dell’una e dell’altra parte, un uomo che ragiona deve conchiudere che la Chiesa doveva perire e se non perì fu per opera sovrumana). – Lasciamoli e passiamo al secondo periodo della Chiesa. – Erode voleva la morte del divino Infante e i suoi sicari correvano per le vie di Betlemme e dei villaggi vicini, uccidendo barbaramente tutti i bambini al disotto dei due anni, sicuri di involgere in quell’orribile macello il paventato Re de’ Giudei. I Magi, sapienti o principi che fossero, venuti dall’Oriente a Betlemme, lo riconoscono, lo adorano, gli offrono oro, incenso e mirra. Erode rappresenta i nemici, i persecutori implacabili della Chiesa, i Magi raffigurano i figli devoti che la difendono e la colmano di onori e di ricchezze: prova pur questa non meno pericolosa di quella. La Chiesa tutta sanguinolenta uscì dalle Catacombe: vincitrice del paganesimo e dei barbari si assise regina sul trono dei Cesari: vide principi e popoli caderle dinanzi devoti e riverenti. Grati dei benefìci ricevuti, nella speranza di riceverne altri, pieni di fede, principi e popoli a gara le offersero oro ed incenso, ricchezze ed onori, immunità e privilegi senza numero, possessi amplissimi, giurisdizioni quasi assolute, feudi ricchissimi, i sommi uffici delle corti regie e imperiali, stabilmente affidati ai membri della Gerarchia ecclesiastica mutarono profondamente le condizioni della Chiesa: gli Abati dei monasteri e i Vescovi parvero tramutati in principi e re: il Capo della Chiesa, il Sommo Pontefice, alla mitra aggiunse la corona e al pastorale la spada, divenne l’arbitro dei re, il consacratore degli Imperatori, e la debolezza e la povertà apostolica si videro nel volgere di pochi secoli trasformate in potenza e ricchezza quasi incredibili. Era un bene? Senza dubbio era un bene per i popoli e per i principi: era un tributo volontario della fede e della pietà verso Cristo e la sua Chiesa. Dov’è il credente, che non vorrebbe rendere a Cristo tutti gli onori possibili e offrirgli tutti i tesori della terra se fosse in suo potere? Ora Cristo vive, opera e governa nel Pontefice e nella Chiesa: è dunque naturale nei credenti il sentimento che li porta a rendere al Pontefice e alla Chiesa tutti gli omaggi possibili, a deporre nelle loro mani tesori e poteri, a collocare quello e questa al di sopra d’ogni autorità e d’ogni cosa, primi dopo Dio. E la fede che così vuole. Ma se gli onori, la potenza e le ricchezze sono un pericolo e una seduzione per tutti gli uomini, come la ragione dimostra e come insegna il Vangelo, lo devono essere e maggiormente per gli uomini di Chiesa. Dovrebbe Iddio fare un miracolo per affrancarneli? E a questo pericolo e a questa terribile seduzione fu sottoposta la Chiesa per un periodo assai lungo. Fratelli miei! La storia è inesorabile e tolga Iddio, ch’io ne alteri pure una riga, e noi, discepoli di Lui che si disse la verità « Ego sum veritas » la diremo tutta intera, senza reticenze, perché è la verità e la sola verità che ci fa liberi e ci salva. Fanno oltraggio al Vangelo coloro che per timore e per non so quale umana prudenza la nascondono. Lo Spirito Santo nei Libri Sacri narra a tutti e per tutti i secoli, senza una parola di scusa o di difesa, i delitti di Davide, l’ignoranza e la debolezza degli Apostoli, il tradimento di Giuda, la caduta e gli spergiuri di Pietro: perché, quando è necessario, dissimuleremo noi i mali che avvennero e avvengono nella Chiesa? Diciamo adunque, che se il ferro degli Erodi e dei persecutori della Chiesa le fecero versare lagrime amare e la copersero di sangue, gli onori e le ricchezze la fecero vestire a lutto e la imbrattarono di polvere e talvolta di fango. Per mostrarvelo non avrei che a riportare alcune pagine desolate di S. Pier Damiani, di S. Bernardo e d’altri Santi: non avrei che a ripetervi il grido affannoso del grande Ildebrando, l’uomo prodigioso mandato da Dio per rialzare la sua Chiesa (S. Gregorio VII): « Guardo ad Oriente, guardo ad Occidente, guardo a Settentrione, guardo a Mezzogiorno e non trovo un Vescovo che governi la Chiesa per amor di Dio! » Quanti scandali nei monasteri, nel clero, nei Vescovi! Ricchi e potenti, lasciarono la cattedra e l’altare per seguire i principi alle caccie e alla guerra! Immersi negli affari temporali, dimenticavano gli spirituali: vivendo alle corti, nel lusso e negli agi del secolo, pareva non sapessero d’avere una Chiesa che languiva nella povertà e nell’abbandono del proprio pastore. La marea della corruzione, figlia dell’ignoranza, degli agi, della mollezza e soprattutto della ricchezza, saliva, saliva in alto e talvolta parve avvolgere nei suoi flutti torbidi e vorticosi la stessa sede di Pietro, da cui solo poteva venire la salute. Che tempi nefasti furono quelli per la Chiesa di Cristo! Fu miracolo che non fosse travolta da quella fiumana e scomparisse dalla terra. Chi conosce la storia della Chiesa dal sesto al decimosesto secolo e specialmente del nono, del decimo e decimo primo, converrà ch’io non esagero. E non è tutto: il principe delle tenebre osò dire a Cristo stesso: – Io ti darò tutti i regni della terra, se, piegando il ginocchio a terra, mi adorerai. I re e gli imperatori della terra, non rare volte, ancorché Cristiani e Cattolici, osarono dire ai Vescovi, successori degli Apostoli, e agli stessi Pontefici, successori di Pietro : – Se voi farete ogni nostro desiderio, se ci venderete la vostra libertà, noi ve la pagheremo largamente: saremo i vostri difensori a patto che siate i nostri servi; non vi domanderemo che il sacrificio di qualche parola del Simbolo, di qualche parte del Decalogo: non saremo soverchiamente esigenti. Se farete il voler nostro, raddoppieremo i vostri onori e le vostre ricchezze e la vostra potenza: se ricuserete, vi leveremo anche ciò che avete -. E ciò che dissero e fecero la maggior parte dei re ed Imperatori fino a nostri tempi: basti ricordare Enrico IV, V e VI, Federico I e II, Filippo il Bello e Filippo Augusto, Enrico VIII, per tacere d’altri. È il periodo di protezione interessata, che troppo spesso si riduceva in signoria reale da parte del potere laico ed in servitù vergognosa da parte della Chiesa. Ohimè! quanti dolori e quante angosce! Quanti danni e quante umiliazioni costarono alla Chiesa queste protezioni dei re della terra! A qual caro prezzo dovette quasi sempre pagarle! Erano re e Imperatori che, professandosi figli rispettosi, si inchinavano dinanzi alla Madre, mentre si ingegnavano di stringerle i polsi con catene d’oro! Che, baciando i piedi al Vicario di Cristo, lo volevano complice de’ loro delitti ed errori, e non si peritavano all’uopo di mormorargli all’orecchio parole di minaccia! E resistere e respingere un potente che a mano armata scopertamente vi assale, è difficile; ma assai più difficile torna resistere e respingere le preghiere e le umili domande di chi si dice vostro amico e vostro figlio e vi tradisce. Quand’io considero le due prove della Chiesa, la prova del ferro e quella dell’oro: la prova delle persecuzioni e del sangue e la prova dei favori e delle protezioni e le confronto tra di loro, esclamo: – Entrambe sono terribili; ma la seconda è più terribile della prima, perché più insidiosa -. E la storia è là a dimostrarlo a luce meridiana. Ed anche questa prova vinse la Chiesa, spezzò le catene d’oro che le si volevano porre, gettò lungi da sé la porpora reale ed imperiale, onde la volevano coprire protettori sospetti, malfidi, pronti sempre a trasformarsi in oppressori. – Nessuna cosa è più cara a Dio della libertà della sua Chiesa, scrisse S. Anselmo, e questa sopra tutto Essa ama e vuole; è la sua vita e la sua forza e questa serbò di fronte agli incomodi suoi tutori, lasciando talora nelle loro mani stracciato il suo manto, come il casto giovane ebreo lasciò il suo nelle mani della ribalda moglie di Putifarre anziché fornicare con essa. Questo secondo periodo di protezione pericolosa va scomparendo pressoché dovunque per dar luogo al terzo, nel quale alcuni Stati sono entrati ed altri ben presto li seguiranno. I Magi, che vanno a Betlemme per adorare Gesù Cristo e offrirgli oro e incenso, trovano pochissimi imitatori tra i principi e i governi Cristiani. Essi amano meglio imitare il Sinedrio di Gerusalemme, raccolto da Erode, che sapeva dov’era Cristo e additò il luogo ai Magi, ma non fece un passo per andare a Lui, non un atto solo per riconoscere in Lui il suo Salvatore. La Società attuale va scrivendo sulla sua bandiera questa formula: – Separazione dello Stato dalla Chiesa -, della quale ben pochi comprendono il significato. Con questa formula la Società proclama la sua perfetta indifferenza in religione, e in sostanza dice: – La Società, come Società, lo Stato come Stato, non ho, non voglio, non debbo avere religione alcuna e perciò non debbo schierarmi né prò, né contro qualsiasi chiesa. Non è affare che mi riguardi. Io non la condanno, né la approvo, non la combatto, non la difendo, non la giudico nemmeno, né posso giudicarla. Lo Stato, come Stato, prescindo da qualunque religione e perciò faccio le mie leggi, che regolano l’istruzione pubblica, l’esercito, la magistratura, la beneficenza, l’amministrazione, i rapporti tra i cittadini d’ogni classe, come se non vi fosse religione alcuna. Questa è affare di coscienza, affatto interno, di cui ciascuno è giudice per conto proprio. Sono Cattolici? Sono mussulmani? Sono israeliti? Sono buddisti? Sono protestanti? Sono bramini? Sono atei? A me non importa e non me ne curo. Rispetto tutti: voglio la libertà per tutti; per me sono tutti eguali, sono tutti cittadini, e non altro che cittadini. Io accordo a tutti gli stessi diritti, la stessa eguaglianza, che già domandavano Tertulliano e S. Giustino. Ecco che cosa intendo per separazione dello Stato dalla Chiesa -. Primieramente ci sia lecito domandare ai fautori di questa libertà ed uguaglianza perfetta d’ogni religione, di questa parità assoluta d’ogni culto in faccia alla legge: la si osserva lealmente? Nella scuola vi era un Crocefisso, v’era l’immagine della Madre di Dio e quanti erano Cristiani Cattolici ve le volevano: è forse per ossequio alla piena libertà per tutti, che l’avete tolta? Si cominciava la scuola con la preghiera; voi l’avete soppressa. Vi si insegnava il Catechismo; voi ne l’avete sbandito. Vi si poteva pronunciare il nome di Dio; ora in molte scuole è vietato l’uso di questa voce benedetta; dite: è questa la libertà e parità d’ogni religione? Si solevano fare solenni processioni e si poteva pregare per le pubbliche vie; ora in molti luoghi è interdetto. È sacra la libertà della Chiesa di eleggere i suoi ministri; perché dunque voi, che non volete occuparvi di Religione, fate indagini se siano atti a predicare e compire gli uffici del ministero e li sottoponete alla vostra approvazione? È questa la separazione dello Stato dalla Chiesa? Perché escludere dalla pubblica beneficenza, da quasi tutti gli uffici civili, i ministri del culto, se per voi non vi sono ministri del culto, ma soli cittadini? A noi torna impossibile comporre siffatta condotta con la vantata libertà di tutte le religioni, con la teoria della separazione dello Stato dalla Chiesa. Conosciamo gli argomenti coi quali si studia di puntellare questa teoria. Un giorno ragionavo con un uomo di Stato, anima retta, modello di onestà, carattere nobilissimo, intelligenza pronta ed acuta, sostenitore convinto di questa teoria e credente Cattolico. – Noi, diceva egli con l’accento della più sincera persuasione, vogliamo la separazione della Chiesa dallo Stato. – Voi dunque, gli risposi, volete lo Stato senza alcuna religione, in altri termini, volete lo Stato, ossia la legge senza Dio, ateo. – Sì, lo stato ateo, la legge atea: ecco il nostro ideale! – Ma allora, dissi, dovreste avere e volere ateo, anche il paese. – No; io – soggiunse – non avrei lagrime bastevoli per deplorare la sventura del nostro popolo divenuto ateo. – Sta bene: ma come dare una legge atea ad un popolo non ateo? Un governo ateo al capo d’un paese non ateo? Non è possibile. – Io voglio ateo il governo e atea la legge perché sia rispettata la libertà e la religione di ciascuno. – Ma come volete – ripigliai – che un governo e una legge che non riconoscono religione alcuna e che per conseguenza tutte le disconoscono, possano poi rispettarle e farle rispettar tutte? – Così è, rispose; quelli che governano, ciascuno come cittadino privato, possono osservare quella religione che credono meglio; come uomini di governo, come uomini pubblici, non ne devono avere alcuna. – Ditemi: per voi l’ateismo è assurdo? – Ed egli: assurdissimo. – Ed io: e con un principio assurdissimo volete reggere uno Stato? Il massimo degli errori, qual è l’ateismo, può mai diventare la base dell’ordine, della giustizia, della sana politica? – Mi guardava e taceva. Ed io continuavo: L’individuo è egli tenuto moralmente di essere soggetto a Dio, di ubbidirgli e praticare la Religione che crede e sa venire da Lui? – E chi ne può dubitare? fu la sua risposta. – E perché, soggiunsi, non sarà tenuto a tutto questo l’individuo collettivo, cioè la Società e il governo, quale che sia la sua forma che la rappresenta e la regge? – Ed egli: L’individuo, sì; la società e il suo governo, no! Perché in tal caso il governo dovrebbe imporre la Religione anche a chi non la vuole e andremmo diritti alla Inquisizione. – Ed io: No, non si va alla Inquisizione, perché il governo, professando esso la Religione, non può, non deve imporla mai a chicchessia con la forza. – Ed egli: Se lo stato e il governo, come stato e governo riconoscono e professano la Religione, la devono imporre, e mettere fuori della legge chi non la crede e non la osserva. – Ed io: Non mai; la riconosca, la professi, la difenda nella misura della prudenza e delle sue forze, ma non costringa un solo cittadino a fare atto di ipocrisia. – Ed egli: i diritti religiosi dei cittadini sfuggono all’azione dello Stato; esso non deve immischiarsene; se lo fa, esce dal suo campo. – Ed io: Se questi diritti rimanessero chiusi nel santuario del pensiero, della volontà e della coscienza, direste bene; ma essi naturalmente si svolgono negli atti esterni della Gerarchia e della professione, del culto, delle leggi religiose in mille modi. E se voi, uomini del governo, avete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti di proprietario, di padre, di figlio, di cittadino, perché non avrete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti religiosi, che mi sono più cari dei civili? Perché mi assicurate questi e non volete occuparvi di quelli? – Ed egli: perché i diritti civili spettano a noi; i religiosi spettano ad un’altra autorità; essa vi provveda! – Ed io: Ma questa autorità divina e religiosa sta sopra voi pure, perché Dio sta sopra noi tutti; se dunque vi impone di riconoscere e difendere questi diritti, come potrete voi rifiutarvi? Se la Religione è vera e d’un interesse sovrumano e comune, come potrete passarvene col dire: non ce ne curiamo? È dovere di tutti difendere nei modi possibili e convenienti la verità. – Negli uomini di Stato vi sono due persone, il cittadino magistrato od uomo pubblico, e il Cristiano, se sono Cristiani: il Cristiano è in Chiesa e, se gli pare, negli atti della vita privata: nel cittadino magistrato od uomo pubblico non c’è che l’uomo di Stato, come nel giudice cessa il padre, il marito, l’ingegnere, il ricco e via dicendo, e non esiste che il giudice. – Ed io: Che gli uomini di Stato vestano doppia persona, lo concedo; che siano distinte le due qualità, è vero, è giusto; ma che siano separate e l’una possa operare contrariamente all’altra, non mai. L’uomo è sempre un solo e i suoi doveri e diritti devono armonizzarsi, non opporsi. L’uomo sui seggi del potere non è più soggetto a Dio? Là cessa forse di essere Cristiano? Entrando nell’aula dei legislatori può egli pigliare la sua coscienza e appenderla sulle pareti dell’atrio per ripigliarla uscendo e riportarla in casa e in Chiesa? La verità è sempre verità, in casa, sulla via, in piazza, nel Parlamento, in Chiesa, dovunque e non è mai lecito rinnegarla od offenderla in qualsiasi luogo e tempo. Non dividiamo ciò che è essenzialmente uno: l’uomo ed il Cristiano. Non potremo mai separarlo in due per darne la metà a Dio e l’altra metà al mondo, per mandarne una metà in cielo e l’altra metà gettarla nell’inferno. Tutto l’essere nostro viene da Dio e a Dio tutto e sempre deve servire. Sono verità d’una evidenza matematica –. Il mio nobile interlocutore sorrise e pose fine alla conversazione, separandoci più amici di prima. Parmi di avere messo in luce abbastanza chiara la contraddizione del principio oggidì in voga della separazione dello Stato dalla Chiesa. Esso ha già fatto in alcuni Stati le sue prove e sono riuscite infelici e giova credere che molti dalla rea natura dei frutti conosceranno la rea natura dell’albero che li produce. – Là dove se ne fece la esperienza la Chiesa non ebbe a soccombere, anzi se ne trovò men male che là dove in compenso d’una protezione accordata ad oncia ad oncia le si chiedeva il sacrificio d’una parte della sua libertà. Se non che per molti e chiari indizi si fa manifesto che il principio della separazione dello Stato dalla Chiesa va guadagnando terreno e secondo ogni verosimiglianza in un tempo forse non lontano sarà universalmente attivato nelle nostre Società informate alla moderna libertà. Il grido, che ci si fa udire qua e là in alto e in basso, dagli uomini della politica e dagli agitatori della moltitudine: “Noi non abbiamo a che fare con la Chiesa; la società civile deve essere puramente laica; noi pensiamo a noi, e la Chiesa pensi a sé; non persecuzioni, non protezioni per qualsiasi religione, ma libertà per tutte; noi faremo da noi e la Chiesa faccia da sé”. – Questo grido diventerà universale e diventerà la parola d’ordine del secolo futuro. Sarà una prova novella per la Chiesa e una solenne ingiustizia della Società moderna. Questa società, nata e cresciuta all’ombra della Chiesa, fatta grande dal soffio divino del Vangelo, aveva l’obbligo d’essere grata alla Chiesa, d’essere la proteggitrice e propagatrice del Vangelo; questa società, che ha conosciuta e proclamata da tanti secoli divina la Religione Cristiana e la Chiesa, che la concreta in sé, aveva il dovere di farsene la discepola fedele, la figlia amorevole e per conseguenza la difenditrice risoluta nel limite voluto dai tempi e dalle condizioni speciali della società stessa. Oggi non vuole più essa adempire i suoi doveri di gratitudine e di giustizia? Ora ai suoi occhi si devono pareggiare l’errore e la verità, il Cattolicismo, il protestantismo, il mussulmanismo, tutte le religioni? Per questa Società alla Madre antica, la Chiesa Cattolica, è fatta la stessa condizione che alle usurpatrici dei suoi titoli e al suo diritto di Sposa unica di Cristo? È una offesa atroce, una umiliazione senza nome per una madre l’essere disconosciuta dai suoi figli; ma Essa, fidente nel suo diritto e nella sua forza divina, entrerà animosa nel nuovo campo che le si apre dinanzi. Vinse i nemici armati a suoi danni; vinse i protettori, congiunti a farla schiava; più facilmente vincerà quelli che professano di non volerla aiutare e nemmeno combattere, gli uomini della sistematica indifferenza. – Anzi dalla nuova condizione di cose, che le si apparecchiano, la Chiesa troverà non lievi vantaggi: Ella mostrerà una volta di più al mondo che la sua origine e conservazione, non viene dalle forze umane che le sono sottratte, ma dall’alto, da Dio stesso. Più: Essa sapendo di non poter contare sulle forze degli nomini, sugli aiuti delle leggi e dei governi della terra, domanderà alla scienza, alla virtù, alla santità, alla propria energia, quei presidii terreni che le vengono meno, e non dubitate, la perdita si muterà in guadagno. Una cosa sola la Chiesa domanda ed esige dai principi, dalle repubbliche e dai governi, che vogliono fare pieno divorzio da Lei e levano alta la bandiera, su cui sta scritto: – Separazione dello stato dalla Chiesa; libertà eguale per tutti – ed è, che questa separazione dello stato dalla Chiesa sia sincera e franca e non si risolva nell’assorbimento di questa nello stato; che la libertà eguale per tutti sia vera, stabile, leale, amplissima, in casa, nella scuola, sulla piazza, nel tempio, fuori del tempio, negli uffici privati e pubblici, dalla culla al cimitero. Ritirate pure, o legislatori, i vostri privilegi e la vostra protezione, dalla quale spesso sentimmo più che i benefici, i danni e gli incomodi; protezione che talora ci rendeva quasi solidali dei vostri errori e delle vostre colpe; lasciateci la libertà comune, quella che Giustino, Tertulliano e i primi Apologisti chiedevano agli Imperatori pagani. La Chiesa non ha paura della libertà vera, ma solo della schiavitù, perché sa che nelle lotte tra la verità e l’errore, quella è facilmente vincitrice, se questo non trovi l’alleanza della forza. Lo vinse alleato alle maggiori forze della terra; come non lo vincerebbe abbandonato a se stesso? Se un giorno (e forse può essere vicino), se un giorno, voi, reggitori di popoli, [oggi tutti, “TUTTI”, adoratori prostrati alle logge massonico-giudaiche -ndr. -], dopo aver compiuto il vostro divorzio dalla Chiesa, atterriti dalle procelle, che rumoreggiano sul vostro capo, che minacciano di sommergere la vostra nave, giuoco dei flutti, chiederete l’opera della Chiesa, fin d’ora Essa vi dice che potete contare sopra di lei; Essa, obliando il divorzio invocato e consumato, volerà al vostro soccorso. V’era una madre: aveva un figlio: lo aveva nutrito del suo latte, istruito sulle sue ginocchia, accarezzato, coperto di baci: lo amava senza misura: crebbe il figlio, bello, robusto, pieno d’ingegno, divenne ricco, potente, era l’orgoglio legittimo della madre, che lo seguiva dovunque con l’occhio e più col cuore. Ma il figlio, fatto adulto, pervenuto al pieno sviluppo delle sue forze, si inorgoglì, aperse il cuore ad amori colpevoli, amici corrotti lo allontanarono dalla madre, la cui presenza suonava rimprovero e le cui parole di consiglio, di preghiera, di ammonimento svegliavano rimorso e spargevano di assenzio i mal gustati piaceri. Un giorno, stanco della presenza e delle affettuose correzioni della madre, la cacciò, le volse le spalle, le disse ingiurie e non la volle più vedere. Continuò la mala via: diede fondo al ricco patrimonio, fu abbandonato dagli amici seduttori e complici delle sue tresche e si vide ridotto sopra un miserabile giaciglio. La madre lo seppe, dimenticò tutto, corse presso il figlio, lo curò, lo guarì, lo rivesti, gli rifece il patrimonio dissipato. Fratelli carissimi! In questo figlio, simile in tutto al prodigo figliuolo, voi vedete raffigurato lo stato moderno: in questa madre, piena d’amore, voi vedete adombrata la Chiesa. La prima parte della storia è ornai al suo termine: i nostri figli e nipoti vedranno compiersi la seconda.

