IL MAGISTERO IMPEDITO
2° corso di ESERCIZI SPIRITUALI (8)
Nostra conversatio in cœlis est
[G. SIRI: Esercizi spirituali, Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi, 1962] –
8. Il tesoro nascosto
Vi invito a meditare con me una parabola: la parabola del tesoro nascosto nel campo. La narra S. Matteo, cap. XIII, 44. È brevissima: « Il regno di Dio è simile a un tesoro nascosto in un campo che un uomo, trovatolo, nascose, andò e vendette quanto aveva, venne e comprò il campo ». È tutta qui. È interessante il particolare che l’uomo, per comprare il tesoro, andò e vendette quanto aveva, cioè vi impegnò tutto. Che cos’è nell’ordine dello spirito il tesoro nascosto nel campo? È tutto l’insieme dei beni portatida Nostro Signore Gesù Cristo agli uomini. Questi beni sono così facilmente occultabili dalla foschia umana che hanno ragione di essere continuamente chiamati tesoro nascosto. Così facilmente occultabili perché rispondono al concetto di libertà che Dio vuole assolutamente rispettare negli uomini e rispondono al concetto di lasciare integra a loro la dignità e il valore della prova. Ci domandiamo: quali sono i beni che ha portato Nostro Signore e che costituiscono il tesoro, il tesoro del regno, il tesoro facilmente occultabile, troppo facilmente occultabile, il tesoro per acquistare il quale vale la pena di dare tutto, lasciare tutto? Non esistono esagerazioni, credetelo, quando si tratta di mettere le mani su questo tesoro. Non ha esagerato S. Antonio Abate quando se ne è andato nel deserto, cominciando così una tradizione anacoretica che avrebbe dato tanto splendore di virtù e tanta capacità di meriti alla Chiesa. Non ha esagerato neppure S. Simone Stilita rimanendo quaranta anni su una colonna, immaginate voi? Non esagerano quei missionari che vanno lontani, che vanno a chiudersi in certi lebbrosari, con la prospettiva fondatissima di finire lebbrosi, di campare lunghi anni lebbrosi, vedendo il proprio corpo cadere lembo a lembo e assistendo in vita al disfacimento di sé stessi. Non esagera nessuno, perché vale la pena di vendere tutto per acquistare il tesoro. Il tesoro è tutto quello che è stato portato con la Redenzione da N. S. Gesù Cristo; quindi anzitutto Lui stesso, il primo grande bene, Lui stesso che, essendo Dio, si è fatto uomo. « Il Verbo si è fatto uomo e abitò fra noi…; noi lo abbiamo veduto come l’Unigenito di Dio, pieno di grazia e di verità ». Questo è il grande tesoro del regno: che l’umanità non sia sola; che abbia acquistato una compagnia divina; che non abbia più a camminare sola fra le sue vie irte di triboli e di spine; vie sassose, vie aride, vie deserte, vie apparentemente senza cielo e senza verzura, ma insieme col Figlio di Dio; che abbia acquistato il Figlio di Dio come suo proprio, perché è diventato uomo. Che sia diventato uomo vuol dire che è divenuto suo proprio. È per questo che due Evangelisti hanno voluto dare la linea genealogica di Gesù Cristo, quasi ad affermare che era figlio dell’uomo, uomo vero anche Lui, nato dalla carne di Adamo, appartenente alla carne di Adamo, membro della famiglia umana, legato dal suo essere umano a tutti i fratelli che prima di Lui e con Lui e dopo di Lui sarebbero comparsi a vivere sulla terra. Il primo tesoro è Gesù Cristo. Ed è, si direbbe, inconcepibile, impensabile, proprio per il fatto che lo possiamo pensare molto meccanicamente tutti i giorni: che l’umanità non sia sola e che abbia come cosa sua propria Dio, come suo membro Dio, come suo compagno di viaggio, in tutto e per tutto, e molto più di tutte le altre cose che sono nel mondo, Iddio stesso. Questo è il principale bene, è il principale tesoro portato da N. S. Gesù Cristo nel mondo. E con questo tutti gli altri. Il sacrificio suo, Sacrificio reso perenne nella S. Messa, tutti i Sacramenti; la capacità data agli uomini di realizzarli e di amministrarli col Sacramento dell’Ordine; la grazia sua, la grazia abituale, la grazia attuale, i doni dello Spirito Santo, le stesse virtù infuse, tutto! E poi il complesso della verità, la parola sua, ciò che Egli ci ha detto aggiungendo una divina certezza e compiendo con questo una liberazione dell’intelletto umano dall’oppressione di quello che così monco poteva cavare dall’esperienza propria e dal mondo che lo circonda, dandogli la liberazione dal dubbio, dalla paura, dalla