MESSA DELL’EPIFANIA (2019)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA 2019

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Malach 3: 1; 1 Par XXIX: 12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio
Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX: 1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

OMELIA I

GESÙ CRISTO RE.

[A. Catellazzi, La scuola degli Apostoli,

Ed. Artig. Pavia, 1929]

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore” (Isaia LX 1-6).

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola l a fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che  ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:

  1. Il Re preannunciato,
  2. Che esercita su noi l’autorità legittima,
  3. E al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.

1.

Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’umbra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magi e li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la città si conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda.Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione di questo regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile, se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech » (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele, ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.) . Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando : «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).

2.

Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi ai piedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffonde dal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli ha il diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re,  non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando: « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).

3.

Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore. – Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono : e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza. Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristo in segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristo non è un regno materiale. È un regno spirituale, che si esercita principalmente sulle anime. In primo luogo è il regno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivano la faccia della terra, Gesù comparve come il sole che illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna, l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere una giusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è la guida sicura.Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinché avete la luce credete nella luce, affinché siate figliuoli di luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re sarà dunque quello di accogliere con docilità e semplicità la sua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cui contano più i fatti che le parole, è precisamente il regno di Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore. E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quanti trasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non può essere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.). Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.

Graduale
Isa. LX: 6; 1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja. [Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II: 2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja. [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum
S. Matt II: 1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,” [Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia II

FESTA EPIFANIA

RAGIONAMENTO I.

Nel mistero dell’epifania si adombrano i tre periodi storici della Chiesa.

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana ed. Brescia, 1898 –imprim. -]

