DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE,
IV quæ superfuit Post EPIPHANIA
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus Ps XCVI: 7-8
Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judæ.
[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]
Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.
[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]
Orémus.
Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.
[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’ànima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]
LECTIO
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XIII: 8-10
Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.
OMELIA I
[Mons. BONOMELLI, Omelie, vol. I, Marietti Ed. Torino, 1899. Om. XVII]
“Non vogliate avere altro debito, che quello d’amarvi l’un l’altro; perché chi ama il prossimo, ha adempiuta la legge. Di fatto, il non fare adulterio, non uccidere, non rubare, non dir falsa testimonianza, non desiderare il male e se vi è alcuna altro precetto, tutto è compreso in questa parola: Amerai il prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non opera alcun male: il compimento dunque della legge è l’amore „ (Rom. XIII, 8-10).
Il tratto della epistola, letta or ora, è tolto dal capo decimoterzo della lettera di S. Paolo ai fedeli di Roma. È brevissimo, perché si contiene tutto in soli tre versetti: ma se poche sono le parole e le sentenze, vasto quanto mai si può dire è il loro significato. Bastici il dire che l’Apostolo i n queste poche righe ha compendiata tutta la legge, come in termini dichiara egli stesso in quelle parole, che avete udito: Il compimento della legge è l’amore. Il soggetto, che siamo chiamati a considerare è caro e giocondo ad ogni anima bennata e per se stesso si raccomanda alla vostra attenzione. “Non vogliate avere altro debito, che quello di amarvi l’un l’altro. „ Queste parole si possono mutare in queste altre: Ogni vostro dovere si riduce all’amore scambievole. Se noi percorriamo tutti gli scritti del nuovo Testamento non troviamo un precetto più spesso e più vivamente raccomandato e inculcato quanto il precetto della carità fraterna. Gesù Cristo lo chiama precetto nuovo, perché prima di lui non fu mai sì chiaramente imposto, né mai a tanta altezza di perfezione portato: lo chiama precetto suo, perché è quello che più gli sta a cuore e meglio d’ogni altro esprime la natura e l’indole della legge evangelica, tantoché afferma, che all’osservanza di questo precetto si conosceranno i suoi discepoli. Nessuna meraviglia pertanto che S. Paolo qui riduca tutti i doveri del cristiano all’amore reciproco. Ma qui si affaccia naturalmente una difficoltà: come è mai possibile che tutti i doveri del cristiano si riducano all’amore fraterno, che dobbiamo avere gli uni con gli altri? – Narra S. Girolamo, che l’apostolo Giovanni, più che nonagenario, dimorava in Efeso: ogni volta che i fedeli si raccoglievano nella chiesuola, vi veniva portato a braccia dai discepoli, che lo pregavano di far loro udire la sua parola. Il santo vegliardo non faceva che ripetere: ” Figliuolini miei, amatevi a vicenda. „ Annoiati i discepoli di udir sempre quelle parole, gli dissero : “Maestro, perché ci dici sempre questo? „ Egli rispose, scrive S. Girolamo, in modo degno di lui: “Perché è il precetto del Signore, e se anche solo si adempie, basta ,, (Degli Scrittori eccles.). La risposta d’un tanto apostolo, commentata da tanto dottore, mi dispenserebbe da qualunque spiegazione; ma è prezzo dell’opera svolgerla più largamente. E per pigliare le cose un po’ dall’alto, vediamo anzi tutto che cosa sia questo amore del prossimo. E forse quel sentimento comune, che più o meno ci porta tutti ad amare il nostro prossimo, quella cotal tenerezza, che sentiamo verso i nostri simili, che fa spuntare negli animi nostri la compassione verso i sofferenti? Certamente questo sentimento è buono, fa onore alla nostra natura; questa tenerezza, questa compassione verso i sofferenti è il carattere delle anime nobili ed è dono del