GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO – 2° Corso di Esercizi spirituali (10)

IL MAGISTERO IMPEDITO

2° corso di ESERCIZI SPIRITUALI (10)

Nostra conversatio in cœlis est

[G. SIRI: Esercizi spirituali, Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi, 1962] –

10. La SS. Eucaristia

Incominciamo a parlare della SS. Eucaristia. Perché? Perché la SS. Eucaristia è il segno, il mezzo, il divino strumento per cui noi siamo autorizzati a porre la nostra conversatio in cœlis. Se Dio si fa cibo nostro, vuol dire che noi siamo autorizzati a porre la nostra conversatio in cœlis. E pertanto della SS. Eucaristia parliamo e meditiamo obbedendo al solito criterio che presiede a questi Esercizi: abituarci a vivere con la nostra mente e con l’altezza del nostro costume in cœlis e non in terra. – Parliamo dunque della presenza reale di N. S. Gesù Cristo nell’Eucaristia. La realizzazione di questa divina presenza — a parte il fatto stesso della morte del Salvatore, della quale però è memoriale, segno e rinnovazione — è il fatto più grande dell’Evangelo. Tra l’incarnazione e la morte del Signore, noi non troviamo una cosa più grande. Il fatto di questa divina presenza trascende tutto: la prova l’abbiamo nello stesso Evangelo. I primi tre evangelisti hanno narrato il fatto della istituzione; non hanno scritto del discorso tenuto da Gesù nella Sinagoga di Cafarnao. Probabilmente essi hanno ritenuto opportuno, nella primissima età, di dare a voce il contenuto di quel discorso: ci potevano essere delle plausibili ragioni di metodo e di prudenza; ma hanno tutti narrato la istituzione della Eucaristia. La Chiesa primitiva è vissuta di quello. La testimonianza di S. Paolo nei capp. X e XI della Prima Lettera ai Corinti ci rende bene edotti della celebrazione della S. Messa e del suo significato, e pertanto della verità accettata e vissuta della divina reale presenza. S. Giovanni sulla fine del primo secolo ha ritenuto evidentemente che le ragioni di metodo e di prudenza per affidare solo alla tradizione orale il discorso eucaristico di Cafarnao fossero cessate. Egli sopravviveva già di alcuni decenni agli ultimi degli Apostoli scomparsi; aveva già veduto evolversi molte cose; ha potuto giudicare che quelle ragioni fossero cessate. E allora nel suo Evangelo, non ripetendo l’istituzione dell’Eucaristia, perché già a sufficienza ne avevano parlato gli altri, egli, guidato da un criterio completivo, trasmise il discorso di Cafarnao. – Ho detto che 1’Evangelo stesso ci dice di questa priorità della presenza reale di Gesù Cristo nella Eucaristia. Perché non dimentichiamo che Gesù Cristo, a quanto ci narrano gli evangelisti, pone una volta sola la questione di fiducia ai suoi stessi apostoli: l’ha posta a Cafarnao. Perché, dopo avere nel discorso eucaristico di Cafarnao affermato quattro volte la reale manducazione e nove volte la reale presenza, quasi incalzando di fronte agli evidenti dinieghi di quanti gli stavano innanzi, prima contenuti nel gesto, poi sussurrati, poi scoppiati in aperta rivolta, Gesù Cristo solo allora e solo per questo ha posto la questione di fiducia ai suoi Apostoli. Si è rivolto agli Apostoli, quando gli altri se ne andavano e con scherno dicevano: « Ma chi può capire queste cose? », e ha detto agli Apostoli: « Volete andarvene anche voi? Andatevene! ». Fu allora che Pietro, con una di quelle sue caratteristiche esplosioni così piene di fede, di ardore e di generosità indomita, disse: « Signore, da chi ce ne andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna ». E qui si potrebbe aggiungere — nel Vangelo non c’ è, ma deve averlo pensato Pietro — : Noi non abbiamo capito niente…. E continua il testo : « Però sappiamo e riconosciamo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio ». La vera ragione l’ha data; Pietro