IL PRECURSORE (3)

IL PRECURSORE (3)

TERZA DOMENICA D’AVVENTO

(Giov., I. 19-28).

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. I, soc. Ed. Pensiero e Vita, Milano 1939)

1.

UMILE CONOSCENZA DI NOI STESSI

Antonio fu un giorno rapito in estasi: quando ritornò in sé, i suoi buoni religiosi gli si fecero intorno per domandargli quello che aveva visto. « Figli miei! — rispose il santo, — io ho visto il mondo tutto avvolto in fili invisibili entro i quali i miseri uomini incespicavano precipitando in abissi spaventosi ». Allora, i religiosi dissero: « Ma se tutto il mondo è fasciato da queste misteriose reti, chi mai ne potrà scampare? ». Rispose il santo: « Coloro che sono umili, e nella luce dell’umiltà hanno conosciuto se stessi ». – Or si capisce come S. Agostino levasse a Dio questa preghiera : « Signore, ch’io conosca me, ch’io conosca te! ». Si capisce anche come S. Bernardo potesse scrivere a papa Eugenio parole come queste: « Non sarai sapiente, se non conoscerai te stesso. Perché tanta curiosità d’indagare il mondo esteriore e tanta trascuratezza di scrutare il nostro mondo interiore? Ritorna in te; considerati qual sei. Non essere come l’occhio che tutto vede e sé non vede. Ti dico che nessuna ignoranza è peggiore di quella d’ignorarsi. Se ignorerai la filosofia, la letteratura, la meccanica, le leggi, la medicina ti potrai ancora salvare: ma se ignori te stesso, non ti salverai ».

Sed si te ignoras, non salvaberis.

Se uno vi fu al mondo che non ha meritato i rimproveri di S. Bernardo, questi è S. Giovanni Battista. Mentre battezzava sulle sponde boscose del Giordano, gli arriva una delegazione di sacerdoti leviti: « Noi veniamo a te da Gerusalemme — dissero — e siamo mandati dai capi della città e del popolo per chiederti se il Messia aspettato sei tu ». L’occasione era grande: bastava che egli accennasse col capo affermativamente, e tutti lo avrebbero proclamato. Ma il Battezzatore non ebbe un attimo d’incertezza: negò replicatamente di essere il Messia.

« No! io non lo sono. No! ». « Almeno sarai Elia, quello che dovrà precederlo ». E Giovanni ancora: « No ». –

« Allora sei un profeta ». E Giovanni sempre: « No ».

« Che risposta dobbiam dare a chi ci ha mandato? ».

« Dite — esclamò Giovanni — che io sono la voce che nel deserto grida: Spianate la via al Signore ». – Poteva essere più umile e più sincero? che cosa è una voce se non un brivido che nassa in un attimo e svanisce nell’aria? e che cosa è l’uomo davanti a Dio se non questo?… Ma quando egli credette d’essersi abbassato sotto il livello d’ogni uomo, Gesù lo esaltò sopra tutto i l mondo: « È più che un profeta! È un angelo! è il più grande dei nati da donna ». Che S. Giovanni ora ci aiuti a conoscere noi stessi, egli che così bene si era conosciuto. Dobbiamo scrutare chi siamo: chi siamo per natura, chi siamo per grazia.

