Le Indulgenze.
[L. Faletti: I nostri morti e il Purgatorio – M. D’Auria ed. Napoli, 1924:– Imprim.]
TRATTENIMENTO XXXVII.
Sommario — Mezzo trascurato di suffragio — Che sono le Indulgenze? Non distruggono il peccato — Non dispensano dalla penitenza — Facoltà della Chiesa di concederle — Lunghesso i secoli — Leone X — Applicabili alle anime purganti — Donde il loro valore? — Plenarie e parziali — Condizioni per lucrarle — La B. Maria di Quito — Esempio.
Non è raro l’udire persone del mondo esclamare, fors’anche sinceramente: « Conosco l’eccellenza e la sublimità della divozione alle anime del Purgatorio; Dio sa quanto io vorrei poterle suffragare, ma ahimè! sono così povero, che mi è impossibile ogni specie di elemosina e di opere buone; così occupato, che non posso trovare tempo per darmi alle preghiere ed agli esercizi di pietà; così malandato in salute, che non mi è permesso di sopportare grandi digiuni e penitenze: che potrò io dunque fare per queste povere anime? » Si potrebbe anzitutto rispondere a queste persone che esse esagerano di molto le loro difficoltà, perché tanti, e così facili, e alla portata di tutti, come abbiamo dimostrato, sono i mezzi per suffragare le anime del Purgatorio che è impossibile trovare buone le scuse o i pretesti che si presentano per giustificarsi dal non farlo: ma anche dato, e non concesso, che sia vero quanto esse dicono, rimane sempre a loro disposizione un mezzo a cui possono, quando e come vogliono, ricorrere, pel quale possono abbondantemente ed efficacemente suffragare le povere anime, e questo è quello delle sante indulgenze. Sì, le sante indulgenze applicate alle anime del Purgatorio sono uno de’ mezzi più facili ed efficaci per venire loro in soccorso; e perciò, sì grande essendo la loro efficacia, ci par prezzo dell’ opera il parlarne di di proposito, spiegando che cosa desse siano, il potere che ha la Chiesa di accordarle ed in qual modo possiamo applicarle alle anime de’ nostri trapassati.
I.
Che cosa sono le indulgenze? Sono la remissione in tutto o in parte della pena temporale che, dopo aver ottenuto il perdono de’ nostri peccati, ci rimane a scontare o in questa vita con la penitenza, o col Purgatorio nell’altra. Scopo delle indulgenze non è quindi di rimettere la colpa o la pena eterna, in caso di peccato mortale, il che l’assoluzione soltanto può fare, ma unicamente la pena temporale, dovuta al peccato, sia mortale che veniale. E ciò è quanto mai necessario a ritenersi, perché non mancano i male intenzionati i quali, guidati da ignoranza o per meglio dire da malafede, equivocando sul peccato e sulla pena dovuta al peccato e confondendo l’uno con l’altra, vanno accusando la Chiesa ed i suoi Pastori d’incitare e d’incoraggiare per mezzo di esse i fedeli a commettere il male. « Ma ella è mai possibile, esclama ironicamente un illustre polemista de’ nostri giorni, una tale mostruosità? Oh! certamente, se fosse vera la definizione che costoro danno delle indulgenze « la remissione cioè del peccato, accordata in seguito al compimento d’una opera buona proposta dalla Chiesa » forse la si potrebbe ammettere, poiché la facilità di ottenere con un tal mezzo, abbastanza semplice, il perdono dei peccati, anche gravissimi, non potrebbe far a meno d’incoraggiare al mal fare; ma ben contraria è la dottrina della Chiesa Cattolica. Non