IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO
Mons. J. J. Gaume:
[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]
CAPITOLO VI.
La Città del bene e la Città del male.
Influenza del mondo superiore sul mondo inferiore, provata dall’esistenza della Città del bene e della città del male — Che cosa sono queste due Città considerate in sé medesime — Ogni uomo appartiene necessariamente all’una o all’altra — Necessità di conoscerle a fondo — Estensione della Città del male — Risposta all’obiezione che se ne cava — Il male non costituisce che un disordine più apparente che reale — Gloria che procura a Dio — Le battaglie dell’uomo — La potenza del demonio sull’uomo viene da questo e non da Dio — Dio non è intervenuto nel male che per prevenirlo, contenerlo e ripararlo: prove.
Delle quattro verità che formano la base di questo lavoro, tre sono oramai stabilite. Due Spiriti opposti si disputano l’impero della creazione; avvi un mondo soprannaturale; questo mondo si divide in buono ed in cattivo. I due Spiriti sono: da una parte lo Spirito Santo, cioè lo Spirito di Dio, spirito di luce, d’amore e di santità, avente ai suoi ordini legioni di Angeli, chiamati da san Paolo Spiriti ministri inviati in missione, a prender cura de’suoi eletti. [Hebr., I, 14] Dall’altra lucifero o satana, l’arcangelo ribelle, spirito di tenebre, di odio e di malizia, che comanda ad una armata di spiriti perversi, occupati di continuo a fare dell’uomo il complice della loro rivolta, per farne il compagno delle loro pene. [Eph. VI, 11,12]. – In un lavoro dove si tratterà costantemente degli agenti soprannaturali, era indispensabile lo stabilire innanzi tutto, questi dommi fondamentali, su’quali riposa d’altro canto la vera filosofia della storia. Ne rimane un quarto; l’influenza del mondo superiore, buono o cattivo, su quello inferiore. Noi l’abbiamo già indicata, ma una indicazione non basta. Lo studio profondo di questa duplice influenza, de’suoi caratteri e della sua estensione, è uno degli elementi necessari della storia dello Spirito Santo. Come in pittura lo studio dell’ombre è indispensabile allo studio della luce, così nella filosofia cristiana, la cognizione della redenzione non può essere separata da quella della caduta. Ora la certezza di questo nuovo domma è affermata da un fatto luminoso come il sole, palpabile come la materia, intimo come la coscienza: noi abbiamo nominato la Città del bene e la Città del male. « Due amori, dice sant’Agostino, hanno fatto due città. (Fecerunt itaque civitates duas amores duo. De Civ. Dei, lib. XIV, c. XXVIII) ». I due opposti spiriti, con le forze di cui essi dispongono, non sono rimasti oziosi nelle inaccessibili regioni del mondo superiore. La loro presenza nel mondo inferiore è permanente. Se essi restano invisibili in sé medesimi, le loro opere sono palpabili. Tale è la loro influenza che ognun d’essi ha fatto un mondo, o per ripetere la parola del grande dottore, una città sua immagine. Queste due città, visibili come fa luce, antiche quanto il mondo, così estese quanto il genere umano e così opposte tra loro quanto il giorno e la notte, accusano per autori due spiriti essenzialmente differenti. Queste due Città sono la Città del bene e la Città del male. Per conoscerle, fa d’uopo prima di tutto considerarle in sé medesime. Come svolgimento dell’uomo composto d’un corpo e d’un’anima, ogni società presenta un lato palpabile e un lato spirituale. Nella Città del bene, come nella Città del male, la parte palpabile e visibile è la riunione degli uomini di cui esse si compongono. Sotto il nome di buoni e di cattivi, o, come dice la Scrittura, di figli di Dio e di figli degli uomini, i cittadini di queste due città esistono sino dall’origine dei tempi, e si rivelano ad ogni pagina della storia. Noi li vediamo, noi