non ha preteso di capire; sapeva che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e Dio può fare tutto. È stato di una logica immediata, anche se l’essere andato al motivo della fede direttamente, non parlando della comprensione dell’oggetto di fede, testimoniava ampiamente che anche lui non aveva capito niente. Ma aveva capito Chi era Colui che parlava, del quale si poteva fidare. L’unica volta che Gesù Cristo ha messo la questione di fiducia. Un’altra cosa ha fatto Gesù Cristo, una cosa che non ha mai fatto in altre occasioni, a quanto noi sappiamo dagli Evangeli. Appena prima di fare il discorso sulla verità della reale presenza nell’Eucaristia, ha tenuto il discorso sulla fede, dicendo della fede alcune cose che sono di estremo interesse. Come a dire: Badate che qui la ci vuol tutta, la fede. Non l’ha fatto per altri argomenti; l’ha fatto per l’Eucaristia. E notate bene che, unica volta nell’Evangelo, Gesù Cristo ha fatto un prologo che, come prologo tipico, specifico, omogeneo al discorso, a quanto ricordo, è l’unico. – Cioè prima ha fatto un miracolo unicamente per introdurre all’oggetto tipico del discorso che stava per fare, cioè ha moltiplicato il pane e il companatico. Come a dire: Già, avete tutti mangiato e vi siete saziati, ma ricordate che non è questo il pane che interessa. Vedete il raccordo? Quando si pensa a questi rilievi che sembrano quelle martellate date da Michelangelo o quelle pennellate date nell’affresco della Cappella Sistina, che vanno da cima in fondo a un arto, a una figura; pennellate che Michelangelo deve averle date coi pugni; quando si vedono questi elementi di demarcazione, si capisce una cosa: che l’Eucaristia sta al centro; che il fatto della reale presenza, della reale permanente presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia, insieme alla sua Chiesa e al mondo, sta al centro di tutto. Io ho recitato il Te Deum quando il 1° luglio 1957 è uscito un celebre ma non abbastanza letto Decreto della S. Congregazione dei Riti, autorizzato personalmente dal Papa Pio XII e da lui direttamente sancito con la sua altissima autorità, il quale si occupava dei Tabernacoli. Ho recitato il Te Deum, perché a me piangeva il cuore nel costatare certe manie moderne che hanno il « pudore » di mettere il Tabernacolo sull’altare. Da qualche parte ho persino trovato che l’hanno nascosto, con la scusa di fare l’altare liturgico. Come se a fare l’altare liturgico non bastasse esclusivamente la legge della Chiesa anziché i pallini degli uomini. L’altare è liturgico quando è fatto come la Chiesa lo vuole. Il 3 settembre 1958 è uscito un altro Decreto della Congregazione dei Riti, personalmente approvato da Pio XII, in cui si dà la definizione di ciò che è liturgico. È liturgico quello che la Chiesa stabilisce; non è liturgico quello che la Chiesa non ammette. – Ora in quel Decreto del 1957 si parla del Tabernacolo; stabilisce che gli altari maggiori, in tutte le chiese del mondo — eccettuato nelle cattedrali o nelle collegiate, o chiese conventuali, in cui in ragione del coro si deve fare una cappella del SS. Sacramento a parte, ma degna e sontuosa — tutti gli altari maggiori debbono avere il Tabernacolo. Così è finita coi pallini degli altari liturgici. Un altare maggiore, se non ha il Tabernacolo, non è liturgico. Ma quel Decreto ribadisce quanto era già stabilito dal Codice di Diritto Canonico, che il Tabernacolo deve essere « in altare positum » e non piantato, appeso, come una gabbia d’uccelli, e « affabre exstructum », ed « eminente ». Da anni nella mia Diocesi, dove debbo fare 75 chiese nuove, mi sono riservato personalmente i disegni degli altari. Non li mando alla Commissione se prima non li ho visti io, e il visto della Commissione non vale se non li rivedo io. Per un motivo solo: perché non