IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO
Mons. J. J. Gaume:
[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]
CAPITOLO XII.
Il re della Città del male.
Lucifero, il Re della Città del male — Chi è, secondo i nomi che gli dà la Scrittura Dragone, Serpente, Avvoltoio, Leone, Bestia, Omicida, Demonio, Diavolo, Satana — Spiegazione particolareggiata di ciascuno di questi nomi.
Secondo l’insegnamento universale, noi dedicammo il quadro delle celesti gerarchie; che magnificenza in quelle angeliche creazioni! che armonia in quel grande esercito dei cieli! che ammirabile varietà, e nel tempo stesso, che potente unità nel governo della Città del bene! Se l’uomo intendesse, la sua vita, supposto che potesse vivere, sarebbe una lunga estasi. Ma egli morrebbe di spavento se potesse vedere coi suoi propri occhi il Re della Città del male, circondato dal suoi orribili principi e dai suoi neri satelliti. Di lui dunque ci occuperemo adesso. Chi è questo Re della Città del male? quali sono i suoi caratteri? quale idea dobbiamo noi avere della sua potenza e del suo odio? Quale spavento deve egli ispirarci? domandiamone la risposta a Colui che solo lo conosce a fondo. Abbiamo detto che nominare, è definire. Definire è esprimere le qualità distintive di una persona o di una cosa. Ora, Colui che non può ingannarsi nominando, chiama Re della Città del male: Il Dragone, il Sergente, Avvoltoio, il Leone, la Bestia, l’Omicida, il Demonio, il Diavolo, Satana. Perché tutti questi nomi differenti di un medesimo essere? Perché Lucifero riunisce tutti i caratteri delle bestie alle quali è assomigliato: e ciò in un tal grado che formano di lui un essere a parte. Un angelo, un Arcangelo, forse il più bello degli Arcangeli, divenuto in un batter d’occhio tutto ciò che vi è di più immondo, di più odioso, di più crudele, di più terribile nell’aria, sulla terra e nelle acque; qual caduta! E questo per un peccato solo! O Dio, che cosa è dunque il peccato? Così è; questo principe angelico, anticamente cosi buono, cosi dolce, cosi risplendente di luce e di bellezza, la Scrittura lo appella Dragone, Draco, gran Dragone, Draco magnus. Nei libri santi, come nello spaventoso ricordo di tutti i popoli, questa parola indica un animale mostruoso per la sua statura, terribile per la sua crudeltà, spaventoso per la sua forma, tremendo per la rapidità dei suoi movimenti e per la penetrativa della sua vista. Animale di terra, di mare, di palude; rettile con le ali vigorose, con lunghe file di denti di acciaio, con gli occhi sanguigni; spavento della natura intera; il dragone della Scrittura e della tradizione è tutto questo. (Bellar. in Ps. 109; Corn. a Lap. in s. LI, 9, et passim; Id. S. Aug, Sopra il dragone, Enarrat, in ps. CIII. n. 9 opp. t. IV, p. 1678). – Sotto questa forma o quella di qualche mostruoso rettile il demonio, padrone del mondo innanzi l’incarnazione, trovasi dappertutto. Quanti santi fondatori nella S. Chiesa non veggonsi obbligati a cominciare, giungendo alla loro missione, dal combattere un drago: ma un drago in carne ed in ossa! Nella Bretagna è sant’Armelo, san Tugdalo, sant’Efflam, san Brieuc, san Paolo di Leon. Roma, Parigi, Tarascona, Draguignan (Draguignan, il cui nome medesimo viene da draco), Avignone, Perigueux, il Mans, non so quanti luoghi della Scozia e altrove, furono testimoni dello stesso combattimento. Oggidì ancora non è contro il Drago o il Serpente adorato, che debbono lottare i nostri missionari nell’Africa? – Ma questi antichi racconti non appartengono alla Leggenda? Queste descrizioni sono quadri immaginati? Il Drago è egli realmente esistito? Prima di tutto noi risponderemo che il Drago