insegna essa infatti che allora soltanto l’indulgenza interviene, quando il peccatore si mostra pentito dei peccati, che egli ha già confessato, e di cui già ha ottenuto il perdono con l’assoluzione? In altre parole: quando già si trova in istato di grazia, già ha detestato il peccato e ne ha deposto l’affetto? Dove sono in questo caso gli incoraggiamenti al male ? Io vorrei recarmi con costoro a visitare una di quelle case in cui vengono ricoverati i delinquenti ed i facinorosi e domandare loro se mai vennero condotti colà dalla pratica delle indulgenze!.. Dio volesse che ogni membro della società guadagnasse quotidianamente un’indulgenza plenaria, come l’intende la Chiesa Cattolica; e allora, oh sì, che si potrebbero senza timore alcuno distruggere tutte le prigioni! » – Tanto meno regge l’altra accusa che, a proposito delle indulgenze, si muove dai nemici della Chiesa Cattolica, cioè che esse distruggono la penitenza e quindi dispensano i peccatori dal farla. Ma quando mai la Chiesa ha insegnato un tale errore? Non solamente l’indulgenza, come abbiamo detto, non rimette nessun peccato, anche leggiero, e rimette solo la pena, ma è ancora da osservarsi che, nel rimettere la pena del peccato, intende di rimetterla ai veri penitenti, vere pœnitentibus, cioè a coloro che hanno fatto tutto il possibile per vedersi rimessa la colpa, anche indipendentemente dall’indulgenza, la quale perciò non è altro che un soccorso che la Chiesa porge alla nostra fiacchezza, non un incentivo alla rilassatezza: o meglio ancora un mezzo che Iddio, Padre di Misericordia, vedendo per una parte che noi ben difficilmente arriveremmo con la nostra penitenza ad iscontare tutta la pena temporale dovuta alle nostre colpe, e d’altra parte non potendo dispensarci totalmente dal soddisfare alla sua giustizia, ci offre per soccorrere alla nostra miseria e riparare questo difetto, per cui, giunti che saremo all’ora estrema della morte, potremo sperare di presentarci a Lui, non solo senza macchia e senza aver più nulla che meriti l’eterna dannazione, ma ancora sciolti da ogni debito colla sua giustizia. Quindi è che S. Cipriano scriveva: « La Chiesa non può usare clemenza che in favore di coloro che sono veramente penitenti, che si sforzano di soddisfare, che supplicano umilmente l’indulgenza della Chiesa; ed è per questi soli che possono servire le raccomandazioni de’ martiri e l’indulgenza dei sacerdoti». – Se fosse altrimenti, se cioè le indulgenze ci dispensassero veramente dal far penitenza, non dovremmo noi dire che desse riuscirebbero piuttosto perniciose che non utili ai peccatori? Non distruggerebbero in gran parte i benefici effetti delle opere soddisfattone, le quali non solo hanno per scopo d’ espiare i peccati, ma ancora di servir di rimedio e di preservativo per l’avvenire? Perciò in quella guisa che sarebbe nuocere ad un infermo il dispensarlo dal prendere un rimedio salutare, così sarebbe nuocere ai peccatori dispensarli dal fare opere di penitenza, destinate ad arrecare rimedio alla loro debolezza ed a premunirli contro le ricadute. La Chiesa adunque, col largirci le indulgenze, anziché esimerci dall’obbligo di soddisfare pei nostri peccati, intende eccitare in noi lo spirito di penitenza, premiare il nostro zelo e fervore e sovvenire alla nostra debolezza ed insufficienza.
II.