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster: [Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore:

Communio
Matt II: 2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

 

LO SCUDO DELLA FEDE (XLIV)

 

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XLIV.

IL SOCIALISMO. (1)

Il socialismo come la massoneria fa guerra alla Chiesa di Gesti Cristo. — Una esecranda bestemmia. — Mire sataniche del socialismo. — Calunnie e violenze di cui si serve. — Quale dovrebbe essere l’azione dei governi contro il socialismo che offende la religione. — Il gran rimedio del Vangelo e consigli pratici.

(1) Oggi il socialismo sembra estinto, come il comunismo, suo sottoprodotto. Si tratta in realtà di un lupo che perde il pelo, di una serpe che cambia pelle, ed infatti oggi è diventato il “Mondialismo democratico”, il “Nuovo Ordine Mondiale” riversato in una serie di partiti e di “movimenti” ideologici solo apparentemente diversi, onde alimentare l’illusione democratica e progressista, ma gli scopi veri del lupo travestito, della serpe velenosa con la pelle nuova, sono sempre identici nella sostanza, diversi negli accidenti e nelle maschere di cui si adorna per ingannare gli sciocchi presuntuosi ed i non pensanti. Oggi poi il c. d. “Nuovo Ordine” ha invaso pure la Chiesa, cacciandola dai sacri palazzi, e sostituendola con una sinagoga satanica, la chiesa dell’uomo, ivi insediata dal 29 giugno del 1963 in una doppia messa nera con l’intronizzazione di satana nella Cappella Palatina in Vaticano. [ndr.]

— Il socialismo adunque viene dalla massoneria?

