DOMENICA II di AVVENTO
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Is XXX:30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri. [Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]
Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph. [Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri. [Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]
Oratio
Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur: [Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]
Lectio
Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV:4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.
Omelia I
[Mons. Bonomelli: Omelie – Vol. I, Omelia III – Torino 1899]
“Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –
Queste parole l’Apostolo Paolo scriveva ai fedeli a Chiesa di Roma verso la fine della sua lettera, e queste parole la Chiesa oggi ci fa leggere nella santa Messa, e su queste parole io richiamerò per pochi minuti la vostra attenzione, che vi prego di accordarmi intera. – “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la speranza. „ Per comprendere il significato di questa sentenza fa d’uopo rilevare il nesso con le parole che la precedono. Nel versetto antecedente l’Apostolo parla di Gesù Cristo, che non secondò le sue inclinazioni naturali per salvare gli uomini, ma tutto sostenne; onde tutte le offese fatte a Dio ricaddero sopra di Lui, che n’era mallevadore, e a conferma cita un luogo del Salmo LXVIII: “I vituperi dei tuoi vituperatori caddero sopra di me: „ parole queste messe in bocca a Gesù Cristo stesso. Messo innanzi ai fedeli questo oracolo delle Scritture, adempiutosi in Cristo, l’Apostolo prosegue, affermando in genere, che tutto ciò che i Libri divini insegnano, lo insegnano a nostro vantaggio spirituale. Che cosa sono i Libri santi? Sono il Codice divino, al quale dobbiamo conformare tutta la nostra vita: sono la lettera, scrive S. Atanasio, che Dio manda agli uomini; lettera che contiene la sua santa volontà, legge sovrana per noi tutti. “La Scrittura tutta, dice san Paolo in un altro luogo, è divinamente inspirata, ed è utile ad insegnare, ad arguire, a correggere, ad ammaestrare nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto ed adorno d’ogni opera buona „ (II Timot. III, 16 e 17). Senza il conoscimento di ciò che dobbiamo credere e fare è impossibile salvarci. E questo conoscimento donde deriva? Da Dio solo, fonte d’ogni verità. E per quali modi, per quali vie Dio ci comunica il conoscimento di queste verità? Per mezzo della parola; e questa può essere annunziata a noi a voce per mezzo degli Apostoli e della Chiesa e può giungere a noi scritta, per mezzo dei Libri divinamente ispirati. La prima via è la più facile e spedita e basta per tutti indistintamente gli uomini: la seconda via è meno facile e meno spedita, né a tutti possibile: ma è pur sempre buona e santa. Qual cosa più buona e santa dell’apprendere le verità della fede su quei libri, che Dio volle si scrivessero a nostra istruzione e conforto? Quelle verità, che un dì risuonarono sulle labbra di Cristo e degli Apostoli, sono lì scritte sui Libri santi: tra noi e gli ascoltatori di Cristo e degli Apostoli non vi è differenza alcuna; quelli ricevevano la verità per gli orecchi, noi per gli occhi, ma è sempre la stessa verità. – Un tempo, o carissimi, la Scrittura santa si leggeva e si meditava anche dai semplici fedeli; era un libro in mano di tutti che sapevano leggere: oggi dov’è il laico, anche istruito, che legga e mediti alcuna volta questo Libro divino? Si leggeranno libri d’ogni maniera; ma il libro per eccellenza, il libro in cui tutto è verità e che ci ammaestra nelle cose del cielo, che ci insegna la via della virtù, pur troppo è dimenticato. Se non lo si legge, né si medita, se ne ascolti almeno la spiegazione, che la Chiesa comanda sia fatta al popolo ogni domenica! E che cosa ci insegnano i Libri santi e nominatamente le parole del Profeta sopra riportate dall’Apostolo? Esse ci insegnano (scolpitevelo bene nell’animo), ci insegnano la pazienza nei mali e il conforto nelle tribolazioni. Chi di noi, o dilettissimi, non ha da soffrire nell’esercizio della virtù, e nel durarvi saldamente? Bisogna patire, bisogna portare ogni giorno la nostra croce, e sovente assai pesante. Ebbene! Nei Libri sacri, nell’esempio dei santi e sopratutto nell’esempio di Gesù Cristo troveremo lume, forza e conforto e perfino consolazione