con i suoi differenti caratteri è troppo spesso nominato nei santi libri ed anche in tutte le lingue antiche, per non essere che un animale fantastico. Noi risponderemo in seguito che in ogni tempo e dappertutto, a Babilonia come in Egitto, il demonio ha preferito la forma di drago per offrirsi alle adorazioni dei pagani; ed è per questo che i loro templi portavano il nome generale di Dracontia. Inoltre questa forma trovasi troppo di frequente nell’origine cristiana dei popoli; essa è troppo bene attestata dalla tradizione che i nostri dotti moderni riconoscono finalmente: quattro volte più vera della storia, (Aug. Thierry) per non essere che un simbolo del paganesimo. Noi ci annoiamo finalmente di sentir trattare i nostri più gloriosi titoli di pie allegorie, o racconti leggendari. Non ammettiamo il sistema di mito per base della nostra storia religiosa, non solo nelle lotte dei primi missionari contro il serpente in carne e in ossa, quanto nella tentazione del Paradiso terrestre. Crediamo invece a tutti questi materiali combattimenti, visibili e palpabili, perché gli inviati da Dio ne avevano bisogno per accreditare la loro missione; essendo testimonianza dei nostri padri in tutti i secoli, e perché l’evoluzione di tutti questi fatti si opera, come dice Mabillon, nelle abitudini normali del miracolo, e perché la Chiesa sanziona questi racconti ammettendoli nella sua preghiera pubblica. Finalmente noi rispondiamo che, mercé le scoperte recenti della Geologia, l’esistenza del Drago non può essere posta in dubbio. Riguardo al drago come al liocorno, dei quali Voltaire e la sua scuola avevano tanto motteggiato, la scienza è venuta a dar ragione alla Bibbia ed alla antica credenza dei popoli. David parla del liocorno. Aristotele descrive l’Origia (asino indiano), il quale secondo lui non aveva che un corno. Plinio indica la Fera Monoceros (bestia rossiccia con un corno solo). Gli storici Chinesi citano il Kiota-ouau (animale con un corno diritto) che abita la Tartaria. Tutte queste testimonianze non diminuivano l’empietà burlesca dell’ultimo secolo. Contuttoció dovevano venire a riconoscere 1’antica esistenza del liocorno, forse anche la scoperta di questo animale: verso il 1834 questa speranza è stata realizzata. Un inglese residente nelle Indie, il sig. Hodgson, ha inviato all’accademia di Calcutta la pelle ed il corno di un liocorno, morto nel serraglio del Radjah di Népaul. Dipoi, conforme all’indicazione data dagli storici cinesi, si è scoperto nel Thibet una valle nella quale abita l’animale biblico. (L’illustre abate Moigno, la cui testimonianza vale, al dire degli stessi increduli, quanto l’autorità di tutta la scienza moderna, dimostra con forti argomenti che il liocorno della Bibbia è l’Abou-karhn. (Vedi Les livres saints et la Science , c. III.). Quanto al Drago, lasciamo parlare il nostro più illustre geologo: « Un genere di rettili molto notevole,, dice Cuvier, e le cui spoglie abbondano nelle sabbie superiori, e il Megalosaurus (grande lucertola), è cosi nominato giustamente, imperocché con le forme di lucertola, e particolarmente dei Monitors, e che ha pure i denti incisivi e frastagliati era di una cosi enorme statura che attribuendogli le proporzioni dei monitors, doveva passare settanta piedi di lunghezza: quest’era una lucertola grande come una balena. » Più oltre, Cuvier parla del Plesiosaurus (prossimo alla lucertola) e del Pterodactylus (che vola con le sue zampe come il pipistrello) specie di lucertola: « armati di denti acuti; posanti sopra alte gambe e la cui estremità anteriore ha un dito eccessivamente lungo che portava verosimilmente una membrana atta a sostenerlo per