1. CHI SIAMO PER NATURA

Per natura noi siamo un composto di anima e di corpo. Non dunque appena corpo, come molti dicono con la pratica della loro vita. Che cos’è il corpo. Il profeta Isaia udì una voce dirgli: « Grida! ». « Gridar che cosa? » rispose meravigliato. E quella voce insisté: « Grida che ogni corpo è come il fieno, che orai carne è come il fiore. Il fieno secca, il fiore cade, e che rimane? » (Is., XL). – Entriamo, nel cimitero, avviciniamoci ai sepolcri e vedremo che cosa è il nostro corpo. Homo putredo et filius hominis vermis (IOB., XXV). « Questo già lo sapevo » penseranno tra voi moltissimi. Ma se conoscete davvero che cos’è il vostro corpo, perché a lui sacrificate i diritti dell’anima? Perché lo circondate di mollezze e di vanità? Perché lo adornate, lo pitturate, lo vantate? – Che cos’è l’anima. È una creatura nobile ed immortale, sorella degli Angeli, simile a Dio: è un gran tesoro che noi portiamo in vaso fragile. Oh se conoscessimo davvero l’eccellenza della nostra anima, come ce la sapremmo guardare da ogni minima sozzura!… Dice la storia sacra che Nabucodònosor, da gran re che era, si trovò cambiato in bestia schifosa. Scacciato dalla sua reggia, andava carponi a cibarsi di erba come un bue: sul suo capo che aveva portato la corona imperiale i capelli divennero irsuti come penne d’aquila; sulle sue mani che tennero lo scettro, le unghie s’alzarono come gli artigli d’uccello rapace (DAN., IV). Questa pagina paurosa dei libri santi si avvera troppo spesso anche tra noi: molti non comprendono l’onore di un’anima bella e la costringono coi peccati a diventare bestia schifosa. Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai cani per la loro incredulità: ad essi Gesù nega le sue cose sante. Nolite dare sanctum canibus (Matth., VII, 6). Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai porci per la loro disonestà: ad essi Gesù nega le sue gemme. Neque mittatis margaritas ante porcos. Povera gente, che inconscia della propria dignità, si è abbassata ai giumenti, fino ad assimilarsi a loro!

2. CHI SIAMO PER GRAZIA

a) Per grazia siamo diventati cristiani.

Un giorno intorno a noi fu celebrata una misteriosa e sublime cerimonia. Contavamo pochi giorni di vita e i nostri pii genitori ci fecero portare alla Chiesa. « Rinunci a satana e a tutti i suoi piaceri? — ci domandò il Sacerdote rappresentante di Cristo Redentore. — Non si può servire a Dio e al demonio: scegli ». « Rinuncio al demonio e servirò Dio in tutti i giorni di mia vita » risposero per nostro bene i padrini. E noi l’abbiamo dimenticato e in molti giorni della nostra vita, forse anche oggi, siamo ritornati a servire al demonio o a chiedergli i suoi piaceri. – Ci rivestì anche di veste bianchissima e bella dicendoci: « Prendi questa veste immacolata, ricordati che con questa un giorno dovrai comparire davanti al tribunale di Dio ». E noi l’abbiamo dimenticato. Dov’è ora la nostra innocenza? dov’è quella veste spirituale? oh quanti strappi, quante macchie, quante toppe! Come faremo in simile guisa a ricomparire un giorno davanti al Signore? Infine il Sacerdote offrendoci un lume ardente: « Portalo, — ci disse, — acceso sempre, che ti farà luce nell’ora oscura della morte ». Quel lume era la fede: e noi l’abbiamo lasciato languire leggendo stampe che i Cristiani dovrebbero odiare, accettando discorsi che i Cristiani dovrebbero respingere, esponendoci ai venti delle passioni. Ora il nostro lume fumiga appena, e forse è spento; chi ci illuminerà nell’estrema agonia? – Quando uscimmo dal Battistero, una mirabile trasformazione era avvenuta in noi. Gli Angeli non ci riconoscevano più nel nuovo splendore per quelle miserabili creature di prima. L’ombra del Maligno era sparita dall’anima nostra ove, come in un tabernacolo di luce, era disceso ad abitare lo Spirito Santo. Da poveri figli dell’uomo che eravamo fummo elevati ad essere figli di Dio: Dio guardandoci riconosceva in noi un po’ della sua natura, trovava in noi una meravigliosa somiglianza col suo Unigenito Gesù Cristo. Ci dichiarava allora suoi veri figli, fratelli di Gesù Cristo stesso, col quale ci costituiva eredi de’ suoi possessi eterni.

b) O cristiano riconosci la grandezza di quello che sei!