Ma ha veramente la Chiesa ricevuto da Dio il potere di concederci queste indulgenze? Non v’ha luogo al menomo dubbio, per poco che si consultino le Sacre Scritture: Gesù Cristo, infatti, disse a S. Pietro in particolare e a tutti gli altri Apostoli in generale: « Tutto quello che voi legherete sopra di questa terra, sarà pure legato in cielo; e tutto quello che voi scioglierete su questa terra, sarà pur sciolto in cielo ». Ora se queste parole, così magnifiche e così potenti, si prendono, come si devono prendere, nella loro ampia e nativa semplicità, è chiaro che Gesù Cristo per mezzo di esse diede a S. Pietro, e subordinatamente anche agli altri Apostoli, il potere di rimettere i peccati, non solo in quanto alla colpa ed alla pena eterna, ma eziandio in quanto alla pena temporale: ossia, in altri termini, ha dato alla Chiesa il potere di concedere qualunque indulgenza, sia plenaria di tutta la pena temporale dovuta ai peccati, sia parziale di una parte soltanto di tale pena. E così fu sempre ritenuto nella Chiesa lungh’esso i secoli, dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, come ci sarebbe facile provare colla storia Ecclesiastica alla mano; ed è perciò che, quando il protestantesimo, nella persona di Lutero, di Calvino e di altri eretici, si levò su a combattere le sante indulgenze e a negare alla Chiesa il potere di concederle, chiamando addirittura le indulgenze col nome di frodi, ed imposture dei Pontefici, il Concilio di Trento definì chiaramente e solennemente che « Gesù Cristo medesimo ha donato alla Chiesa il potere di conferire le indulgenze che fin dai tempi più antichi la Chiesa fece uso di tale potere, e che perciò questo uso, sommamente salutare al popolo cristiano e confermato dall’autorità dei santi Concili, deve essere conservato; e chiunque negasse l’utilità delle sante indulgenze o il potere che la Chiesa ha di conferirle, sia colpito d’anatema » . – Poteva il Concilio parlare più chiaramente per rivendicare alla Chiesa il potere di conferire le indulgenze e riconoscerne l’utilità? Non nego che nel corso dei secoli, anche nel conferimento delle indulgenze abbia potuto aver luogo qualche abuso, ingrandito ad arte dai nemici della Chiesa; ma ciò non toglie nulla all’opera in sé. Certo è che i Pontefici non possono distribuire a capriccio di questi tesori, e il Concilio di Trento a questo proposito ha solennemente dichiarato « che non bisogna accordarle che con molta moderazione, per timore che a motivo d’una troppo grande facilità i fedeli non ne traessero occasione per dispensarsi dal fare penitenza »; non sta però a noi il preoccuparci di questo caso, ma bensì ai pastori delle anime che debbono tutelare il bene delle pecorelle loro affidate: a noi deve bastare la sicurezza di non agire contro la volontà di Dio. – Quantunque non sia affatto provato, ammettiamo pure per un momento che Leone X abbia ecceduto nel potere delle chiavi, concedendo le indulgenze a coloro, che contribuivano con elemosine alla costruzione della basilica di S. Pietro: vuol dire che egli ne avrà dovuto rendere a Dio grave conto; ma intanto chi ha dato il diritto a Lutero ed ai Protestanti di giudicare le ragioni del Pontefice? Anche supposto che il Papa avesse ecceduto, perché scoraggiare i fedeli e toglierli dalla pratica di quelle buone opere che senza l’allettamento delle indulgenze non avrebbero forse compiute, e che pure erano opere molto meritorie dinanzi a Dio e di gran giovamento alle anime? Per un fatto isolato e particolare, perché si dovrà offendere un’intera istituzione, togliere alla Chiesa milioni di figli, gettare il turbamento e la lotta nel campo cristiano e, cosa che in questo momento più direttamente ci riguarda, privare le anime del Purgatorio di un sicuro ed efficace mezzo di suffragio? Così è: la tradizione infatti della Chiesa, confermata inoltre dal Concilio di Trento, sempre ha insegnato che le indulgenze, applicate alle anime dei defunti, sono loro di un gran sollievo; e che se è vero, come è vero, che queste povere anime possono essere sollevate dalle preghiere, dalle elemosine, dalle mortificazioni e da altre buone opere dei fedeli viventi, possono essere molto più per l’applicazione che loro viene fatta dei meriti sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Tergine SS. e di tutti i Santi, dai quali le indulgenze traggono la loro virtù ed efficacia infinita. – Ho detto sovrabbondanti: ed invero egli è certo che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, per il valore infinito di qualsiasi sua più piccola azione, avrebbe