l’aria, accompagnato da quattro altri diti di ordinaria dimensione, terminati da unghie adunche. » Ed aggiunge: « Se qualche cosa potesse giustificare quelle idre e quelli altri mostri dei quali i monumenti del medio evo hanno tante volte ripetuta la figura, sarebbe incontestabilmente questo Plesiosauro. » (Il sig. Buckland l’ha scoperto in Inghilterra, ma ne abbiamo pure in Francia). Difatti, a questo mostro ed a suoi simili, che cosa gli manca per essere i Draghi dell’istoria? Pur nonostante per restituir loro questo nome senza contestazione, la conoscenza positiva di certi dettagli mancava prima di tutto al grande naturalista. La loro prodigiosa dimensione e la loro facoltà di volare non sono per lui ancora altro che supposizioni e verosimiglianze. Ma ecco che a confusione della incredulità la terra apre di nuovo le sue viscere, e le congetture di Cuvier divengono fatti palpabili. Alcuni scavi conducono alla scoperta di rettili giganteschi. Cuvier gli vede e ne dà la seguente descrizione: Eccoci, dice, giunti a quelli fra tutti i rettili e forse di tutti gli animali fossili, che meno rassomigliano a quel che conosciamo, e le cui combinazioni di struttura sembrerebbero, senza alcun dubbio, incredibili a chiunque non fosse capace di osservarli da se stesso. – « Il Plesiosauro con zampe di cetaceo, con testa di lucertola e collo lungo, composto di più di trenta vertebre, numero superiore a quello di tutti gli altri animali conosciuti, che è lungo quanto il suo corpo, e che si alza e si ripiega come il corpo dei serpenti. Ecco ciò che il Plesiosauro e FIchtyosauro sono venuti ad offrirci, dopo essere stati sepolti per parecchie migliaia d’anni sotto enormi cumuli di terra e di marmi. » (Ricerche ecc., t. V, p. 245. — « Gli occhi dell’Ichtyosauro erano di una straordinaria grandezza. La loro potenza visiva permetteva loro a un tempo di scoprire la loro preda alla più gran distanza e inseguirla durante la notte, o nelle più oscure profondità del mare. Si sono veduti dei crani d’Ichtyosauro, le cui cavità orbitali avevano un diametro di 35 a 36 centimetri. Nel più grande spazio, le mascelle armate di denti acuti hanno una apertura di quasi due metri. » Mangin. Il mondo marino, n. 3, p. 219, ed. 1865). – Parlando del Gigante-Pterodactylo: « Ecco dunque, continua il grande naturalista, un animale il quale nella sua osteologia, dai denti sino alle estremità delle unghie, offre tutti i caratteri classici dei Saurii (Lucertole). Non si può dunque dubitare che non abbia altresi i caratteri nei tegumenti e nelle parti molli; e che non ne abbia avute le squame, la circolazione…. Era nel tempo stesso un animale provvisto di mezzi di volare… che poteva ancora servirsi dei più corti dei suoi diti per tenersi sospeso…. ma la cui posizione tranquilla doveva essere ordinariamente sopra i suoi piedi di dietro, ancora come quella degli uccelli. Allora doveva altresì, com’essi, tenere ritto il suo collo e ricurvo indietro, affinché il suo enorme capo non rompesse tutto l’equilibrio. » – Col tempo la dimostrazione diventa sempre più splendida. Di guisa che nel 1862 si è scoperto, con un tronco di strada ferrata in esecuzione vicino a Poligny, gli avanzi di un enorme sauro, o pipistrello. La dimensione delle ossa raccolte è tale che non si può assegnare all’animale rinvenuto meno di 30 o 40 metri di lunghezza. Il celebre Zimmermann dal canto suo ha pubblicati i disegni di giganteschi fossili scoperti recentemente in Germania. Cosa degna di nota! questi disegni, copia fedele della realtà, si accostano molto alle figure dei draghi conservati dai cinesi, il popolo più tradizionalista del mondo. « Trovansi, dice il dotto alemanno, i