LIBRO II.
Preistoria della redenzione.
CAPO I
L’umanità senza il Cristo. (3)
III. SCHIAVITÙ DELLA CARNE E LIBERTA’ DELLO SPIRITO.
1. FALSE PESTE. — 2. LA CARNE E LO SPIRITO. — 3. LA CARNE E IL PECCATO. — 4. RIASSUNTO.
[F. Pratt: La teologia di San Paolo – Parte SECONDA; S. E. I. Ed. – Torino, 1927 – impr.]
1. Quando l’uomo possiede i tre elementi essenziali della vita morale, — conoscenza di Dio, legge naturale e libero arbitrio — che cosa gli manca ancora per raggiungere il suo ultimo fine? E fine di un essere non si deve cercare fuori della sua sfera di operazione, e se l’uomo è destinato alla beatitudine dev’essere in grado di giungervi. Eppure sembrerebbe che risulti il contrario dalla dottrina di san Paolo, e particolarmente dalla Lettera ai Romani, in cui egli insegna che l’impotenza morale dell’uomo deriva dalla carne e non ha altro rimedio che lo Spirito di Dio. Tra lo spirito e la carne, abbiamo già indicate due opposizioni: l’una fisica, tra le parti che costituiscono un medesimo essere, e l’altra ontologica, tra sostanze complete il cui carattere rispettivo è la spiritualità e la corporalità. Bisogna ora aggiungervi l’opposizione morale e religiosa, la principale e la più importante, la sola caratteristica del vangelo di san Paolo. L’errore di molti teologi eterodossi è stato quello di confondere praticamente l’antitesi morale « carne e spirito » o con l’opposizione fisica o con l’opposizione ontologica. Essi speravano così di unificare i concetti e di semplificare le teorie, ma invece di rendere più chiaro il problema, non fecero altro che renderlo ancora più oscuro. I primi, che dipendono tutti dalla scuola di Baur, pretendono che Paolo, abbandonando qui il terreno familiare agli Ebrei, faccia una disgraziata incursione nel campo della filosofia greca. Tuttavia il monoteismo biblico lo ferma a mezza via, ed egli non arriva fino al dualismo metafisico ma si ferma al dualismo morale (Holsten). Paolo avrebbe trasportato nell’ordine morale l’antitesi fisica che l’Antico Testamento suole stabilire tra Dio e il mondo, tra l’uomo e lo spirito di Dio, senza accorgersi del paralogismo e senza riflettere che questo equivale a far risalire al Creatore della natura l’origine del peccato. Per sostenere questo paradosso, bisogna imputare all’Apostolo contraddizioni su contraddizioni. Se la carne è cattiva in se stessa, in quanto è opposta allo spirito, come mai la carne del Cristo sarà santa? Ora è cosa indiscutibile, che san Paolo attribuisce al Cristo una carne simile alla nostra e che tuttavia gli nega ogni relazione col peccato (II Cor. V, 21). Questo prova evidentemente che il peccato non è inerente alla carne dalla quale è separabile. Se il nostro corpo è irrimediabilmente impuro, come mai sarà il tempio dello Spirito Santo? (I Rom. VI, 19). Come mai servirà di strumento alle opere di giustizia? (Rom. VI, 13). Come potrà essere offerto a Dio come ostia di grato odore? (Rom. XII, 1). L’Apostolo c’invita a schivare ogni macchia della carne e dello spirito (II Cor. VII, 1) »: ora se la relazione della carne col peccato fosse essenziale, non dipenderebbe da noi né il macchiarla né il preservarla dalle macchie. Paolo non potrebbe parlare, dal punto di vista dualista, di una redenzione del corpo e presentarla come il pieno compimento della salute? « La nostra salute, al contrario, dovrà essere perfetta allorché l’anima nostra sarà libera dai vincoli della materia (Sabatier) ». Nella teoria dualista, Adamo non avrebbe nessun significato: sarebbe soltanto il primo peccatore perché è il primo uomo. Ora si va facendo sempre più unanime l’accordo nel riconoscere che l’antropologia di san Paolo si fonda sulla base dell’Antico Testamento. Il racconto della Genesi con i suoi due corollari immediati — Dio personale e superiore al mondo, materia creata e perciò buona — è sempre presente al