Sì, ancorché il socialismo rinneghi oggidì colei che l’ha generato, nondimeno esso è massimamente l’opera della setta, e ad ogni modo sul terreno dei principii avversi alla Chiesa di Gesù Cristo, e delle relative conseguenze vanno completamente d’accordo. La massoneria, ha scritto ultimamente un ottimo periodico, è verissimo, quanto alla sua costituzione meccanica, è sempre stata essenzialmente borghese e monetaria, ed ha da sé respinto i meno abbienti: il socialismo invece fa pompa teatrale di sostenere gl’interessi dei diseredati. Quindi quanto all’effetto scenico, socialisti e massoni sarebbero in opposizione. Ma è tutta roba di apparenza. Massoni e socialisti non hanno che un duplice intento, vero e reale, perfettamente comune alle due sette: impinguare le borse proprie, allo scopo di godere il più che si possa dei beni di questo mondo; far guerra accanita alla Chiesa di Dio, che mette un ostacolo all’immorale godimento dei beni di quaggiù. In questo programma che è l’essenza delle due sètte, esse son perfettissimamente concordi. È inutile quindi che essi si sbraccino a protestare che fra di loro passa grande diversità. Questa sarà vera, quanto ad accidentalità minute, ma non è vera se si riguarda il vero e primo scopo, a cui da una parte e dall’altra si mira. Uno degli scopi, cioè il « prendiamo quanto si può » non si enuncerà mai alla sfacciata, contenti di metterlo in opera; quanto invece alla guerra alla Chiesa, il grido di: Ecco il nemico! li accoglierà tutti sotto le stesse tende!

— Eppure io ho inteso dire che il socialismo non impedisce di essere Cattolico ed anche buon Cattolico.

Così davano ed intendere da principio i caporioni dei socialisti, specie ai semplicioni, per potere più facilmente tirarli dalla loro, ma oggidì è ornai a tutti palese che il socialismo, come la massoneria, odia Iddio, la Chiesa, i preti e tuttociò che appartiene alla Religione di Gesù Cristo.

— Ma pure si dice persino che Gesù Cristo sia stato Egli il primo socialista!

Così purtroppo si è detto e stampato con esecranda bestemmia. Ma se vi è cosa che sia apertamente condannata dal Vangelo di Gesù Cristo, dai suoi insegnamenti e dai suoi esempi, non è forse il socialismo? Gesù Cristo non è Egli tutto nel raccomandare e praticare la giustizia, la carità, la fraternità, il rispetto vicendevole, l’amore al lavoro, la rassegnazione nel proprio stato, il distacco dai beni terreni, tutto ciò insomma che il socialismo apertamente avversa? Gesù Cristo socialista!! Vedi, a quali insensate e orribili calunnie si appigliano i ministri di satana, pur di riuscire ad ingannare il popolo e a trascinarlo alla rovina, allontanandolo da Dio e dalla sua Chiesa!

— Ma il socialismo non mira soltanto a far scomparire questa immensa disuguaglianza sociale che regna nel mondo?

Anche allora che mirasse solo a questo scopo, come vi mira realmente il Cristianesimo, per non essere malvagio dovrebbe valersi dei giusti mezzi, di cui appunto il Cristianesimo si vale, e non già dei disordini, delle rivolte, delle manomissioni dell’altrui proprietà, dell’odio e dell’avversione ai ricchi, della resistenza alla legittima autorità, eccetera. Ma poi non è manifesto altresì che il socialismo mira direttamente a far scomparire, se fosse possibile, Dio, Gesù Cristo e la sua santissima Religione dalla faccia della terra? Ascolta alcune sue asserzioni e alcuni suoi propositi, dichiarati pubblicamente nei congressi e su pei giornali. « Dio è il nemico, Dio è la menzogna, Dio è la pietra angolare della ciarlataneria religiosa, inventata da quei mostruosi vampiri, che si chiamano preti. — La morale evangelica è falsa, dannosa, depravatrice delle anime. La religione dev’essere abolita. Il solo culto deve essere quello dell’ateismo. Il paradiso noi non lo vogliamo: vogliamo l’inferno con tutte le voluttà che lo precedono; il paradiso dell’altro mondo lo lasciamo al Dio de papisti e dei suoi infami beati. — Bisogna distruggere con accanimento la Chiesa, e i confessionali, che sono i macelli delle intelligenze. Sarà per noi giorno di trionfo e di festa quello, in cui avremo il piacere di contemplare le agonie dei preti; per questo piacere noi venderemo volentieri il nostro posto in cielo ». Che ti pare di questo piccolo saggio!

— Mi pare che il diavolo in persona non potrebbe parlare peggio.

A queste orrende bestemmie ed empietà profferite nei congressi di Liegi, di Gand, di Lione e di varie nostre città italiane, aggiungi tutte le più nefande calunnie e falsità, che ogni dì si vanno spargendo dai socialisti per mezzo della stampa. Tutti i giorni si scaglia contro il Cattolicismo ogni sorta di insulti; le vignette le più oscene vanno tappezzando i muri, e in esse si pone in dileggio tutto ciò che è sacro pei Cattolici, facendo apparire la nostra Religione come la cosa più assurda, i suoi dogmi come ridicoli, i suoi ministri come ingordi trafficanti di Sacramenti o di indulgenze, come i corrompitori dei buoni costumi, come la pianta parassita che tutto e tutti sfruttano a loro vantaggio. E dopo tutto ciò come non riconoscere nel socialismo uno dei più accaniti nemici della Chiesa, degnissimo per ogni riguardo di stare alla pari colla massoneria?

— Ma il socialismo è già esso riuscito ne’ suoi veri divisamenti?

Almeno in parte, pur troppo; i fatti sono lì, chiari, a dimostrarlo. E a tal fine non si sono contentati i socialisti di parole, ma fecero ricorso altresì alle più audaci provocazioni e violenze, sia levando la voce contro i predicatori nelle chiese, sia disturbando e profanando le sacre funzioni, le processioni dei fedeli ed altre pubbliche manifestazioni di fede, sia insultando Vescovi; assalendo, ferendo e talora dando morte senza ombra di ragione, per solo odio alla Religione, a Sacerdoti ed a spiccati Cattolici. E ciò essi fecero e vanno tuttora facendo tanto più facilmente, in quanto che per la sconfinata libertà di stampa, e per una incredibile tolleranza da parte dei governi, non hanno più alcun freno nei loro insulti divenuti sistematici e nelle loro calunnie fatte a getto continuo.

— I governi adunque dovrebbero punire le offese che i socialisti fanno alla Religione?

Senza dubbio. Pur lasciando la libertà di pensare come si crede ai socialisti come ai Cattolici, i governi dovrebbero però procurare che tale libertà sia anche al sicuro dalle intolleranze di coloro che la pensano diversamente. Non ti pare?

— Ciò è giustissimo.

Quindi le offese alla Religione devono essere punite, perché nella Religione si personifica la fede del popolo; debbono essere punite le offese al clero, perché il clero è composto di individui, che hanno diritto al pubblico rispetto; debbono essere perseguitati come calunniatori coloro che fanno del socialismo, dell’anticlericalismo e del massonismo un’arma di offesa intaccante l’onorabilità e l’onestà dei loro avversari. Se così si operasse, certi vergognosi eccessi non accadrebbero; e se così non si opererà, qualora il socialismo giunga presso di noi all’apice delle sue aspirazioni anticlericali, allora, una delle due: o i Cattolici dovranno ridiscendere nelle catacombe [questa previsione del Carmagnola, si è avverata oggi in tutta la sua drammaticità – ndr. -], oppure si dovranno preparare alla guerra civile nelle chiese, in mezzo alle strade e per le piazze.

— Che cosa converrebbe adunque di. Fare per impedire l’opera nefasta del socialismo?

Bisogna ricorrere alla pratica esatta, quanto più è possibile, del santo Vangelo. Senza dubbio è pur necessario giovarsi di alcuni mezzi umani, suggeriti dall’esperienza pratica e dalle diverse condizioni dei tempi in cui viviamo, mezzi che la Chiesa non solo non trascura, ma sommamente raccomanda ed efficacemente adopera nell’azione popolare cattolica o democrazia cristiana, coll’istituzione di società operaie, di corporazioni professionali, di riunioni agricole, di casse rurali, di cooperative di consumo, di segretariati del popolo, di conferenze sociali popolari, eccetera, eccetera; ma tutto deve essere regolato e subordinato alla dottrina di Gesù Cristo, a quella dottrina, che in proposito ci mostra la necessità delle differenti classi sociali, intima all’operaio il dovere di lavorare coscienziosamente e di rispettare il suo padrone ed ogni altra legittima autorità, e l’obbligo al padrone di retribuire convenientemente l’operaio e di rispettare in lui la dignità dell’umana natura e il carattere di Cristiano, comanda la carità, la fraternità, la giustizia, e rammenta che la nostra vita non è tutta quaggiù, ma che invece la nostra eterna dimora ci è preparata in cielo. – Se la società presente accettasse e praticasse questi insegnamenti di Gesù Cristo, credi, che se le disuguaglianze sociali, dalle quali il socialismo ha preso le mosse per le sue dottrine e pei suoi disordini, non scomparirebbero del tutto, essendo ciò impossibile finché dura il mondo come piacque a Dio di ordinarlo, si mitigherebbero tuttavia per guisa tale da rendere la civile convivenza non solo sicura e tranquilla, ma felice e lieta. – Di fatti, il ricco riconoscendo allora che se egli è tale, non lo è affatto per suo merito, ma perché Dio lo ha fatto nascere tale o gli ha dato ingegno e abilità da diventar tale, e che perciò delle ricchezze, che possiede, non è egli vero padrone, ma solo amministratore, delle ricchezze non si servirà mai come strumento di insulto alla miseria del povero, e quando di esse avesse impiegato tutto ciò che basta al giusto decoro della casa, tutto il rimanente come superfluo lo impiegherebbe a far del bene al prossimo, sarebbe largo di acconce donazioni a prò dell’indigenza, e farebbe così quanto è da parte sua per avvicinarsi agli uomini di più bassa condizione. – Il padrone non imporrebbe mai lavori sproporzionati alle forze dell’operaio e del servo, o mal confacenti alla sua età o al suo sesso. E non solo non defrauderebbe dell’equa mercede i suoi servi ed operai, non solo rifuggirebbe dalle ingorde e spietate usure, non solo si ritrarrebbe da ogni speculazione ingiusta e rovinosa per gli altri, ma si metterebbe volentieri al contatto dell’operaio e del servitore, perché non trattenuto da una etichetta glaciale potrebbe scambiare con lui i propri sentimenti, parteciperebbe alle sue gioie, compatirebbe le sue pene, s’interesserebbe della sua famiglia, lo conforterebbe all’onestà e al bene, lo correggerebbe nei suoi bisogni, ma senza avvilirlo, insomma riguarderebbe in lui il fratello di quella grande famiglia cristiana, di cui Dio è Padre.

— E i poveri, gli operai che farebbero?

Discaccerebbero dall’animo ogni sentimento di invidia per la sorte dei ricchi, non uscirebbero in parole di lamento e di imprecazione contro di essi e contro di Dio; anche allora che giungono dei momenti critici e dolorosi, vivrebbero affidati alla divina Provvidenza, che non lascia mai mancare il pane a chi in lei si abbandona. Riguarderebbero nei loro signori e padroni la vera immagine di Dio, anche allora che taluni tra di essi non la facessero troppo risaltare. E come a rappresentanti di Dio starebbero volentieri sottomessi, li stimerebbero, li riverirebbero, li obbedirebbero nei loro comandi, li servirebbero con fedeltà ed amore, lavorerebbero non solo quando sono veduti da loro, ma sempre, secondoché loro impone la coscienza e la giustizia, non sperderebbero né guasterebbero mai a bella posta la loro roba, per recar loro danno e offesa, e se talvolta dovessero difendere i propri diritti calpestati, non sarebbe mai che si appigliassero agli atti violenti, agli ammutinamenti, alle ribellioni, ma alle calme e rispettose ragioni. –  Tale sarebbe l’efficacia, che sull’animo dei ricchi e dei padroni, dei poveri e degli operai eserciterebbe il Vangelo di Gesù Cristo, quando fosse tenuto nel debito conto.

— Sì, lo credo anch’io.

Tu intanto bada bene per carità a star lontano da coloro, che anche per poco ti pongono in dileggio la Chiesa e ti parlano del socialismo come del gran mezzo per rifare la società ed apportare nel mondo la felicità a tutti, e specialmente a quelli che stanno in basso. Non ascriverti mai ad alcuna società, senza esserti prima consigliato con qualche buon sacerdote o con altra persona di sano e cristiano giudizio. In quella vece entra volentieri a far parte di quelle associazioni e istituzioni cattoliche d’indole sociale, che i Pontefici giustamente hanno indicato come gran mezzo per far argine al socialismo, e che, grazie a Dio, si vanno ogni giorno più rassodando e dilatando per le nostre città e pei nostri paesi; e dato che avrai il nome a tali associazioni e istituzioni, procura di far loro onore coll’integrità della tua condotta, colla fermezza nei tuoi principii cattolici, con la aperta e coraggiosa manifestazione dei medesimi, e col combattere anche tu, per quel che ti spetta, e sotto la disciplina della Chiesa, tutto ciò che sgraziatamente la avversa.