incombente vendetta degli atti che lo seguono. Voi sapete che tutta l’impostazione spirituale del mondo, prima di Gesù Cristo, là dove ha raggiunto una certa espressione, soprattutto letteraria, ha espresso il concetto della nemesi, della vendetta, vendetta impossibile a sfuggirsi, non possibile a ridursi, vendetta che non si può perdere tra la confusione degli avvenimenti umani, ma che implacabilmente segue tutti gli uomini, addebitando sempre a loro, senza remissione né perdono, il carico del loro peccato. E invece questa divina Parola rivela un mondo nuovo, un ordine nuovo, tutto nuovo. Questo è, così sommariamente, il contenuto della parabola. Ho detto che il contenuto della parabola ora lo dobbiamo guardare sommariamente, perché di talune sue parti avremo da discorrere dopo, particolarmente, proprio perché, per avere una conversatio in cœlis, noi dobbiamo crearci una compagnia di cose grandi nella mente e nella vita. L’insieme della parabola del tesoro che cosa indica? Indica una sua essenza. E l’essenza gloriosa, letificante, rasserenante è questa, che Dio ama gli uomini, che li ama come figli suoi e che per loro è Padre, non limitandosi al concetto di una paternità terrena, ma in modo tale che il concetto della paternità terrena sia soltanto una lontanissima immagine della reale Paternità divina, e che pertanto tutto è concepito nell’amore e per amore. Questa è l’essenza del contenuto della parabola. – E allora, come la parabola indica che Iddio ama gli uomini, indica anche che Dio li vuole sovranamente, supernamente attivi; indica che Iddio, attraverso il tesoro, ha dato a loro infinite possibilità di acquistare un merito soprannaturale, di raggiungere un valore, di venire in possesso di una dignità e di spandere intorno a sé, si direbbe, coi caratteri dell’infinito, una fecondità. Sicché l’uomo trova il tesoro già nel campo, e il tesoro è suo ed è di tutti gli uomini, perché il fatto di trovarlo, di andare, di comperare il campo, lo possono compiere tutti gli uomini. Questo non è un tesoro che sia divisibile, un tesoro che debba essere necessariamente ripartito, talché per il facile computo matematico le parti debbano risultare minori quanto maggiore si fa il numero dei concorrenti. No, questo tesoro rimane integro per tutti gli uomini, perché per tutti gli uomini è morto Gesù Cristo, per tutti e singoli gli uomini si è incarnato tutto Gesù Cristo, per tutti e singoli gli uomini c’è tutta la parola di Dio, c’è tutta la grazia di Dio, ci sono tutti gli strumenti della parola di Dio; ci sono tutti gli strumenti della grazia di Dio; c’è tutta la Provvidenza di Dio: come se ciascun uomo si trovasse solo di fronte a questa infinita donazione; come se gli uomini non fossero folla. Il numero non diminuisce la forza di quello che Egli ha dato, perché Dio è infinito. Ecco l’essenza della parabola del tesoro nascosto nel campo: che gli uomini hanno infinite possibilità e infinite fecondità. C’è da rimanere impressionati di quanto accade da un certo tempo in qua in qualche ordine religioso, per es. nell’Ordine dei Cappuccini. La maggior parte dei santi cappuccini sono fratelli laici. Di quelli che non siano laici ve ne sono due o tre, santi di quest’Ordine, Ordine venerando, Ordine meritevolissimo. I Cappuccini non hanno che 430 anni di vita, in sostanza, perché rappresentano l’ultima delle numerose riforme dell’Ordine Francescano. Ma la maggior parte dei loro santi sono fratelli laici. E ne hanno anche uno, ora, è un genovese, già beato, che sta per arrivare alla canonizzazione. È qui dove noi vediamo la realtà ultima della parabola: che non ci sono limiti, posti dalle umane condizioni, che possano coartare a un uomo, a una donna, di essere grandi davanti a Dio. Se noi crediamo che il concetto della grandezza davanti al Signore, e proprio per questa parola del tesoro nascosto, esiga qualche cosa dell’aggeggio umano, sbagliamo; qualche cosa della proporzione umana, del palcoscenico umano, delle quinte dipinte, dei fuochi artificiali, delle risonanze di gloria, di plauso, di nomea, di storia, noi sbagliamo assolutamente, qualunque possa essere la condizione nostra, qualunque possa essere la sorta di fallimento della nostra vita terrena. Perché ci sono molte esistenze nelle quali il discorso valutativo può essere fatto così: Ma se mi avessero capito; ma se mi