suo pensiero. Cercare nei suoi scritti il dualismo gnostico che della materia fa un principio cattivo, è un paradosso audace, smentito da tutti i testi, inconciliabile con l’educazione biblica di Paolo e con le sue ripetute allusioni ai primi capitoli della Genesi. Resta da discutersi la parte d’influenza ellenica; ma per quanto la si voglia supporre profonda, la sua importanza viene assai diminuita da questa considerazione, che la psicologia dell’Apostolo è soltanto un accessorio nel suo insegnamento: non è la psicologia quella che domina e orienta la sua dottrina teologica, ma è la sua dottrina teologica quella che comanda e determina la sua psicologia. Dal fatto che, in San Paolo, la carne è sempre la materia animata, che essa nel suo concetto comprende l’anima, che certi peccati di ordine intellettuale sono riferiti alla carne, che una volta le espressioni « voi siete uomini » e « voi siete carnali » si scambiano come sinonime, altri teologi protestanti conchiudono che la carne, nel senso morale di cui qui si tratta, indica la natura umana. Se il peccato abita nella carne, questo vuol dire, secondo loro, che l’uomo per la sua imperfezione naturale, ha l’occasione e il potere di mettersi in opposizione con Dio (Thouluce). Per essere logici, dovrebbero anche conchiudere — ed alcuni non esitano a confessarlo — che l’uomo è carnale non in quanto è uomo, ma in quanto è creatura: di qui risulterebbe il triplice paradosso, che anche Adamo era carnale come i suoi discendenti, che l’Angelo è carnale quanto l’uomo, e che né l’Angelo né l’uomo non potranno mai cessare di essere carnali perché sono essenzialmente esseri creati. Questo vuol dire attribuire gratuitamente a Paolo una confusione grossolana del male morale col male metafisico, della privazione di un bene che la natura ragionevole dovrebbe possedere secondo i disegni di Dio, con l’assenza di una perfezione multante dalla limitazione essenziale di ogni essere finito, indipendentemente da queste conseguenze assurde, il sistema in questione non si regge, poiché dall’organismo materiale dell’uomo San Paolo fa dipendere il peccato.
2. La carne, soprattutto sotto l’aspetto morale del quale ci occupiamo, non si può quasi definire senza la funzione dello spirito. Nell’Antico Testamento, lo spirito di Dio è il creatore e il conservatore se, l’agente del miracolo e dell’ispirazione profetica. Nel Nuovo Testamento la sua sfera di azione si allarga ancora di più: esso è lo spirito vivificatore, rigeneratore e santificatore; tutto ciò che concerne la grazia e i carismi è di suo dominio; siccome è l’anima del corpo mistico del quale il Cristo è il capo, tra lui e il giusto si stabilisce una relazione stretta, un vincolo intimo; il suo nome proprio, tratto dal suo carattere personale, è Spirito Santo; la sua presenza in noi è più che un rinnovamento interiore, e una metamorfosi, una vera creazione, la produzione di una natura divina dotata di proprietà e di operazioni nuove (II Cor. V, 17). A questa nuova natura Paolo dà anche il nome di spirito. Per non aver voluto riconoscere questo, certi esegeti vanno a perdersi nelle spiegazioni più inverosimili. Essi vogliono distinguere soltanto tra lo spirito dell’uomo o l’anima ragionevole, e lo Spirito di Dio, cioè la terza Persona della Santissima Trinità; vi è invece un mezzo termine: lo spirito che è formato in noi dallo Spirito Santo e che a lui si riferisce come l’effetto alla causa. Quando « lo Spirito rende testimonianza al nostro spirito (Rom. VIII, 16) », non è possibile nessun equivoco: lo Spirito che rende testimonianza è certamente lo Spirito di Dio, e perciò lo spirito in cui favore rende testimonianza non può essere altro che quel senso nuovo prodotto in noi dallo Spirito, e capace di percepire le cose divine; infatti l’intelletto abbandonato a se stesso non sa nulla della nostra