— Mi darò il massimo impegno per seguire in proposito i suoi buoni consigli.

MARTIRE DELLA FEDE E MAESTRO DI TRAVESTIMENTI: SACERDOTE MIGUEL AGUSTIN PRO

Miguel Agustin Pro:

Prete, Maestro di travestimenti, Martire della fede.

 Foto 1

“Eludendo le autorità, a volte appariva come uno spazzino, a volte un ricco uomo d’affari …”.

Lo sfondo storico: Era un periodo della storia messicana opportunamente e volutamente dimenticato, fino a poco tempo fa, dal governo messicano e da tutti i media asserviti: gli anni ’20 del secolo scorso videro una tremenda persecuzione della Chiesa Cattolica.

Proprio come nel regime comunista bolscevico in Russia, la pratica religiosa era vietata, le chiese erano chiuse ed i Sacerdoti venivano espulsi od occultati ed imprigionati. Il governo era particolarmente concentrato nello scovare  e nel  perseguitare i preti, il tutto in un Paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione era di Religione Cattolica Romana. Il risultato di questa persecuzione furono gli eventi della guerra dei Cristeros, o Cristiada.

A proposito di Miguel Pro:  

Miguel Agustin Pro era nato il 13 gennaio 1891 a Guadalupe de Zacates, in Messico. Fin dalla sua infanzia, era noto per il suo buon umore e la sua personalità brillante. Figlio di un ricco ingegnere minerario  e di madre pia e caritatevole, Miguel aveva un’affinità speciale per le classi lavoratrici.

Foto 2

Foto di p. Pro alla Clinique St. Rémi a Bruxelles, Belgio, dicembre 1925.

A 20 anni, divenne novizio gesuita e poco dopo fu esiliato a causa della rivoluzione messicana di stampo massonico. Viaggiò  negli Stati Uniti, in Spagna, in Nicaragua e in Belgio, dove venne ordinato nel 1925. Padre Pro  soffriva molto di un grave disturbo allo stomaco. Quando la sua salute migliorò, dopo diversi interventi chirurgici, i suoi superiori gli permisero di tornare in Messico nel 1926.

Padre Pro divenne un grande maestro del travestimento e passò il resto della sua vita conducendo un apostolato segreto presso i Cattolici messicani che lo aiutarono a nasconderlo alle autorità.

Foto 3

 Padre Pro mascherato da spazzino

Eludendo le autorità, appariva a volte travestito da spazzino, altre volte nei panni di ricco uomo d’affari (si noti il poliziotto che passeggia ignaro di Padre Pro nella foto 1, all’inizio di questo post ), e di molti altri personaggi che al bisogno assumeva. Una volta è andato finanche in una stazione di polizia a chiedere delle informazioni!

Oltre che a soddisfare i loro bisogni spirituali, Padre Pro assisteva anche i poveri di Città del Messico  nei loro bisogni temporali. Visitava spesso persone in carcere, sotto mentite spoglie, per amministrare i Sacramenti a coloro che stavano per essere giustiziati dal governo. In tutto ciò che fece, rimase pieno della gioia di servire Cristo, il suo Re.

Foto 4

Lui ed il fratello Roberto furono arrestati con l’accusa falsa di aver tentato di assassinare il presidente  messicano. Roberto fu risparmiato, ma…

padre Pro fu condannato a morte mediante fucilazione, e giustiziato  il 23 novembre 1927.

Foto 5

I carnefici volevano essere sicuri che il destino di questo Prete cattolico, padre Pro, fosse conosciuto da tutti, e così convocarono giornalisti e fotografi a testimoniare l’evento. Nelle loro truci intenzioni questo doveva essere un avvertimento per gli altri, ma essi ottennero l’effetto opposto con il risultato di irrigidire la resistenza alla repressione.

Padre Pro si inginocchiò per pregare e perdonare coloro che stavano per giustiziarlo.

Foto 6

Rifiutando una benda e stringendo il Rosario in una mano, esclamò con forza: Viva Cristo Rey!” mentre il plotone di esecuzione lo colpiva nortalmente solo perché  era un Prete cattolico che serviva fedelmente il suo gregge .

Foto 7

Processione funebre dell’eroe della Fede

– Il Rev. P. Miguel Agustin Pro

Nonostante gli sforzi del regime massonico per reprimere la partecipazione al suo corteo funebre, accorsero decine di migliaia di fedeli. Si trattava di una delle più grandi folle viste in città e doveva aver causato grande preoccupazione a quelli del governo, che avevano pensato invece che l’esecuzione di Padre Pro avrebbe messo fine alla resistenza. Tale afflusso nei confronti dell’opposizione governativa non era certo quello che si aspettavano ….

Fig. 8

La Chiesa cattolica sotterranea

Mani violente saranno poste sul Capo supremo della Chiesa Cattolica …

Sì, sì, il gregge diventerà piccolo.

(Profezia della fine dei tempi del Vescovo Wittman )

[fonte: TCW Blog.com]

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (12): pietà verso il Sacro Cuore.

 

DISCORSO XII.

[A. Carmagnola: Il Sacro Cuore di Gesù – S. E. I., Torino, 1920 – imprim.]

Pietà verso il Sacro Cuore di Gesù.

Dopo che a Dio, o miei cari, l’uomo è tenuto prima che ad altri ai parenti ed alla patria; ai parenti che lo hanno generato e nutrito, alla patria per la quale si è nati e si vive. L’uomo pertanto, che sente abitualmente questo dovere, e si reca a coscienza di compierlo, rendendo ai parenti ed alla patria gli omaggi dovuti, è adorno di quella virtù morale tanto bella e tanto stimata, che si chiama pietà. Ma se la pietà è già così bella e stimabile in quanto ha per oggetto la patria ed i parenti, diventa oltre ogni dire sublime, quando non solo come virtù, ma come dono dello Spirito Santo, ha per oggetto Iddio, Padre nostro per eccellenza. Perciocché il Cristiano che la possiede, non riguardando Iddio soltanto come suo Creatore e padrone, ma riconoscendolo sopra tutto come il più affettuoso dei Padri, per un istinto prodotto in cuor suo dallo Spirito del Signore, sente verso di Lui un affetto veramente figliale, e si volge ad onorarlo come il più tenero dei figli. La pietà cristiana adunque è il più delicato, il più nobile, il più perfetto dei sentimenti cristiani; è la prima, la più grande, la più importante delle cristiane virtù; essa è la fioritura della fede, il profumo della speranza, lo splendore della carità; ed è perciò che S. Paolo ha detto, che la pietà è utile a tutto, che la pietà è tutto, ch’essa è la sorgente di tutte le grazie, di tutte le consolazioni nella vita presente ed il pegno più sicuro della salute nella vita avvenire: Pietas ad omnia utilis est, prommissionem habens vitæ quæ nunc est, et futuræ. (I Tim. IV, 6). Ma come vi ha l’oro vero e l’oro falso, così pure si dà una pietà vera ed una pietà falsa. Vi hanno taluni, che si danno a credere di avere della pietà, perché hanno le pareti delle loro case tutte adorne di sacre immagini, perché dicono ogni giorno una gran moltitudine di orazioni, e passano anche lunghe ore in chiesa; sebbene con tutto ciò siano sempre pieni di collera, di superbia e vadano privi di purezza, di carità; e di pazienza e di altre cristiane virtù. Costoro purtroppo non hanno che una falsa pietà, habentes speciem pietatis, virtutem autem abnegantes, (II Tim. III) perché, come dice S. Tommaso, le anime veramente pie sono anime veramente mansuete, umili, pure, caritatevoli e pazienti, e non può essere, che la pietà, che è il fiore delle cristiane virtù, vada da esse disgiunta. Ma come non vi è vera pietà in sole pratiche devote senza la base delle virtù cristiane, così non vi ha neppur vera pietà nell’apparenza delle virtù cristiane, senza le pratiche devote.No, non è che un assurdo il dire: Io credo, solamente non faccio le pratiche di pietà; perché non si può essere Cristiani a mezzo, ed il vero Cristiano è colui, che ha la fede con le opere, tra le quali tengono il primo posto le pratiche di pietà. Pertanto non recarsi alla chiesa, non assistere alla Messa, non ascoltar la parola di Dio, non frequentare i Sacramenti, non venerare le sante immagini e vantarsi Cristiano, non è che un illudersi grandemente e tralasciare una parte essenziale dei doveri cristiani. Ciò premesso, voi dovete tosto riconoscere, che se il devoto del Sacro Cuore di Gesù ad esercitare la pietà verso di Lui, che è cuore di padre, di fratello, di sposo e di amico, deve studiarsi anzi tutto di ricopiarne le più belle virtù, deve pure con sollecitudine compiere verso di Lui quelle pie pratiche, che più possono riuscirgli gradite. Epperciò dopo avervi animati nei passati giorni a seguire l’esempio delle speciali virtù del Divin Cuore, prendo oggi ad eccitarvi ad alcune pie pratiche in suo onore, e sono: 1° La venerazione della sua immagine. L’apostolato della preghiera. La visita al SS. Sacramento.

I. — Come la terra tende al sole con tutta la sua massa, così l’uomo tende a Dio con tutto il suo essere, vale a dire non solamente con lo spirito, ma anche col suo cuore materiale, con la sua carne e con le sue ossa, umiliate dal peccato; perciocché anche queste, come dice la Santa Scrittura, esultano alla presenza di Dio: Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum. (Ps. LXXXIII, 3) Exsultabunt Domino ossa (Ps. L, 10) Per la qual cosa l’uomo non è, e non può essere appieno soddisfatto nel possedere Iddio nella sua intelligenza per la fede e nella sua anima per la grazia, ma egli aspira ancora a vederlo con i suoi occhi, a toccarlo con le sue mani, a stringerlo tra le sue braccia, a trovarsi insomma anche in relazioni sensibili con Lui. Ed è questa aspirazione così profonda e così invincibile, che ha indotto l’uomo lungo il corso dei secoli a dipingere e scolpire Iddio, a rappresentarselo cioè sotto forme sensibili. È questa aspirazione, che tra i popoli pagani ha moltiplicato all’infinito gli idoli e le immagini di falsi dèi, e ne ha riempiuti i loro templi, le loro case, le loro campagne, le loro ville, le loro piazze, tutti i loro pubblici edifìzi. Ma è pur questa aspirazione, che ha generato tra i Cristiani quella sollecitudine così viva di fare immagini senza numero, d’ogni qualità e grandezza, del vero Dio e dei Santi, veri amici di Dio, di porle ancor essi dappertutto, non solo nelle chiese, ma anche nelle case, negli angoli delle vie, nelle pubbliche piazze, e di portarle eziandio sopra se stessi, di stringerle al cuore, di baciarle e render loro un culto di religione e di amore. La qual cosa essendo così istintiva nel cuore umano, epperò così ragionevole e così piena di buon senso e di filosofia, come mai gli eretici e gli increduli osano beffare ed accusare di superstizione? Porse che non praticano essi la stessa cosa con quegli oggetti, che sostituiscono ed antepongono a Dio? Purtroppo, è quello che si vede tuttodì, l’uomo distolto dal figurare Iddio, figura satana; distolto dal rappresentare le magnifiche prosopopee della virtù, dipinge le orribili scene del vizio; distolto dal mettere nella sua casa e di portare su di sé le immagini di Gesù Cristo, della Vergine dei Santi, empie la sua casa di immagini indecenti ed impudiche, e porta sopra del cuore un simbolo od un ricordo di corruzione e di peccato. E così gli eretici e gli empi colle stesse pratiche, benché erronee e peccaminose, concorrono a confermare la convenienza e la bontà delle pratiche cristiane. – Se adunque il disegnare le immagini di Dio ed il venerarle è cosa sì conforme al cuor dell’uomo, bisogna riconoscere che è Dio stesso Colui che desidera che si segua una tal pratica, perciocché non è altri che Iddio, che ha posto nel cuor dell’uomo una tale aspirazione. E quando ne mancassero altre prove basterebbe per tutte quella che abbiamo in relazione all’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Ed in vero fu Gesù Cristo medesimo Colui, che a Santa Margherita Maria Alacoque espresse il desiderio, che si formasse l’immagine del suo Cuore e si prendesse a venerarla. Udite. L’anno 1674 nel giorno di S. Giovanni Evangelista, 27 dicembre, la Margherita, rapita in estasi d’amore, ricevette una grazia, somigliante a quella che ebbe il santo Apostolo nell’ultima cena con Gesù. E durante tale rapimento il divin Cuore le si rappresentò tutto fiamma e fuoco vibrante per ogni verso raggi luminosi, e trasparente come limpido cristallo. La trafittura ricevuta dalla lancia vi appariva visibilmente; una corona di spine lo circondava, ed una croce vi era piantata sopra. E fu allora che le disse, che gli sarebbe stato di piacere singolare l’essere onorato sotto la figura di quel Cuore, in una immagine esposta alla pubblica venerazione, per meglio toccare il cuore così insensibile degli uomini. E per ottenere che si eseguisse il suo così vivo desiderio, promise che là ove fosse esposta pubblicamente la sua immagine avrebbe sparso ogni sòrta di benedizioni. E questo desiderio di Gesù Cristo fu assecondato la prima volta il 20 luglio del 1685. La festa di S. Margherita, vergine e martire, cadeva in quell’anno, in giorno di venerdì e le novizie del monastero di Paray-le-Mouial, dipendenti da Santa Margherita Alacoque per festeggiarla nel modo più gradito alla loro Maestra, stabilirono fra di loro di offrire i primi onori pubblici al Sacratissimo Cuore. Ma tutto mancava, persino una sua immagine. Tuttavia quelle prime adoratrici del Cuore di Gesù non si perdettero d’animo. Presero un semplice foglio di carta, con penna ed inchiostro delinearono in fretta la figura di un cuore infiammato, circondato di spine, sormontato da una croce. Vi scrissero in mezzo la parola Charitas, e dintorno i benedetti nomi Iesus, Maria, Ioseph, Anna, Ioachim. Questa primitiva poverissima immagine, che si conserva tuttora nel monastero della Visitazione di Torino, fu collocata sopra un altarino, nella sala del noviziato, tutta adorna di fiori. E fu davanti a questa immagine, che Santa Margherita umilmente prostrata, con ardore da serafino consacrò se stessa e le sue novizie al Sacratissimo Cuore. In seguito propagandosi la divozione di questo Cuore Santissimo, si propagò eziandio la pratica di farne delle immagini, di esporle sopra degli altari, di porle nelle case e di portarle indosso. E il Sacro Cuore di Gesù fu mai sempre fedele alla sua promessa, e fece discendere mai sempre in gran copia le sue benedizioni là dove la sua immagine era venerata. – La storia ecclesiastica racconta che nell’anno 528 nella città di Antiochia essendovi delle scosse terribili di terremoto i Cristiani con fede scrivevano sopra le porte delle loro case queste parole: Christus nobiscum, state: Cristo è con noi, state in piedi; e per virtù di queste parole, le case non crollavano. Nella Storia Sacra poi leggiamo che l’Angelo del Signore, essendo disceso nell’Egitto a sterminare tutti i primogeniti degli Egiziani, non entrava tuttavia nelle case degli Ebrei, perché questi, dietro l’ordine di Dio, ne avevano segnate le porte col sangue dell’agnello. Or ecco il prodigioso benefizio, che arrecò mai sempre l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1720, infierendo la peste nella città di Marsiglia, la venerabile serva di Dio Anna Maddalena Kemuzat sparge largamente fra i suoi concittadini l’immagine del Sacro Cuore di Gesù a forma di scapolare su cui stava scritto: « Fermati! Il Cuore di Gesù è con me. » E quanti portavano indosso una tal immagine erano scampati dal flagello il quale poi cessava del tutto, quando il vescovo Monsignor di Belzunce consacrava al Sacro Cuore tutta la città. Ma oltre a questo fatto pubblico, quanti altri privati se ne potrebbero raccontare! Se adunque Gesù benedetto ha espresso Egli medesimo il desiderio, che si onori l’immagine del Sacro Cuore ed ha promesso le benedizioni più elette a quelle abitazioni, dove sarà esposta, ed a quelle persone, che la porteranno con sé, che altro ci vorrà per animarci a questa pratica di pietà? Sia pur dunque che i mondani adornino le loro case di immagini profane e pur anche indecenti, noi le adorneremo di immagini di Dio, della Vergine e dei Santi, e soprattutto del Cuore Santissimo di Gesù. Sia pure che gli eretici e gli increduli portino presso di sé le immagini delle creature che adorano invece di Dio, ed i simboli di empietà e di superstizione, noi ci gloriamo di portare con noi le immagini e le medaglie del sacratissimo. Cuore, e seguendo questa prima pratica, così gradita a Gesù Cristo, siamo certi di averne in ricambio le più belle grazie. Ma passiamo alla seconda.