avessero fatto; ma se io avessi trovato; ma se io avessi incontrato; ma se io… ! Tutto questo non ha importanza, nessuna importanza. Qualunque cosa possa essere andata fallita, umanamente parlando, nella valutazione, nel raggiungimento, nella esplicazione, tutto è valevole, e tutto davanti a Dio può diventare grande. – Noi vediamo che Iddio si compiace, nella storia dei suoi Santi, di far vedere che spesso lega fatti enormi a povera gente che il mondo quasi non ha veduto. E generalmente il mondo cammina nel senso del bene impiegando i meriti di anime che sono vittime, che sono bruciate dall’amore di Dio, senza che gli altri se ne siano neppure accorti. Non c’è nessuna condizione umana che ci possa impedire, nel senso che, se non si verifica, noi non possiamo essere grandi davanti a Dio, per cui noi non possiamo acquistare una valenza e una fecondità. Non c’è nessuna ragione, badate bene, neppure l’apostolato esterno, perché un muto che non parla, che non ha mai parlato, può finire per annunciare il Vangelo come un Apostolo. Non esistono ragioni coartanti. Ma non capite che è questa la liberazione? Uno di voi ha delle difficoltà? Non cominci a dire: Ma io non posso essere buono perché il tale ha il naso lungo; io non posso essere santo perché il banco sul quale seggo dovrebbe essere alto cinque centimetri di più. Con tutta questa sorta di ipocrisia, si scaricano le colpe della nostra debolezza, le ragioni del nostro insuccesso su tutto, su tutte le cose, su tutti gli uomini, su tutte le circostanze, sul tempo perché è brutto, sul tempo perché è bello, sulle nuvole perché passano, sulle nuvole perché non sono arrivate a farci ombrello contro il sole. E avanti. No, cari. Tutti possiamo essere grandi. Ecco ciò che la parabola dice per quanto riguarda noi. – E per quanto riguarda gli altri? Bisogna parlare anche di questo. Voi siete in una linea apostolica; siete di quella gente che può dire: io ormai non sono qui per me e non sono qui da me; sono qui per gli altri. E allora è necessario che voi abbiate una grande apertura su tutti gli altri. Guai se vi mancasse! In sostanza che sto facendo? Sto facendo il discorso dell’ottimismo cristiano, non ve ne siete accorti? Credete di poter avere conversatio in cœlis coi musi lunghi e i musi duri? No. Con la tristezza, con la malinconia, con l’abbandono, con la disperazione, con l’esistenzialismo, cercando di pigliare l’aria da Giobbe carico di scaglie? o l’aria da Diogene, coi buchi nel mantello? Che si possa camminare in modo da potersi dire: « Beati pedes evangelizantium pacem, evangelizantium bonum », quando si credesse che tutti gli uomini sono come quei mattoni, come queste pietre, che non c’è niente da fare, che sono irrimediabilmente cattivi, che sono assolutamente testardi, che non capiranno niente, che è inutile? Convinti che andremo a fare dell’apostolato per meritare noi, per fare degli sforzi inutili, per convincere il cielo che ha combinato un mondo cosi malfatto che non c’è niente da fare e che tuttavia noi continuiamo a fare, tanto per meritarci il paradiso? Andare a fare una specie di comizio davanti al cielo, una specie di grande adunanza di protesta davanti a Dio, che ha fatto un mondo nel quale le anime sono simili alle pietre e non hanno la vitalità che hanno le piante che sanno produrre delle fronde, delle foglie e dei frutti? Vi credete voi che si possa stare nella casa di Dio con quest’aria, rinfacciando sempre a Domeneddio che il mondo, in fondo, l’ha fatto male, mentre noi lo faremmo bene; che, se non ci riusciamo, è colpa sua, che per parte nostra andrebbe tutto benissimo? Gli altri. Noi dobbiamo ricordarci che negli altri la grazia di Dio lavora come lavora in noi. Dobbiamo ricordarci che quando arriviamo noi a parlare, c’è un altro che pure parla così. Quando la nostra lingua si muove, le onde sonore sono percosse dal nostro dire, dalla nostra recitazione; ma un altro ha già segnato e scandito ritmi, chissà, forse da un’infanzia lontana. E quando arriviamo noi coi nostri appostamenti — i nostri appostamenti, è vero! — un altro stava già ordendo la sua trama da tempi immemorabili. Quando noi arriviamo, troviamo delle scorze; e tutto il male degli uomini se ne va sempre nella scorza, ma generalmente gli uomini sono migliori di quello che sembrano. È questo che noi dobbiamo credere: c’è un divino