filiazione adottiva. Non mancano altri esempi di questo sdoppiamento delle nostre facoltà: il glossolalo non è compreso dai presenti né da se stesso, ma soltanto da Dio, eccetto che abbia ricevuto per di più il dono dell’interpretazione: « E suo πνεῦμα (= pneuma) prega, ma il suo νοῦς (= nous) è senza frutto (I Cor. XIV, 14, 15) ». Per lui l’ideale sarebbe di pregare col νοῦς (= nous) e col πνεῦμα (= pneuma). Una preghiera fatta in lingua sconosciuta, sotto l’impulso della grazia, può essere una preghiera eccellente, capace di edificare il glossolalo con i sentimenti devoti che suggerisce; ispirata dallo Spirito di Dio, essa alimenta lo spirito dell’uomo; ma siccome non è compresa, è priva di azione sopra l’intelletto. Lo spirito e l’intelletto sono qui due princìpi distinti; l’uno rappresenta in noi l’elemento naturale, e l’altro l’elemento soprannaturale. Sotto questo aspetto, lo spirito comprende tanto il corpo quanto l’anima, poiché i l nostro corpo, destinato a diventare spirituale, ha ricevuto in precedenza il germe dello Spirito ed è il tempio dello Spirito Santo (II Cor. I, 22). Se lo spirito indica tutto l’uomo quale lo rifà la grazia, anche la carne indica tutto l’uomo quale lo ha fatto il peccato: l’intelletto diventa carnale quando è sregolato; vi è una sapienza carnale; i Corinzi sono chiamati carnali perché mantengono litigi e discordie; la carne ha i suoi pensieri e le sue volontà, le sue affezioni ed i suoi odi; finalmente i peccati che derivano dall’intelligenza, come l’idolatria, l’invidia, l’inimicizia, i dissensi, sono classificati tra le opere della carne (Col. II, 18). Di più, l’uomo è carnale per il solo fatto che rimane estraneo alle influenze dello Spirito di Dio. La sapienza secondo la carne, che per se stessa sarebbe cosa indifferente, diventa cattiva quando entra in lotta con lo spirito: « Poiché le dispute regnano tra voi, è detto ai Corinzi, non siete voi forse carnali e non camminate forse secondo l’uomo? Quando uno dice: Io sono di Paolo, e l’altro: Io sono di Apollo, non siete forse uomini? ». Se Paolo può rimproverare ai neofiti di essere uomini e di camminare secondo l’uomo, vuol dire che vi è disordine nella nostra natura; vuol dire che l’uomo non è più quale dovrebbe essere secondo i disegni di Dio; vuol dire che, sotto l’aspetto morale, v i sono i n noi due uomini, l’uomo vecchio e l’uomo nuovo. L’uomo vecchio non è Adamo, e l’uomo nuovo non è Gesù Cristo, come vollero sostenere, per ragioni assai deboli, certi esegeti male ispirati, l’uomo vecchio che muore, in principio, nel Battesimo, del quale san Paolo c’invita a spogliarci sempre di più, è l’eredità del nostro primo padre, è questa natura decaduta e corrotta che ci ha trasmessa, è quell’io carnale del quale si parla nell’Epistola ai Romani. l’uomo nuovo, che gli succede, è l’uomo rigenerato, nel quale la grazia soprannaturale conduce a termine l’immagine divina abbozzata dal fiat creatore. “Non mentite tra voi, poiché vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue opere, e vi siete rivestiti dell’uomo nuovo il quale si rinnova in conoscenza (soprannaturale) a immagine di colui che lo ha creato. Deponete l‘uomo vecchio, corrotto dalle concupiscenze ingannatrici, rinnovatevi nella vostra intelligenza (resa) spirituale, e rivestitevi dell’uomo nuovo creato secondo Dio in una vera giustizia e santità (Col. III, 9). – Mentre l’uomo interiore e l’uomo esteriore, dei quali si è parlato prima, sono le due parti che compongono l’uomo, in qualunque ordine di provvidenza si consideri, l’uomo vecchio e l’uomo nuovo sono due stati consecutivi del medesimo uomo, abbandonato prima alle influenze del peccato di cui Adamo è la sorgente, poi a quelle della grazia di cui Gesù Cristo è il dispensatore. L’uomo nuovo coincide dunque, per il significato, con lo spirito, e l’uomo vecchio con la carne.