fossili di lucertole della statura della più enorme balena. Ad una di queste specie mostruose appartiene l’Hydrarchos (il principe delle acque), il cui scheletro ha 120 piedi di lunghezza…. a cui aggiungiamo un altro mostro che sembra giustificare tutte le leggende dei tempi antichi, intorno ai draghi alati, che è il Pterodactilo. « Il suo patagion, o membrana che serve a volare, si spiega tra il piede dinanzi e il piede di dietro, in modo da lasciare le granfie libere per carpire la preda. La testa del mostro è quasi grande quanto la metà del tronco. La sua mascella è armata di acuti denti e ricurvi, i quali dovevano farne un terribile nemico per gli animali facendone tante sue vittime. » (II mondo avanti la creazione dell’uomo, lib. XXXII, p. 4; 1856). Piglino pure il loro partito, Voltaire e la sua generazione; è esistita una specie di mostri anfibii di cento piedi di lunghezza e di una grossezza proporzionata, ritti sopra alte gambe che vanno a terminare come le granfie del leone, aventi le ali del pipistrello, le squame del coccodrillo, i denti del pesce cane, la testa del maschio della balena, il collo e la coda di serpente, ed ecco il Drago. – E questo drago dà il nome all’arcangelo decaduto, al re della Città del male. All’oggetto di vendicare la Scrittura, abbiamo creduto estenderci intorno al primo nome che essa gli dà. – Essa lo chiama Serpente, Serpens; antico Serpente, Serpens antiquus. Questo nome si addice a Lucifero e perché come serpente ha sei mila anni d’età e perché una lunga pratica lo rende il più terribile: e perché ei si serve per tentare Eva del ministero del serpente; e perché ha tutte le qualità dell’odioso rettile. Serpente per l’astuzia, serpente per il veleno, serpente per la forza, serpente per la potenza del fascino. Tale è questa potenza che seduce l’intero mondo: seducit universum orbem; di maniera che il culto del demonio sotto la forma del serpente, ha fatto il giro del pianeta. I Babilonesi, gli Egizii, i Greci, i Romani, tutti i grandi popoli, pretesi inciviliti dell’antichità pagana, hanno adorato il serpente, come l’adorano anche oggi i negri degradati dell’Africa. (Corn. a Lap., in Gen. III, 15; e Dan. XIV, 22). E questo serpente, il più spaventoso di tutti gli altri è l’arcangelo decaduto, è il Re della Città del male! – Essa lo chiama Avvoltoio, Uccello di rapina, Avis. Per le regioni ch’egli abita, per l’agilità dei suoi movimenti, per l’abilità nello scuprire la preda, per la sua prontezza a gettarsi sopra, per la sua rapidità nel corrergli dietro per l’aria, per la crudeltà con la quale egli succhia il sangue e gli divora le carni, il demonio è bene un uccello di rapina, un avvoltoio. E questo avvoltoio più crudele di tutti gli altri, è l’arcangelo ribelle, il Re della Città del male! (S. Cyp., de Proelat.simpl., tract, III – S. Greg., lib. XXXIII Moral., XIV). – Lo appella Leone, Leo. Come il Verbo incarnato è chiamato Leone della tribù di Giuda, Leo de tribù Juda, a motivo della sua forza: la Scrittura ha cura di chiamare, il demonio, Leone ruggente, Leo rugiens, Leone sempre in furore e cercante preda, quaerens quem devoret. (S. Aug serm. XLVI, de diversis, n. 2). Nessun nome fu mai meglio applicato. Il leone è il re degli animali: Lucifero è il principe dei demoni. Orgoglio, vigilanza, forza, crudeltà: tale è il leone, e tale l’angelo decaduto, il leone divora non solamente quando ha fame, ma specialmente quando è in collera. In Lucifero, la fame e l’odio delle anime sono insaziabili. Il leone disprezza i lordi avanzi delle sue vittime. Non v’ha sorte di avaria, talora di cattivi trattamenti che il demonio non faccia subire ai suoi schiavi senza parlare