vi inciampiamo; noi contiamo o tra gli uni o tra gli altri. Provare questo fatto sarebbe superfluo. Niuno d’altronde tenta porlo in dubbio, eccetto il selvaggio incivilito, abbrutito abbastanza per negare la distinzione del bene e del male; ma la negazione del bruto non conta. Il lato invisibile delle due città è lo spirito che le anima. Con ciò intendiamo i fondatori ed i governatori dell’una e dell’altra, per conseguenza, l’azione reale, permanente, universale del mondo superiore sul mondo inferiore, del mondo degli spiriti sul mondo dei corpi. Una di queste due si chiama la Città del bene. La ragione è che il suo fondatore e il suo re è lo Spirito del bene; i governatori ed i guardiani suoi sono gli angeli buoni; i cittadini di essa, tutti gli uomini che lavorano alla loro deificazione conforme al piano tracciato da Dio medesimo. Questa Città è l’ordine universale. Essa è l’ordine perché piglia per regola delle sue volontà, la volontà stessa di Dio, ordine supremo. Essa è l’ordine, perché il suo pensiero coordinando il finito all’infinito, il presente con l’avvenire, tende all’eternità, oggetto di tutti i suoi sforzi e di tutte le sue aspirazioni. Ora l’eternità è l’ordine o il riposo immutabile degli esseri nel loro centro. È l’ordine universale perché in questa città tutto sta al suo posto. Iddio nell’alto e l’uomo al basso. Questa Città è il Cattolicismo. Immensa e gloriosa famiglia, nata col tempo, composta di Angeli e di fedeli di tutti i secoli, e i di cui membri, oggi separati ma non disuniti, formano la Chiesa della terra, la Chiesa del Purgatorio, la Chiesa del Cielo, fino al giorno in cui, confondendosi in un abbraccio fraterno, queste tre Chiese non formeranno altro che una Chiesa eternamente trionfante. – L’altra è la Città del male. La si chiama cosi, perché il suo fondatore e suo re è lo Spirito del male; i suoi governatori gli angeli caduti: i cittadini, tutti gli uomini che lavorano alla loro pretesa deificazione, conforme alle regole date da satana. Questa Città è il disordine, disordine universale. È il disordine perché piglia se stessa per regola, senza tener conto della volontà di Dio. Ella è il disordine, perché frangendo nel suo pensiero le relazioni tra il finito e l’infinito, tra il presente e l’avvenire, si concentra nei limiti del tempo, i cui godimenti formano l’unico oggetto delle sue aspirazioni e delle sue fatiche. Essa è il disordine universale, perché nient’altro è in suo luogo. L’uomo in alto, Dio in basso. Questa città è il Satanismo. Immensa e orrida famiglia, nata dalla ribellione angelica, composta di demoni e di malvagi di tutti i paesi e di tutti i secoli; sempre febbricitante di libertà, e sempre schiava, sempre in cerca della felicità, e sempre infelice fino al dì in cui l’ultimo colpo del fulmine dell’ira divina la farà rientrare violentemente nell’ordine, precipitandola tutta quanta nei cuocenti abissi dell’ eternità. Ivi, per non aver voluto glorificare l’eterno amore, glorificherà essa l’inesorabile giustizia. (S. Aug,, De Citi. Dei, lib. XIX, c. XXVIII, e lib. XI, c. XXXIII, dove si trova un vivo ritratto delle due città). – Vedesi dunque, che come non vi sono tre spiriti, così non vi sono tre città, ma due sole; queste due città abbracciano il mondo inferiore ed il mondo superiore, il tempo e l’eternità. Quindi, per ogni creatura intelligente, angelo o uomo, la terribile alternativa d’appartenere all’una od all’altra, al di qua e al di là della tomba. « Qualunque cosa facciasi, ci gridano con instancabile voce la ragione, l’esperienza e la fede, l’uomo vive necessariamente sotto l’impero dello Spirito Santo, o sotto l’impero di satana. Voglia o non voglia, egli è cittadino della Città del bene, o cittadino di quella del male. (Quisque enim aut Spiritu sancto plenus est, aut Spiritu immundo; neque