Gesù Cristo è la stessa verità Ego sum veritas-. Ora in faccia alla verità, vogliasi o non vogliasi, tre partiti soltanto sono possibili: o noi la respingiamo, la combattiamo, cerchiamo di soffocarla e ucciderla, poco importa poi se col ferro o col sofisma; o noi le cadiamo ai piedi, l’adoriamo e ci professiamo suoi seguaci fedeli e, al bisogno, suoi soldati; o noi non ci curiamo di essa, passiamo oltre senza degnarla d’uno sguardo o d’un saluto, e nemmeno d’un insulto. In altri termini, in faccia alla verità non vi possono essere, che o amici o nemici, od indifferenti: sfido chicchessia a trovare un quarto partito; è assolutamente impossibile. Questo triplice partito oggi apparisce in tutta la sua luce.  – Il divino Infante, l’eterna Verità, è là a Betlemme. Erode, i suoi consiglieri, satelliti e cortigiani, l’odiano e mandano sicari per trucidarlo nella culla: ecco i nemici. I Magi, venuti da lontane contrade (Nei Libri Santi la parola generica Oriente significa la Caldea, la Mesopotamia, la Persia, l’Arabia Petrea e altri paesi posti ad Oriente della Giudea e in qualche modo conosciuti dai Giudei.), si prostrano ai suoi piedi, l’adorano e gli offrono doni e regali: ecco gli amici. – Gli scribi e farisei, i capi del popolo, i principi dei sacerdoti, interrogati da Erode: – dove ha da nascere il Messia?- con la Scrittura alla mano, senza esitare, rispondono: – a Betlemme: lo disse il profeta -. E a Betlemme inviano i Magi stranieri, che ignorano la sacra Scrittura, ed essi, maestri in Israele, custodi delle tradizioni e dei Libri Santi, non si muovono, non li accompagnano, non se ne curano nemmeno, come se fosse cosa che punto li interessava: ecco gli indifferenti. In queste tre classi di uomini, che all’apparire del divino Infante sì diversamente si atteggiano, noi abbiamo anticipata in compendio la storia tutta della Chiesa, continuatrice della vita e delle opere di Gesù Cristo. Le generazioni, passando dinanzi alla Chiesa di Cristo si dividono in tre grandi schiere, di nemici, spesso armati della legge e della forza, che tentano di spegnerla; di amici fedeli, che la onorano, la ubbidiscono e la soccorrono; di indifferenti, che non se ne danno pensiero e tutte e tre queste schiere di uomini a loro modo mettono a prova la vita divina della Chiesa; Essa vince la prova del ferro, con cui i nemici si argomentano di ucciderla: vince la prova dell’oro, con cui gli uomini, senza volerlo, sembrano tentarla e sedurla; vince la prova della indifferenza, con cui una società freddamente cinica si avvisa di schiacciarla. – In questi tre punti, per vero dire. Soverchiamente vasti, fermeremo la nostra attenzione. Toccherò appena i primi due notissimi e che riguardano quasi esclusivamente il passato e mi fermerò alquanto più a lungo sul terzo, perché  è il periodo nel quale entra a piene vele la società moderna (Il Gesuita P. Felix, al Congresso Cattolico di Malines, nel 1863 – se bene mi ricordo – recitò un discorso eloquentissimo, intitolato: “Le tre fasi della Chiesa, ossia la fase di persecuzione materiale, di protezione legale, e di separazione dello Stato”. Ho tolto da lui il pensiero e lo svolgimento). È argomento che merita tutta la vostra attenzione. Erode, udendo dai Magi ch’era nato il Re dei Giudei e udendo riconfermata la voce dai Sacerdoti, e da essi determinato il luogo, si turbò Turbatus est rexe con lui si turbarono i suoi cortigiani – Et omnìs Hierosolyma cum illo -. Erode non solo si turbò, ma impaurì, e nei re che tengono la mano sulla spada, la paura è crudele e tremenda consigliera. – Come? diceva seco stesso quell’efferato tiranno. (Chi era Erode? Eccovelo: – Appena salito sul trono domandò ad Antonio – il Triumviro che regnava in Oriente – la testa del vinto Antigono – suo emulo – e Antigono fu decapitato. Egli fece massacrare tutti i membri del Sinedrio, che durante l’assedio di Gerusalemme avevano parteggiato contro di lui e i suoi alleati, i Romani; fece affogare Aristobalo, suo cognato, e il figlio di Alessandro in un bagno a Gerico, e sotto il vano pretesto di tradimento, diede in mano al carnefice Ircano, ottuagenario, ultimo degli Asmonei. Nutre a torto sospetti su Marianna una delle sue mogli: la uccide. Gli intrighi di Sefora e di Salome destano sospetti sui figli Alessandro e Aristobalo: li fa strozzare. Invecchiando diviene più crudele e più sospettoso. I Farisei, esasperati per la sua politica antinazionale e irreligiosa, congiurano ed eccitano una rivolta; piglia i due capi, Giuda e Mattia e li fa bruciar vivi. – Giuseppe Ebreo, presso Didon, Volume I, p. 62-63 -. È la storia lo disse Erode il Grande!!!), come? un altro re dei Giudei? E non sono io, io solo il re dei Giudei e dopo di me i miei figli? E un nuovo Re annunziato dai Profeti? E il Sacerdozio e il popolo l’aspettano? E se ne conosce il luogo? E il cielo l’annunzia con segni miracolosi? E sotto a’ miei occhi si cerca di lui? E vengono da lontani paesi per ossequiarlo? E lo si dice a me, quasi non fossi io il re dei Giudei? Se si agitano i lontani, che vorrà essere dei vicini? Questo bambino, che dicesi nato a Betlemme, può essere pretesto a tumulti, a rivolte: il popolo è sì mobile, sì superstizioso! Non c’è tempo da perdere: bisogna spegnere la prima scintilla che può divampare in incendio: bisogna tagliare subito la radice del