in mezzo alle amarezze della vita, ponendoci innanzi agli occhi la mercede che ci è promessa e che teniamo sicura per la speranza: Spem habeamus. Un’anima che si inginocchia dinanzi a Gesù Cristo crocifisso e, scorrendo il Vangelo, ne medita la vita piena di dolori, di umiliazioni senza nome e pensa ch’Egli è Dio, il Santo per eccellenza: un’anima, che creda oltre la tomba cominciare un’altra vita interminabile, in cui si riparano le ingiustizie della presente e i dolori passeggeri di questa sono ripagati con gioie ineffabili ed eterne: come volete che quest’anima non si conforti e non si rallegri? Ah! essa deve esclamare con l’Apostolo: “Sovrabbondo di gioia in mezzo alle mie tribolazioni e la morte stessa per me è un guadagno. „ – Pregustando nella speranza le gioie promesse a chi soffre per Gesù Cristo, S. Paolo, in uno di quegli impeti di carità sì frequenti nelle sue lettere, esclama: “Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. „ Le parole “il Dio della pazienza e della consolazione „ sono un modo di dire ebraico, che significa, Dio Autore e Largitore della pazienza e della consolazione: Dio, che è pazientissimo, o la stessa pazienza e consolazione, vi conceda ciò che è frutto prezioso della pazienza e causa di consolazione purissima, cioè la pace, la concordia fra voi, secondo Gesù Cristo, cioè quale è da Lui voluta. Carissimi! l’Apostolo desiderava ai suoi cari figliuoli, come il massimo dei beni, la concordia e la pace tra loro. L’abbiamo noi nella nostra parrocchia, nelle nostre famiglie questa pace benedetta, questo sentimento stesso tra noi, come si esprime l’Apostolo? Oimè! Quanti mali umori! quanti rancori! quante maldicenze, che seminano la discordia e mettono sossopra le famiglie! Se la carità fraterna non regna nei nostri cuori, come potremo, di pari sentimento e d’un sol labbro glorificare Iddio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, secondo che comanda l’Apostolo? Può egli un padre amoroso gradire l’ossequio e le testimonianze di riverenza e di affetto dei figli, quando sa che essi si guardano di mal occhio tra loro e forse anche si odiano? Oh! no certamente; così Iddio, il Padre nostro, non può gradire i nostri omaggi e le nostre preghiere, se i nostri cuori non sono avvivati dall’alito divino della carità fraterna. Dobbiamo aver tutti un solo cuore e un’anima sola, come i Cristiani della primitiva Chiesa, e allora la preghiera e la lode uscirà dalle nostre labbra come un soave profumo, che rallegra il cuore di Dio. Gesù Cristo è il sovrano ed eterno modello, sul quale dobbiamo tener fissi gli occhi, e l’Apostolo in modo specialissimo ad ogni pagina, quasi ad ogni linea delle inarrivabili sue lettere, ce lo rammenta. Se il vincolo della carità di Gesù Cristo congiunge tutti i cuori e ne caccia le contese ed i sospetti, quale ne sarà la naturale conseguenza? “Allora voi – dice S. Paolo – vi accoglierete gli uni gli altri, come anche Gesù Cristo accolse voi a gloria di Dio. „ E come Gesù Cristo accolse voi? sembra domandare l’Apostolo. Fra voi non pochi sono figli di Abramo e portano il segno dell’alleanza e della promessa divina, fatta ai patriarchi, e molti sono gentili, nati e cresciuti in mezzo alle tenebre del paganesimo; ma Gesù Cristo, continua l’Apostolo, non ha fatto differenza alcuna, e ha chiamati egualmente alla fede voi, Ebrei, e voi, gentili, e tutti egualmente vi ha stretti al suo seno paterno. Se Gesù Cristo pertanto vi ha accolti tutti nella sua Chiesa, vi ama tutti come figli e tutti vi ricolma dei suoi doni, come non dovete voi pure accogliervi gli uni gli altri quasi fratelli? L’argomento non poteva essere più chiaro ed efficace. E qui vedete differenza che corre tra le società umane e la società divina, che è la Chiesa. Fate che in una società umana entrino ricchi e poveri, sapienti ed ignoranti; fate che vi siano Francesi ed Inglesi, Tedeschi ed Italiani e andate dicendo: essi sono tutti uomini e lo riconoscono: ma qual differenza di accoglienze tra loro! Quali diffidenze! quali sospetti! Si dicono fratelli, ma troppo spesso si trattano come stranieri, anzi come nemici. Non così nella grande famiglia di Gesù Cristo, che è la Chiesa! Sono tutti figli dello stesso Padre celeste, tutti fratelli e se si usa qualche differenza, questa è per i poverelli, per gli ignoranti, perché Gesù Cristo disse: “Son venuto per annunziare il Vangelo ai poveri e per consolare gli