cielo. Ma non è questo l’amore del prossimo, che il Vangelo comanda. Questo sentimento, questa tenerezza, questa compassione può aversi anche senza le opere. Quanti mostrano di sentire al vivo i mali altrui e son larghi di parole e scarsissimi ai fatti! Silla fu uno de’ più mostruosi tiranni, dei quali parli la storia. Eppure, assistendo in teatro, piangeva come un fanciullo udendo rappresentare alcune scene commoventi. S’inteneriva alle scene d’un immaginario dolore e faca versare torrenti di sangue e di lagrime. – Ho visto avari commuoversi dinanzi alle miserie dei tapini e rifiutare un soldo di limosina! – L’amore del prossimo comandato da Gesù Cristo è forse quel sentimento che ci muove ad amarlo per le sue buone e belle doti, per i benefici ricevuti, per i vantaggi che ne speriamo, per il piacere che proviamo in beneficarlo? Non io condannerò siffatto amore, che può essere naturalmente buono; ma in tal caso l’amor nostro non abbraccerà tutti, perché non tutti sono forniti di belle e buone qualità, ne da tutti abbiamo ricevuti benefici, o possiamo sperarne, e il piacere che si prova in amarli e beneficarli non è continuo e bastevole, e lo fosse anche, sarebbe un motivo affatto umano, e perciò troppo debole e incerto. Qual è dunque l’amor del prossimo che compendia in sé l’adempimento di tutti i nostri doveri? È quello che si accende nel nostro cuore, che esce dalle fibre più riposte dell’anima nostra, che ci fa sentire il bene e il male altrui come se fosse bene e male nostro: è quello che si manifesta nelle opere, che ci muove efficacemente al soccorso di quanti ne abbisognano, secondo le nostre forze: è quello infine che ha la sua radice e il suo alimento nella ragione non solo, ma nella fede e in Dio stesso. È questo l’amore del prossimo, che regge ad ogni prova e che compendia l’adempimento di tutti i nostri doveri. – Io devo amare il mio prossimo; e perché? Perché Dio lo ha creato, quel Dio che ha creato me pure; perché Dio lo conserva; perché Dio ha scolpita in lui la sua immagine e lo ama come un padre ama il figliuol suo. Io devo amare il mio prossimo, perché il Figliuol di Dio si è fatto uomo per lui, come per me; perché ha patito ed è morto per lui, come per me; perché Gesù Cristo gli offre le sue grazie, ha stampato od è pronto a stampare nell’anima sua il carattere d i figlio di Dio, e lo chiama al possesso eterno di se stesso. Io devo amare il mio prossimo, in una parola, perché lo vuole Iddio, perché Gesù Cristo me lo comanda, perché è mio fratello per natura. e per grazia, e come è operoso l’amore di Dio verso il prossimo, così a somiglianza del suo dev’essere operoso il mio. Ecco l’amore del prossimo secondo il Vangelo. – L’amore del prossimo, che scaturisce da sì alta e pura fonte, racchiude in sé tutte le qualità e doti, che lo rendono perfetto. Esso è universale, perché si estende a tutti ed a ciascun uomo, perché non vi è pure un uomo solo, pel quale non valgano i motivi sopra accennati. Siano cattolici, siano eretici, siano scismatici, siano ebrei, siano pagani, tutti sono opera delle mani di Dio, per tutti è morto Gesù Cristo. — Questo carattere di universale nel senso più ampio della parola è proprio soltanto dell’insegnamento evangelico. Fuori del Cristianesimo l’amore del prossimo è l’amore di famiglia, della tribù, della nazione, ma non dell’uman genere: si estende ad alcuni, ma non a tutti e per lo più. è figlio delle simpatie, della gratitudine, o della speranza. È un amore continuo, perpetuo, perché i motivi, che lo accendono e lo alimentano, come ciascun vede, sono continui e non cessano, né possono cessare un solo istante. I motivi non sono propriamente negli uomini, nei loro meriti, ma in Dio Creatore e Redentore, nel suo volere, e perciò non soggetti a mutamento di sorta e quindi anche l’amore, che ne è l’effetto, non solo è universale e continuo, ma eguale nel senso or ora spiegato. – È un amore eguale, perché quantunque possa e debba variare d’intensità in ragione dei vincoli diversi che ci legano al prossimo, nondimeno a tutti si estende