male. Un bambino più o meno che monta! La sicurezza del trono, la tranquillità pubblica, la ragione di Stato lo esigono. Olà, soldati, a Betlemme: senza pietà uccidete, scannate tutti i bambini al di sotto dei due anni nella città e luoghi vicini -. E l’orrido comando era eseguito. Ma il divino Infante è sottratto alla strage. Come? forse con un miracolo della onnipotenza divina? Forse Iddio manda una legione di Angeli a circondare l’asilo del Figliuolo suo? Forse arma di fulmini la destra e incenerisce Erode e i suoi sicarii? Usa forse d’uno di quei mezzi strepitosi, dei quali son piene le storie dell’antico Patto? No, fratelli miei; molte volte Cristo fu cercato a morte dai suoi nemici prima dell’ora per Lui stabilita; mandò a vuoto i loro disegni in varie guise, ma non ricorse mai alle manifestazioni strepitose della sua onnipotenza; preferì la fuga. Fa conoscere al suo custode l’imminente pericolo; per opera di lui con pochi passi muta luogo, mette fra sé ed Erode un lembo di terra: il persecutore è reso impotente e Gesù è salvo. Noi forse avremmo amato ch’Egli fin dalla culla, con uno di quei lampi della sua infinita potenza che gli erano sì facili, sfolgorasse i suoi nemici e mostrasse tosto al mondo chi Egli era: non lo volle, né valeva a pena. E proprio della sua sapienza fare le grandi cose coi mezzi minimi. È la storia della Chiesa dei primi tre secoli, e che poi a vari intervalli di tempo e di spazio, continua fino a noi e continuerà fino al termine dei tempi; giacche la vita della Chiesa non è che la continuazione della vita di Cristo. Essa nasceva nel Cenacolo, vagiva ancora nella culla, giaceva sulla paglia, povera come il suo Fondatore, indifesa, e coloro che avevano confìtto alla croce Gesù Cristo, che avevano ancora le mani calde del sangue di Lui, Pontefici, Scribi, Farisei, turbe aizzate dal fanatismo, il figlio di Erode, degno del padre, i successori di Pilato, armati della legge, si gettano sopra di essa per trucidarla. Il sangue di Stefano, di Giacomo e di mille altri scorre per le contrade della Giudea: chi difenderà questo piccolo greggia di Cristo? Chi salverà questa agnella del divino Pastore, caduta, sotto le zanne di tanti lupi rapaci? Essa non ha altre armi, che quelle datele dal suo Fondatore: fuggire, soffrire, pregare, tener salda la fede, confessarla coraggiosamente e morire per essa. E così Essa fece! Il sangue de’ martiri è seme di Cristiani; l’albero reciso per uno mette dieci, venti vigorosi germogli. Viventi ancora gli Apostoli, la Chiesa porta dovunque le sue tende; se Erode costringe il divino Infante a correre le vie dell’esilio e a portare la luce della verità in Egitto, terra di incirconcisi, il figlio di lui e la Sinagoga forzano gli Apostoli ad annunziare il Vangelo ai gentili, ad allargare la Chiesa in Oriente e ad Occidente e noi la vediamo in pochi anni stabilita in Alessandria, a Corinto, Efeso, Tessalonica, Soma, in Spagna e pressoché in tutto il mondo allora conosciuto. Allora contro questa Chiesa, bambina, sì debole, priva di tutto, ricca solo di fede e di coraggio, si leva il gigante dell’Impero Romano; egli ha pronte a’ suoi cenni quelle legioni, che corsero vincitrici e trionfanti il mondo: ha con sé le glorie del passato, il prestigio dell’antichità, della scienza, delle arti, delle lettere, la sapienza e la forza del codice, tutto. Il mondo non vide e forse non vedrà mai tanta potenza e tanta gloria, riunite in un impero, anzi nelle mani d’un solo uomo, arbitro dell’Impero. Ebbene: questo uomo, questo imperatore, in cui si incarna tutta la potenza della terra, che stende le sue mani di ferro, dall’Eufrate al Tago, dalla Mosa al Nilo, per tre secoli quasi continui si getta sulla Chiesa: col ferro, col fuoco, con la scienza, con tutti i mezzi, che sono in suo potere, la ferisce, la lacera, la squarcia con un furore, con una rabbia che non ebbe, né avrà mai l’uguale. Essa non ricorre una sola volta alle armi per difendersi: la sua forza sempre e tutta è nel patire e morire. Dei due chi vinse? Vinse il debole, l’inerme; vinse quella Chiesa che ogni giorno saliva il patibolo e soggiacque il gigante armato: vinse la vittima e soggiacque il carnefice. – Non basta: la gran lotta, cominciata in Giudea, allargatasi in tutta l’ampiezza del Romano Impero, che sembrava chiusa per sempre allorché la Croce comparve scintillante sulla corona di Costantino, rinacque qua e là e talvolta più feroce dell’antica; rinacque con Maometto, che dal mezzogiorno versò sul mondo Cristiano le sue orde sterminate, quasi fiume di lava ardente e distruggitrice: rinacque con le immani incursioni dei barbari, che dal settentrione, quasi onde accavallatesi le une sulle altre, copersero tutte le regioni che la Chiesa aveva appena conquistate; rinacque più tardi nel Medio Evo, allorché imperatori e re, che la Chiesa aveva nutriti e cullati sulle sue ginocchia, volsero contro di lei l’armi matricide; rinacque nel secolo XVI, allorché principi e popoli si levarono a rivolta, posero a soqquadro quasi tutta l’Europa settentrionale e apersero nei fianchi della Chiesa sì larghe e profonde ferite, che tre secoli e mezzo non hanno ancora chiuso. Rinacque sullo spirare del secolo passato, allorché sulla primogenita della Chiesa scoppiò quel nembo procelloso, che tutta l’avvolse, che disertò i campi dianzi sì