utrumque horum caveri potest, quin alterum accidere necesse sit. Constit. apostol., lib, IV, c. XXVI). D’onde il motto di sant’Ilario: « Dove non è lo Spirito Santo vi è il Diavolo. » Ubi non est Spiritus Dei, ibi Diabolus. » Essendo libero di darsi un padrone, non è però libero di non ne avere. S’ei si sottrae all’azione dello Spirito Santo, non diventa indipendente, ma cade proporzionatamente alla sua diserzione, sotto l’azione di satana. Ciò che è vero dell’individuo, è vero eziandio della famiglia, della nazione, e della stessa umanità. Conoscere a fondo le due città, come dimora tanto della vita che della morte, come vestibolo del Cielo e vestibolo dell’Inferno, è dunque per l’uomo di un interesse supremo. Conoscerle a fondo, è conoscerle nel loro governo, nella loro storia, nelle opere e nel fine loro. Iniziarci a questa conoscenza decisiva e così rara ai nostri dì, sarà l’oggetto dei seguenti capitoli. Ma avanti di porsi a provarla, dobbiamo schiarirla. Due città si dividono il mondo, e la più estesa è la Città del male. Secondo le più recenti statistiche, la terra sarebbe popolata da mille duecento milioni d’abitanti. Su questo numero noveransi appena duecento milioni di Cattolici. Tutto il rimanente, almeno esteriormente, vive e muore sotto il dominio dello spirito malvagio. Nulla prova che questa proporzione non sia stata sempre ciò ch’ella è oggidì. Prima dell’Incarnazione del Verbo, essa era molto più forte in favore di satana. Cos’è dunque questo mistero, pietra di scandalo pel debole, cavallo di battaglia per l’empio? e come conciliarlo con l’idea di Dio ed i precetti della fede? Per non lasciare nessuna inquietudine negli animi, ci sembra necessario di appianare sin d’ora questa difficoltà, che accrescerebbe di troppo il seguito del nostro lavoro. Tutto ciò che noi pretendiamo e tutto ciò che si è in diritto di sapere è, non di spiegare quel che è inesplicabile, ma di mostrare che la divisione dell’uman genere tra il buono ed il cattivo Spirito, non offre nessuna contradizione con gli attributi di Dio e le dottrine rivelate. Ora, per fare svanire la difficoltà, basta questo. Che sia un mistero la formidabile potenza del demonio sull’uomo e sulle creature noi ne conveniamo. Ma questo che cosa prova? Dentro di noi, intorno a noi, nella natura come pure nella religione, non è egli tutto un mistero? Noi non lo intendiamo per niente, ha detto Montaigne, e nemmen noi giungeremo mai a capirlo. Opere di Dio, la natura e la Religione si avvicinano per tutti i punti all’infinito. Comprendere l’infinito, è tanto possibile all’uomo, quanto il mettere l’Oceano in un guscio di noce. Ma il mistero del fatto non toglie nulla alla certezza del fatto. Lo stesso incredulo più ostinato lo confessa. Ciascuno dei suoi aliti è un atto di fede verso tali incomprensibili misteri. L’istante in cui cessasse di credervi, ei cesserebbe di vivere. Sarebbero questioni impertinenti il domandare perché Dio ha permesso questa terribile potenza, perché in tali limiti piuttostoché in tali altri. Che cosa è l’uomo, che abbia diritto di chiedere a Dio ragione della sua condotta e dirgli: Perché avete voi fatto questo? Se l’osasse, guai a lui, poiché sta scritto: lo scrutatore della maestà divina sarà oppresso dalla gloria. (Qui scrutator est majestatis opprimetur a gloria. Prov.,) Due volte guai se ardisse aggiungere: Poiché io non comprendo, ricuso di credere. Una simile pretesa posta per principio è il suicidio dell’intelletto. L’intelletto vive di verità, e ogni verità racchiude un mistero. Pretendere di non ammettere altro che ciò che si capisce è un condannarsi a non ammetter nulla. Perciò il non ammetter nulla, più che abbrutimento, è il nulla. Contuttociò, allorché la potenza del demonio e la colpevole obbedienza dell’uomo alle perverse ispirazioni