ammetto altari che non abbiano il Tabernacolo monumentale. Il Tabernacolo deve essere tale che chi entra in chiesa debba per forza guardare e per forza capire che il centro è là, esattamente come nel Vangelo. – Bisogna che noi capiamo che al centro della nostra vita ci deve stare l’Eucaristia, perché questa è la volontà del Signore. È proprio questa verità: è l’esser Lui venuto lì che autorizza noi a sentirci rivestiti, per elargizione sua, del diritto di vivere in cielo anche se siamo in terra. Ma è vera anche la proposizione che comincia dalla parte opposta: che questa verità e questa vita e questo sentire e questa adorazione dobbiamo metterla al centro della nostra vita. – Ora continuiamo a guardare. Reale presenza di Nostro Signore nell’Eucaristia. Quelli che dicono che nell’Eucaristia ci sono molti miracoli evidentemente non hanno studiato la teologia. Nell’Eucaristia, per rendere possibile la presenza a quel modo, ne basta uno. Uno solo; non ne occorrono di più, nemmeno due. Per mille anni si è studiato intorno a questo divino mistero: hanno cominciato nel sec. II a studiare, mentre si apriva la prima scuola alessandrina, la prima università cattolica in erba, quella degli Apologeti. Da allora l’intelligenza umana non si è più quietata; mille anni han lavorato su questo mistero, con questo obiettivo di arrivare a capire ciò che si poteva capire e, quanto meno, a togliere quelle apparenti contraddizioni che per gli spiriti abituati al modus grossus si possono presentare. E ci si è arrivati solo — però con un distacco enorme tra il penultimo e l’ultimo gradino — verso il 1260, nell’epoca in cui cominciavano a uscire le dispense della Summa Theologica di S. Tommaso d’Aquino. Ho detto che l’ultimo gradino è stato molto alto, perché prima di S. Tommaso d’Aquino c’erano stati Alberto Magno e i Vittorini: Riccardo da S. Vittore, Ugo da S. Vittore, ecc. Poi vi è un gradino molto alto: S. Tommaso, forse la mente più vasta che abbia avuto il genere umano. E dopo di lui nessuno è andato più oltre, dico nessuno. Bisognerà aspettare che nasca un altro S. Tommaso per andare oltre. Però, con tanto lavoro, a noi è dato di guardare un pochino questa questione dall’alto. Perché fosse possibile che Gesù Cristo, Lui vivo e vero, senza aggiunte, senza modificazioni, senza trasposizioni; Lui, il cui corpo, la cui umanità santissima è nell’eterna vita; lui stesso fosse presente in terra veramente, fisicamente, realmente, sia pure sacramentalmente; e perché potesse essere in posti diversissimi, distanti fra di loro, lo stesso identico Cristo, senza patire divisioni, senza alcuna menomazione; e perché potesse essere presente ed essere maneggiato dagli uomini, ma che non rimanesse in alcun modo intaccata la impassibilità che ha un corpo risuscitato ed entrato nella eterna gloria, impassibile perfettamente rispetto ad altri agenti, specialmente di altro ordine, come sarebbe per noi masticare, per dire quello a cui ci ha autorizzato Lui stesso; per fare tutto questo, che cosa ha fatto Gesù Cristo? Ha separato, per l’Eucaristia, l’ordine della sostanza dall’ ordine della quantità. – Sostanza e quantità sono due cose diverse; la prova è che una può variare e l’altra non varia: dunque vuol dire che sono diverse. Se sono diverse, concettualmente sono separabili. Nell’ordine cosmico nostro nessuno mai, che si sappia, neppure per miracolo, ha separato la sostanza dalla quantità, l’ordine della sostanza dall’ordine della quantità. Ciò che si converte nel Corpo e nel Sangue di N. S. Gesù Cristo è soltanto la sostanza del pane e del vino e non gli accidenti, non la quantità del pane e del vino. Sta tutto qui; si converte una sostanza in un’altra sostanza. Ed è per questo che Gesù Cristo è presente secondo il modo proprio della sostanza e non secondo il modo proprio della