ricchi, la coperse di rovine. E ai nostri giorni, i venti che soffiano da Oriente e da Mezzogiorno non fanno giungere troppo spesso alle nostre orecchie atterrite i gemiti e le grida strazianti dei fratelli nostri, che la barbarie pagana massacra in Cina, in Corea, al Tonchino e sulle rive dei grandi laghi dell’Africa Centrale? Oh! il sangue della Chiesa di Cristo scorre in tutti i secoli e alla sua corona non vengono meno giammai le rose del martirio, e se fosse raccolto insieme vi navigherebbe sopra una flotta. Non vi è terra sì inospite, non angolo sì remoto, che in un secolo o in un altro, non abbia bevuto il sangue dei suoi figli, vittime volontarie della fede e della carità. E nella formidabile e sì diuturna e sì vasta lotta tra la Chiesa sì debole ed inerme e i suoi nemici sì numerosi, si possenti e sì crudeli, da qual parte sta la vittoria? Scorrete con lo sguardo della memoria il passato: voi vedrete lungo la via percorsa dalla Chiesa le tombe e gli ossami de’ suoi nemici, dei quali non resta che il nome, e la Chiesa vi sta dinanzi ritta, piena di cicatrici, sì, ma anche di vita. Come Gesù sfuggì agli artigli di Erode e de’ suoi consiglieri, così la Chiesa uscì salva dalle mani dei mille e mille nemici e carnefici, che l’inferno lanciò sopra di essa. Essa adunque vinse la prima prova, la prova della forza materiale; la prova del ferro e del sangue, nella quale, secondo i calcoli della umana sapienza, doveva inesorabilmente soccombere: chi doveva vincere fu vinto, e chi doveva esser vinto rimase vincitore: le parti sono invertite contro tutte le leggi dell’umana ragione; è dunque l’opera, non degli uomini, ma di Dio e chi noi vede fa oltraggio alla ragione. – Lo so, si disse e si dice dagli uomini della scienza: La Chiesa debole e inerme vinse i nemici potenti ed armati: la vittoria della Chiesa è il risultato naturale delle cose: così e non altrimenti doveva essere. – E perché, o uomini della scienza? – Perché la persecuzione crea la reazione e la reazione dà la sconfitta ai persecutori e la vittoria ai perseguitati -. Stupendo ragionamento! Allorché voi volete che una pianta cresca rigogliosa, sfrondatela, tagliate i suoi rami, incidetela, fatene il peggior scempio. – Quando volete che un fanciullo cresca sano e robusto, non solo dategli scarso l’alimento e rifiutategli il riposo, ma battetelo, flagellatelo, feritelo, straziatelo. Quando volete che una società prosperi e grandeggi e voi opprimetela, tiranneggiatela, sterminatela.- La Chiesa si propagò e crebbe perché spietatamente perseguitata!- Se fosse stata, nei primi secoli specialmente, onorata, protetta, colmata di favori e di ricchezze, come fu più tardi, che avreste voi detto? Che doveva il suo trionfo alla forza, ai favori, alle protezioni, ai mezzi umani. Non ebbe tutto questo, anzi ebbe il rovescio di tutto questo, l’odio, le persecuzioni più implacabili; ed ecco gli uomini della scienza invertire il ragionamento e dirci: – E appunto a codeste persecuzioni che la Chiesa va debitrice naturalmente del suo finale trionfo (Non nego che talvolta la persecuzione produce la reazione e per conseguenza l’effetto contrario, come il vento, che invece di spegnere il fuoco lo fa maggiormente divampare. Ma quando? Quando la persecuzione è fiacca, ristretta per ragione del tempo e dello spazio e per altri rispetti tale, che sia impotente a soffocare le forze dei perseguitati; ma certo non erano tali le persecuzioni di cui fu bersaglio la Chiesa. Considerate le forze dell’una e dell’altra parte, un uomo che ragiona deve conchiudere che la Chiesa doveva perire e se non perì fu per opera sovrumana). – Lasciamoli e passiamo al secondo periodo della Chiesa. – Erode voleva la morte del divino Infante e i suoi sicari correvano per le vie di Betlemme e dei villaggi vicini, uccidendo barbaramente tutti i bambini al disotto dei due anni, sicuri di involgere in quell’orribile macello il paventato Re de’ Giudei. I Magi, sapienti o principi che fossero, venuti dall’Oriente a Betlemme, lo riconoscono, lo adorano, gli offrono oro, incenso e mirra. Erode rappresenta i nemici, i persecutori implacabili della Chiesa, i Magi raffigurano i figli devoti che la difendono e la colmano di onori e di ricchezze: prova pur questa non meno pericolosa di quella. La Chiesa tutta sanguinolenta uscì dalle Catacombe: vincitrice del paganesimo e dei barbari si assise regina sul trono dei Cesari: vide principi e popoli caderle dinanzi devoti e riverenti. Grati dei benefìci ricevuti, nella speranza di riceverne altri, pieni di fede, principi e popoli a gara le offersero oro ed incenso, ricchezze ed onori, immunità e privilegi senza numero, possessi amplissimi, giurisdizioni quasi assolute, feudi ricchissimi, i sommi uffici delle corti regie e imperiali, stabilmente affidati ai membri della Gerarchia ecclesiastica mutarono profondamente le condizioni della Chiesa: gli Abati dei monasteri e i Vescovi parvero tramutati in principi e re: il Capo della Chiesa, il Sommo Pontefice, alla mitra aggiunse la corona e al pastorale la spada, divenne l’arbitro dei re, il consacratore degli Imperatori, e la debolezza e la povertà apostolica si videro nel volgere di pochi secoli trasformate in potenza e ricchezza quasi incredibili. Era un bene? Senza dubbio era un bene per i popoli e per i principi: era un