I ricchi si vantano delle loro terre e dei castelli e delle grosse eredità che aspettano: ed il Cristiano possiede non terra ma cielo, non castelli diroccati ma la città divina costrutta di gemme, non eredità passeggere ma eterne. I sapienti insuperbiscono per la loro intelligenza, eppure non riescono a comprendere che poche cose create: il cristiano ha un lume nel quale un giorno vedrà e comprenderà i misteri di Dio. I nobili decantano l’antichità e il pregio della loro stirpe; il Cristiano è della stirpe di Dio. Genus Dei sumus (Atti, XVII, 29). I principi si gloriano se qualche volta il Re passa la soglia della loro casa; ma lo Spirito Santo abita dentro l’anima del vero Cristiano, in dolcissima e stabile dimora… Dio è in noi! … O Cristiano, conosci te stesso! O Cristiano non degradarti nel fango di quaggiù!… Le antiche cronache francesi narrano che il conte Beranger, che fu pio suocero di S. Luigi IX, s’era impaniato in cattivi affari fino a ridursi nella miseria più nuda. Ed ecco presentarsi a lui un pellegrino ignoto: egli lo riceve in casa ed avendolo conosciuto per un esperto maggiordomo gli affida i suoi affari malandati e la sovraintendenza della sua casa. Sembrerebbe incredibile, eppure quel pellegrino seppe agire con tanta sagacia e avveduta destrezza che, in pochi anni, i debiti furono estinti, le rendite furono triplicate, le casse della contea di Provenza riempite d’oro e d’argento, le quattro figlie del conte sposate degnamente a quattro re. L’invidia allora mosse le male lingue e le calunnie maligne giunsero fino alle orecchie del conte, il quale parve dubitare dell’onestà del suo maggiordomo. Il buon pellegrino, impotente a difendersi dalle accuse, rassegnò il suo ufficio e i conti esatti nelle mani del conte Béranger, e prima che altri lo scacciassero, partì da quella casa che aveva salvato dalla miseria e dal disonore. Non fu una vergogna questa per il conte? Supponete ora che non solo l’abbia lasciato partire, ma che dopo qualche mese, sentendone bisogno, l’abbia richiamato, e che ancora dopo qualche tempo senza motivo l’abbia preso per le spalle e scacciato con queste parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito! », e che così abbia fatto per dieci o venti volte; che pensereste voi? Non direste forse che quel conte, crudele e stupido, meriterebbe una fine vergognosa?… – Ecco quello che abbiamo fatto tante volte, non con un pellegrino ignoto, ma con lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che è venuto dentro noi per il Battesimo, che ci ha pagato i nostri debiti, che ci ha nobilitati, arricchiti, resi degni delle nozze eterne del Re dei re, e che noi abbiamo scacciato ripetutamente con amare e blasfeme parole: «Via di qua, ospite inutile e sgradito, lascia il tuo posto a satana! ». – Pensate che ingiuria ! Pensate alle terribili conseguenze! O Cristiano, conosci te stesso! O cristiano non degradarti nei fango di quaggiù!

CONCLUSIONE

Agostino (Epist., XXII) dice che, dopo morte, l’anima nostra nuda e tremante batterà alla porta del Paradiso. « Chi sei? » rintronerà dal di dentro la voce di Cristo. « Fui un uomo » risponderà essa. E allora la medesima voce sussurrerà: « Come hai trattato il tuo corpo di fango? come hai trattato la tua anima immortale? ». Che risponderemo?…

« Sono Cristiano » aggiungerà l’anima; e Cristo di rimando:

« Fammi vedere le tue mani se sono piagate come le mie, fammi vedere la tua fronte se è coronata della mia corona. E la veste battesimale dov’è? E il lume acceso di fede dov’è? Mostrami la tua faccia affinché ti possa riconoscere per mio fratello… per figlio di mio Padre… per tempio dello Spirito d’Amore… ».