afflitti. „ Nella Chiesa di Gesù Cristo non vi è né greco, né scita, né barbaro: son tutti egualmente redenti da Lui e tutti fratelli. S. Paolo per provare la chiamata dei gentili alla fede non altrimenti degli Ebrei cita quattro oracoli profetici, che a principio avete udito e che non occorre ripetere. Piuttosto è da notare una differenza, che l’Apostolo mette in rilievo tra la chiamata degli Ebrei e quella dei gentili, ed è questa, che Gesù Cristo chiama gli Ebrei per la veracità, doveché chiama i gentili per la misericordia. Che differenza è questa, o dilettissimi? Forse che anche la chiamata degli Ebrei non è opera di misericordia come quella dei gentili? Sì, e chi ne potrebbe dubitare? Come dunque S. Paolo attribuisce la prima alla veracità di Dio e la seconda alla sua misericordia? La risposta è facilissima. La conversione degli Ebrei, come quella dei gentili, è tutta e sola opera della bontà e misericordia di Dio, come insegna la fede. Che merito o diritto potevamo noi avere a tanta grazia, noi che abbiamo ricevuto tutto da Lui; noi che non avevamo di nostro che il peccato; noi che siamo miserabili creature? Indegni d’essere suoi servi, come potevamo aspirare all’altissimo onore di diventare suoi figli per adozione? Iddio, unicamente per sua bontà, ripetutamente per i profeti e pei patriarchi promise ai figli d’Israele la salute per mezzo di Gesù Cristo, mentre che ai gentili non fece direttamente promessa alcuna: ai gentili non diede la legge di Mosè, non i profeti, non i patriarchi: a loro diede la sola ragione e con essa la legge naturale. Coll’offrire la fede agli Ebrei Dio mantenne le sue promesse fatte loro nei Libri santi, ed ecco perché S. Paolo l’attribuisce alla veracità di Dio: con l’offrire la fede ai gentili Dio non mostrò di mantenere promesse di sorta, perché ai gentili non ne aveva fatte, e perciò S. Paolo ripete la loro conversione dalla sola misericordia. In una parola: Dio accolse gli Ebrei per la sua misericordia e per mantenere le promesse loro fatte, e accolse i gentili per la sola sua misericordia, perché con essi non aveva promesse da osservare. Noi, o dilettissimi, siamo figli di questi gentili, che Dio accolse insieme coi figli d’Israele; noi siamo gli eredi della loro fede e in noi si continua la divina misericordia. Permettete che ve lo domandi: La vostra fede è viva ed operosa come quella dei Romani, ai quali scriveva l’Apostolo e che era rinomata in tutto il mondo? In mezzo ai tanti pericoli che ne circondano, alle tante insidie che ci son tese, la conserviamo noi pura ed intatta, come il più prezioso beneficio della misericordia divina? La onoriamo noi questa fede con le opere, che la mostrano viva ed efficace? Ascoltiamo la risposta che a ciascuno darà la coscienza. – Siamo all’ultimo versetto della epistola citata: “Intanto il Dio della speranza vi riempia d’ogni allegrezza e pace nel credere, con l’arricchirvi di speranza nella potenza dello Spirito santo. „ È un caro e santo augurio,, che con la tenerezza di padre l’Apostolo indirizza ai suoi figliuoli in spirito. Il Dio della speranza, che è quanto dire, Dio autore, fonte e termine della speranza, allontani da voi qualunque contesa e discordia, vi riempia di quella pace, che è figlia della fede e vi avvalori nella forza dello Spirito santo; e in termini più chiari ancora: Dio vi conceda di star saldi nella fede, che avete ricevuta e nella speranza, che deriva dalla fede, e frutti di questa fede e di questa speranza saranno l’allegrezza e la pace, e tutti questi beni conservi ed accresca in noi la grazia e la forza dello Spirito santo. S. Paolo in questa sentenza ci presenta l’allegrezza e la pace, che augura ai fedeli, come frutti della fede e della speranza, e bene a ragione. – La fede, o cari, ci dice chiaramente la nostra origine, ci segna la strada che dobbiamo tenere, ci addita il fine, a cui dobbiamo tendere; essa ci insegna con sicurezza donde veniamo e dove andiamo. La speranza, che si fonda nella fede, ci insegna i mezzi, con lo aiuto dei quali possiamo e dobbiamo raggiungere il fine, pel quale siamo creati. Ponete che un uomo ignori chi l’abbia creato e messo su questa terra: che ignori al tutto ciò che sarà di lui di là della tomba, in quella regione, dove tutti entrano e d’onde nessuno torna mai: ponete per conseguenza che quest’uomo non abbia, né possa mai avere un solo filo di speranza per la vita avvenire: ditemi, quest’uomo