di lui, sono studiate senza idee preconcette, perdono una parte della loro oscurità misteriosa. Prima di tutto vediamo ch’esse costituiscono un disordine puramente passeggiero e più appariscente che reale; poi vediamo ch’esse non hanno nulla di contrario alle divine perfezioni. Disordine passeggiero. La lotta dello Spirito del male contro lo Spirito del bene ha per limiti la durata del tempo. Questo paragonato all’eternità che lo precede ed all’eternità che lo segue, è men che un giorno. A fine di ragionar con giustezza dell’ordine provvidenziale, bisogna dunque unire il tempo all’eternità; come pure per giudicare sanamente di una cosa, bisogna considerarla non in un punto isolato, ma nell’insieme. Secondo questa regola di saviezza, il disordine che si misura dalla durata del tempo, è relativamente all’ordine provvidenziale nella sua generalità, ciò che è una nube fuggitiva sull’orizzonte rifulgente di luce. Disordine più apparente che reale. Il fine principale della Creazione e dell’Incarnazione, come di tutte le opere esteriori di Dio, è la sua gloria. (Universa propter semetipsum operatus est Dominus. Prov. XVI, 4. — Propter me, propter me faciam, ut non blasphemer: et gloriam meam alteri non dabo. Is., XLVIII, 12) – Il fine secondario, è la salute dell’uomo. La gloria di Dio, è la manifestazione degli attributi suoi: la potenza, la sapienza, la giustizia, la bontà. Che la lotta del bene e del male esista o no; ch’essa sia favorevole all’uomo o sfavorevole; che l’uomo si perda o si salvi, Dio avrà pur sempre raggiunto il suo fine essenziale. L’inferno non canta la gloria di Dio con minore eloquenza del cielo. Se uno proclama la bontà, l’altro proclama la giustizia; e la giustizia non è un attributo meno glorioso a Dio di quello della bontà. (S, Th. 1a p. q. 68, art. 7 ad.)- (Iddio certamente ha visto fino da ab eterno la caduta degli Angeli e dell’uomo, ma questa visione non ha per nulla nociuto alla libertà degli Angioli e dell’uomo. Sono entrambi caduti, non perché Dio l’ha visto, ma Dio ha visto il perché sono caduti. Altrimenti sarebbe l’autore del male, e il male stesso. Che la visione eterna di Dio non nuoce alla libertà dell’uomo è facile il dimostrarlo. Io veggo un uomo che cammina. La mia vista non gli impone nessuna necessità di camminare. Cosi, la prescienza, o piuttosto la vista di Dio non gli impone nessuna necessità agli atti liberi. Malgrado questa vista, io sono libero di cessare gli atti che io faccio, e anche di fare il contrario. In una parola. Dio ha voluto che gli Angeli e l’uomo fossero liberi, affinché fossero capaci di merito e di demerito. Noi tutti sentiamo d’esser liberi: dunque la prescienza di Dio non ha impacciato in nulla la libertà degli Angeli o di Adamo, e non inceppa in nulla la nostra. Quanto alla salute dell’uomo, Dio la rende sempre possibile, e l’ottiene ben più gloriosamente mediante la guerra che mediante la pace. Nell’ordine attuale, un solo giusto che si salvi, dice in un luogo sant’Agostino, procura più gloria a Dio che non possano togliergliene mille peccatori che si perdono. Per perdersi, basta che l’uomo si abbandoni alle sue corrotte inclinazioni; mentre che per salvarsi, bisogna vincerle. Un istante di riflessione mostra tutto quel che ridonda a gloria di Dio in una simil vittoria. Che cosa è l’uomo, e chi sono i suoi nemici? L’uomo è una canna, e una canna per natura inclinata verso il male. L’intera natura, ribellata contro di lui sembra congiurata a schiacciarlo. Intorno ad esso, miriadi di animali malefici o molesti, con dente micidiale, o con veleno ancor più micidiale, attentano notte e giorno al suo riposo, ai suoi beni, alla sua vita. Sopra di lui, il cielo che lo illumina, l’aria che respira, divenuti ora gelo, ora fuoco, pongono la conservazione de’ suoi giorni a prezzo di cure