delle vergogne alle quali sempre li trascina. – Ardente per natura, il leone è libidinoso all’eccesso. (Vid. Com. a Lap., in Dan. VII, 4). – Altrettanto può dirsi del demonio in questo senso perché nulla omette per spingere l’uomo all’impuro vizio. Il leone esala un odore acuto e sgradito. Il demonio spande un odore di morte. Perciò l’ebreo lo chiama Capro; e la storia afferma che di solito ei piglia la forma di quell’immondo animale, per offrirsi agli sguardi e alle adorazioni degli evocatori. E questo leone ruggente, e questo capro immondo è l’arcangelo ribelle, il Re della Città del male! (Corn. a Lap., I Petr., v, 8). – Lo appella Bestia, la bestia propriamente detta, Bestia. Riunite tutti i caratteri dei diversi animali nei quali la Scrittura personifica l’Arcangelo decaduto, e voi avrete la bestia per eccellenza: in uno stesso mostro la grandezza della balena, la gola e la voracità del pesce cane, i denti, gli occhi, le ignobili inclinazioni del coccodrillo, l’astuzia ed il veleno del serpente; l’agilità dell’uccello di rapina, la forza e la crudeltà del leone. Per compiere il ritratto dell’Arcangelo divenuto Bestia, gli oracoli divini gli danno sette teste, come simbolo energico dei suoi terribili istinti, o dei sette demoni principali che formano il suo corteggio. E questa bestia che non può rappresentarsi senza impallidire, è l’Arcangelo decaduto, vale a dire il Re della Città del male! (Corn. a Lap., Apoc., XII, 8). Ancor più che le spaventevoli qualità di cui abbiamo descritto il quadro, due cose lo rendono terribile: la sua natura ed il suo odio. Il leone ed il drago, il serpente e gli altri mostri corporei, non hanno che una limitata potenza. Essi sono soggetti alla fatica, alla fame, alla vecchiaia, alla morte, alle leggi della gravità e delle distanze. Allontanati, sazi, infermi, morti, incatenati o addormentati essi cessano di nuocere. Come semplice spirito, Satana non conosce né stanchezza, né bisogno, né catene, né vecchiaia, né morte, né sonno, né gravezza, né distanza apprezzabile ai nostri calcoli. (S. Th., I, p. 9,. 53, art. 3, ad. 3). Per la sua stessa essenza egli ha sul mondo della materia una naturale potenza. Come il corpo è fatto per essere messo in moto mediante l’anima, cosi la creazione materiale è, in ragione della sua inferiorità, soggetta all’impulso degli esseri spirituali. Nella sua caduta satana non ha perduto niente di questa potenza. Essa è tale che egli può, in parte almeno, scuotere il nostro pianeta, rovesciarlo e combinarne gli elementi in modo da produrre i più meravigliosi effetti. ( S. Th., I p. q. CX, art. 3, De malo, q. xvi, art. 10, ad 8). Se noi ne giudichiamo dalla potenza della nostra anima, quella di satana non ha nulla che debba meravigliarci. Che cosa non fa l’anima umana della creazione materiale che essa può colpire? E che non farebbe ella se non ne fosse impedita? Fra le sue mani, la materia, anche la più ribelle, è come un giocattolo tra le mani di un fanciullo. Essa la sconvolge, la scava, la sminuzza, la trasloca, la sommerge negli abissi dell’Oceano; essa la lancia in aria, e la forza a tenersi in piedi per secoli interi. Non v’è forma che essa non le imprima. Ora la rende solida, ora liquida, o aeriforme. Essa la condensa, la dissolve, la fa ridurre in scoppi. Con le sue forze combinate, essa produce la folgore che uccide, o l’elettricità che trasporta il pensiero con la rapidità del lampo. Ossia ghiaccio, o neve, o fuoco, scoglio, montagna, pianura, bosco, lago, mare o fiume, essa gli comanda da padrona. Ciò che l’anima umana fa della materia che può colpire, essa lo farebbe del pari del rimanente del pianeta. Che dico? essa farebbe mille