non sarebbe egli come un essere perduto sulla terra? Immaginate che voi, ad un tratto, bendati gli occhi, foste trasportati li da una forza prepotente lungi molte migliaia di miglia e deposti in mezzo ad un deserto: aprite gli occhi, vi rivolgete da ogni lato, non vedete traccia di via, non un colle, non un albero, non il sole, velato da fitte nubi, non una stella: non vedete che arida sabbia, e deserto in tutta la maestà opprimente del suo silenzio. Potreste voi dire, donde siete venuto! dove vi convenga volgere il passo per uscire da quel deserto, in cui vi sentite morire? Impossibile. Ecco l’immagine d’un uomo senza fede e senza speranza. Egli si trova balzato qui sulla terra, come in mezzo ad uno sconfinato deserto. Chi mi ha dato la vita? domanda affannosamente a se stesso. Chi mi ha collocato quaggiù? Dove mi debbo incamminare? Che debbo fare? Là è la tomba: presto vi sarò calato: oltre la tomba, che c’è? Finirò tutto nel cimitero? Vi sarà un’altra vita, e quale? Domande inevitabili e paurose, alle quali nessuno risponde: il grido del misero si perde nel deserto: non v’è un’eco lontana, che risponda: tutto è silenzio e morte. Ecco l’uomo senza fede e senza speranza: è ciò che si può immaginare di più desolato, di più sconsolato: è il nulla, il nulla nella sua forma più spaventevole. — Ma brilli in alto un raggio di luce, un raggio della fede e della speranza, e l’orrido deserto si copre di erbe verdeggianti; di vaghi fiori: da lungi si scorge la patria, sospirata e si vede la via sicura che ad essa conduce. Ah! la pace, la gioia della fede e della speranza cristiana. Vedete questi poveri operai, che sudano nella loro officina : quei poveri contadini, che indurano sotto la sferza del sole di luglio e sotto i geli del gennaio: vedete quelle povere madri, quelle vedove, che a stento possono sfamare e coprire di abiti sdrusciti i loro figli: essi soffrono, e Dio solo conosce appieno i loro dolori: ma essi sanno che Dio li ha creati; che Gesù Cristo li ha redenti, che ha patito come loro e più di loro: sanno che l’occhio di Dio veglia sempre sopra di loro, che conta le loro lacrime, che li sostiene con la sua grazia, che alla morte comincia una seconda vita interminabile, e che allora sarà fatta a tutti piena giustizia: essi sanno in fine che Gesù Cristo disse: Beati i poveri: beati quelli che piangono: beati quelli che soffrono per la giustizia: beati quelli che sono perseguitati perché grande è la loro mercede: questo pensiero del premio eterno, che li attende è quello che li conforta, che muta in gioia il dolore e sulla terra dell’esilio fa gustare le dolcezze della patria. — “Che il buon Dio pertanto, chiuderò ancora con san Paolo, vi riempia di ogni allegrezza e pace nella fede e vi arricchisca di speranza nella potenza dello Spirito Santo!. ,,
Graduale
Ps XLIX:2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia. [Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]
Alleluja
Allelúja, allelúja,
Ps CXXI:1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. Allelúja. [V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10
In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus ? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére ? arúndinem vento agitátam ? Sed quid exístis videre ? hóminem móllibus vestitum ? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére ? Prophétam ? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.
Omelia II
[Mons. G. Bonomelli, Omelie, ut supra, vol.I om. IV, Torino, 1899 – imprim.]
” Giovanni, nel carcere avendo udite le opere di Cristo, mandò due dei suoi discepoli per dirgli: Sei tu Quegli che ha da venire, oppure ne aspetteremo un altro? — E Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni le cose che avete udite e vedute: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono e ai poveri è annunziato il Vangelo, e beato colui che non patirà scandalo in me. Ora, com’essi se ne andavano, Gesù prese a dire di Giovanni alle turbe: Che mai andaste a vedere nel deserto? Forse una canna agitata dal vento ? Ma che andaste a vedere? Forse un uomo vestito di morbidezze? Eh! quegli che indossano morbide vesti abitano nelle case dei re. Ma che andaste a vedere? Un profeta? Sì, vi dico: anche più che un profeta. Perché questi è colui del quale è scritto: Ecco, io mando il mio Angelo davanti alla tua faccia, il quale preparerà il tuo cammino dinanzi a te „ (Matteo XI, 2-10).