faticose e di precauzioni inutili. In prospettiva gli appare la tomba, al termine della sua dolorosa carriera, con i suoi tristi misteri di dissolvimento. Al presente, l’infermità sotto tutte le forme col suo innumerevole seguito di dolori più vivi gli uni degli altri, lo assedia sin dalla culla e lo spinge incessantemente alla irritazione, al rammarico, qualche volta alla bestemmia ed anche alla disperazione. Invece di alleggerire il suo peso, i compagni dei suoi pericoli e delle sue fatiche non servono troppo di sovente che ad aggravarlo. La metà del genere umano pare creata per tormentar l’altra. Condannato a coltivare una terra ingombra di spine, mangia un pane quasi sempre bagnato di sudore o di lacrime. Ei trascina sul difficile sentiero della vita, simile al galeotto, la lunga catena delle sue speranze deluse. Oggi, ricco e contornato da amici; domani povero e derelitto. La sua fisica esistenza non è altro che una continua successione di disinganni, di umilianti servitù, di fatiche e di dolori, e per conseguenza di terribili tentazioni. – Mentre che al di fuori tutto cospira contro di lui, internamente egli è obbligato a sostenere una guerra ancor più terribile. Circondato da nemici invisibili, arrabbiati, indefessi; da una malizia e da una potenza i cui limiti sono sconosciuti, per sopraggiunta porta in sé medesimo delle intelligenze dì e notte intente ad abbandonarlo. Insidie d’ogni specie son tese a ciascuno dei suoi sensi, e lo stesso bene gli diventa occasione di caduta; così è l’uomo. (Cosi egli è sempre stato. La di lui triste condizione, dipinta da sant’Agostino, darà, lo spero, largo campo alla misericordia. “Vita hæc, vita misera, vita caduca, vita incerta, vita laboriosa, vita immonda, vita domina malorum, regina superborum, plena miseriis et erroribus— quam humores tumidant, dolores extenuant et ardores exsiccant, aer morbidat, escæ inflant, jejunia macerant, joci dissolvunt, tristitiae consumunt, sollicitudo coarctat, secUritas hebetat, divitiae infiant et jactant, paupertas dejicit, juventus extollit, senectus incurvat, infìrmitas frangit, moeror deprimit. Et his malis omnibus mors furibunda succedit. Meditaz. c. XXI). – Ebbene! quest’essere cosi fragile, così combattuto, cosi esposto a cadere, che un semplice cattivo pensiero quanto è grosso un capello lo separa dall’abisso, lotterà per sessant’anni senza cadere; o, se talvolta egli cade, si rialza, ripiglia coraggio; e malgrado la natura, malgrado l’inferno, malgrado se stesso, rimane vittorioso nell’ultimo combattimento. Respingere il nemico non è che una parte della sua gloria. Vedete questo figlio della polvere e della corruzione, che piglia l’offensiva, e che s’innalza con l’eroismo delle sue virtù fino alla rassomiglianza di Dio; e che poi porta la guerra al centro stesso dell’impero nemico, atterra le cittadelle di satana, gli strappa le sue vittime, pianta lo stendardo della croce sulle rovine dei templi di lui, guarisce ciò che aveva ferito, salva quel che aveva perduto, in premio del suo sangue allegramente versato, e fa fiorire l’umiltà, la carità, la verginità in milioni di cuori, schiavi sin’allora dell’orgoglio, dell’egoismo e della voluttà. – Questo spettacolo di un eroismo che gli Angeli ammirano e del quale essi sarebbero gelosi, se la gelosia trovasse accesso nel cielo, non avrebbe mai avuto luogo senza il combattimento. Mercé di questo, tutti i secoli l’han visto, tutti lo vedranno, e nel di delle manifestazioni supreme, le nazioni riunite accoglieranno con acclamazioni immense questo magnifico trionfo della grazia, che Dio stesso coronerà di un’eterna gloria, facendo sedere il vincitore sul di lui proprio trono. (Qui vicerit dabo ei sedere mecum in throno meo. Apoc. III, 21) D’altra parte, bisogna notar bene che non è Dio che ha dato al demonio il suo