II. — La seconda pratica speciale di pietà, che noi posiamo esercitare ad onore del Sacro Cuore, e col suo più vivo gradimento, è l’apostolato della preghiera. Secondo l’insegnamento di S. Basilio, di S. Agostino, di S. Giovanni Crisostomo, di S. Clemente Alessandrino, e di molti altri Santi Padri, la preghiera è necessaria alla nostra eterna salute di necessità di mezzo: vale a dire senza pregare è a noi assolutamente impossibile il conservarci in grazia e salvarci. Ed in vero, essendo tanti i nemici dell’anima nostra, che continuamente ci combattono e noi essendo al contrario tanto deboli, se Iddio non ci soccorre con speciali aiuti, non possiamo certamente star lungo tempo in grazia, senza cadere in qualche colpa grave. Questa è dottrina di fede, dichiarataci dal sacro Concilio di Trento. Ora questi aiuti speciali a perorare in grazia, Iddio, almeno ordinariamente parlando, non li concede se non a chi glieli domanda. Quindi chiaro apparisce, che dopo il Battesimo, agli adulti la preghiera è un mezzo assolutamente indispensabile a conseguire l’eterna salute. Epperò è certo, che tutti i dannati dell’inferno si sono dannati perché non pregarono; se avessero pregato, non si sarebbero perduti; e tutti i santi del paradiso si son fatti santi col pregare: se non avessero pregato, non si sarebbero né santificati, né salvati. Ma quando pure si potesse mettere in dubbio, che la preghiera sia necessaria di necessità di mezzo, non si potrà certamente dubitare, che essa sia necessaria di necessità di precetto, vale a dire, perché ci fu comandata da Dio. Già ripetemmo più volte che il Cuore di Gesù è Cuore di Dio, di quel Dio, che è il nostro padrone assoluto. Come tale adunque ha tutti i diritti di comandarci quel che gli piace, e noi abbiamo tutto il dovere di obbedirlo senza ricercare minimamente il perché dei suoi comandi. Ora tra i vari comandi che il Cuore di Gesù ci ha fatto ripetutamente, tiene un posto principalissimo quello della preghiera: « Domandate, pregate, bisogna sempre pregare, » Egli ci ha detto: « Questa è la legge, che vi impongo, se da me volete ricevere i miei benefizi. Chi domanda riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. » E notate bene, o carissimi, che il divin Redentore non ci disse: « Vi invito a pregare, vi consiglio di pregare, vi esorto a pregare; » ma disse senz’altro: « pregate, domandate, bisogna pregare: » appunto perché intendessimo che questo era un comando formale ed assoluto, che noi avremmo avuto il dovere di praticare. Di fatti, anche durante la sua mortal vita, benché sì generoso e sì facile a largheggiare, tuttavia il più delle volte non concedeva le sue grazie, non dopo esserne stato richiesto con la preghiera, e non di rado, come col centurione, con la cananea e con altri sventurati la andava sollecitando col fingersi sordo alle pressanti loro istanze. – Ma quasi che il suo comando e la sua condotta non fossero ancor stato sufficienti a farci ben comprendere la sua volontà, volle aggiungere il suo illustre esempio. In mezzo alle sue apostoliche fatiche, alla sua vita di carità, soleva togliersi sovente di mezzo agli uomini, e ritirarsi in luogo solitario, al far che? Celo dice il Vangelo: a pregare il suo Divin Padre, e mentre spendeva il giorno in servizio delle anime, consacrava la notte ad un’assidua orazione: et erat pernoctans in oratione Dei. (Luc. VI, 12) E questa pratica così ammirabile Egli accentuò con atti più espressivi e solenni la vigilia della sua morte nel giardino degli ulivi, e nelle stesse ultime ore del sua agonia sulla croce. Ma forse che Egli avesse bisogno pregare? No, senza dubbio, ma Egli pregò pei bisogni nostri e per confermare con il suo esempio il comando della preghiera. Da ultimo perché nessun pretesto, neppur quello di non saper pregare, ci avesse potuto esimere dall’adempimento del suo precetto, il buon Gesù, così desideroso di donarci le sue grazie ci ha insegnato le formole, di cui dobbiamo valerci a domandarle, e in una delle sue escursioni apostoliche, fermandosi sul ciglio d’una strada con i suoi discepoli, apprende e a loro e a noi a recitare il Pater, quella preghiera così semplice così sublime, che contiene tutto quello, che possiamo desiderar e domandare da Dio. – Dopo tutto ciò vi potrebbe essere ancora alcun Cristiano che non attendesse alla pratica della preghiera colla massima sollecitudine? Eppure quanti vi sono, i quali per tutto il giorno aprendo il labbro alle più orride bestemmie, da anni ed anni non l’aprono alla più breve e più piccola preghiera! E quanti altri vi hanno, che sebbene preghino, tuttavia non recano che disgusto e nausea al Cuore di Gesù, tanto pregano malamente! Ah! se noi amiamo il Divin Cuore dobbiamo pregarlo con le dovute disposizioni. Dobbiamo pregarlo anzi tutto per noi, perché ci mantenga e ci accresca il suo amore, perché ci difenda nei pericoli e ci rafforzi nelle tentazioni, perché ci protegga e ci assista nei nostri interessi materiali e spirituali, perché sopra ogni altra grazia ci doni quella della perseveranza finale, onde possiamo andarlo un giorno a vedere e godere in cielo. – Ma il devoto del Sacro Cuore di Gesù non deve contentarsi di pregare per sé: non è soltanto la preghiera ch’ei deve praticare, ma l’apostolato della preghiera. Gesù Cristo è venuto sulla terra a morir sulla croce per salvare le anime: questa la brama ardentissima del suo Divin Cuore, e niun’altra cosa può attristarlo, che la perdita delle anime. Ora i suoi devoti non devono adoperarsi col massimo impegno per farne interessi e soddisfarne le brame? Noi dobbiamo dunque piegare oziando per la salute altrui, e massimamente per la conversione dei peccatori. Così fece lo stesso Cuore di Gesù durante la sua mortal vita: « Come il sacerdote, dice l’Apostolo, è preso di mezzo agli uomini, affinché offerisca sacrifici pei loro peccati, così Gesù Cristo, Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech, nei giorni della sua carne offerse a Dio per i peccati nostri preghiere e suppliche con forti grida e con lacrime. (Hebr. v, 1-7) Così fa tuttora lassù in Cielo, tutto sfolgoreggiante della sua gloria, e quaggiù in terra tutto nascosto nel santo tabernacolo; Egli sembra, che non viva che per implorare pietà dal suo divin Padre per l’umanità peccatrice, mostrandogli il suo Cuore squarciato: Semper vivens ad interpellandum prò nobis. (Hebr. VII, 25) E così dobbiamo far noi, pregare ed offrire al Cuore di Gesù le nostre preghiere, perché si dissipino gli errori e le eresie, perché cessi l’incredulità ed il vizio, perché si convertano i peccatori e tornino a lui, e così trionfi la virtù e la Religione. E poiché Gesù ha detto che quando « due o tre persone si raduneranno a pregare nel suo nome, Egli si trova in mezzo a loro, » (MATT. XVIII, 20) così ad accrescere il merito della nostra preghiera facciamoci volentieri ascrivere all’Opera dell’Apostolato della preghiera, opera tanto commendata dal Romano Pontefice, e nella quale trovandosi uniti a pregare in uno stesso spirito e come con un sol cuore un numero immenso di devoti del Sacro Cuore, questi non mancherà di esser fedele alla sua promessa. Oh! il Cuore di Gesù è infinitamente ricco e infinitamente buono. Niuno per certo potrà mai misurare i tesori infiniti di grazia, che esso tiene presso di sé, per dispensarli a chi glieli domanda. Contiamo pure, se ci è possibile, le stelle del cielo, le arene del mare, le gocce d’acqua dell’oceano, i fiori e le foglie delle piante… Tuttavia i tesori di grazia, che il Cuore di Gesù possiede superano di gran lunga tutte le cifre, che possiamo mettere insieme, perché tali tesori sono muniti. Ma questo divin Cuore, non è già come tanti ricchi del mondo, che pur possedendo ingenti ricchezze le posseggono unicamente per sé, senza farne parte alcuna a quei poverelli che pur ne avrebbero diritto. Esso invece, oltre all’essere infinitamente ricco, è pure infinitamente buono e vuole nella sua infinita bontà distribuirci i suoi tesori. Mirate come Egli li distribuisce a tutto il creato. È desso il buon Gesù, che invia incessantemente la sua benedizione ai fiori ed alle piante della terra, agli uccelli dell’aria, ai pesci dell’acqua ed agli animali del bosco, e persino ai più piccoli insetti, che non contano che l’esistenza di una qualche ora. Lo disse il re Davide: Aperis tu manum tuam et imples ormne animal benedictione. (Ps. CXLIV) Che se tanta è la bontà che adopera verso le stesse creature irragionevoli, chi può dire la bontà con cui è pronto a trattar noi creature ragionevoli! Anzi noi, suoi particolari amanti? Oh sì! Questo Santissimo Cuore, mercé l’apostolato della preghiera, darà a noi tutte le grazie necessarie alla salute dell’anima nostra, e ci farà l’onore di salvarne delle altre.