Fin qui, o carissimi, il Vangelo di questa Domenica seconda d’Avvento, quale si legge in S. Matteo al capo undecimo. Il senso di queste parole di nostro Signore è sì piano che non v’è bisogno alcuno di spiegazione; ma se ciascuno di voi senza fatica può comprendere il senso delle parole evangeliche che vi ho recitate, forse non sì facilmente ciascuno saprebbe applicarle da se stesso ai propri bisogni. Noi vediamo i medici, allorché cadono infermi, quantunque valentissimi, chiamare a curarli altri medici e talvolta a loro per valore e perizia inferiori. Il somigliante accade a noi nella cura spirituale: abbiamo bisogno che altri ci suggerisca i rimedi e amorosamente ce li porga. Oggi l’opera mia si restringerà a cavare dalle parole di Cristo alcuni documenti utilissimi a nostra comune edificazione. Il Vangelo, che avete udito, ha due partì distinte: nella prima si narra l’ambasciata che Giovanni Battista mandò a Gesù Cristo: nella seconda abbiamo la risposta di Gesù Cristo e l’elogio che Egli fa del suo precursore. Prima di venire alla spiegazione, non vi sia grave udire alcuni chiarimenti. Ufficio del precursore era quello di preparare il popolo giudaico alla venuta di Cristo, e Giovanni l’aveva adempiuto a meraviglia con la vita austera menata nel deserto e con la predicazione della penitenza sulle rive del Giordano. La parola ardente del Battista aveva scosso gagliardamente popolo e sacerdoti, e intorno a lui erasi formato un gruppo di discepoli. Più d’una volta Giovanni, vedendo Gesù Cristo, l’aveva additato alle turbe e proclamato l’Agnello di Dio e protestato di essere indegno di sciogliere i legacci dei suoi calzari. Aveva affermato aver veduto lo Spirito Santo discendere sopra di lui, e che lui solo tutti dovevano seguire. Giovanni aveva avuto la gioia e la gloria di dare a Gesù Cristo i primi e principali apostoli, Pietro ed Andrea, Giovanni e Giacomo. Il Precursore, compiuta la sua missione, si eclissava. Erode agli altri suoi delitti aggiunse quello di imprigionar Giovanni, perché con santa libertà gli rimproverava le sue tresche con la moglie del fratello suo. A Giovanni in carcere giunse la fama dei miracoli e della predicazione di Gesù. E da sapere che il Precursore aveva ancora un certo numero di discepoli che lo visitavano in carcere, e probabilmente furono essi stessi che gli parlarono delle grandi opere di Cristo. Questi discepoli non avevano imitato i loro compagni, né obbedito il maestro, che li confortava a seguire Gesù Cristo. Forse erano quei medesimi, che nutrivano una cotale invidia verso Gesù Cristo e si lagnavano che egli ancora battezzasse e oscurasse così la gloria del proprio maestro. Voi vedete come questi buoni discepoli erano soverchiamente legati a Giovanni. Era l’amore male inteso verso del maestro, che li faceva disobbedienti a lui stesso e li rendeva ingiusti verso di Gesù Cristo. Certamente poi all’amore disordinato del maestro si aggiungeva l’amor proprio (causa principale della loro ostinazione), che sentivasi ferito nell’apparente abbassamento del maestro stesso. Siffatti siamo noi che tal volta amiamo disordinatamente lo stesso bene e col manto dello zelo per l’onore altrui copriamo il nostro rancore e malanimo verso del prossimo. Non è raro vedere taluni anche ai nostri giorni che usano alla Chiesa ed osservano le pratiche religiose o dalle stesse se ne allontanano unicamente per ragione dei ministri. Costoro sono simili ai discepoli di Giovanni, e nelle cose di Dio guardano gli uomini più che Dio stesso. Non ignoro, o fratelli miei, che alcuni moderni dotti, che si occupano di studi sacri e biblici, al fatto evangelico, che avete udito ora danno una diversa interpretazione. Essi dicono che Giovanni Battista, chiuso nel carcere di Macheronte, ebbe un’ora di debolezza e dubitò veramente se quel Gesù, ch’egli aveva salutato Agnello di Dio e Salvatore del mondo, era veramente l’aspettato Messia, il Figlio di Dio fatto uomo. Dissero anche che Giovanni Battista, mandando a Gesù quella ambasciata, volle quasi sollecitare Gesù a mostrarsi il Messia e con la sua autorità venire in soccorso del prigioniero abbandonato. Manifestamente le due spiegazioni ripugnano al carattere del Precursore. E una ingiuria il sospettare che Giovanni, dopo le solenni confessioni fatte a Cristo, balenasse nella fede ed avesse bisogno d’una parola di conforto e sollecitasse indirettamente la propria liberazione. Giovanni non era una canna, come dirà tosto il Salvatore, che piegasse ad ogni vento: non era uomo che impallidisse in faccia al patibolo. La sua fede incrollabile, le illustrazioni supreme avute, l’indomito coraggio che aveva spiegato in faccia alla sinagoga e ad Erode, ci obbligano a respingere queste