senza eccezione, come a tutti si estendono la creazione e la redenzione. – Che importa che questi sia povero, rozzo, ignorante? Che importa che quello sia ingrato, vizioso, scellerato? Che importa che mi odi, mi insulti, mi perseguiti ferocemente? Io deplorerò, condannerò le opere sue, ma amerò lui, perché non cessa d’essere l’opera di Dio, la conquista di Gesù Cristo. Il mio amore si appunta in Dio e in Gesù Cristo, e Dio e Gesù Cristo non si muta mai. Ecco il segreto che spiega la carità cristiana; ecco il perché questi missionari e queste suore abbandonano la famiglia e la patria, si seppelliscono in un ospitale, in un ricovero, valicano i mari, si gettano in mezzo ai barbari, ai selvaggi, ai c annibali per istruirli, incivilirli, per morire per loro e con loro. Ora, l’amore del prossimo, quale l’abbiamo tratteggiato, deve necessariamente manifestarsi in due modi: col non dire, né far cosa che spiaccia o rechi danno al prossimo e col dire e fare tutto ciò che gli piace o gli rechi vantaggio, come meglio è dato a noi. E per questo che l’Apostolo, volendo mostrare che tutti i doveri verso il prossimo si recapitolano nella carità, scrive: “Di fatto il non fare adulterio, non uccidere, non rubare, non dir falsa testimonianza, non desiderare il male, e se vi è altro precetto, tutto è compreso in questa parola: Amerai il prossimo come te stesso. „ Chi ama di vero amore il prossimo, come ama se stesso, adempie la legge perfettamente, non fa male a chicchessia e fa bene a tutti quelli, ai quali può farlo. E dunque vero ciò che l’Apostolo soggiunge in forma di sentenza assoluta: “Compimento della legge è l’amore — Plenitudo legis est dilectio. Forse mi direte: Ma non abbiamo noi doveri verso noi stessi e verso Dio? Ora questi non sono compresi nell’amore verso del prossimo. Come dunque poté dire l’Apostolo: “L’amor e del prossimo è il compimento della legge? „ Veramente può intendersi i n questo senso: A quel modo che l’amore di Dio ci porta all’adempimento dei doveri, che riguardano Dio, così l’amore del prossimo ci porta ad adempire tutti i doveri, che abbiamo col prossimo; ma parmi che possa intendersi assai bene in quest’altro modo: Certamente chi ama Dio, dee volere ciò che vuole Iddio e, per conseguenza, deve amare il prossimo, come lo ama Dio e come Dio comanda. Nell’amore di Dio è chiaramente compreso l’amore del prossimo, come nella causa si contiene l’effetto. Ma nell’amore del prossimo si contiene anche l’amore di Dio? In qualche senso, sì, o carissimi. Perché è impossibile amare il prossimo stabilmente, senza eccezione, attuosamente, con sacrificio di se stessi, anche quando esso è ingrato e ci odia, senza l’aiuto di Dio, senza l’amore di lui e se nel prossimo non vediamo e non amiamo Dio stesso. “Niuno, dice S. Giovanni, vide giammai Iddio: se noi ci amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi e la sua carità in noi è compiuta „ (Epist. I. IV, 12). Che è come dire: Iddio si ama nell’uomo: chi ama l’immagine di Dio, ama Dio, e l’uomo è veramente l’immagine viva di Dio sulla terra. Amiamo adunque Dio e ameremo il prossimo: amiamo il prossimo, come si dee, ed ameremo Dio, perché questi due amori non si possono separare.
Graduale Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]
V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia] Alleluja
Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
Matt VIII: 23-27
“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare obœdiunt ei?”
OMELIA II
[Mons. G. Bonomelli, ut supra, omelia XVIII]
” Gesù essendo entrato in una navicella, i suoi discepoli lo seguitarono: ed ecco si levò un grande movimento del mare, talché la navicella era coperta dalle ondate. E Gesù dormiva. I suoi discepoli, accostatisi a lui, lo svegliarono, dicendo : Signore salvaci, noi ci perdiamo. E Gesù disse loro: A che tanta paura, o uomini di poca fede? E alzatosi, comandò al vento ed al mare e si fece grande bonaccia. E gli uomini ne stupivano, dicendo: E chi è costui, che i venti ed il mare gli ubbidiscono? „ (Matt. VIII, 23-28).