quantità. È tutto qui il fatto della possibilità della sua presenza. Al di là, l’infinita realtà di Dio presente, e questa non la possiamo catalogare in nessuna categoria. All’ordine della sostanza appartiene quella presenza, non all’ordine della quantità. Ora tutto ciò che è divisione, che è complicazione, che è pertanto estensione, distanza, che è azione passiva, che è recezione di stimolo dall’esterno, che essendo sempre quantitativa è legata all’accidens quantitatis, è legata all’ordine della quantità, rimane fuori, e non ha ragione di essere nell’ordine delle sostanze nel quale non esistono più né distanze né passività rispetto a tutte quelle azioni che hanno come elemento di contatto e di trasmissione esclusivamente l’accidens quantitatis. È stata operata questa divisione, questa distinzione. Gli accidenti del pane e del vino rimangono. Perché rimangono? Per rendere un servizio. Che cos’è che rende presente questa tavola qui? Non è la sostanza della tavola: sarebbe indifferente allo spazio; è semplicemente l’accidente di quantità, l’estensione che lo rende presente qui, per cui, avendo una quantità, una estensione commensurabile, ha l’estensione del corpo ambiente. Se Gesù Cristo fosse presente qui mediante gli accidenti della sua Persona, potrebbe essere presente in un posto solo perché li esaurirebbe; invece anche quelli sono presenti secondo il modo proprio delle sostanze e non secondo il modo proprio della quantità. – Gli accidenti del pane e del vino, sostenuti direttamente da Dio e non più sostenuti dalla propria rispettiva sostanza, che non è rimasta perché è trasmutata, è transustanziata, fanno a Gesù Cristo il servizio che rendevano alla rispettiva sostanza del pane e del vino. Perché noi siamo presenti in ragione dei mezzi di congiunzione. Se moltiplichiamo i mezzi di congiunzione, noi moltiplichiamo le presenze. Con ogni consacrazione, con questa transustanziazione si offre a Gesù Cristo un altro complesso di accidenti che lo rendono presente, senza moltiplicare Lui. Ed è per questo che si può spezzare l’Ostia, ma non si spezza Gesù Cristo; si spezzano le apparenze, gli accidenti, la quantità sopravvissuta del pane e del vino. – Anticamente per far passare indenne, nella prima Pasqua, il popolo dall’Egitto alla penisola del Sinai, di fronte alla persecuzione del Faraone, Dio aveva separato il mare. Non si tratta di marea alta o bassa, no, no; ha separato il mare! Ma nell’Eucaristia Dio ha fatto una cosa immensamente più grande e stupenda, unica nel mondo: ha separato l’ordine della sostanza dall’ordine degli accidenti. E ogni contraddizione cade; rimane sempre il mistero positivo in sé stesso, ma ogni ombra che poteva essere negativa cade. Ora quello su cui io attiro la vostra attenzione non è il fatto della spiegazione in sé stessa; è farvi ammirare questa specie di « passaggio del Mar Rosso », questa separazione, che è una rivelazione simbolica di una potenza epica, a considerarla bene. Pensate che, tra l’altro, a questo modo è mantenuto l’equilibrio cosmico. Noi oggi siamo in grado di porre questo problema, allora no. Perché se ci fosse una diminuzione di quantità nel nostro cosmo, avremmo necessariamente, per azione e reazione, un contraccolpo che non si sarebbe mai più esaurito, e il mondo sarebbe diverso da quello che è per il principio fisico dell’azione e della reazione. Invece, rimanendo immutato l’ordine della quantità, per quante consacrazioni si facciano, ed essendo libera la reale presenza di Gesù Cristo per la appartenenza di tale presenza all’ordine della sostanza, non è affatto violato nulla dell’ordine cosmico nostro che è essenzialmente quantitativo. È grande. Guardate quali indicazioni divine arrivano per porre quella reale presenza al centro della vita degli uomini. – Però bisogna domandarsi dell’altro, sempre