interpretazioni indegne del maggiore tra i nati di donna. Giovanni adunque voleva che i suoi cari discepoli si persuadessero, Gesù essere veramente il Messia. Che fece egli per illuminarli? Giovanni diceva seco stesso: Se questi miei discepoli, troppo teneri del mio nome, vedranno Gesù Cristo e le opere sue e udranno le sue parole, si persuaderanno certamente, Lui essere il Messia, e abbandoneranno me per seguitar Lui. — Perciò, avutili a sé, disse loro: “Andate da Gesù, e a mio nome ditegli: Sei tu Quegli che aspettiamo, o dobbiamo aspettarne un altro? „ – Ammirate, o dilettissimi, l’amore affocato della verità e zelo per la causa di Gesù Cristo in questo uomo meraviglioso! Egli adopera tutta la sua autorità, usa d’una santa industria per staccare da sé i discepoli e mandarli a Gesù Cristo, e continua l’ufficio di Precursore e di apostolo perfino in carcere, quando la scure del carnefice lampeggiava sul suo capo! I discepoli obbedirono prontamente, se ne andarono a Gesù, ripetendo a Lui le parole, che Giovanni aveva loro posto in bocca: ” Sei tu Quegli che ha da venire, cioè il Messia e “Salvatore del mondo, o ne aspetteremo un altro?„ La domanda era netta e precisa, e netta e precisa è pure la risposta di Gesù Cristo: risposta data, non con le parole, ma con le opere,, e queste eloquentissime. “Andate e riferite a Giovanni le cose che avete vedute ed udite: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi son mondati, i sordi odono, i morti risorgono ed ai poveri è annunziato il Vangelo. „ Gesù Cristo poteva ben rispondere ai messi di Giovanni: “Sì, dite al maestro ch’Io sono veramente Quegli, che Israele aspetta, il Messia, come Giovanni stesso mi proclamò in faccia al popolo. „ In quella vece Gesù Cristo volle che i messi medesimi comprendessero la verità e facessero a sé ed al maestro la risposta quale risultava dai fatti, che avvenivano sotto i loro occhi. Proprio in quella che i messi di Giovanni si presentavano a Gesù, Egli era circondato da una folla di infermi d’ogni maniera, che imploravano ed ottenevano la guarigione: erano ciechi, storpi, lebbrosi, sordi e perfino alcuni morti risuscitati. S. Luca narra il fatto stesso e rischiara il racconto di S. Matteo. Quelle guarigioni sì svariate, sì numerose, sì istantanee, operate con un solo cenno, con una sola parola, dinanzi ad una moltitudine che tutto vedeva, dissipavano ogni dubbio sulla divina missione di Gesù Cristo e costringevano i più diffidenti e più restii a prestar fede alla sua dottrina ed a credere senza esitanza, Lui essere veramente l’aspettato Salvatore del mondo. Il Vangelo non dice che cosa facessero o dicessero i messi di Giovanni; ma io penso che, retti e sinceri come dovevano essere, senza più si arrendessero all’evidenza dei fatti e riportassero al maestro ciò che avevano udito e veduto e lo ricolmassero di gioia, dichiarandosi pronti a seguire Gesù Cristo. Permettete, o cari, una applicazione, che viene spontanea dal fatto narratovi. Ciechi, storpi, lebbrosi, sordi correvano a Gesù per essere guariti; fino i morti si portavano a lui, perché li richiamasse a vita novella, e l’amabile Gesù tutti accoglieva e tutti rimandava esauditi e consolati. Quanti stanno in mezzo a noi ciechi e storpi della mente, coperti della lebbra schifosa del peccato, sordi alla voce della coscienza; morti miseramente nell’anima! Vedete questa turba di infelici tanto più degni di compassione in quanto ché assai volte non conoscono la loro misera condizione! È sventura grande non vedere la luce del sole ed essere sepolti in fitte ed eterne tenebre: ma è sventura troppo più grande non vedere la luce della verità e brancolare nella notte dell’errore. Muove pietà uno storpio, che non può reggersi in piedi, né dare un passo: ma ben più deplorevole è la sorte di tanti poveri fratelli, che giacciono là immobili nel lezzo delle loro passioni. Fa ribrezzo vedere un lebbroso, disfatto da questo insanabile morbo e al quale cadono a brani a brani le carni e che beve a lenti sorsi la morte più atroce: ma che dire del peccatore, fatto abominevole agli occhi degli Angeli e di Dio! Vedete quel sordo sventurato, sempre triste, cupo, sospettoso: tra lui e la società è rotto ogni commercio; nessuna armonia rallegra mai il suo orecchio e la parola non può destare la sua intelligenza impotente a conoscere il dovere, se stesso, il suo Dio. Egli è una pallida immagine di quei Cristiani che non ascoltano mai la parola di Dio, che turano le orecchie del cuore ai rimorsi della coscienza. Un cadavere ci fa orrore: quegli occhi semiaperti e cristallini, che non vedono; quegli orecchi che non odono; quella lingua muta, quelle mani e quei piedi irrigiditi; quel corpo immobile, freddo, abbandonato, fa