lavorìo in loro, del quale non hanno generalmente coscienza, perché Iddio è così delicato da entrare senza far rumore nell’aprire la porta; ma essi generalmente, proprio per questo tesoro nascosto nel campo, sono molto migliori di quanto noi li crediamo. Deboli, disgraziati e peccatori; ma al di sotto, se voi avrete la pazienza d’aspettare, l’umiltà di attendere e di scavare, troverete che non esiste un uomo che al fondo di sé stesso non abbia qualche cosa di sinceramente bello e di sinceramente grande. Non avete mai osservato che anche gli assassini hanno chi li ama? Che cosa significa questo? Significa che fra le tante facce che possono mettere sopra sé stessi, ne hanno almeno una che è amabile e che qualcheduno ha visto. E alle volte ne hanno più d’una di amabile. Noi siamo sempre pronti a condannare. E invece di condannare faremmo meglio a dire che, nelle condizioni in cui si sono trovati tanti nostri fratelli, saremmo stati probabilmente molto peggiori di loro. Questo, non per decurtare l’orrore del peccato: il peccato è peccato, è quello che è. Ma gli uomini si distinguono dal loro peccato; ne saranno macchiati, ma sono un’altra cosa. Il peccato loro può essere grande, ma la capacità loro di risorgere può essere ancora più grande. Ed è con questo sguardo che si debbono vedere gli altri. – Sentite. Non sono il solo qui dentro che può portare una testimonianza; ci sono qui delle testimonianze più lontane, più antiche della mia; tuttavia la mia è una testimonianza di trent’anni. Io credo che quasi nessuno, quando si agisce come Dio vuole, dica di no alla sua grazia. Forse nessuno. Sono convinto che non è questione di orecchie che si chiudono; è questione di bocche che non parlano. Intendetemi. Si parla di gioventù bruciata. Badate: io ho insegnato 16 anni nelle scuole pubbliche, ho avuto migliaia di alunni. Posso dire di averne trovato soltanto due o tre che mi hanno lasciato il dubbio di aver avuto qualche magagna I veramente cattiva nell’anima. Il dubbio, non la certezza. Ma di tutti gli altri posso dire che nessuno era cattivo. E tutti recuperabili, in grandissima parte recuperati. Ricordo che dei due o tre dei quali avevo detto: di questo forse non ci sarà niente da fare, di uno avevo detto: qui è terra sorda. Ebbene mi è accaduto che, diventato Vescovo, me lo sono visto capitare il giorno in cui era morta sua madre a rifugiarsi da me e a chiedermi che lo confessassi, perché temeva che sua madre, arrivata di là, fosse troppo scontenta del suo ateismo. Ricordo di avergli detto: « Beh, almeno aspettiamo dopo il funerale di tua madre perché, se ti confessi oggi, avrei l’impressione di prenderti per il collo. Pensaci un po’ meglio. Ora facciamo il funerale di tua madre; poi tornerai, se veramente sarai della stessa idea ». Credevo che non sarebbe tornato. Tornò e si confessò. Vedete? Le esperienze, che si possono condurre in diverse direzioni, quando naturalmente sono condotte con lo spirito che ci ha dato Nostro Signore, generalmente non rimangono negative. Io sono convinto che oggi si possa concludere così: Che gli uomini, tutti gli uomini, sono talmente stufi di questo mondo, di questo mondo che sta diventando così ferreo, così meccanico, così stancante, così monotono, così fastidioso, così litigioso; e poi soprattutto perché questo mondo inventa tutto per bruciarli immediatamente, sicché non rimane loro più nessun gusto in bocca e tutti hanno fame e sete di verità, tutti. È questione di fare dei prolegomeni adatti, di gettare il ponte al momento opportuno, con lo spirito opportuno; ma tutti sono lì che stanno aspettando la parola di Dio. Questa è la verità. Se non l’ascoltano, è perché mancano le bocche, gli esempi, le anime che credono ancora nella loro possibilità di recupero. – Concludiamo. Per poter avere conversatio in cœlis, noi dobbiamo farci accompagnare da un modo di ragionare che sia in cielo. Di là, donde si vede l’infinito valore del Sangue di Gesù Cristo, si vede l’infinita possibilità che esso può avere nell’anima nostra e nelle anime degli altri. Di là, dove questo si vede con tale chiarezza da capire che non esistono scuse, che non esistono limiti e non esiste alcun condizionamento valido limitante la nostra capacità di essere perfetti Cristiani, di essere grandi e di rendere a Dio quello che Iddio ha il diritto di aspettarsi da noi.