volte più se non fosse impedita dagli impacci, che la uniscono al corpo e dall’imperfezione degli istrumenti di cui dispone. Tutti i giorni i suoi giganteschi pensieri fanno testimonianza che non è la forza che le manca, ma i mezzi di esecuzione. Se la potenza dell’anima nostra sulla materia ha dei limiti che ci sono sconosciuti, come misurare quella dell’angelo, puro spirito, di una natura molto superiore a quella dell’anima nostra? (I p. q. LXXV, art. 7, ad 2). Come soprattutto calcolare la potenza del principale degli spiriti? Ora, tale è satana, il Re della Città del male: « Il primo angelo che peccò, dice san Gregorio, era il capo di tutte le gerarchie. Come egli superava in potenza, egli le superava in splendore. (Homil. XXXIV in Evang., e S. Th. I p. q. LXVII, art. 7 e 9 ». Per non citare che un esempio di quel che egli può, contentiamoci di ricordare la storia di Giobbe. Allo scopo di esperimentare la virtù del santo uomo, Iddio permette a satana di usare contro di lui, dentro un certo limite, della potenza del suo odio. In un attimo egli ha condensato le nubi, scatenato i venti, acceso il fulmine, scossa la terra, e i fabbricati di Giobbe sono atterrati. Le sue greggi spariscono, i suoi figliuoli muoiono. Pochi istanti gli sono bastati per cagionare tutte queste rovine. Allorché gli sarà dato il permesso, ei porrà meno tempo ancora a ricoprire Giobbe dal capo sino ai piedi, di ulceri puzzolenti, e farà del più magnifico principe dell’Oriente, un solitario mendico, e il patriarca del dolore. Più tardi noi lo vediamo assalire, senza conoscerlo, il Figliuolo stesso di Dio. Con la rapidità del lampo, ei lo trasporta alternativamente dal fondo del deserto sul pinnacolo del tempio e sulla cima d’una montagna. Ivi, con uno di quei prestigi, che noi non possiamo comprendere, ma che gli sono famigliari, ei fa passare davanti agli occhi del Verbo incarnato tutti i regni della terra con le loro magnificenze. Ora, ciò che era a tempo di Giobbe e della redenzione, il Re della Città del male lo è oggidì. La stessa natura, per conseguenza la stessa potenza, lo stesso odio dell’uomo e del Verbo fatto carne. Di qui deriva a lui un altro nome. Esso è chiamato omicida, omicida per eccellenza, homicida ab initio, Omicida sempre, omicida di volontà, omicida di fatto, omicida di tutto ciò che respira, omicida del corpo, omicida dell’anima. Questo nome troppo lo giustifica.
Omicida del Verbo. — Nell’istante stesso in cui il mistero dell’Incarnazione gli fu rivelato, divenne omicida. Allo scopo di far mancare il piano divino, concepì pensiero di uccidere il Verbo incarnato. Egli l’uccise in cuor suo, e fu omicida dinanzi al Padre, dinanzi al Figlio, dinanzi allo Spirito Santo, dinanzi al mondo angelico, aspettando d’esserlo in realtà dinanzi al mondo umano. (Rupert, in Joan., lib. VIII, n. 242, III.
Omicida degli Angeli. — Strascinandoli nella sua rivolta ei fu per essi la cagione della dannazione, cioè della morte eterna. Far soccombere, quanto possano soccombere degli spiriti, centinaia di milioni di creature, le più felici e le più belle che sieno uscite dal nulla; qual carneficina e qual delitto! (Viguier, LXXXVII).
Omicida dei Santi. — Quel che fu in cielo egli è sulla terra. Omicida d’Adamo, omicida d’Abele, omicida dei profeti, omicida dei Giusti dell’antico mondo, immagini profetiche del Verbo incarnato. In essi è lui che perseguita, lui che tortura, lui che uccide. Omicida degli Apostoli e dei martiri, continuazione vivente del Verbo incarnato. In essi ancora è lui, sempre lui che insulta, che oltraggia, che flagella, che sbrana, che mutila, che brucia, che uccide e che ucciderà sino alla fine dei secoli.