potuto con una sola goccia del suo sangue riscattare non solo questo mondo, ma mille e mille altri ancora, ma che tutto ciò non bastando al suo amore infinito per noi, volle invece versarlo tutto; e soffrendo ogni sorta di dolori e di angosce nella sua passione e nella sua morte, volle rendere infinitamente copiosa e sovrabbondante la sua redenzione. Or questi meriti infiniti e sovrabbondanti di Gesù Cristo, questi meriti che eccedono di gran lunga il prezzo della nostra salute, non sono andati perduti, ma sono rimasti in eredità alla Chiesa. Così pure proporzionatamente dicasi dei meriti della Vergine SS. e dei Santi, meriti tutti che uniti a quelli di Gesù , formano il gran tesoro di Dio, divenuto il tesoro nostro. Le chiavi di questo tesoro sono in mano della Chiesa, la quale, come il servo fedele, ne cava a tempo il bisognevole e distribuisce le sante indulgenze che da quel solo procedono, e consistono appunto nell’applicazione di questi meriti di loro natura esuberantissimi a soddisfare a Dio di qual si sia debito seco contratto, fosse anche pei peccati del mondo intero. Egli è però necessario osservare che la Chiesa, nell’usare del suo potere per l’applicazione delle indulgenze ai defunti, non procede nello stesso modo che nell’applicarle ai vivi. Poiché quando essa concede un’indulgenza ai suoi figli viventi sulla terra, essendo essi ancora soggetti alla giurisdizione del Papa, usa del suo potere, dirò così, giudiziario, e l’applica loro per mezzo di assoluzione; mentre in Purgatorio, non potendo esercitare la sua giurisdizione, l’applica a quelle anime per modo di suffragio, pregando cioè Iddio a trasferire a vantaggio del tal defunto l’indulgenza guadagnata da uno dei fedeli viventi. Se Iddio poi accetti sempre ed integralmente questo suffragio, alcuni teologi lo negano, altri l’affermano; io però credo con molti autori che Egli si sia riserbato su questo punto la più ampia libertà, e quindi non dobbiamo mai riposare tranquilli per la liberazione di un’anima nelle indulgenze che le si applicano. Ecco, infatti, come a questo riguardo ragiona un teologo: « Iddio accetta Egli sempre il prezzo che gli è offerto, come riscatto della pena dovuta al peccato? È questa una cosa che non si può sapere, tanto più che non si è certi se i vivi hanno sempre adempiute tutte le condizioni prescritte per guadagnare l’indulgenza. La minima omissione basta per non lucrarla, e quindi per trasferirne il merito ai defunti. Perciò, benché si sia sovente applicato a un defunto un certo numero d’indulgenze anche plenarie, egli è possibile che abbia ancora bisogno d’assistenza; per il che è bene continuare ad applicargliene ».
III.
Delle indulgenze poi altre si dicono plenarie, e cioè che rimettono l’intera pena temporale dovuta al peccato, e queste soltanto il Sommo Pontefice le dispensa e per tutta la Chiesa; altre parziali, che ne rimettono cioè una parte soltanto, e queste possono dispensarle anche i Vescovi, nei limiti loro assegnati e solo nelle loro diocesi. Circa queste ultime bisogna premunirsi da un grave errore, qual è quello di credere che un’indulgenza, per esempio, di tre anni, equivalga ad una diminuzione di pena di tre anni di Purgatorio. Noi non conosciamo i rapporti del tempo con l’eternità e quindi un tal paragone sarebbe falso. Nell’idea della Chiesa un’indulgenza di tre anni corrisponde semplicemente a tre anni di quella penitenza canonica ch’essa imponeva nei secoli di fervore ai fedeli pentiti, ma non ad altrettanto tempo di Purgatorio. Comunque sia, grande deve essere la nostra fiducia nelle indulgenze, più grande direi che non nelle nostre soddisfazioni, perché del valore di queste possiamo con ragione dubitare, a causa della nostra debolezza; ma quanto alle indulgenze non possiamo dubitare né del valore dei meriti di Gesù, e di Maria SS. e dei Santi che ne formano il capitale, né dell’autorità della Chiesa nel distribuirle. Se vogliamo però che siano veramente giovevoli alle anime del Purgatorio, egli è necessario che ci troviamo nelle condizioni volute per guadagnarle, la loro efficacia dipendendo dalle disposizioni di colui che le applica, e fors’anco da quelle del defunto pel quale vengono applicate. E queste condizioni possono ridursi a tre:
1) Bisogna assicurarsi che l’indulgenza non solo sia stata dalla Chiesa veramente largita, ma sia ancora in vigore ed espressamente applicabile ai defunti; ed inoltre che noi abbiamo l’intenzione di applicarla a questi, perché altrimenti il frutto non va a vantaggio di quelle anime, ma resta solo a nostro profitto.