paura; ma l’anima in peccato, se la vedessimo, è senza confronto più orribile d’un cadavere. Essa è morta alla grazia, a Dio, per se stessa impotente a qualunque atto, che sia buono; se in questo stato si separasse dal corpo, sarebbe eternata nella morte. Che fare, o poveri ciechi e storpi, lebbrosi e sordi e morti? Quel Gesù che risanava i corpi e risuscitava i cadaveri, vive sempre nella sua Chiesa: Egli è pronto e desideroso di rinnovare nelle anime i miracoli, che operava nei corpi. Se Gesù non rimandò mai da sé un solo infermo del corpo senza consolarlo e risanarlo, talvolta anche senza esserne pregato, che non farà con gli infermi dell’anima? Non è questa incomparabilmente più del corpo? Non è principalmente per la salvezza dell’anima ch’Egli è venuto sulla terra? Deh! dunque venite a Lui, e gli occhi della mente saranno aperti, e raddrizzati i piedi nelle vie della virtù, e mondate le vostre coscienze e risanate le vostre orecchie spirituali e risuscitate le vostre anime, perché Egli è la luce, la verità e la vita. Non posso non richiamare la vostra attenzione su quella sentenza sì cara del Figliuol di Dio, dataci quale argomento sicuro della sua venuta. “Ai poveri è annunziato il Vangelo. „ Non so dirvi come queste parole commuovano il mio cuore. Il mondo, o cari (non dimenticatelo mai), ebbe sempre in disprezzo i poveri, che sono anche quasi sempre per necessità delle cose i meno istruiti. I sapienti, i filosofi di tutti i tempi e di tutti i paesi non solo non si degnavano di istruire il povero popolo, ma a bello studio lo tenevano nella ignoranza, né gli permettevano che varcasse le soglie delle loro scuole ed accademie. La scienza doveva essere di pochi, patrimonio dei ricchi. Crudeltà che non ha nome! Gesù Cristo pel primo volle che la sua scienza divina fosse di tutti, ma particolarmente del povero popolo, perché maggiore è il suo bisogno. È Gesù che portò sulla terra questa santa eguaglianza di tutti quanto al possesso della verità: è Gesù che disse agli apostoli: — Andate, ammaestrate tutte le genti: la verità l’avete ricevuta da me gratuitamente e gratuitamente datela a tutti. Il mio Vangelo deve essere annunziato ai poveri! — Quale dottrina consolante! Quale beneficio! “E beato colui, che non patirà scandalo in me. „ La più terribile prova, alla quale venisse posta la fede degli Apostoli e di quelli che vivevano al tempo di Gesù Cristo, era certamente il vedere Lui stesso. Un uomo povero, che non aveva dove posare la sua testa, che viveva di limosine, che aveva sempre lavorato come un operaio, che pativa la fame e la sete, calunniato, perseguitato, messo in croce come un malfattore, e dover credere, che quell’uomo era Dio, Signore del cielo e della terra! Ah! confessiamolo, o cari, la vista di Gesù Cristo era veramente una pietra di scandalo, cioè una fortissima tentazione per dire : — No, quest’uomo, benché santo e operatore di miracoli strepitosi, quest’uomo non può essere Dio; sarà un gran profeta, un uomo di Dio, ma Dio! È troppo: ripugna alla ragione che la maestà di Dio siasi cotanto abbassata! — Così purtroppo allora ragionavano moltissimi e non credevano a Gesù Cristo. Ecco perché Egli disse: — Beato chi non patirà scandalo in me. — Noi veniamo diciannove secoli dopo quelli: noi conosciamo non solo i miracoli operati allora da Gesù Cristo, ma tutti quelli non meno grandi, che poi furono operati nel suo nome: noi stupefatti contempliamo l’immensa gloria, onde Gesù Cristo si circonda attraverso ai tempi e che lo solleva a tanta altezza, che non ha l’eguale. No, noi non possiamo patire scandalo, vedendo le umiliazioni di Gesù Cristo, perché queste ci mostrano la sua carità smisurata e sono di gran lunga vinte dalle sue glorie. “Ora, come i messi di Giovanni se ne andavano, Gesù prese a dire di Giovanni alle turbe: Che mai andaste a vedere nel deserto? Forse una canna agitata dal vento? „ Senza dubbio la venuta e le interrogazioni di Giovanni dovevano essere l’argomento delle conversazioni della moltitudine e il nome di. Giovanni in quel momento doveva essere sulle labbra di tutti, e Gesù Cristo colse il destro di parlare di lui, di tesserne le lodi, di rendergli pubblica testimonianza, come Giovanni l’aveva resa a Lui, e mostrare la perfetta armonia che regnava tra loro. Nessun uomo mai ebbe la gloria di ricevere dalla bocca di Cristo i magnifici elogi che ricevette Giovanni. La folla, a cui Gesù Cristo rivolgeva la parola, in gran parte almeno, doveva essere stata nel deserto a veder Giovanni, allorché predicava, e perciò, indirizzandosi ad essa, diceva: — Voi andaste a vedere Giovanni: bene sta; e che vedeste voi? Forse un uomo che si muta ad ogni spirare di vento? — Evidentemente questa domanda equivale ad una