III. — Finalmente la terza pratica di pietà, che può riuscire di sommo gradimento al Cuore Sacratissimo di Gesù, è la visita quotidiana al SS. Sacramento e la Comunione riparatrice. Oh quanto fu grande la bontà del Cuore di Gesù per noi! Benché infinitamente beato in se stesso, non gli parve tuttavia essere pienamente felice, se con l’istituzione della Santissima Eucaristia non trovava il modo di restare perpetuamente tra di noi e di diventare il cibo spirituale delle anime nostre. E per tale Sacramento egli anzitutto è naturalmente presente nel Santo Tabernacolo, come lo è in cielo, e finché vi sarà una zolla di terreno su cui si eriga un altare, ed un sacerdote che ne celebri il santo Sacrificio, Egli continuerà a tenere la sua abitazione fra noi. Che sterminato amore! E che cosa mai vi era di bello, di buono e di grande in noi da eccitare un Cuore divino a trovare la sua delizia nel fermare tra di noi la sua dimora? Ah! si accresca pure il nostro stupore, che ben ve n’ha ragione: ciò che ha indotto il Cuore di Gesù a restare con noi, tutt’altro che la nostra grandezza, è stata la nostra miseria. Egli ha considerato i nostri grandi bisogni, e pieno di compassione, come un dì si commoveva copra le turbe fameliche, così si commosse sopra le nostre necessità, sopra le nostre afflizioni, e per aiutarci e consolarci in esse, si è posto in mezzo a noi nel Santo Tabernacolo. E da quel Tabernacolo, che Egli a sé ci chiama continuamente col dire: Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos. (MATT. XI, 28) « Venite a me, voi che siete travagliati dalle sventure, dalle traversie, dalle infermità della vita, ed Io vi ristorerò. Venite a me, voi che già vi apprestate al tramonto della vita, ed io vi sosterrò nei vostri stanchi anni, e vi disporrò a ben compiere il passo da questo mondo all’eternità. Venite a me voi, o figliuoli, che siete ancor nel fior degli anni, ed Io vi insegnerò il santo timor di Dio, per mezzo del quale lascerete i piaceri della terra per inebriarvi soltanto di quelli del cielo. Venite a me, voi, o genitori, cui riesce sì arduo il compito dell’educazione cristiana dei vostri figli, ed Io svelandovene i segreti, ve lo alleggerirò. Venite a me, voi, o poverelli; Io di voi mi compiaccio, e tra voi ho chiamato i primi adoratori della mia umanità e del mio Cuore, e continuerò a evangelizzarvi, ad animarvi alla rassegnazione ed alla brama delle ricchezze imperiture del cielo. Venite a me, voi, o anime giuste, ed io vi arricchirò di nuova grazia perché abbiate a perseverare nelle vie della giustizia e della santità; venite anche voi, o anime peccatrici; Io sto qui come al pozzo di Sichem, aspettando che voi veniate a me, pentiti dei vostri traviamenti, per darvi a bere dell’acqua di vita eterna; venite, venite tutti, perché di tutti conosco i bisogni e per sovvenirli sono qui in mezzo a voi, aspettando solo che veniate a visitarmi. » Oh parole tenerissime! Oh dolcissimo invito! Ben a ragione la Chiesa, considerando questi amorosi accenti, nell’ufficiatura del Sacratissimo Cuore di Gesù, per spronarci ad assecondarne l’intento si volge a noi e ci dice: Auditis ut suavissimis – Invitet omnes vocibus? Udite, con che voci soavissime a sé c’invita, a sé ci chiama?Ora se questo è il motivo per cui Gesù Cristo è rimasto tra di noi nel SS. Sacramento dell’altare, e così grande è la sua brama che noi ci rechiamo a visitarlo e domandargli ivi le grazie di cui abbiamo bisogno, non ci faremo sollecitudine di venire almeno una volta ogni giorno a trovarlo? Ah! io dico, che un devoto del Sacro Cuore di Gesù, che non trovasse modo e tempo di fargli ogni dì anche una breve visita, avrebbe in cuor suo ben poco amore per Lui. Difatti i santi che amavano davvero Gesù trovavano le loro delizie in visitarlo di spesso, e nello sfogarsi con Lui in dolci affetti! S. Vincenzo de’ Paoli lo visitava più spesso che gli era possibile, e il principale sollievo che prendeva tra le gravi sue occupazioni, era quello di starsi lungo tempo dinnanzi al sacro Tabernacolo. Vi si tratteneva poi con un contegno così umile, modesto e devoto, che sembrava vedere co’ propri occhi la Persona adorabile di Gesù Cristo. Quando gli occorrevano negozi difficili, egli ricorreva, come Mosè, al sacro Tabernacolo per consultare l’oracolo della verità. Quando usciva di casa, andava a chiedergli la santa benedizione; appena ritornatovi, andava a ringraziarlo dei benefìci ricevuti ed a umiliarsegli per i mancamenti che poteva aver commessi. S. Luigi Gonzaga era tutto in festa quando poteva fare compagnia al suo caro Gesù: ivi, come dice S. Maddalena de’ Pazzi, saettava il Cuore del Verbo, e non sapeva partirsene che con pena. S. Francesco Saverio, in mezzo alle immense sue fatiche, trovava un grandissimo ristoro nel passare gran parte della notte avanti a Gesù Sacramentato. Lo stesso soleva fare S. Francesco Regis, il quale, trovando chiusa talvolta la chiesa, si tratteneva di fuori genuflesso avanti alla porta, esposto all’acqua e al freddo per far corteggio, almeno così da lontano, al suo Sacramentato Signore. Così facevano i veri amanti del Cuore di Gesù. E non faremo così anche noi? Sì, per amore di Gesù, prendiamo tutti questa bella pratica, ed anzi, per impegnarci sempre più alla stessa, facciamoci ascrivere altresì all’Adorazione quotidiana universale, la quale, sorta da pochi anni in Torino, città del SS. Sacramento, elogiata dai Vescovi, ed eretta in molte diocesi, fu ripetutamente benedetta ed arricchita di speciali indulgenze dal Sommo Pontefice. Chi vi si ascrive non si impone altro obbligo, che di entrare ogni giorno in una chiesa ove si conservi il SS. Sacramento per fermarvisi anche solo pochi minuti a recitarvi una preghiera, a rivolgere un pensiero, a mandare un sospiro al Cuore Sacramentato di Gesù. E chi mai, nell’andare o venire pe’ suoi interessi materiali, per i suoi negozi e pe’ suoi lavori, non incontra una chiesa, non trova un minuto almeno di tempo per passarvi entro a salutare Gesù?Ma æmulamini charismata meliora: (I Cor. VII, 31) aspirate a qualche cosa di meglio. Non contentatevi di visitare Gesù nel suo SS. Sacramento, ma recatevi ancora di spesso a riceverlo ne’ vostri cuori e ciò specialmente per ripararlo meglio che sia possibile delle gravissime ingiurie che in questo Sacramento di amore pur troppo riceve. Il medesimo Gesù nelle sue apparizioni a Santa Margherita Alacoque parlandole del modo di celebrare la sua festa, le raccomandò che in essa si riparassero colla comunione gli indegni trattamenti a cui è fatto segno nella SS. Eucaristia. Altra volta le suggerì allo stesso fine di comunicarsi ogni primo venerdì del mese e quante altre volte le fosse concesso dall’obbedienza. Quale contento adunque noi daremo al Cuore di Gesù soddisfacendo le sue ardentissime brame! E nel tempo stesso che gran bene arrecheremo alle anime nostre! Venite adunque, o devoti del Sacro Cuore, venite a questi altari ad unirvi ai Cori degli Angeli e a condividere il loro ufficio di star prostrati innanzi alla maestà di Dio; venite come pecorelle privilegiate a stringervi attorno al pastore delle anime; venite come discepoli prediletti a posare la vostra testa sul Cuore di Gesù, venite come Maddalene feriti di carità a trovar qui il vostro paradiso. Venite, e cibatevi di Lui, e adoratelo, e sfogate con Lui la vostra pietà, il vostro amore, piangendo ai suoi piedi i vostri peccati e i peccati di tutti gli uomini, offrendovi a Lui mille volte per risarcirlo delle offese che riceve, massime in questo Sacramento, implorando le sue grazie per voi, per i vostri cari, per i vostri parenti lontani da Dio, per tutti i peccatori, per i sacerdoti, per i Vescovi, per il Papa, per la Chiesa, per le anime sante del purgatorio. Oh voi felici! Mentre il Cuor vostro nella vicinanza e nell’unione di Gesù, come quello dei discepoli di Emmaus, arderà e languirà di amore per Lui, il Cuor suo spanderà in voi torrenti di luce, di benedizioni e di grazie; ed abituandovi a menar la vostra vita in unione alla sua, vi assicurerete ognor più la fortuna di essere a lui uniti per tutta l’eternità.Intanto prostrati dinnanzi all’immagine del Sacro Cuore di Gesù facciamogli queste belle promesse: O Cuore Santissimo, poiché conosciamo quanto vi torni gradita la venerazione dell’immagine vostra, e di quante benedizioni siete largo a chi in essa vi onora, non lasceremo di adornarne le nostre case e di coprirne le nostre persone. E dinnanzi alle vostre immagini noi eserciteremo con ardore l’apostolato della preghiera, affine di ottenere da voi la grazia di salvare l’anima nostra e quella ancora di guadagnacene moltissime altre. Ma soprattutto verremo sovente a visitarvi nei vostri santi tabernacoli, a disfogare ivi con voi il nostro cuore, a lodarvi, a benedirvi; verremo a ricevervi soventi nei nostri Cuori per ripararvi degli oltraggi, che ricevete da tanti cattivi Cristiani, e domandarvi quegli aiuti di cui abbisogniamo per mantenerci nella santa perseveranza. E voi, o Cuore amantissimo di Gesù, degnatevi di gradire in odore di soavità queste pratiche nostre e di compensarle con speciali aiuti, secondo la vostra divina parola.

CONOSCERE SAN PAOLO (36)

LIBRO QUARTO

L’OPERA DELLA REDENZIONE.

CAPO I.

La missione redentrice

I. L’INVIATO DA DIO

1. SCOPO DELLA MISSIONE REDENTRICE. – 2. IL MEDIATORE DELLA NUOVA ALLEANZA. – FUORI DI LUI NON VI È ALTRO MEDIATORE.

[F. Pratt: La teologia di San Paolo – Parte SECONDA,  S.E.I. Ed. – Torino, 1927 – impr.]