tributo volontario della fede e della pietà verso Cristo e la sua Chiesa. Dov’è il credente, che non vorrebbe rendere a Cristo tutti gli onori possibili e offrirgli tutti i tesori della terra se fosse in suo potere? Ora Cristo vive, opera e governa nel Pontefice e nella Chiesa: è dunque naturale nei credenti il sentimento che li porta a rendere al Pontefice e alla Chiesa tutti gli omaggi possibili, a deporre nelle loro mani tesori e poteri, a collocare quello e questa al di sopra d’ogni autorità e d’ogni cosa, primi dopo Dio. E la fede che così vuole. Ma se gli onori, la potenza e le ricchezze sono un pericolo e una seduzione per tutti gli uomini, come la ragione dimostra e come insegna il Vangelo, lo devono essere e maggiormente per gli uomini di Chiesa. Dovrebbe Iddio fare un miracolo per affrancarneli? E a questo pericolo e a questa terribile seduzione fu sottoposta la Chiesa per un periodo assai lungo. Fratelli miei! La storia è inesorabile e tolga Iddio, ch’io ne alteri pure una riga, e noi, discepoli di Lui che si disse la verità « Ego sum veritas » la diremo tutta intera, senza reticenze, perché è la verità e la sola verità che ci fa liberi e ci salva. Fanno oltraggio al Vangelo coloro che per timore e per non so quale umana prudenza la nascondono. Lo Spirito Santo nei Libri Sacri narra a tutti e per tutti i secoli, senza una parola di scusa o di difesa, i delitti di Davide, l’ignoranza e la debolezza degli Apostoli, il tradimento di Giuda, la caduta e gli spergiuri di Pietro: perché, quando è necessario, dissimuleremo noi i mali che avvennero e avvengono nella Chiesa? Diciamo adunque, che se il ferro degli Erodi e dei persecutori della Chiesa le fecero versare lagrime amare e la copersero di sangue, gli onori e le ricchezze la fecero vestire a lutto e la imbrattarono di polvere e talvolta di fango. Per mostrarvelo non avrei che a riportare alcune pagine desolate di S. Pier Damiani, di S. Bernardo e d’altri Santi: non avrei che a ripetervi il grido affannoso del grande Ildebrando, l’uomo prodigioso mandato da Dio per rialzare la sua Chiesa (S. Gregorio VII): « Guardo ad Oriente, guardo ad Occidente, guardo a Settentrione, guardo a Mezzogiorno e non trovo un Vescovo che governi la Chiesa per amor di Dio! » Quanti scandali nei monasteri, nel clero, nei Vescovi! Ricchi e potenti, lasciarono la cattedra e l’altare per seguire i principi alle caccie e alla guerra! Immersi negli affari temporali, dimenticavano gli spirituali: vivendo alle corti, nel lusso e negli agi del secolo, pareva non sapessero d’avere una Chiesa che languiva nella povertà e nell’abbandono del proprio pastore. La marea della corruzione, figlia dell’ignoranza, degli agi, della mollezza e soprattutto della ricchezza, saliva, saliva in alto e talvolta parve avvolgere nei suoi flutti torbidi e vorticosi la stessa sede di Pietro, da cui solo poteva venire la salute. Che tempi nefasti furono quelli per la Chiesa di Cristo! Fu miracolo che non fosse travolta da quella fiumana e scomparisse dalla terra. Chi conosce la storia della Chiesa dal sesto al decimosesto secolo e specialmente del nono, del decimo e decimo primo, converrà ch’io non esagero. E non è tutto: il principe delle tenebre osò dire a Cristo stesso: – Io ti darò tutti i regni della terra, se, piegando il ginocchio a terra, mi adorerai. I re e gli imperatori della terra, non rare volte, ancorché Cristiani e Cattolici, osarono dire ai Vescovi, successori degli Apostoli, e agli stessi Pontefici, successori di Pietro : – Se voi farete ogni nostro desiderio, se ci venderete la vostra libertà, noi ve la pagheremo largamente: saremo i vostri difensori a patto che siate i nostri servi; non vi domanderemo che il sacrificio di qualche parola del Simbolo, di qualche parte del Decalogo: non saremo soverchiamente esigenti. Se farete il voler nostro, raddoppieremo i vostri onori e le vostre ricchezze e la vostra potenza: se ricuserete, vi leveremo anche ciò che avete -. E ciò che dissero e fecero la maggior parte dei re ed Imperatori fino a nostri tempi: basti ricordare Enrico IV, V e VI, Federico I e II, Filippo il Bello e Filippo Augusto, Enrico VIII, per tacere d’altri. È il periodo di protezione interessata, che troppo spesso si riduceva in signoria reale da parte del potere laico ed in servitù vergognosa da parte della Chiesa. Ohimè! quanti dolori e quante angosce! Quanti danni e quante umiliazioni costarono alla Chiesa queste protezioni dei re della terra! A qual caro prezzo dovette quasi sempre pagarle! Erano re e Imperatori che, professandosi figli rispettosi, si inchinavano dinanzi alla Madre, mentre si ingegnavano di stringerle i polsi con catene d’oro! Che, baciando i piedi al Vicario di Cristo, lo volevano complice de’ loro delitti ed errori, e non si peritavano all’uopo di mormorargli all’orecchio parole di minaccia! E resistere e respingere un potente che a mano armata scopertamente vi assale, è difficile; ma assai più difficile torna resistere e respingere le preghiere e le umili domande di chi si dice vostro amico e vostro figlio e vi tradisce. Quand’io considero le due prove della Chiesa, la prova del ferro e quella dell’oro: la prova delle persecuzioni e del sangue e la prova dei favori e delle protezioni e le confronto tra di loro, esclamo: – Entrambe sono terribili; ma la seconda è