2) Bisogna eseguire a puntino le condizioni prescritte, nulla omettendo né cangiando, se si vuole che il valore dell’ indulgenza non diventi nullo, e ciò ancorché si facessero opere migliori di quelle prescritte. Per lucrare l’indulgenza plenaria ordinariamente si richiede la confessione e comunione; ma le persone che hanno l’abitudine di confessarsi ogni settimana, possono con questa confessione guadagnare tutte le indulgenze che durante i sette giorni s’incontrano, eccettuato soltanto il giubileo, che richiede una confessione speciale. Così con una sola comunione si possono guadagnare in uno stesso giorno più indulgenze plenarie, quantunque concedute in varie volte. Ordinariamente, per lucrare tali indulgenze, si ingiunge l’obbligo di recitare qualche preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice, la quale preghiera è a scelta del Cristiano, e può essere, per esempio, la stessa penitenza sacramentale.
3) Bisogna essere in istato di grazia, almeno nel momento in cui si fa l’ultima opera ingiunta, ed avere una ferma volontà di soddisfare più che sia possibile per le proprie colpe. La ragione si è che per applicare l’indulgenza al defunto occorre sia prima guadagnata da chi vuole applicarla; quindi se il fedele fosse in peccato mortale, sarebbe inutile lucrarla, perché solo quando la colpa del peccato è stata rimessa con l’assoluzione e che il peccatore è veramente deciso a fare penitenza, la Chiesa concede questo favore. Da ciò risulta che non è tanto facile guadagnare integralmente un’indulgenza plenaria, essendo necessario di non avere sull’anima il più piccolo peccato veniale od affezione al peccato veniale, ed essere dominati da un gran fervore di carità, da una contrizione generale e da uno spirito di vera penitenza; onde si è che molte volte, a misura delle nostre disposizioni, si lucra solo una parte di detta indulgenza; e quindi a volere estinguere i nostri debiti sarebbe necessaria almeno la riunione di molte indulgenze plenarie. Dal lato poi dei defunti pei quali si applicano bisogna:
1° Che essi siano realmente in Purgatorio;
2° Che Dio accetti realmente questa indulgenza, riserbandosi egli talvolta ampia libertà nell’applicarla.
* *
Così spiegato che cosa siano le indulgenze, e quanto sia la loro efficacia a prò delle anime dei nostri fratelli defunti, perché non ne approfitteremo noi più sovente a loro profitto e suffragio? Dal profondo del loro carcere di fuoco esse le attendono ardentemente dalla nostra carità, e noi non vogliamo essere così crudeli dal defraudarle nei loro desideri. Con un po’ di buona volontà e di attenzione quanto non ci sarebbe facile farlo nel corso della giornata! Rapita in ispirito, la beata Maria di Quito vide in una gran piazza una tavola piena d’oro e d’ogni specie di preziose gemme e udì una voce che gridava : « Il tesoro è alla disposizione di tutti, chi ne vuole ne prenda e se ne valga ». Questo tesoro era immagine del tesoro delle sante indulgenze, esposto in tutti i giorni, a benefizio comune dei fedeli, nella Chiesa. Immaginiamoci che anche per noi sia fatto questo invito, ed attingendo a piene mani a questo tesoro, vogliamocene abbondantemente servire a prò dei fedeli defunti. Imitiamo in ciò lo zelo delle anime pie, di cui ancor tante, la Dio mercé, vivono a giorni nostri, che si fanno un dovere di guadagnare il più gran numero d’indulgenze che possono, affine di spopolare per così dire il Purgatorio e mandarle al Cielo. – Si racconta di un bravo capitano polacco, esiliato a Roma, che passava una parte della sua vita a visitare le Chiese, nelle quali poteva guadagnare delle indulgenze per le anime dei fedeli defunti. Quando egli pensava di averne con le applicazioni di esse liberata una, metteva sotto la sua protezione e confidava alla sua assistenza una persona di sua conoscenza, sia amica, sia nemica, che egli conosceva aver bisogno di soccorsi spirituali. Qual beli’ esempio degno di essere imitato! Ed in così bella divozione questo uomo ammirabile passò gli ultimi anni di sua vita praticando la carità in uno stesso tempo e verso i morti e verso i vivi!
ESEMPIO: Efficacia delle sante indulgenze.