Gesù Cristo dopo aver guarito il lebbroso presso Cafarnao e in Cafarnao il famiglio del centurione e liberata dalla febbre la suocera di Pietro, lungo la riva del lago di Tiberiade o di Genesaret, che gli Ebrei chiamavano mare, montò sopra una barchetta e di là, come narra S. Marco (IV, 1, 2), ammaestrava le turbe schierate sulla riva. E poiché ebbe finito, licenziata la moltitudine, volle tragittarsi sulla riva opposta del lago. Nella traversata avvenne il fatto che vi ho narrato, che sarà il soggetto delle nostre considerazioni comuni, sì, ma pur sempre belle ed utili. “Gesù, essendo entrato in una navicella, i suoi discepoli lo seguitarono: ed ecco si levò un gran movimento nel mare, talché la navicella era coperta dalle ondate. „ Questo il fatto, che non ha bisogno di spiegazione di sorta; piuttosto qui è da ricordare una dottrina comune dei Padri, che ha il suo fondamento nei Libri santi, ed è questa: vi sono nei Libri divini fatti che dobbiamo tenere con tutta certezza, essere avvenuti, come si narrano e che sono ordinati a significare altri fatti e ad insegnarci altre verità. Così noi dobbiamo tenere che Isacco saliva veramente il monte, carico delle legna, come narra la Scrittura; ma dobbiamo anche tenere che Isacco, in quell’atto, raffigurava Gesù Cristo che saliva il Calvario, portando il legno della croce. Possiamo applicare questo principio al fatto evangelico, che veniamo considerando. Eccovi la barchetta, sulla quale montò Gesù Cristo coi discepoli: eccovi il mare e la tempesta, che sorge. Che simboleggia essa quella barchetta? Simboleggia la Chiesa, nella quale sta sempre Gesù Cristo co’ suoi discepoli. Che cosa adombra il mare? La vita presente, che si alterna tra le burrasche e la calma. E la burrasca che sorse, che significa? Le lotte, i travagli, le prove, le persecuzioni che la Chiesa deve sostenere attraverso ai secoli. Ora quello che si può dire della Chiesa, in qualche senso e ragguagliata ogni cosa, si può dire d’ogni anima, nella quale Gesù Cristo abita per la fede e per la grazia, che viaggia su questo mare del mondo, ora tranquillo ed ora tempestoso. La storia della Chiesa e d’ogni anima cristiana è dipinta al vivo nella navicella, che solca il lago di Tiberiade. La Chiesa sferra dalle spiagge della terra, e spiega le vele verso le sponde del cielo: sopra di essa sta sempre Gesù Cristo con gli Apostoli, nella persona del suo Vicario e de’ suoi Vescovi e lo seguono i suoi fedeli. Essa, è vero, non può naufragare, ma non va immune da tempeste: tempeste suscitate dalle passioni, da nemici interni ed esterni, più o meno violente secondo i tempi ed i luoghi. Ricordatevelo bene, o figliuoli dilettissimi: Gesù Cristo non promise mai alla sua Chiesa la pace stabile; anzi le predisse persecuzioni d’ogni fatta: annunziò che le porte, cioè le potenze d’inferno, l’avrebbero sempre combattuta e ch’essa ne sarebbe uscita vincitrice. Dunque non facciamo le meraviglie se la vediamo sì spesso or qua, or là, ora nel capo, ora nelle membra fieramente assalita. È la sua condizione. Può avere periodi di pace; ma pace continua, stabile, non mai; essa naviga sul mare, troppo spesso campo e giuoco dei venti e delle procelle; la pace vera e perfetta l’avrà solo in quel dì, che si chiuderanno i tempi e getterà l’àncora sul porto tranquillo e sicuro della eternità. Ciò che dico della Chiesa, l’applichi ciascuno a se stesso, e si ricordi che la vita è una milizia, cioè un periodo, in cui la pace e le battaglie necessariamente si avvicendano. E perché Dio vuole che la sua Chiesa, come una nave, che veleggia sul mare, sia a sì frequenti intervalli flagellata dalle procelle? Perché il somigliante