più terribile della prima, perché più insidiosa -. E la storia è là a dimostrarlo a luce meridiana. Ed anche questa prova vinse la Chiesa, spezzò le catene d’oro che le si volevano porre, gettò lungi da sé la porpora reale ed imperiale, onde la volevano coprire protettori sospetti, malfidi, pronti sempre a trasformarsi in oppressori. – Nessuna cosa è più cara a Dio della libertà della sua Chiesa, scrisse S. Anselmo, e questa sopra tutto Essa ama e vuole; è la sua vita e la sua forza e questa serbò di fronte agli incomodi suoi tutori, lasciando talora nelle loro mani stracciato il suo manto, come il casto giovane ebreo lasciò il suo nelle mani della ribalda moglie di Putifarre anziché fornicare con essa. Questo secondo periodo di protezione pericolosa va scomparendo pressoché dovunque per dar luogo al terzo, nel quale alcuni Stati sono entrati ed altri ben presto li seguiranno. I Magi, che vanno a Betlemme per adorare Gesù Cristo e offrirgli oro e incenso, trovano pochissimi imitatori tra i principi e i governi Cristiani. Essi amano meglio imitare il Sinedrio di Gerusalemme, raccolto da Erode, che sapeva dov’era Cristo e additò il luogo ai Magi, ma non fece un passo per andare a Lui, non un atto solo per riconoscere in Lui il suo Salvatore. La Società attuale va scrivendo sulla sua bandiera questa formula: – Separazione dello Stato dalla Chiesa -, della quale ben pochi comprendono il significato. Con questa formula la Società proclama la sua perfetta indifferenza in religione, e in sostanza dice: – La Società, come Società, lo Stato come Stato, non ho, non voglio, non debbo avere religione alcuna e perciò non debbo schierarmi né prò, né contro qualsiasi chiesa. Non è affare che mi riguardi. Io non la condanno, né la approvo, non la combatto, non la difendo, non la giudico nemmeno, né posso giudicarla. Lo Stato, come Stato, prescindo da qualunque religione e perciò faccio le mie leggi, che regolano l’istruzione pubblica, l’esercito, la magistratura, la beneficenza, l’amministrazione, i rapporti tra i cittadini d’ogni classe, come se non vi fosse religione alcuna. Questa è affare di coscienza, affatto interno, di cui ciascuno è giudice per conto proprio. Sono Cattolici? Sono mussulmani? Sono israeliti? Sono buddisti? Sono protestanti? Sono bramini? Sono atei? A me non importa e non me ne curo. Rispetto tutti: voglio la libertà per tutti; per me sono tutti eguali, sono tutti cittadini, e non altro che cittadini. Io accordo a tutti gli stessi diritti, la stessa eguaglianza, che già domandavano Tertulliano e S. Giustino. Ecco che cosa intendo per separazione dello Stato dalla Chiesa -. Primieramente ci sia lecito domandare ai fautori di questa libertà ed uguaglianza perfetta d’ogni religione, di questa parità assoluta d’ogni culto in faccia alla legge: la si osserva lealmente? Nella scuola vi era un Crocefisso, v’era l’immagine della Madre di Dio e quanti erano Cristiani Cattolici ve le volevano: è forse per ossequio alla piena libertà per tutti, che l’avete tolta? Si cominciava la scuola con la preghiera; voi l’avete soppressa. Vi si insegnava il Catechismo; voi ne l’avete sbandito. Vi si poteva pronunciare il nome di Dio; ora in molte scuole è vietato l’uso di questa voce benedetta; dite: è questa la libertà e parità d’ogni religione? Si solevano fare solenni processioni e si poteva pregare per le pubbliche vie; ora in molti luoghi è interdetto. È sacra la libertà della Chiesa di eleggere i suoi ministri; perché dunque voi, che non volete occuparvi di Religione, fate indagini se siano atti a predicare e compire gli uffici del ministero e li sottoponete alla vostra approvazione? È questa la separazione dello Stato dalla Chiesa? Perché escludere dalla pubblica beneficenza, da quasi tutti gli uffici civili, i ministri del culto, se per voi non vi sono ministri del culto, ma soli cittadini? A noi torna impossibile comporre siffatta condotta con la vantata libertà di tutte le religioni, con la teoria della separazione dello Stato dalla Chiesa. Conosciamo gli argomenti coi quali si studia di puntellare questa teoria. Un giorno ragionavo con un uomo di Stato, anima retta, modello di onestà, carattere nobilissimo, intelligenza pronta ed acuta, sostenitore convinto di questa teoria e credente Cattolico. – Noi, diceva egli con l’accento della più sincera persuasione, vogliamo la separazione della Chiesa dallo Stato. – Voi dunque, gli risposi, volete lo Stato senza alcuna religione, in altri termini, volete lo Stato, ossia la legge senza Dio, ateo. – Sì, lo stato ateo, la legge atea: ecco il nostro ideale! – Ma allora, dissi, dovreste avere e volere ateo, anche il paese. – No; io – soggiunse – non avrei lagrime bastevoli per deplorare la sventura del nostro popolo divenuto ateo. – Sta bene: ma come dare una legge atea ad un popolo non ateo? Un governo ateo al capo d’un paese non ateo? Non è possibile. – Io voglio ateo il governo e atea la legge perché sia rispettata la libertà e la religione di ciascuno. – Ma come volete – ripigliai – che un governo e una legge che non riconoscono religione alcuna e che per conseguenza tutte le disconoscono, possano poi rispettarle e farle rispettar tutte? – Così è, rispose; quelli che governano, ciascuno come cittadino privato, possono osservare quella religione che credono meglio; come uomini di