risposta negativa; come se dicesse: Certo voi non vedeste un uomo che piega ad ogni soffio d’aria. Voi trovaste in lui l’uomo saldo ad ogni prova più dura, che non cede a minacce, né si piega a promesse, sempre eguale a se stesso, che non muta linguaggio, che ha sempre e dovunque, d’innanzi al popolo, come in faccia ai re, una sola legge inviolabile, l’amore della verità —. Dilettissimi! quanti di noi potrebbero meritare l’elogio di Giovanni? Siamo sinceri; troppe volte siamo come canne agitate dal vento, cadiamo al timore del biasimo, all’amore della lode, ci diamo vinti al rispetto umano, sacrifichiamo la coscienza, il dovere e la verità. Prosegue l’elogio di Gesù Cristo. “Ma che andaste a vedere? Porse un uomo vestito di morbidezze? Eh! quelli che indossano morbide vesti, abitano le case dei re. „ L o vedeste Giovanni Battista là nel deserto. Come vestiva? Forse ricche e molli vesti? Sedeva forse a lauta mensa e si nutriva di cibi delicati? Era egli uomo, che amava i comodi, il lieto vivere, che accarezzava il corpo? Ditelo voi che lo vedeste. “Egli indossava una veste di pel di cammello, stringeva ai fianchi una cintura di cuoio e si nutriva di locuste e di miele selvatico „ (Marco, I, 6, 7). Giovanni era l’uomo della penitenza, della austerità. Quelli che menano vita comoda, che amano i piaceri, che blandiscono la carne, non vivono nel deserto, come Giovanni, ma nelle case dei grandi e dei re. – In queste parole Gesù Cristo ci dà una grande lezione: ci insegna che una vita molle quanto al vitto ed al vestito non è la vita del seguace di Giovanni e sua: ci insegna che dobbiamo rinnegare noi stessi, mortificare i sensi, in una parola, condurre una vita penitente se vogliamo essere suoi discepoli. La virtù, o cari, non cresce che all’ombra della croce: l’austerità della vita ne è il fondamento, diceva Tertulliano, e la mollezza la rovescia. Virtus duritìe extruitur. mollitie destruìtur (Ad Marc.). Credere di praticare la virtù e giungere a salvamento per altre vie che per quella della penitenza, è una strana illusione. – “Ma che siete andati a vedere nel deserto? Un profeta? Sì, vi dico: anche più che un profeta. ,, Gesù Cristo fa di Giovanni un triplice elogio: prima gli dà lode d’uomo fermo, incrollabile; poi d’uomo mortificato, e finalmente lo chiama profeta, anzi più che profeta. La parola profeta nei Libri santi si usa talvolta in senso largo per indicare un uomo, che annunzia la verità a nome di Dio: tal altra e più spesso si adopera nel senso più rigoroso di uomo che predica il futuro. Qui Gesù Cristo chiama profeta Giovanni nell’uno e nell’altro senso, se non erro. Giovanni è profeta, perché maestro del popolo e annunziatore d’una dottrina morale, che in sostanza è quella del Vangelo: è profeta, perché al popolo ricorda le promesse fatte ad Israele e annunzia vicini a compirsi i vaticini degli antichi profeti e riconferma l’imminente venuta del Messia: è più che profeta, perché a lui è dato di mostrare a dito quel Salvatore del mondo, che gli altri profeti annunziarono da lungi. – Il nostro Vangelo si chiude con un oracolo del profeta Malachia, che Gesù Cristo dichiara compiuto in Giovanni Battista. È Giovanni “… quegli, del quale è scritto: Ecco il mio Angelo davanti alla tua faccia, il quale preparerà la tua via innanzi a te. „ Son due le venute di Cristo sulla terra, come è chiaro dalle Scritture: la prima come Redentore del mondo, l’altra come Giudice supremo: la prima è già avvenuta, l’altra avverrà alla fine dei secoli; precursore della prima fu Giovanni, della seconda sarà Elia. Lo spirito, la virtù e diciamo il ministero di questi due sommi personaggi è simile, anzi pressoché eguale. Ecco perché talvolta quasi si confondono tra loro nei Libri divini e Gesù Cristo stesso dice, che Elia è già venuto ed è Giovanni (Matt. XI, 14). Ma dal contesto è chiaro che Gesù Cristo chiama Giovanni Elia, non perché Giovanni sia veramente Elia, ma sì perché era ripieno dello spirito di Elia e preparava la via a Lui nella sua prima venuta. Carissimi! vendiamo di porci ben addentro nell’animo le parole di Gesù Cristo, che abbiamo udito, e gli esempi di virtù del suo Precursore, e studiamoci di imitarli.
CREDO …
Offertorium
Orémus
Ps LXXXIV:7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis. [O Dio, rivongendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]
Secreta
Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis. [O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]
Communio
Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo. [Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]
Postcommunio
Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia. [Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]