Che risponderemo allora?

2.

ESAME DI COSCIENZA

Giovanni Battista era un uomo veramente straordinario; correvano di bocca in bocca il suo nome, le sue virtù, le sue gesta. Si parlava di lui come d’un profeta, come del Messia. Ed il Sinedrio decise di inviare a lui un’ambasciata per chiedere spiegazione di quanto succedeva. « T u chi sei, dunque? ». E Giovanni non tacque ma confessò chi era, poiché egli non era un illuso sul proprio conto, o un distratto dalla propria realtà. – Quanto sarebbe opportuno che capitasse di frequente a molti Cristiani, a noi, ingolfati in cento preoccupazioni pur necessarie, ma sempre terrene e devianti, una bella e terribile ambasciata che ci obblighi ad una visione o revisione profonda, reale del nostro « io » e delle nostre partite. Ma se ascoltiamo, è un complesso di voci che davvero premono attorno a noi, suscitate da Dio e nascoste nelle pieghe della nostra coscienza, ovvero nel rude richiamo di certi contrattempi o nelle voci di chi ci critica e ci assale, o nelle circostanze diverse della vita. Una vera ambasciata che interroga spesso, rompendo gl’incantesimi: «Chi sei tu? Perché fai questo? Ne sei degno? Sai quello che compi? ». Se fossimo noi stessi, poi, che ci rivolgiamo tali domande e sapessimo rispondere con sincera franchezza, quale profitto nella nostra vita morale! L’esame di coscienza è argomento tanto utile: vediamone la necessità e le diverse specie.

I. L’ESAME DI COSCIENZA E’ NECESSARIO

a) Per conoscersi.

Colpisce il modo con cui Giovanni risponde ai suoi interlocutori. La sua coscienza è un libro aperto, ordinato, edificante. La sua risposta è sincera, chiara e di inconfondibile umiltà e verità. Non sono il Cristo; gli preparo, tuttavia, la strada. Battezzo, ma in acqua: è il preludio del grande Sacramento. Non sono né Elia, né un profeta, ma una voce soltanto. Vedete, piuttosto, il Messia che è già tra voi e nessuno s’accorge. Esame e risposta pronta. – Un segno, invece, di grossa trascuratezza morale in molti Cristiani è la riottosità e talora l a ripugnanza a mettersi di fronte al proprio « io ». Passare anche un sol minuto a faccia con se stessi par di morire. Ed è vero. Morirebbe quella personalità fittizia, bizzarra, insignificante che ci siam fatto di giorno in giorno dall’uso di ragione in poi. Son proprio gli antichi Pagani che ce ne danno la lezione. Essi ritenevano l’esame ai coscienza un mezzo importantissimo per acquistar la sapienza. Chi non ricorda il loro motto « conosci te stesso »? Lo scolpivano anche sul tempio. Seneca scrive di sé: « Io mi sforzo di ripensare alla mia responsabilità quotidiana, ogni sera quando il lume è spento e i servi dormono. Misuro le mie parole e le mie opere; non mi dissimulo nulla e mi castigo dove ho mancato per non ricadervi ». Sapienza antica, ma vera; e quanto perfezionata dal Cristianesimo! S. Paolo raccomandava ai Galati: « ciascuno esamini le proprie azioni ». S. Agostino, incamminandosi nella vita della luce ritrovata, mormorava in preghiera: « Noverim te Domine, noverim me: » Preghiera che dovremmo ripetere anche noi se aspiriamo ad un po’ di perfezione.

b) Per correggersi.