governo, come uomini pubblici, non ne devono avere alcuna. – Ditemi: per voi l’ateismo è assurdo? – Ed egli: assurdissimo. – Ed io: e con un principio assurdissimo volete reggere uno Stato? Il massimo degli errori, qual è l’ateismo, può mai diventare la base dell’ordine, della giustizia, della sana politica? – Mi guardava e taceva. Ed io continuavo: L’individuo è egli tenuto moralmente di essere soggetto a Dio, di ubbidirgli e praticare la Religione che crede e sa venire da Lui? – E chi ne può dubitare? fu la sua risposta. – E perché, soggiunsi, non sarà tenuto a tutto questo l’individuo collettivo, cioè la Società e il governo, quale che sia la sua forma che la rappresenta e la regge? – Ed egli: L’individuo, sì; la società e il suo governo, no! Perché in tal caso il governo dovrebbe imporre la Religione anche a chi non la vuole e andremmo diritti alla Inquisizione. – Ed io: No, non si va alla Inquisizione, perché il governo, professando esso la Religione, non può, non deve imporla mai a chicchessia con la forza. – Ed egli: Se lo stato e il governo, come stato e governo riconoscono e professano la Religione, la devono imporre, e mettere fuori della legge chi non la crede e non la osserva. – Ed io: Non mai; la riconosca, la professi, la difenda nella misura della prudenza e delle sue forze, ma non costringa un solo cittadino a fare atto di ipocrisia. – Ed egli: i diritti religiosi dei cittadini sfuggono all’azione dello Stato; esso non deve immischiarsene; se lo fa, esce dal suo campo. – Ed io: Se questi diritti rimanessero chiusi nel santuario del pensiero, della volontà e della coscienza, direste bene; ma essi naturalmente si svolgono negli atti esterni della Gerarchia e della professione, del culto, delle leggi religiose in mille modi. E se voi, uomini del governo, avete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti di proprietario, di padre, di figlio, di cittadino, perché non avrete il dovere di rispettare e difendere i miei diritti religiosi, che mi sono più cari dei civili? Perché mi assicurate questi e non volete occuparvi di quelli? – Ed egli: perché i diritti civili spettano a noi; i religiosi spettano ad un’altra autorità; essa vi provveda! – Ed io: Ma questa autorità divina e religiosa sta sopra voi pure, perché Dio sta sopra noi tutti; se dunque vi impone di riconoscere e difendere questi diritti, come potrete voi rifiutarvi? Se la Religione è vera e d’un interesse sovrumano e comune, come potrete passarvene col dire: non ce ne curiamo? È dovere di tutti difendere nei modi possibili e convenienti la verità. – Negli uomini di Stato vi sono due persone, il cittadino magistrato od uomo pubblico, e il Cristiano, se sono Cristiani: il Cristiano è in Chiesa e, se gli pare, negli atti della vita privata: nel cittadino magistrato od uomo pubblico non c’è che l’uomo di Stato, come nel giudice cessa il padre, il marito, l’ingegnere, il ricco e via dicendo, e non esiste che il giudice. – Ed io: Che gli uomini di Stato vestano doppia persona, lo concedo; che siano distinte le due qualità, è vero, è giusto; ma che siano separate e l’una possa operare contrariamente all’altra, non mai. L’uomo è sempre un solo e i suoi doveri e diritti devono armonizzarsi, non opporsi. L’uomo sui seggi del potere non è più soggetto a Dio? Là cessa forse di essere Cristiano? Entrando nell’aula dei legislatori può egli pigliare la sua coscienza e appenderla sulle pareti dell’atrio per ripigliarla uscendo e riportarla in casa e in Chiesa? La verità è sempre verità, in casa, sulla via, in piazza, nel Parlamento, in Chiesa, dovunque e non è mai lecito rinnegarla od offenderla in qualsiasi luogo e tempo. Non dividiamo ciò che è essenzialmente uno: l’uomo ed il Cristiano. Non potremo mai separarlo in due per darne la metà a Dio e l’altra metà al mondo, per mandarne una metà in cielo e l’altra metà gettarla nell’inferno. Tutto l’essere nostro viene da Dio e a Dio tutto e sempre deve servire. Sono verità d’una evidenza matematica –. Il mio nobile interlocutore sorrise e pose fine alla conversazione, separandoci più amici di prima. Parmi di avere messo in luce abbastanza chiara la contraddizione del principio oggidì in voga della separazione dello Stato dalla Chiesa. Esso ha già fatto in alcuni Stati le sue prove e sono riuscite infelici e giova credere che molti dalla rea natura dei frutti conosceranno la rea natura dell’albero che li produce. – Là dove se ne fece la esperienza la Chiesa non ebbe a soccombere, anzi se ne trovò men male che là dove in compenso d’una protezione accordata ad oncia ad oncia le si chiedeva il sacrificio d’una parte della sua libertà. Se non che per molti e chiari indizi si fa manifesto che il principio della separazione dello Stato dalla Chiesa va guadagnando terreno e secondo ogni verosimiglianza in un tempo forse non lontano sarà universalmente attivato nelle nostre Società informate alla moderna libertà. Il grido, che ci si fa udire qua e là in alto e in basso, dagli uomini della politica e dagli agitatori della moltitudine: “Noi non abbiamo a che fare con la Chiesa; la società civile deve essere puramente laica; noi pensiamo a noi, e la Chiesa pensi a sé; non persecuzioni, non protezioni per qualsiasi religione, ma libertà per tutte; noi faremo da noi e la Chiesa faccia da sé”. – Questo grido diventerà