1. Già abbiamo detto che l’iniziativa della nostra salvezza spetta sempre al Padre celeste. A Lui san Paolo si compiace di riferire il complesso dei disegni di redenzione la cui esecuzione è affidata al Figlio, mediatore naturale tra Dio e gli uomini: Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da una donna, messo sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, per farci ricevere la filiazione adottiva. Questo breve passo esprime il fatto, il tempo, il modo, lo scopo della missione redentrice. — Il fatto: Dio Padre manda il suo unico Figlio, assai bene distinto da tutti coloro che parteciperanno al nome di figli, per lo stesso suo isolamento e per la relazione incomunicabile che lo unisce al Padre; egli lo manda da vicino a sé, dall’alto dei cieli, secondo la forza della parola composta (= exapesteilen) adoperata dall’Apostolo; lo manda in un momento preciso della durata, ma non lo costituisce Figlio nel mandarlo, perché questa missione suppone evidentemente la preesistenza reale del Figlio. — Il tempo: è la pienezza dei secoli, espressione che indica ad un tempo lo spirare degli indugi liberamente fissati dal Padre e la fine delle preparazioni provvidenziali che dovevano disporre il mondo a quel grande avvenimento. Dopo sarebbe stato troppo tardi; prima sarebbe stato troppo presto: il termine delle profezie messianiche doveva coincidere con la maturità del genere umano. — Il modo è sintetizzato in questa breve formula: « nato da una donna, messo sotto la Legge ». Conveniva infatti che il Figlio partecipasse alla natura di coloro che veniva a riscattare, col nascere da una donna, come tutti gli altri uomini, per avere il diritto di chiamarli suoi fratelli e per farli partecipi della sua qualità di figlio; conveniva pure che fosse sottomesso alla Legge, per liberare i suoi compatrioti dal giogo della Legge; convenienza che diventa necessità nel disegno attuale della redenzione, secondo il quale Dio ha stabilito di salvare gli uomini mediante il principio della solidarietà. — Lo scopo doppio della missione corrisponde al doppio stato dell’inviato divino: sottrarre gli Ebrei dalla tirannia della Legge per sottometterli al Vangelo; conferire a tutti gli uomini Ebrei e Gentili, la filiazione adottiva. Un altro testo, celebre tanto per la sua difficoltà intrinseca, quanto per le divagazioni degli esegeti, è assai simile al precedente, ma ne differisce in un punto: l’idea principale, espressa dal verbo in modo personale, non è più la stessa missione del Figlio, ma la condanna del peccato nella carne, che risulta da tale missione: « Cosa che era impossibile alla Legge, perché era indebolita dalla carne, Dio, mandando il suo proprio Figlio in una carne simile alla carne del peccato e per il peccato, condannò il peccato nella carne, affinché si compisse in noi la giustizia della Legge » (Rom. VIII, 3-4). Fatta astrazione da tutti i punti dubbi, da questo complesso periodo risulta chiaramente come uno dei motivi di Dio, nel mandare suo Figlio, era di rimediare all’impotenza, oramai riconosciuta, della Legge mosaica. La Legge mostrava all’uomo la via della giustizia e ve lo doveva condurre; ma essa era stata intralciata e paralizzata dalla carne, cioè dall’inclinazione al male che ora infetta la natura umana. Per vincere e annientare il peccato nel suo stesso dominio, Dio manda suo Figlio « nella somiglianza di una carne di peccato ». Paolo non dice « nella somiglianza della carne », poiché così lascerebbe capire o che il Cristo non aveva vera carne, o che la sua carne era di natura diversa dalla nostra. Non dice neppure « in una carne di peccato », perché così si potrebbe intendere che il Cristo rivestì una carne peccatrice. Egli dice invece, con espressione veramente felice, « nella somiglianza di una carne di peccato »; in fatti la carne del Cristo è proprio una carne reale che fisicamente non si distingue per nulla dalla nostra, ma essa è soltanto in apparenza una carne di peccato, poiché non è né l’eredità, né la sede, né il fomite, né lo strumento del peccato. Siccome aveva la missione di condannare il peccato nella carne, Gesù Cristo non doveva avere nulla di comune col peccato. Dio lo manda espressamente « in vista del peccato », cioè per espiare e per riparare il peccato; e non solamente il peccato originale, ma il peccato in generale, qualunque ne sia la natura e la sorgente. I migliori esegeti di tutte le scuole hanno veduto benissimo che non si tratta qui di una semplice condanna per comparazione, come sarebbe quella che risulterebbe, per l’uomo peccatore, dallo spettacolo della carne innocente del Cristo, e neppure di una sentenza platonica la quale lascerebbe le cose nello stato di prima. Essi danno al verbo « condannare » gli equivalenti più forti « vincere, abbattere, distruggere, abolire, annullare, espellere, uccidere, sterminare »; essi hanno ragione senza dubbio, poiché la condanna di Dio, essendo efficace, deve necessariamente sortire il suo effetto; ma l’idea di condanna effettiva di cui si contenta san Paolo, è abbastanza chiara, ed è meglio fermarsi a questa. Dio condanna all’impotenza il peccato che regnava nella carne; e lo condanna nella stessa carne, poiché la carne del Cristo è la nostra. La maggior parte dei commentatori, per aver voluto cercare in questo testo quello che san Paolo non vi ha messo, se ne sono chiusa la via per capirlo. Essi lo hanno completato arbitrariamente, e ciascuno a modo suo, o intendendo l’espressione « per il peccato » nel senso di « sacrificio per il peccato »; oppure supponendo che la condanna del peccato abbia luogo nella sola carne del Cristo, quasi che il testo dicesse « nella sua carne »; oppure dimenticando che la condanna del peccato è qui l’opera del Padre il quale incarica il Figlio di metterla in esecuzione.

2. Questa missione costituisce Gesù Cristo mandatario di Dio e rappresentante degli uomini, in altri termini, mediatore. Nella religione giudaica, vi furono tre sorta di mediatori: i re, i sacerdoti e i profeti. Il profeta porta agli uomini i messaggi di Dio; il sacerdote amministra a nome degli uomini le cose di Dio; il re teocratico era il luogotenente di Dio. Sacerdoti e profeti sono egualmente mediatori tra Dio e l’uomo; però su la scala misteriosa che unisce il cielo con la terra, il sacerdote sale, e il profeta discende: il profeta inviato da Dio, discende verso gli uomini; il sacerdote, delegato dagli uomini, sale verso Dio. Senza dubbio, compiuta la loro missione, essi eseguiscono un movimento inverso: il profeta, risale verso Dio per rendergli conto del suo messaggio, e il sacerdote scende di nuovo verso quelli che lo hanno mandato, per distribuire loro le benedizioni del cielo; ma la prima direzione è quella che li caratterizza. In quanto poi al re teocratico, ti suo trono è « il trono di Jehovah » adesso (Ps. XLIV, 7); Davide, vestito dell’ephod, benedice il popolo in nome di Dìo (II Sam. VI, 18); nei salmi messianici, il re discendente di Davide si presenta come l’intermediario titolato tra Dio e il popolo. – Gli Ebrei contemporanei di Gesù Cristo, pensavano alla triplice mediazione del Messia, re, profeta e pontefice? Avevano essi l’idea di un sacerdozio diverso dal sacerdozio levitico, e riconoscevano essi generalmente il Messia nel « sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech »? Il profeta che aspettavano era egli lo stesso Messia o un precursore del Messia? Questioni spinose, rese più intricate dalle controversie e oscurate dall’incertezza e dalla forma poco precisa dei dati contrari. Gli scrittori del Nuovo Testamento ci mostrano bensì la regalità spirituale, la pienezza dello spirito profetico ed il sacerdozio eterno in Gesù Cristo, ma senza mai unire insieme queste tre attribuzioni; sembra anzi che essi se le dividano, poiché i Sinottici mettono in rilievo la qualità del re messianico, san Giovanni, l’autorità del profeta per eccellenza, l’Epistola agli Ebrei, la dignità del pontefice che per il primo apre la via del cielo. Paolo invece non chiama il Cristo né re né sacerdote né profeta; e benché gli attribuisca funzioni regali, sacerdotali e profetiche, questa divisione ternaria delle mansioni del Cristo, estranea alle speculazioni messianiche degli Ebrei, quasi sconosciuta ai Padri, introdotta o messa in voga, dopo curiosissimi brancolamenti, dai riformatori del secolo XVI, non conviene punto alla teologia paolina. – L’Apostolo soltanto una volta dà a Gesù Cristo il nome di mediatore. « Unico è Dio, unico pure il mediatore di Dio e degli uomini, Gesù Cristo uomo, il quale ha dato se stesso come riscatto per tutti (I Tim. II, 5)». L’estendere a tutti il benefizio della volontà di salvare, rendendo propizio Iddio col sacrificio spontaneo della vita che egli offre come rappresentante del genere umano, questo era lo scopo, il mezzo e la condizione della sua mediazione onnipotente. Siccome l’uffizio speciale del mediatore è quello di servire come mezzo per unire le due parti, per riconciliarle se sono in guerra, per stringere di più i loro vincoli se sono in pace, l’Uomo-Dio era eminentemente adatto per compiere questa parte; infatti con le sue due nature egli s’identifica con i due estremi, e, col suo composto teandrico, li lega con una unione indissolubile. Gesù Cristo fu dunque mediatore non solamente per il suo stato, intermediario tra la via e il termine, tra la prova e la corona, e neppure solamente con la sua persona, unione armonica della umanità e della divinità, ma soprattutto come dispensatore dei benefizi divini dei quali è l’unico depositario. Infatti il Cristo di san Paolo non è un semplice mediatore naturale, come il Logos di Filone, ma è un mediatore di vita soprannaturale. – Per mezzo di Lui infatti noi abbiamo la grazia (Rom. I, 5; V, 21), la salvezza, cominciata su questa terra e consumata in cielo (I Tess. V, 9; II Tim. III, 15); per mezzo di Lui abbiamo la giustizia e il frutto della giustizia (Rom. III, 27; Fil. I, 11); per mezzo di Lui abbiamo la giustificazione (Rom. V, 18; Gal. II, 16), la redenzione (Rom. III, 24; Efes. I, 7) e la riconciliazione (Rom. V, 10-11, etc.); per mezzo di Lui abbiamo la pace (Rom. V, 1) e la pacificazione generale (Col. I, 20); per mezzo di Lui abbiamo il libero accesso a Dio (Rom. V, 2) e un rifugio sicuro contro l’ira divina (Rom. V, 9); per mezzo di Lui abbiamo la consolazione spirituale (II Cor. I, 5) e la fiducia che nulla può turbare (II Cor. III, 4); per mezzo di Lui abbiamo il dono dello Spirito Santo (Tit. III, 6) e la filiazione adottiva (Efes. I, 5); per mezzo di Lui abbiamo la vittoria sopra tutti i nostri nemici (Rom. VIII, 37; I Cor. XV, 57); per mezzo di Lui abbiamo il regno senza fine (Rom. V, 17). Per mezzo di Lui solo noi possiamo gloriarci in Dio (Rom. V, 11) e dobbiamo rivolgergli i nostri ringraziamenti (Rom. I, 8; VII, 28); poiché come tutte le promesse divine ebbero in Lui il loro sì, cioè il loro compimento, per mezzo pure di Lui i fedeli pronunziano il loro amen, in un atto di fede sincera e riconoscente, per far risalire a Dio tutto l’onore e la gloria (II Cor. I, 20). In una parola, nell’ordine della grazia, più ancora che nell’ordine della natura, « tutto è per mezzo di Lui (o per Lui) e noi siamo per mezzo di Lui (I Cor. VIII, 8) » poiché Egli è il principio della nostra vita e di tutto il nostro essere.

3. Perciò non vi è più nessun altro mediatore o superiore o uguale a Lui. I Colossesi, con un malinteso culto degli Angeli, che nel loro pensiero si collegava con l’osservanza della Legge mosaica, derogavano alla mediazione universale del Cristo. « Si andava dicendo loro che la Legge era stata data per mezzo degli Angeli, perché questi avevano prestato il loro ministero nella sua promulgazione e non potrebbero perciò vedere con occhio indifferente il disprezzo della Thora » della quale erano essi i custodi. Col violare la Legge, si andava dunque incontro allo sdegno e alla vendetta degli spiriti celesti. Ma l’Apostolo li assicurava che questo non è punto vero: Dio spogliando (delle loro funzioni passate) i principati e le potestà, li ha esposti ostensibilmente agli sguardi (di tutti, così spogliati e privati dei loro onori), trascinandoli in trionfo (al seguito del Cristo vincitore, assiso) in croce (o per mezzo della croce) (Col. II, 15). – San Paolo conosce soltanto due specie di esseri sovrumani, i buoni ed i cattivi, gli spiriti della luce e gli spiriti delle tenebre, gli Angeli di Dio e gli angeli di satana. In nessun luogo dei suoi scritti appare il concetto di esseri intermedi destinati forse a diventare angeli o demoni, ma che attualmente non sarebbero né Angeli né demoni. Per gli Ebrei contemporanei di san Paolo, e per lo stesso san Paolo, gli angeli associati alla promulgazione della Legge erano gli Angeli buoni, e non veniva a nessuno l’idea che essi fossero venuti meno al loro mandato o avessero rivolto contro Dio l’autorità di cui erano investiti. I Colossesi che li veneravano, non ne avevano affatto un’idea diversa, e l’Apostolo parlerebbe in modo incomprensibile se li mettesse in un’altra ipotesi. Non vi è dunque nulla che insinui una prevaricazione di quegli Angeli; ma dopo l’abolizione della Legge, il loro compito fu terminato e la loro mediazione non ebbe più il suo oggetto. Gesù Cristo, infinitamente elevato sopra le potenze sopraterrestri, il solo capace di rivelarci il Padre del quale è l’immagine perfetta, il solo intermediario titolato tra Dio e gli uomini, si sostituisce oramai agli spiriti celesti promulgatoli e custodi di una legge che, invece di favorire il disegno della redenzione, gli è piuttosto di ostacolo. Perciò quando la Legge vien messa in disparte, essi partecipano in certo modo alla sua disgrazia, e il loro ministero non ha più ragione di essere. – Dio li fa servire come di scorta al Cristo trionfatore: per sé, questo sarebbe un onore, ma è anche una diminuzione perché rappresenta la fine della loro autonomia ed è la prova che essi sono soltanto i subalterni ed i satelliti del gran mediatore. – Perché dunque san Paolo, parlando del Cristo, è così avaro del nome di mediatore? Sarebbe forse perché, nell’opinione e nel linguaggio comune degli Ebrei di quel tempo, Mosè era il mediatore per eccellenza? (Gal. III, 19). Eppure l’Epistola degli Ebrei che non ignora tale usanza, chiama Gesù Cristo mediatore della nuova alleanza (Ebr. VIII, 6). La ragione si deve cercare altrove: il mediatore, nel senso usuale della parola, è estraneo alle due parti che deve mettere in relazione tra loro; non così è d i Gesù Cristo, nel quale la pienezza della divinità abita corporalmente, e che realmente è entrato nella famiglia umana. Egli è mediatore, ma non è un mediatore ordinario; egli è il nuovo Adamo: questo è un titolo che san Paolo crea apposta per Lui e che, contenendo eminentemente quello di mediatore, lo rende perciò inutile.