Non abbiam mai visto certe carte geografiche antiche, in certi punti segnate così : « Terra sconosciuta » « Zona ignorata »? Quanti di noi potrebbero dire così della loro coscienza! Quante pieghe del nostro cuore ancora inesplorate! Si arrischia davvero di morire senza esserci conosciuti almeno a sufficienza. Non sono pochi gli illusi che credono di essere galantuomini mentre hanno la coscienza letteralmente coperta di idee false e di pregiudizi sulla Religione, sul proprio carattere, sui doveri dello stato, della necessità delle opere buone, sull’obbligo dell’istruzione religiosa. E quando non si conosce una zona, come si può valorizzarla, bonificarla? Come ottenere rendimento? Se il medico non esamina bene l’ammalato, non gli sarà facile curarlo. È pretesa stolta di correggersi, di profittare nella virtù, se non ci si esamina. L’ottavo Sacramento (l’ignoranza) che spesso, si dice, salva molti Cristiani, è da vedere « se » e « quando » vale nel caso individuo, dopo tutti i richiami del Signore, che sono una vera ambasciata che ci assedia. – S. Ignazio di Lojola dice che la malattia, la quale ci dispensa dalla preghiera ordinaria, non ci esonera dall’esame di coscienza. S. Giovanni d’Avila, vero maestro di spirito dichiarò apertamente: « se voi fate con costanza l’esame di coscienza, i vostri difetti non possono durare a lungo ». Sicché potremmo affermare che più siamo consapevoli delle nostre condizioni di coscienza e più sarà elevata la nostra perfezione.

II. DIVERSI ESAMI DI COSCIENZA

Solitamente se ne distinguono tre sorta: l’esame per la Confessione, l’esame quotidiano e quello particolare.

a) Non si pretenderà sempre dalla comune dei fedeli l’esame particolare. Ma non si dica che sia una piccineria da convento. È un breve piccolo esame che si compie ogni tanto nella giornata su un fatto o su una virtù. Ad es. al mattino appena levato e fatto il segno di croce: mezzogiorno, cambiando gli abiti dopo il lavoro: « quante volte ho scivolato nella critica? Mi guarderò meglio, riprendendo il lavoro ». Piccole cose; ma non è di piccoli punti il prezioso ricamo? Non è a piccoli moti d’ala che l’uccello si eleva verso il cielo? Non è a piccole esplosioni che la motocicletta divora la via?

b) Se durante il giorno il lavoro ci assorbe, è pur bello e doveroso per un Cristiano piegar il ginocchio, a sera, e prender in mano come un libro la propria coscienza e rileggere sia pure a volo d’uccello quanto si è compiuto. Fissati i punti neri, sulle prime si constata che le colpe difficilmente diminuiscono; ma a poco, a poco la volontà reagirà con frutto. Bisogna rintracciare anche i punti d’oro (non solo evitare il male, ma è necessario far il bene) e chiedersi se non si è sciupato tempo prezioso. Meglio accorciare le preghiere se si è stanchi, ma non tralasciare l’esame di coscienza! Il vantaggio dell’esame quotidiano a sera, renderà molto facile l’esame di confessione.

c) Almeno qui, fossimo premurosi e seri! Proprio quelli che non si esaminano mai, non riescono a trovar mai nulla di grave. I santi invece, abituati a gettar fasci di luce nella loro coscienza scoprivano sempre difetti e rendevano di conseguenza sempre più rifulgente il loro spirito. Ecco perché S. Carlo conduceva persino in Visita pastorale il suo direttore spirituale: per non lasciarsi sfuggire nulla e risplendere sempre agli occhi del suo Dio.

CONCLUSIONE

La sincerità ci deve sempre guidare. Con Dio e con noi stessi. Non c’è che tender l’orecchio per sentirci richiamati dalla legge di Dio, dai nostri doveri, dai giudizi dei nostri amici e familiari. Quanto è utile, sì, far tesoro anche di questi. Tu quis es? Come ci sentiremo impacciati a rispondere anche a loro. Ci parrà di rimpiccolire. Anche di fronte a una nostra virtù essi possono sempre aggiungere un « però » un « ma » che ci confonde. Dunque la scena dell’ambasciata a S. Giovanni ci ricordi l’importante dovere dell’esame di coscienza.