Omicida dell’uomo in generale. — Egli è che ha introdotto la morte nel mondo. Nessuna agonia succede che egli non ne sia la cagione; non una goccia di sangue versato che non ricada su di lui; non un uccisione di cui non ne sia egli l’istigatore. Gli avvelenamenti, gli assassinii, le guerre, i combattimenti dei gladiatori, i sacrifici umani, l’antropofagia, vengono da lui. Omicida specialmente dell’infante, immagine più perfetta e più amata dal Verbo: sono a miliardi i fanciulli che satana ha fatti immolare al suo odio, presso tutti i popoli dell’Oriente e dell’Occidente, e che continua a fare immolare. (oggi con la barbara pratica dell’aborto – ndr. -). Omicida, non solo spingendo l’uomo ad uccidere il suo simile, ma eccitandolo ad uccidere se medesimo. Il suicidio è opera sua. Noi lo mostreremo altrove, provando che il suicidio, sopra una grande scala non si è visto nel mondo che nelle due epoche, in cui il regno di satana fu al suo apogeo. Intanto, citeremo la testimonianza di uno dei nostri Vescovi missionari: « Quanti fatti avrei io da raccontarvi per dimostrarvi sempre più, se se ne potesse dubitare, la potenza di satana sugli infedeli. Tra mille eccone uno il quale è ordinario in Cina, come pure nel Su-Tchuen che qui, in Mandchourie, e che è attestato da migliaia di testimoni. Quando per qualche lite con sua suocera o col suo marito, per colpi ricevuti o per amare parole, piglia ad una donna la voglia di impiccarsi, ed il caso è frequente in questo impero, sovente non è necessario ricorrere alla sospensione. Questa disgraziata si pone a sedere sopra una sedia o sopra il suo kango (specie di panchetto), si passa al collo la corda fatale, e quegli che fu omicida sin da principio s’incarica del resto…. e serra il nodo. (Annali della Propag. ecc., 1857, n. 175, p. 428. Lettera di Monsig. Vérolles, vescovo di Mandchourie). Uccidere il corpo non gli basta. L’uomo è soprattutto per l’anima l’immagine del Verbo incarnato, e il grande omicida tende principalmente all’anima. La sua esistenza non è che una caccia alle anime: e quale carneficina non ne fa egli! Milioni di cacciatori e milioni di carnefici sono ai suoi ordini. Dappertutto le loro insidie, dappertutto le loro vittime. La terra è ricoperta degli uni, l’inferno pieno degli altri. Che cosa è l’idolatria che ha regnato e che regna tuttora sulla maggior parte del pianeta, se non una immensa macelleria d’anime? Chi ne è la causa divoratrice? il grande omicida, nascosto sotto mille nomi e sotto mille differenti forme. (S, Th., 2a 2æ 10, q. XCIV, art. 4, corp.) Dal seno stesso del Cristianesimo, donde viene la funesta tendenza e sempre più generale che spinge tanti milioni d’anime al suicidio di sé medesime? Non potendo essere dello Spirito Santo, è dunque altresì e sempre dell’eterno omicida.1 (S. Th,, I p. q. LXIV, art. 2, corp. ; id,, id., CXIV, art. 3, corp.; id., Ia 2ae, q. LXXX, art. 4. Corp.). – Tale è la guerra accanita, spietata, che satana fa al Verbo incarnato e che gli merita il nome di omicida: ma ne ha ancora degli altri. Esso è detto Demonio, Dæmon. Per nominare Lucifero, i sacri oracoli dicono il Demonio, cioè a dire il demonio più terribile, il Re dei demoni. La sua spaventosa scienza delle cose naturali, la sua scienza non meno spaventosa dell’uomo e di ciascun uomo, del suo carattere, delle sue inclinazioni, delle sue abitudini, del suo temperamento, insomma delle sue disposizioni morali, gli hanno fatto dare questo nome che significa: intelligente, dotto, veggente. Non potendo leggere immediatamente. nell’anima nostra, egli vede quel che accade dalle finestre dei nostri sensi. I nostri occhi, il nostro volto, il tuono della nostra voce, i moti dei nostri membri, il nostro incesso, la maniera di abbigliarci, di tenerci, di mangiare, di comportarci in tutte le cose, sono altrettanti indizi da cui ei trae certe conclusioni, per tenderci insidie e scagliarci dei dardi. – Egli è chiamato Diavolo o piuttosto il Diavolo, Diabolus. – Odioso tra tutti, questo nome significa calunniatore. Due cose costituiscono la calunnia: la menzogna