- 3. Ma benché la carne indichi tutto l’uomo, in quanto è decaduto dalla giustizia originale, l’Apostolo mette frequentemente la carne in relazione speciale con la parte materiale del composto umano: « So che nulla di buono abita in me, cioè nella mia carne (Rom. VII, 18) ». Qui la carne è distinta dall’io, come la parte dal tutto; la carne appartiene pure all’io, ma essa ne è soltanto la metà meno nobile, quella che si oppone alla ragione, all’uomo interiore e che san Paolo chiama anche « la legge del peccato che è nelle membra (Rom. VII, 22, 23) ». Non vi è dubbio: la sede del male, il focolare del peccato, è dunque proprio il corpo medesimo; perciò la parte materiale dell’uomo, senza essere cattiva in se stessa, è tuttavia la sorgente del male morale. Come si risolve questo enigma? Anzitutto il peccato, entrato nel mondo con la colpa
di Adamo, invade tutta la posterità di lui, perché noi siamo, col nostro primo padre, una medesima carne; allora ogni carne diventa peccatrice, fatta eccezione per colui che prese « la somiglianza della carne del peccato » ma senza conoscere il peccato, poiché non usciva dalla massa peccatrice secondo le leggi della generazione naturale, e poi perché il peccato è assolutamente incompatibile con la sua persona. Tuttavia bisogna ricorrere ad un’altra considerazione per giustificare il linguaggio dell’Apostolo. È un fatto di esperienza, così vero da diventare persino volgare, che il corpo impedisce gli slanci dell’anima. Paolo lo aveva compreso meglio di qualunque altro quando esclamava: Quis me liberabit de corpore mortis huius? In forza dell’intima unione del composto umano, non vi è forse azione dell’anima che non si ripercuota sul corpo, nè impressione del corpo che non sia risentita nell’anima. Ora gli appetiti dei sensi sono moltissime volte in conflitto col fine della natura superiore che è la vera natura dell’uomo; e per colmo di disgrazia, essi sono essenzialmente ciechi ed egoisti. Così mentre l’uomo trova nella sua ragione un aiuto sicuro, benché insufficiente, contro l’attrattiva del male, da parte dei sensi non trova che ostacoli. Per ristabilire l’equilibrio e per neutralizzare l’attrazione della carne, l’uomo ha bisogno dello spirito, cioè di un aiuto superiore alla sua natura, di un principio soprannaturale. Ecco perché in san Paolo l’«omo carnale, l’uomo psichico, l’uomo naturale, o semplicemente l’uomo, sono locuzioni sinonimo che indicano l’uomo abbandonato a se stesso e alla sua corruzione naturale, senza l’antidoto dello spirito. Così la carne, nel senso morale del quale qui si tratta, è insieme la causa e l’effetto del peccato; e in tutti e due i modi, è la parte materiale del nostro essere quella che stabilisce tale relazione, perché essa è, in certo modo, il veicolo del peccato originale e lo stimolo al
peccato attuale. D a ciò si vede quanto era differente la condizione del primo uomo, e quanto sarebbe anche differente l a condizione dell’umanità nello stato di pura natura. Per un benefizio gratuito del Creatore, la ragione del primo uomo, dominando l’appetito sensibile, faceva regnare l’armonia in tutto il suo essere. Quest’armonia, è vero, non ci sarebbe nello stato di pura natura; ma indipendentemente dal peccato, sarebbe soltanto un’imperfezione fisica e non un disordine morale. Della concupiscenza si deve dire — e a più forte ragione — lo stesso che si dice della morte. Nello stato di pura natura, l’una e l’altra sarebbero una semplice risultante della nostra costituzione organica; nell’ordine attuale invece sono una decadenza, perché ci privano di un bene che noi, secondo i disegni di Dio, dovremmo avere; esse rivestono dunque un carattere morale perché sono frutti del peccato, e, se si tratta della concupiscenza, perché è la radice vivente da cui germoglia il peccato.
- 4. Riassumiamo: Per quanto siano svariate le accezioni di carne e di spirito, tutte però dipendono dal significato fondamentale di materia animata e di essere immateriale. Lo spirito e la carne, nel senso morale caratteristico della teologia paolina, comprendono tutto l’uomo sotto diversi aspetti: lo spirito è l’uomo sotto l’influenza dello Spirito Santo; la carne è l’uomo senza lo Spirito Santo. – La carne, la parte materiale dell’uomo, non è né cattiva in se stessa né essenzialmente peccatrice, poiché è suscettibile di purificazione, di santificazione e di glorificazione. Tuttavia la carne, così come è attualmente in noi, implica una doppia relazione col peccato: relazione storica col capo colpevole della nostra razza, relazione psicologica con l’atto colpevole al quale è inclinata. La relazione psicologica dipende dagli istinti bassi, egoisti e ciechi della natura sensibile, i quali la mettono in un antagonismo continuo col bene essenziale della natura ragionevole. In tale conflitto, l’intelletto abbandonato a se stesso è infallibilmente vinto e diventa carnale; ma, con l’appoggio dello Spirito, esce vincitore dalla lotta, e tutto l’uomo diventa spirituale.