terribile impero sull’uomo, ma è l’uomo stesso. La potenza del demonio gli viene dalla eccellenza medesima della sua natura. Come angelo, il peccato non gli ha fatto perder nulla dei suoi doni naturali, né della sua forza, né della sua intelligenza, né della sua attività prodigiosa. L’impero naturale ch’egli ha sopra di noi, l’esercita con più o meno estensione, secondo i consigli divini, e troppo sovente secondo la permissione che noi medesimi abbiamo l’imprudenza di dargli. Nel primo caso, la potenza del demonio, come la vediamo per l’esempio di Giobbe e degli Apostoli, (Job., I, 12; Luc., XXII, 31) è controbilanciata da quella della grazia, di guisa che la vittoria ci è sempre possibile, e lo stesso combattimento sempre vantaggioso. « Dio è fedele, dice san Paolo, e non permetterà mai che voi siate tentati oltre le vostre forze; egli vi farà altresì approfittare della tentazione, affinché possiate perseverare. (I Cor. X, 13) » Nel secondo caso, l’uomo deve incolpare soltanto sé medesimo della potenza tirannica del demonio. Cosi, Adamo conosceva molto meglio di noi il mondo angelico. (S. Th., ì, p. q. xc, art. 2. corp.). Nel momento della tentazione, sapeva perfettamente qual fosse la terribile potenza di Lucifero, e a qual tiranno ei si vendeva, disobbedendo a Dio. D’altra parte ei possedeva tutti i mezzi di rimaner fedele e ne conosceva i motivi. Dio, per onorarlo al pari degli Angeli, gli aveva dato il libero arbitrio. Il Creatore, la cui sapienza aveva unito la beatitudine soprannaturale degli spiriti angelici a uno sforzo meritorio, era egli obbligato di crear l’uomo impeccabile, o di coronarlo senza combattimento? Dunque malgrado i lumi della sua ragione, malgrado il grido della sua coscienza, malgrado l’aiuto della grazia, Adamo disobbedisce a Dio per obbedire al demonio, e diviene suo schiavo. In tutto ciò, Dio non c’entra per nulla. La potenza tirannica del demonio sul primo uomo è il fatto del primo uomo. La tentazione di Adamo è il tipo di tutti gli altri. Allorquando noi vi soccombiamo, diamo volontariamente appiglio su di noi al nostro nemico. Dio non ci è per nulla se non se per l’oltraggio, ch’ei riceve dalla nostra ingiusta preferenza. (Iddio non è Fautore del male che deturpa, ma del male che punisce. Questo assioma è esposto da san Tommaso cosi: Deus est auctor mali pœnæ, non autem mali culpœ. I. p. q. XLVIII, art. 6. corp.). – Che dico io? nel male che l’uomo fa a sé medesimo, dandosi al demonio, Dio interviene per prevenirlo e per ripararlo. Ei lo previene: e per porre Adamo ed i suoi figli al coperto dalle seduzioni del tentatore, gli provvede di tutti i mezzi di resistenza, ed annunzia loro chiaramente le conseguenze inevitabili della loro infedeltà: se voi disobbedite, morrete, morte moriemini. Adamo affronta questa minaccia, e i discendenti di lui lo imitano. Il diluvio viene a vendicare Iddio oltraggiato, e l’uomo si ostina nella suo ribellione. Appena la catastrofe è passata che i discendenti di Noè volgono le spalle al Signore, e con allegrezza di cuore si danno al culto del demonio; e adonta di nuove minacce e di nuovi castighi, satana diviene il dio e il re di questo mondo. Quello che fecero i peccatori in antico, noi lo vediamo fare dai peccatori d’oggidì. Con chi debbono rifarsela della formidabile potenza del demonio e della loro deplorabile schiavitù? Io veggo un padre pieno di tenerezza e di esperienza che dice al maggior figlio: Non mi lasciare; se tu ti allontani da me, tu cadrai in un abisso, in fondo al quale c’è un mostro pronto a divorarti. Il figlio disobbedisce, cade nell’abisso e diviene preda del mostro. L’esempio del fratello maggiore non fa più saggi gli altri figli e cadono anch’essi nell’abisso dove il mostro gli divora. E questi figli possono imputare il padre suo della loro disgrazia? In