3.

LA FERMEZZA CRISTIANA

Tutta l’antichità ha levato alle stelle Ercole, l’eroe che uccideva i leoni, che strozzava i giganti, che tagliava d’un colpo sette teste all’idra favolosa: eppure questo mitologico tipo della forza pagana era un debole perché non ha saputo vincere le proprie passioni della sensualità, dell’orgoglio, dell’ira. Più valente è colui che vince se stesso che non il capitano che vince alla guerra. Ora ecco un uomo che non solo ha saputo resistere ad ogni difficoltà esteriore, ma ha soffocato anche ogni passione nella sua anima: Giovanni Battista, il simbolo della fortezza cristiana. Per ciò di lui il Signore ha potuto dire: « Tra tutti gli uomini nessuno è grande come Giovanni Battista ». Non era egli una canna pieghevole al soffiare d’ogni venticello, ma tra il Giordano e il deserto appariva simile a un leone. Iustus quasi leo confidens absque terrore (Prov., XXVIII, 1). E dei leone aveva simile il vestito e la voce. A lui che battezzava nei dintorni di Betania di là del fiume, giunse una maligna ambasceria da parte dei Giudei di Gerusalemme. « Chi sei? » gli domandarono. Il Battezzatore comprese che quella gente sospettava ch’egli fosse il Messia. Che bella occasione per farsi proclamare Re, e gustar la gioia d’un immenso trionfo, fosse pure per breve tempo! Ma il precursore che aveva domata ogni sensualità vivendo per lunghi anni nel deserto e cibandosi di frutta e di miele selvatico, aveva soffocato anche ogni ribellione della superbia. Udite con che forza risponde:

« No: io non sono il Cristo che attendete ».

« Allora, sei forse Elia disceso dal carro di fuoco? ».

« No ».

« Sei almeno uno dei profeti ? ».

« No ».

« Chi sei allora? ».

« Sono soltanto un grido che s’alza nel deserto e dice: preparatevi che il Signore è alle porte ».

« Ma se tu sei niente, perché battezzi? ».

« I o sono niente e perciò battezzo in acqua. Ma Colui che è tutto, verrà dietro a me e battezzerà in fuoco e in Spirito Santo. Credetemi, non sono degno nemmeno di cavargli i sandali ».

Un uomo che parla e opera così, io non mi meraviglio più se avrà il coraggio di affrontare i più ricchi e i più influenti cittadini con rimproveri asprissimi: « Razza di vipere! Sepolcri imbiancati! Fate penitenza che la falce della morte vi è già alle gambe ». Non mi meraviglio, se avrà il coraggio di varcare la soglia della reggia e dire in faccia al re adultero: « Non si può ». Non mi meraviglio, se indomito piegherà la testa a lasciarsela stroncare sul piatto che sarà dato in premio a una ballerina. – Il Cristianesimo non si può vivere senza la forza; veri Cristiani non si può essere senza la forza. Non la forza del corpo che il mondo rimpaganito tanto apprezza negli sports e sulle gazzette, ma quella dell’anima che il mondo rimpaganito non capisce più. Oh quanti salutari insegnamenti giungono anche a noi dalla rude e violenta figura del Battezzatore! noi che siamo incostanti nella via del bene e tremiamo e cediamo a tutte le difficoltà; noi che un giorno siamo col Signore e con mille propositi di santificazione, e un giorno andiamo col demonio e con mille desideri di godimento peccaminoso. Ci vuol fortezza: nelle parole e nelle opere.

1. NELLE PAROLE

L’imperatore Valente, postosi a servizio degli Ariani, cercava tutte le maniere per distruggere la Chiesa Cattolica. Ma a Cesarea, impavido come una rupe sotto l’uragano, stava il vescovo Basilio. Contro di lui l’imperatore mandò il capitano della sua guardia armata, Domizio Modesto, uomo prepotente e sanguinario che già aveva ucciso ottanta ecclesiastici.