dinanzi a questa reale presenza. Perché Gesù Cristo ha voluto la presenza reale, cioè fisica, in modo da esserci Lui qui? Lui non lo vediamo, certo, ma è qui in mezzo a noi. A pensarci bene, mancherebbe il coraggio di continuare a parlare. Perché ha voluto questa presenza, identica nella sostanza a quella che fu nel suo pellegrinaggio terreno? Ci deve essere una ragione; vuol dire che tutto l’ordine fisico, tutto l’ordine materiale, tutto l’ordine esterno deve ruotare intorno a Lui. Perché, se è rimasto qui anche realmente, che vuol dire fisicamente, in tale stupendo e portentoso modo, vuol dire che Egli domanda che tutta questa vita materiale, tutta questa esuberanza di forze materiali, tutto questo ordine materiale lo si deve portare intorno a lui. Per darci quello che Egli ci dà attraverso l’Eucaristia non sarebbe stato assolutamente necessario che usasse dell’Eucaristia. Dire che ha fatto questo per darci una prova d’amore non è tutto, non appare ragione ancora completamente adeguata, tale da escluderne altre. Certo che l’ha fatto per amore, tutto ha fatto per amore. Quale altro motivo c’è stato da parte di Dio nel crearci, nel redimerci, nel santificarci, nel farci partecipare un giorno della sua stessa eterna e increata felicità? Ma l’amore non appare motivo adeguato per spiegare quel determinato modo. Allora vuol dire che Lui rimane per essere coi fedeli come era con gli Apostoli. Vuol dire che Lui rimane perché continui « l a famiglia dei fedeli », esattamente come nel suo pellegrinaggio terreno era continuata la comunità di vita tra Lui e i suoi Apostoli e, fino a un certo punto, anche coi discepoli. Voi capite allora come abbiamo ben motivo di riservare alle manifestazioni eucaristiche lo splendore del fasto, della socialità, della folla, della maestà, dell’arte, di tutto. È Lui che lo vuole. E allora voi capite come il fatto della presenza continuata sua è un richiamo continuo alla realizzazione della famiglia cristiana, cioè della carità tra i fedeli, dell’unità fra di loro, di quella unità fra di loro per cui si debbono voler bene, per cui gli uni debbono pensare agli altri, per cui i mali di ognuno debbono essere i mali di tutti, per cui i bisogni di uno debbono essere sentiti come i bisogni di tutti, per cui ci deve essere intima comunione nella vita e nel servizio. – Questa è la ragione per cui se le nostre parrocchie, le nostre comunità non diventano accese di carità, fondate nella carità, impastate di carità, non sono né comunità né parrocchie; sono simulacri giuridici, accozzaglie economiche, ma non sono cellule della famiglia di N. S. Gesù Cristo. Per questo motivo Gesù ha detto : « Se stai per venire a fare la tua offerta davanti all’altare e ti ricordi che il fratello tuo ha qualche cosa contro di te, pianta lì la tua offerta… piantala!, va’ prima a riconciliarti col tuo fratello e poi, ritornando, farai la tua offerta ». Ci ha detto chiaro che delle nostre funzioni, fino a un certo punto, non sa che farsene, se andiamo in chiesa con l’anima ingombrata dalla malizia, dalla complicazione, dall’ acredine, dal dispetto verso i fratelli, dall’invidia, dalla gelosia, dall’ipocrisia malevola verso di loro. Questo dice la reale presenza. Miei cari, ora voi capite che l’invito a fare della divina Eucaristia il centro della vita è chiaro, è patente, con indicazioni anche pratiche, estremamente precise, che arrivano anche al dettaglio. Vi prego di riflettere molto a questo. E cercate di farlo sentire quanto potete a coloro che potrete avvicinare. Perché molti di noi stanno commettendo verso N. S. Gesù Cristo un grande oltraggio, dimenticandosi che vi è Lui. Si ha proprio l’impressione che molta gente non se ne accorga neppure che c’è Lui. Voi ve ne accorgerete sempre.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.