questo padre vediamo Dio; in questi figli indocili vediamo Adamo, vediamo tutte le generazioni di peccatori che si sono succedute dalla caduta originale in poi. – È dunque una bestemmia il rendere Dio responsabile delle nostre cadute e della potenza tirannica del demonio sul mondo colpevole. Ei lo ripara. Appena che l’uomo si è venduto, Iddio dona il proprio suo figlio per redimerlo. Questo Figlio adorabile rigenerando l’uomo col suo sangue, diviene un secondo Adamo, ceppo di un nuovo genere umano, ristabilito in tutti i suoi diritti perduti. Come basta d’essere figlio del primo Adamo per essere schiavo del demonio, cosi, per cessare di esserlo, basta diventare figlio del secondo Adamo. (Sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Cirri sto omnes vivifìcabuntur. I Cor., XV, 22). Cosicché, nella potenza lasciata al demonio per divina sapienza, non bisogna vedere che due cose: primo, una condizione della prova, necessaria alla conquista del regno eterno; secondo, la grandezza della ricompensa, che sarà il frutto di una vittoria tanto a caro prezzo acquistata. Rimane a sapersi come si diviene figli del seconda Adamo e se tutti possono diventarlo. L’uomo è il figlio dell’uomo mediante una generazione umana; ei diviene, figlio di Dio mediante una generazione divina. Questa generazione si completa nel Battesimo. Qui ricomparisce, come una insolubile obiezione, l’impero immenso del demonio, in tutte le epoche della storia. — Da un lato, Dio vuole la salute di tutti gli uomini; egli ciò vuole di una volontà positiva, poiché il suo Figlio è morto per tutti gli uomini. Ora, la salute non è solamente il possesso di una felicità naturale dopo la morte, né l’esenzione dalle pene dell’inferno, ma bensì la felicità soprannaturale che consiste nella visione intuitiva di Dio (Omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire. I Tim., XI) — (Pro omnibus mortuus est Christus, ut et qui vivunt jam non sibi vivant, sed ei qui prò ipsis mortuus est et resurrexit. II Cor., V, 15) – (Il fine della redenzione è di rendere all’uomo, con usura, tutto ciò che ha perduto col peccato originale. Ora Adamo, cioè dire ogni uomo, è stato creato in uno stato di giustizia soprannaturale il cui termine è la chiara vista di Dio nel cielo. Dunque il frutto della redenzione è di rendere ad ogni uomo lo stato soprannaturale e il cielo in cui va ad aver termine. Conc. Trid. sess. V, De Peccat. orig.). Dall’altra, niuno può esser salvo senza esser battezzato. (Nisi quis renatus fuerit ex aqua,et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei. Joan., III, 5.). Come conciliare, con l’antico stato del genere umano e la statistica attuale del globo, la possibilità del Battesimo per tutti gli uomini? Qual modo hanno avuto ed hanno ancora d’essere battezzati tante migliaia di milioni di creature umane, completamente straniere al Cristianesimo? Bisogna egli forse ammettere, per esempio, che tutti i fanciulli nati da sei mil’anni in qua fuori del Cristianesimo, e morti innanzi d’aver potuto peccare, siano eternamente privi della vista di Dio? Se così fosse, come stabilire che Dio ha bastantemente provvisto alla riparazione del male? Tutto ciò è mistero. Ma lo ripetiamo: una verità per essere misteriosa, non è per questo men certa. Ora, che Dio abbia bastantemente provveduto alla riparazione del male, dando a ciascun uomo tutti i mezzi di salvarsi, è una verità tanto certa quanto l’esistenza stessa di Dio. Ammettere che sia altrimenti, sarebbe ammettere un Dio senza verità, senza potenza, senza sapienza, senza bontà infinita; un Dio che vuole il fine senza volere i mezzi; un Dio che non è Dio, un Dio nullo. Questa risposta del semplice buon senso è perentoria e si potrebbe starcene a questa. Non pertanto cercheremo di dare alcune spiegazioni nel seguente capitolo.