« Ma dunque che cosa vale per te l’imperatore? » gli diceva con tono minaccioso perché il Vescovo non si voleva arrendere.

« Quando dà simili comandi vale niente; niente di più di un uomo qualunque ».

Modesto rimane sconcertato di fronte a questa franchezza.

« E non temi i castighi che il mio comando ti può infliggere? ».

« E che castighi? » domandò calmo Basilio con un punta d’ironia.

« Confisca di beni, prigionia, morte! ».

« Se non hai niente di peggio, sappi che queste minacce non mi sfiorano neppure. Vuoi i miei beni? prenditi quest’abito logoro e i miei libri. Vuoi mandarmi in esilio? da per tutto troverò la mia patria e il mio Dio. La morte e la tortura? questi sono benefici che mi fanno giungere più presto a Dio, per il quale io vivo, al quale servo, a cui sospiro. – Modesto comprese che la partita era perduta e concedendogli un giorno di tempo, lo pregò che avesse a ponderare bene ogni cosa e a risolversi in meglio.

« È inutile, — rispose l’Arcivescovo, — domani sarò quello di oggi » .

Modesto era sbalordito.

« Nessuno mi ha mai parlato così » disse con voce fioca. E Basilio di rincalzo:

« Gli è perché non ti sei mai imbattuto in un vero Cattolico ».

Dunque se le vostre parole non sono così franche e schiette, è segno che non siete dei veri Cattolici. Queste sono le risposte che la fortezza cristiana deve dare a tutte le cattive domande. – Un valente intagliatore, padre di numerosa famiglia, nonostante l’abilità sua e il suo mestiere, pativa la miseria per la scarsità di lavoro. Ed ecco capitargli una lucrosa commissione, ma svolgendo i disegni s’accorse che la virtù della modestia era oltraggiata. « Signore! — disse respingendo la commissione — queste figure io non le so intagliare ». L’altro, che dagli occhi e dal volto aveva tutto compreso, gli rispose ridendo: «Via questi scrupoli! sarete ben retribuito. E poi l’arte è arte… ».

« Se l’arte è arte, anche la legge di Dio è legge, e bisogna osservarla ». E preferì patire la miseria ancora, ma non eseguire quel lavoro non bello.

Esaminiamo la coscienza: è così che noi rispondiamo ad ogni proposta d’ingiusto o d’illecito commercio? O l’amor del guadagno ci fa tremare e cadere come piante senza radici? Un «no » risoluto e detto a tempo è un bell’atto di fortezza. Quando taluno vi offre da leggere un giornale, un libro pericoloso: «No, — rispondetegli — questa roba non è fatta per i miei occhi, che un giorno vedranno Dio ».

Quando vi si invita a certi spettacoli, a certi balli, in certi ritrovi:

« No, — rispondete — questi divertimenti non rallegrano il mio cuore consacrato a Dio ».

Quando vi rivolgono qualche parola che suona offesa alla fede, alla Religione, ai ministri del Signore:

« No, — rispondete, — queste parole non le posso ascoltare, perché le mie orecchie vogliono un giorno deliziarsi alle armonie degli Angeli ». – Ma soprattutto ci vuol fortezza a rispondere in materia di onestà. Quando qualche cattivo ha il coraggio di indirizzarvi certi motti allusivi, maliziosi, equivoci, che il vostro occhio non resti brillante, né la vostra bocca atteggiata a sorriso! Tutto in voi deve dir di no: e gli occhi e la lingua e il volto corrucciato e i piedi incamminati altrove. Ricordatevi di S. Bernardino da Siena, che, giovanetto amabile, da una persona udì un cattivo invito: subito arrossendo, non si poté frenare e lanciò uno schiaffo dicendo:

« A un tal parlare conviene questo gestire ».