universale e diventerà la parola d’ordine del secolo futuro. Sarà una prova novella per la Chiesa e una solenne ingiustizia della Società moderna. Questa società, nata e cresciuta all’ombra della Chiesa, fatta grande dal soffio divino del Vangelo, aveva l’obbligo d’essere grata alla Chiesa, d’essere la proteggitrice e propagatrice del Vangelo; questa società, che ha conosciuta e proclamata da tanti secoli divina la Religione Cristiana e la Chiesa, che la concreta in sé, aveva il dovere di farsene la discepola fedele, la figlia amorevole e per conseguenza la difenditrice risoluta nel limite voluto dai tempi e dalle condizioni speciali della società stessa. Oggi non vuole più essa adempire i suoi doveri di gratitudine e di giustizia? Ora ai suoi occhi si devono pareggiare l’errore e la verità, il Cattolicismo, il protestantismo, il mussulmanismo, tutte le religioni? Per questa Società alla Madre antica, la Chiesa Cattolica, è fatta la stessa condizione che alle usurpatrici dei suoi titoli e al suo diritto di Sposa unica di Cristo? È una offesa atroce, una umiliazione senza nome per una madre l’essere disconosciuta dai suoi figli; ma Essa, fidente nel suo diritto e nella sua forza divina, entrerà animosa nel nuovo campo che le si apre dinanzi. Vinse i nemici armati a suoi danni; vinse i protettori, congiunti a farla schiava; più facilmente vincerà quelli che professano di non volerla aiutare e nemmeno combattere, gli uomini della sistematica indifferenza. – Anzi dalla nuova condizione di cose, che le si apparecchiano, la Chiesa troverà non lievi vantaggi: Ella mostrerà una volta di più al mondo che la sua origine e conservazione, non viene dalle forze umane che le sono sottratte, ma dall’alto, da Dio stesso. Più: Essa sapendo di non poter contare sulle forze degli nomini, sugli aiuti delle leggi e dei governi della terra, domanderà alla scienza, alla virtù, alla santità, alla propria energia, quei presidii terreni che le vengono meno, e non dubitate, la perdita si muterà in guadagno. Una cosa sola la Chiesa domanda ed esige dai principi, dalle repubbliche e dai governi, che vogliono fare pieno divorzio da Lei e levano alta la bandiera, su cui sta scritto: – Separazione dello stato dalla Chiesa; libertà eguale per tutti – ed è, che questa separazione dello stato dalla Chiesa sia sincera e franca e non si risolva nell’assorbimento di questa nello stato; che la libertà eguale per tutti sia vera, stabile, leale, amplissima, in casa, nella scuola, sulla piazza, nel tempio, fuori del tempio, negli uffici privati e pubblici, dalla culla al cimitero. Ritirate pure, o legislatori, i vostri privilegi e la vostra protezione, dalla quale spesso sentimmo più che i benefici, i danni e gli incomodi; protezione che talora ci rendeva quasi solidali dei vostri errori e delle vostre colpe; lasciateci la libertà comune, quella che Giustino, Tertulliano e i primi Apologisti chiedevano agli Imperatori pagani. La Chiesa non ha paura della libertà vera, ma solo della schiavitù, perché sa che nelle lotte tra la verità e l’errore, quella è facilmente vincitrice, se questo non trovi l’alleanza della forza. Lo vinse alleato alle maggiori forze della terra; come non lo vincerebbe abbandonato a se stesso? Se un giorno (e forse può essere vicino), se un giorno, voi, reggitori di popoli, [oggi tutti, “TUTTI”, adoratori prostrati alle logge massonico-giudaiche -ndr. -], dopo aver compiuto il vostro divorzio dalla Chiesa, atterriti dalle procelle, che rumoreggiano sul vostro capo, che minacciano di sommergere la vostra nave, giuoco dei flutti, chiederete l’opera della Chiesa, fin d’ora Essa vi dice che potete contare sopra di lei; Essa, obliando il divorzio invocato e consumato, volerà al vostro soccorso. V’era una madre: aveva un figlio: lo aveva nutrito del suo latte, istruito sulle sue ginocchia, accarezzato, coperto di baci: lo amava senza misura: crebbe il figlio, bello, robusto, pieno d’ingegno, divenne ricco, potente, era l’orgoglio legittimo della madre, che lo seguiva dovunque con l’occhio e più col cuore. Ma il figlio, fatto adulto, pervenuto al pieno sviluppo delle sue forze, si inorgoglì, aperse il cuore ad amori colpevoli, amici corrotti lo allontanarono dalla madre, la cui presenza suonava rimprovero e le cui parole di consiglio, di preghiera, di ammonimento svegliavano rimorso e spargevano di assenzio i mal gustati piaceri. Un giorno, stanco della presenza e delle affettuose correzioni della madre, la cacciò, le volse le spalle, le disse ingiurie e non la volle più vedere. Continuò la mala via: diede fondo al ricco patrimonio, fu abbandonato dagli amici seduttori e complici delle sue tresche e si vide ridotto sopra un miserabile giaciglio. La madre lo seppe, dimenticò tutto, corse presso il figlio, lo curò, lo guarì, lo rivesti, gli rifece il patrimonio dissipato. Fratelli carissimi! In questo figlio, simile in tutto al prodigo figliuolo, voi vedete raffigurato lo stato moderno: in questa madre, piena d’amore, voi vedete adombrata la Chiesa. La prima parte della storia è ornai al suo termine: i nostri figli e nipoti vedranno compiersi la seconda.

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster: [Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore:

Communio
Matt II: 2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.