Il celebre Mons. Gaume per farci comprendere la follia di coloro che trascurano le indulgenze, mezzo tanto facile ed efficace per pagare i nostri debiti alla divina Giustizia e per metterci al sicuro dal Purgatorio od almeno abbreviarne le pene, ricorre al seguente paragone: « Io suppongo che ci rechiamo a visitare una immensa prigione, in cui sta rinchiusa, una moltitudine di disgraziati, carichi di pesanti catene. Essi sono tutti condannati a pene terribili; gli uni per dieci anni, gli altri per venti, altri ancora per quaranta. Il loro stato ci muove a pietà, per cui diciamo loro: « Il re nella sua bontà vuole abbreviare la durata delle vostre pene, od anche rimettervele interamente a condizione però che facciate tale preghiera, tale pratica di pietà, molto breve e facilissima. Se accettate, le porte della prigione vi saranno aperte; potrete rivedere i vostri parenti, i vostri amici, le vostre famiglie ». Vi sarà forse un solo prigioniero che vorrà rifiutare una condizione sì vantaggiosa e dolce? Ebbene, questi prigionieri siamo noi, debitori incapaci a pagare da per noi stessi i debiti con la giustizia di Dio: la prigione è il Purgatorio. Le pene di questo mondo sono un bel nulla paragonate a quelle che là si soffrono. Ci si propone di liberarcene a condizioni facilissime, e noi non vorremmo accettarle? o accettandole le soddisferemo con scandalosa negligenza? … E se un giorno noi dovremo languire per anni ed anni nelle fiamme del Purgatorio, non è che alla nostra colpa che noi dovremo attribuirlo ». Così il dotto autore, il quale per farci comprendere il valore delle indulgenze ricorre al seguente fatto, tolto dalle Cronache dei Frati Minori. Il Beato Bertoldo, celebre predicatore francescano, aveva ottenuto dal Sommo Pontefice dieci giorni d’indulgenza per chiunque intervenisse alle sue prediche. Un giorno che egli aveva eloquentemente parlato sull’elemosina, una nobile signora che rovesci di fortuna avevano ridotto alla più squallida miseria, si presentò a lui per esporgli il suo triste stato e scongiurarlo di venirle in aiuto. Il buon religioso le fece la risposta dell’Apostolo: « Io non ho né oro, né argento: ma quanto posseggo ve lo do di buon cuore. Per il bene delle anime che io sono chiamato ad evangelizzare, il Santo Padre mi ha dato il privilegio di accordare dieci giorni d’indulgenza a chiunque viene ad ascoltarmi; andate dunque da tal banchiere, fin ora più preoccupato dei beni di quaggiù che dei tesori spirituali, offritegli, in cambio della elemosina che vi farà, di cedergli pei suoi propri peccati i dieci giorni d’indulgenza che avete guadagnati stamattina: il Signore mi fa conoscere che vi accoglierà favorevolmente. Per fortuna i banchieri d’allora non somigliavano punto a quelli dei nostri giorni, altrimenti chissà mai con quali scoppi di risa non sarebbe stata ricevuta! Costui invece accolse con bontà la povera donna: « E quanto domandate voi in cambio dei vostri dieci giorni d’indulgenza? — Né più, né meno di quello che essi pesano posti sulla bilancia, rispose quella animata da una forza interna. — E così sia; disse il banchiere; e fatta venire una bilancia: « Scrivete, riprese, su d’un pezzo di carta i vostri dieci giorni d’indulgenza e mettetelo su d’un piattello; io porrò sull’altro un reale (piccola moneta spagnuola del valore di circa 27 centesimi). O prodigio! il piattello delle indulgenze non solo si sollevò, ma trascinò anche l’altro. Stupito il banchiere aggiunse un altro reale, e poi cinque, dieci, cinquanta, ma i due piattelli non si equilibrarono che quando arrivò appunto a quella somma che la poveretta necessitava per far fronte ai suoi impegni. Fu questa una buona lezione per quel banchiere, il quale da quel giorno imparò per propria esperienza a fare maggiormente caso dei tesori spirituali. Ma oh! quanto maggior caso non ne fanno le povere anime purganti, le quali per la più piccola indulgenza darebbero volentieri tutto l’oro del mondo.