.2 CON LE OPERE

I santi ci hanno insegnato la sublime fortezza che talvolta giunge fino alla morte. Il bene costa, e senza fatica è difficile compiere opere buone. Costa fatica udire frequentemente la Messa, non perdere mai la spiegazione domenicale della dottrina, eppure senza la preghiera e senza l’istruzione cristiana non si può vivere bene. Costa fatica, e che fatica, perdonare le ingiurie, fare del bene a quelli che ci vollero male, mortificare la lingua che vorrebbe diffondere i difetti e i torti altrui: eppure senza l’amore del prossimo non si può ottenere l’amore di Dio. Costa fatica mantenersi casti secondo il proprio stato: tutto il giorno è una trafittura di tentazioni che ci assillano; in ogni parte si ascoltano parole impure, si vedono figure e persone immodeste. Eppure niente di contaminato entrerà nei cieli. – S. Ignazio per ciò esclamava: « Vengano pure contro di me e il fuoco e la croce e le belve; siano rotte le mie ossa, dilaniate le mie carni, tormentata la mia anima: tutto sopporterò purché un giorno possa godere Cristo ». – E S. Vincenzo martire, morendo, ci ha lasciato un sublime esempio di fortezza: spogliato fu disteso sull’eculeo e stirato così che ogni giuntura si slogò. Fu poi battuto con nervi con catenelle con graffi di acciaio; i carnefici stessi erano stanchi di tormentare, ma non lui di patire. Il prefetto Daciano impose allora di collocarlo sopra una graticola irta di punte sotto la quale ardevano i carboni: e Vincenzo da quel letto di strazio sovrumano parlava dell’amore di Dio con dolcezza che sembrava fosse disteso in un letto di morbidissime piume. Davanti a questi esempi, davanti all’esempio di Giovanni Battista, davanti all’esempio del Salvatore nostro crocifisso, ci sembrerà troppo greve sopportare le croci che ci sono nella nostra famiglia, senza lamentarci? – Ci sembrerà troppo duro superare le cattive abitudini già contratte o della bestemmia o del vino o dell’ira? Ci sembrerà ancora impossibile educare cristianamente tutti i figli che Iddio vorrà largirci, dar loro buon esempio, correggerli con severità e dolcezza? Se non abbiamo la forza di far questo, che Cristiani siamo? Il regno dei cieli patisce violenza e solo i forti lo raggiungono.

CONCLUSIONE

Una sera d’inverno che fioccava e tirava vento gelidissimo, S. Valerico giunse, dopo parecchi giorni di cammino, ad Amiens. Era tutto bagnato, era stanco, aveva freddo e fame. Per fortuna trovò aperta una locanda e vi chiese ospitalità per quella notte. Ma come si pose vicino al fuoco per rasciugarsi e rifocillarsi, s’accorse che le persone che là si trovavano, tenevano discorsi osceni.

« Se Dio domanderà conto anche di una sola parola inutile, che cosa farà per queste che voi dite? ».

Ma quelli non cedettero, anzi diabolicamente raddoppiarono le oscenità e cominciarono a maltrattare il santo. Questi, quando li vide irriducibili, disse: « Meglio il freddo che la puzza delle vostre parole ». E uscì. – Era notte oscura e nevicava: ogni casa era chiusa, non un lume traluceva più dalle finestre. Ed il santo si trovò sulla strada; bagnato e affamato, sotto la sferza di un ventaccio gelido, con tanto cammino da fare. Avanti, avanti, S. Valerico! Gli Angeli invisibili ti sono daccanto e camminano al passo con te. – Avanti, avanti, coraggiosi Cristiani che con sublime fortezza patite per la giustizia e siete perseguitati per la sincerità della fede e per il coraggio delle convinzioni! Forza e avanti: il mondo ignora il vostro eroismo, e non scrive il vostro nome sulle gazzette e sui manifesti; lo scrivono però gli Angeli di Dio sul libro del cielo.

Gaudete quia nomina vestra scripta sunt in cœlo.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.