e l’oltraggio. A questo doppio punto di vista, Lucifero è il calunniatore per eccellenza. Dal punto di vista della menzogna, il suo nome presenta allo spirito uno spaventoso composto d’ipocrisia, di scaltrezza, di frode, d’astuzia, d’inganno, di malizia, di bassezza e di tracotanza. Il mentire è la sua vita. È desso che ha inventato la menzogna, ed è la menzogna vivente: Mendax et Pater mendacii. Egli mentì in cielo, e mente sulla terra; mentì ad Adamo e mente a tutta la sua posterità. Egli mentì nelle sue promesse, mente nei suoi terrori; mente dicendo la verità, poiché non la dice che per meglio ingannare. (S. Th. I p. q. LXIV, art. 2, ad 5). – Mente sopra ogni cosa, mente con audacia, mente sempre e tutte le sue menzogne sono tanti oltraggi. Sotto questo punto di vista è del pari degno del suo nome. Calunniare, cioè dire, oltraggiare e bestemmiare il Verbo fatto carne; calunniarlo nella sua divinità, nella sua Incarnazione, nella sua veracità, nella sua potenza, nella sua sapienza, nella sua giustizia, nella sua bontà, nei suoi miracoli e nei suoi benefizi; calunniare la Chiesa sua sposa, calunniarla nella sua infallibilità, nella sua autorità, nei suoi diritti, nei suoi precetti, nelle sue opere, nei suoi ministri, nei suoi figli; provocare cosi l’odio e il disprezzo del Verbo incarnato e di tutto ciò che gli appartiene; tale è, la storia lo prova, l’incessante occupazione del Re della Città del male. Egli è chiamato satana, satanas. Quest’ultimo nome riassume tutti gli altri. satana vuol dire avversario, nemico. Nemico di Dio, nemico degli angeli, nemico dell’uomo, nemico di tutte le creature, nemico instancabile, implacabile, sveglio notte e giorno, e al quale tutti i mezzi son buoni; nemico per eccellenza, il quale riunendo in sé tutte le potenze ostili con la loro astuzia e forza, gli pone a servigio del suo odio: tale è l’Arcangelo decaduto. – Di fronte a un simile nemico, la presuntuosa ignoranza può sola rimanere noncurante e disarmata. Altri sono i pensieri, altra è la condotta del genio. Sempre camminare coperto dell’armatura divina, che sola può difenderlo dai dardi infiammati di satana, è la sua sollecitudine del giorno e la sua preoccupazione della notte. Traiamo profitto dagli avvertimenti che un terrore troppo giustificato ispirava a sant’Agostino: « Che cosa vi è di più perverso, di più malefico del nostro nemico? Egli ha posto la guerra in cielo, la frode nel paradiso terrestre, l’odio tra i primi fratelli: ed in tutte le opere nostre ha seminato la zizzania. Vedete: nel mangiare, ha messo la gola; nella generazione, la lussuria; nel lavoro, la pigrizia; nelle ricchezze, l’avarizia; nel conversare tra di noi, la gelosia; nell’autorità, l’orgoglio; nel cuore, i cattivi pensieri: sulle labbra, la bugia, e nei nostri membri operazioni colpevoli. Quando siamo svegli ci spinge al male; si dorme, ci dà dei sogni vergognosi; nella gioia, ci porta alla dissolutezza; nella tristezza, allo scoraggiamento ed alla disperazione. Per dir tutto in una sola parola: tutti i peccati del mondo sono un effetto della sua perversità. » (Serm. comm., IV). L’odio di lui va più oltre. Nella stessa guisa che il Verbo incarnato appropria la sua grazia alla natura, alla posizione ed ai bisogni di ciascuno; cosi satana approfittando della sua penetrazione cambia i suoi veleni, secondo la particolare disposizione di ciascuna anima. Ascoltiamo ancora un altro genio: « L’astuto serpente, dice san Leone, sa a chi deve presentare l’amore delle ricchezze; a chi gli allettamenti della gola; a chi le eccitazioni della lussuria; a chi il virus della gelosia. Egli conosce chi bisogna turbare col rimorso; chi bisogna sedurre con la gioia; chi bisogna abbattere col timore; chi affascinare con la bellezza. Di tutti egli discute la vita, districa le sollecitudini, scrutina le affezioni; e dove vede la preferenza di qualcuno, ivi egli cerca un’occasione di nuocere. » (Et ibi causas quærit nocendi, ubi quemcumque viderit studiosius. Serm. VIII, de Nativ.). – Tale è satana, l’arcangelo decaduto, il re della Città del male.