II. IL NUOVO ADAMO.

1. PARALLELO TRA I DUE ADAMI. — 2. COMPITO E QUALITÀ DEL SECONDO ADAMO.

1. L’immagine più completa, più feconda, più originale che l’Apostolo ci dà della missione redentrice del Cristo, è quella del nuovo Adamo. È più che dubbio che tale immagine gli sia stata suggerita dalla teologia ebraica contemporanea, perché la denominazione di secondo Adamo o di ultimo Adamo si trova soltanto in certi scritti di ben poca autorità e di assai bassa epoca, e si può benissimo credere che la locuzione tanto frequente Adam ha-Eishon non significhi il primo Adamo, ma semplicemente il primo uomo. Ad ogni modo era riservato a Paolo di esprimerne il valore dottrinale e di far vedere le armoniche relazioni che essa stabilisce nel complesso della soteriologia cristiana. Adamo e il Cristo riassumono i due periodi dell’umanità; essi non li simboleggiano soltanto, ma li realizzano nella loro persona con una misteriosa identificazione. La prima volta che il parallelo si presenta sotto la penna di Paolo prende questa forma antitetica: « Se vi è un corpo psichico, vi è un corpo spirituale. – Così sta scritto: Il primo uomo, Adamo, diventò un’anima vivente; l’ultimo Adamo (diventa) uno spirito vivificante. Ma non è lo spirituale (che passa) prima; è quello psichico, poi lo spirituale. Il primo uomo, (tratto) dalla terra, (è) terrestre; il secondo uomo (viene) dal cielo. Quale il terrestre, tali anche i terrestri; e quale il celeste, tali anche i celesti; e come noi abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo (o portiamo) anche l’immagine del celeste » (I Cor. XV, 44-49). Senza lasciarci distrarre dalle idee accessorie e dalle parentesi esplicative — esistenza e origine del corpo spirituale, origine, natura e priorità del corpo psichico — fermiamoci all’idea centrale. L’Apostolo ha detto prima: « Un corpo psichico è seminato, un corpo spirituale risuscita »; egli conclude, dopo la sua lunga spiegazione: « Come noi abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo anche l’immagine del celeste ». Il corpo psichico è il corpo perituro tale e quale viene restituito alla terra, tale e quale ebbe il primo uomo dalle mani del Creatore. Il corpo di Adamo fu fatto di terra o più particolarmente dal limo della terra; ma quando Dio gli ebbe ispirato il soffio della vita, diventò un’anima vivente; così la Scrittura indica un essere animato, dotato di un principio vitale. Adamo non può trasmettere ai suoi discendenti più di quello che possiede per natura, cioè un corpo psichico e mortale. Né si può obiettare che egli fu ornato della grazia santificante e fu destinato all’immortalità: questi doni soprannaturali che non erano inerenti a lui e che egli non seppe conservare, non fanno parte del suo retaggio. Egli è terrestre e non può dare origine che a uomini terrestri. – Ben altra è la condizione del secondo Adamo. Egli è del cielo, non solamente perché il cielo è il suo centro di gravitazione e il luogo attuale della sua dimora, dal quale ritornerà glorioso al momento della parousia, ma soprattutto per la sua preesistenza divina e per i doni celesti che questa gli conferisce per Lui e per i suoi (I Cor. XV, 47). Egli è celeste per tutti i titoli, e il suo corpo risuscitato è spirituale perché è sciolto dalle limitazioni della materia ed è interamente dominato dallo Spirito. Se il corpo psichico è quello che serve di organo all’anima sensitiva ed è proporzionato alla medesima, il corpo spirituale sarà quello che serve di strumento ad un principio di operazione di un ordine superiore — chiamato da san Paolo spirito — e che partecipa alle sue perfezioni. Il momento della risurrezione è quello in cui Gesù Cristo prende effettivamente questo corpo spirituale al quale gli danno diritto la pienezza dello Spirito Santo posseduta fin dalla sua miracolosa concezione e il merito acquistato nell’opera redentrice; ed è pure il momento della risurrezione quello in cui diventa spirito vivificante, capace di effondere e di trasfondere la vita soprannaturale di cui è dotato. Perciò mentre il primo Adamo tramanda la morte a tutti quelli che sono una sola cosa con lui per il fatto della generazione naturale, il secondo Adamo trasmette la vita a tutti quelli che sono una cosa sola con Lui per il fatto della generazione soprannaturale. Adamo è « di terra », è « terrestre », e diventa « un’anima vivente » nell’istante della sua creazione, quando comincia ad essere capo dell’umanità; il parallelismo c’invita a mettere i tre termini opposti in rapporto col momento in cui Gesù Cristo diventa il capo glorioso dell’umanità redenta. L’Apostolo, dopo un lungo giro, ritorna al suo punto di partenza: « La morte è per mezzo di un uomo ed anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti; poiché come in Adamo muoiono tutti, così pure nel Cristo tutti saranno vivificati (I Cor. XV, 21-22) ». Il carattere di Adamo, tanto del primo quanto del secondo, è essenzialmente rappresentativo. Adamo porta in sé tutto il genere umano: dunque ciò che conviene al padre conviene anche ai figli. Noi, discendenti secondo la carne da un uomo terrestre, saremo terrestri come lui; discendenti secondo lo spirito da un uomo celeste, saremo celesti come Lui (I Cor. XV, 48-49). Noi riceviamo a volta a volta l’immagine dell’uno e dell’altro. – Il testo che abbiamo ora esaminato è tutto fatto di antitesi: differenze di origine, di natura, di azione e di destino tra i due Adami; quello che vedremo ora unisce il parallelismo al contrasto, benché vi domini il contrasto: « Perché come per mezzo di un solo uomo il peccato entrò nel mondo, e per mezzo del peccato la morte », così per mezzo di un solo uomo la giustizia è rientrata nel mondo e, per mezzo della giustizia la vita perduta in « Adamo che è il tipo dell’Adamo futuro ». — Prima somiglianza. « Ma non è del dono gratuito come delia colpa: perché se per la colpa di un solo molti, (tutti nonostante il loro numero) sono morti, quanto più la grazia di Dio e il dono gratuito che derivano da un solo uomo, Gesù Cristo, si riversarono sopra molti », cioè su tutti. — Primo contrasto. « E non è del dono come (dell’atto compiuto) da un solo peccatore: poiché il giudizio (parte) da un solo (atto delittuoso e  arriva) alla sentenza di condanna; ma il dono gratuito (parte) da una moltitudine di colpe (e arriva) ad una sentenza di giustificazione ». — Secondo contrasto.

« Perché se, per la colpa di uno solo, la morte regnò per il (fatto del) solo (Adamo), quanto più quelli che hanno ricevuto l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per il solo Gesù Cristo ». — Terzo contrasto.

« Così dunque come per una sola colpa (il giudizio cade) sopra tutti gli uomini in sentenza di condanna, anche per un solo atto meritorio (la grazia discende) sopra tutti gli uomini in giustificazione di vita ». — Seconda somiglianza.

« Poiché come per la disobbedienza di un solo uomo molti (= tutti nonostante il loro numero) sono stati costituiti peccatori, così, per l’obbedienza di un solo, molti (ossia tutti, qualunque ne sia il numero) saranno costituiti giusti ». — Terza somiglianza.

« Ora la Legge interviene per far abbondare la colpa; ma là dove il peccato abbondava, la grazia è sovrabbondata; affinché, come il peccato regnò per mezzo della morte, così la grazia regni per mezzo della giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo Nostro Signore » (Rom. V, 12-21). —

Riassunto del parallelo e del contrasto. – Vi sono dunque, senza contare la conclusione finale, tre analogie e tre disparità. La prima analogia riguarda un fatto, cioè l’introduzione nel mondo e la diffusione universale del peccato e della morte per parte di Adamo, della giustizia e della vita per parte del Cristo. Una parentesi abbastanza lunga, la quale spiega come tutti gli uomini muoiono in Adamo per aver peccato tutti in Adamo, turba un poco il parallelismo; ma il rapporto tipologico, ricordato con una parola (τύπος = tupos), non resta meno chiaro. La seconda analogia riguarda il modo: l’unione di solidarietà che vi è tra l’intera stirpe ed i suoi capi rispettivi, qualunque sia il numero degli individui rappresentati. La terza analogia riguarda la causa meritoria: da una parte l’obbedienza del Cristo, e dall’altra la disobbedienza di Adamo; la prima ha costituito peccatori tutti gli uomini, come la seconda li ha costituiti giusti. Accanto alle analogie vi sono i contrasti. Il primo oppone tra loro gli strumenti: il peccato e la grazia; ma il bene la vince sul male, e la grazia è più potente a salvare, che il peccato a perdere. Il secondo contrasto paragona gli effetti: da una parte un solo peccato che si trasmette, dall’altra un solo atto di grazia che scancella e ripara peccati senza numero; vi è un evidente eccesso da parte della grazia. Il terzo contrasto paragona le persone: da una parte vi è soltanto un uomo, e dall’altra vi è Gesù Cristo il cui nome è sopra ogni nome.

2. Riparare il peccato e vincere la morte è il compito del secondo Adamo. Egli riparerà il peccato col dono della giustizia, e vincerà la morte con associare noi alla sua vita. « Il Cristo Gesù è venuto in questo mondo a salvare i peccatori (I Tit. I, 9) » : ci voleva questo motivo per attirarlo quaggiù. Su questo punto l’insegnamento dell’Apostolo non ha nulla di caratteristico; san Giovanni, san Pietro, come pure l’autore dell’Epistola agli Ebrei ed i Sinottici, parlano precisamente come lui. Tutti mettono la missione del Cristo in relazione col peccato; tutti presentano la sua morte come l’espiazione delle nostre colpe; nessuno lascia capire che Egli sarebbe venuto su questa terra, se non v i fossero stati peccatori da salvare (Ebr. X, 4-7). Siccome non vi è nulla che possa supplire al silenzio della rivelazione, quando si scruta il mistero dei consigli divini, l’ipotesi dell’incarnazione per un altro ordine di provvidenza non può avere che una base precaria (S. Th. III q. 1, art. 3), eccetto che si voglia imporre a Dio, nelle sue operazioni ad extra, l’obbligo di fare il più perfetto, il che sarebbe la negazione stessa della libertà. Oltre la missione speciale per la quale è accreditato, il secondo Adamo deve avere due qualità essenziali: la natura umana e l’esenzione dal peccato. – Che Gesù Cristo sia esente dal peccato, lo insegnarono così chiaramente come san Paolo, anche san Giovanni, san Pietro e il redattore dell’Epistola agli Ebrei. In san Giovanni, Gesù sfida i suoi nemici a trovare in Lui una colpa: Quis ex vobis arguet me de peccato? Per lui, come per gli altri evangelisti, l’immunità dal peccato in Gesù, è un dato dell’esperienza che risulta da una vita tutta pura, tutta santa. Il redattore dell’Epistola agli Ebrei la deduce dal sacerdozio del Cristo; il pontefice ideale dev’essere « santo, senza macchia, separato dai peccatori » con una barriera insormontabile, « simile quanto è possibile ai suoi fratelli, eccetto il peccato ». San Pietro la deduce dalla qualità di vittima: « Il Cristo è morto per (espiare) i peccati (degli uomini); Egli giusto, per gli ingiusti »; e noi siamo stati riscattati « dal sangue prezioso dell’agnello senza difetto e senza macchia, il Cristo ». San Paolo invece fonda l’impeccabilità del Salvatore sopra la missione di secondo Adamo. Gesù Cristo riceve la missione di « vincere il peccato nella carne » e non lo può vincere negli altri se non dopo di averlo vinto in se stesso; perciò, benché abbia una carne affatto simile alla nostra, Egli ha soltanto in apparenza una carne peccatrice. Non solamente Egli non ha nessuna esperienza del peccato, ma non potrebbe avere nulla di comune col peccato; ecco perché « Dio lo fece peccato, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui », certo che, lungi dall’essere macchiato dal contatto dei peccatori, il Cristo avrebbe loro comunicato la sua giustizia. – Ma altra cosa è il peccato, e altra cosa è la natura umana. « Se il Cristo non fosse veramente uomo, dice Tertulliano, tutta la sua vita non sarebbe altro che menzogna »: menzogna la sua nascita verginale, la sua agonia e la sua passione, la sua morte in croce, la sua risurrezione gloriosa; menzogna, conchiude sant’Ireneo, sarebbe tutta quanta la redenzione. Difatti se Gesù Cristo non fosse veramente uomo, non sarebbe nostro fratello; se non fosse nostro fratello, non sarebbe nostro capo nel senso stretto della parola; se non fosse nostro capo, non sarebbe nostro rappresentante; la sua grazia gli sarebbe personale, e la sua giustizia non sarebbe la nostra per nessun titolo. Perciò si spiega l’insistenza con cui san Paolo inculca continuamente la realtà della natura umana nel Cristo.