vuole o permette per ogni anima, che naviga in questo pelago fortunoso della vita? Perché, se la guerra mostra il valore del soldato, la lotta mette in luce la forza divina della Chiesa: perché le prove impongono la vigilanza continua, affinano la virtù, obbligano a ricorrere a Dio, esercitano la pazienza, avvivano la fede, accrescono la, speranza e danno occasione al merito. L’acqua che ristagna, impaluda e si corrompe; un’aria immobile si altera e soffoca; la pace troppo lunga snerva il soldato: il movimento preserva l’acqua dalla corruzione, la bufera muta e rinfresca l’aria, la guerra addestra il soldato, e le lotte ringagliardiscono e purificano la Chiesa non meno che i singoli fedeli (S. Cipr.: De Mortalitate). – Ritorniamo alla navicella, che sul lago di Tiberiade era fieramente sbattuta dai venti per guisa, dice il Vangelo, che a quando a quando era coperta dalle ondate e minacciata d’essere sommersa. Che faceva Gesù? “Egli ntanto dormiva, „ col capo adagiato, come dice S. Marco, sopra un guanciale. Egli dormiva e, credo, veramente, non in apparenza. Egli era perfetto uomo, e come uomo aveva bisogno di cibo, di bevanda, di riposo e di sonno come noi, e perciò nulla di più naturale, che dopo le fatiche della predicazione e dell’intera giornata secondasse il bisogno della natura e si addormentasse. Egli certo vedeva il pericolo ed il terrore degli Apostoli, eppure dormiva e mostrava di non veder nulla e di nulla curarsi. Similmente talvolta accade che la Chiesa soffra grandi pressure e corra gravi pericoli, e che Gesù Cristo lasci fare e quasi dorma: accade talvolta che la navicella dell’anima nostra sia qua e là trabalzata dalle onde frequenti delle tribolazioni e delle tentazioni, e che l’aiuto dall’alto venga meno: Gesù dorme. Egli vuole che ricorriamo a lui, e così con la preghiera in parte meritiamo l’onore della vittoria. — E ciò che fecero gli Apostoli là sul lago di Tiberiade. Essi, vedendo Gesù che riposava tranquillamente, in sulle prime non volevano turbare il suo sonno; ma, crescendo l’impeto della procella, e levandosi più minacciose le onde, e non potendo più oltre reggere al timone ed ai remi, vistasi la morte alla gola, corsero a Gesù, e destatolo, sclamarono: ” Signore, salvaci, noi ci perdiamo. ,, E questo, o cari, uno dei frutti più preziosi delle tribolazioni e dei grandi pericoli: veggendoci impotenti a superare la prova, conosciamo meglio noi stessi, sentiamo la necessità del soccorso divino e mossi dalla fede e dalla speranza, ci prostriamo innanzi a Dio e preghiamo. — Ah! sono le tribolazioni, sono i dolori, sono le tentazioni quelle che ci sollevano da questa terra e ci conducono a Dio. – Gli Apostoli ricorsero a Gesù e lo pregarono perché li stringeva davvicino il pericolo della morte. Imitiamoli ogni qualvolta i venti delle tentazioni e delle tribolazioni agitano e minacciano la navicella dell’anima nostra: il nostro grido, la nostra preghiera sia quella stessa degli apostoli: “Signore, salvaci, . noi ci perdiamo — Domine, salva nos, perimus. E Gesù disse loro: A che tanta paura, o uomini di poca fede? „ E come ciò? Gli Apostoli si gettano ai piedi di Gesù e lo pregano con tutto l’ardore dell’anima di salvarli dalla morte, ed Egli li rimprovera, come soverchiamente timidi e uomini di poca fede? Dovevano dunque astenersi dal pregarlo ed aspettare quando tutti fossero stati gettati in mare? Perché dunque il rimprovero? Senza dubbio Gesù li rimprovera pel soverchio timore, onde erano sopraffatti, timore, che non dovevano avere, trovandosi con Lui, che non poteva perire: è il manco di conoscimento della sua divina persona, l’angoscia smodata, la poca fede che Gesù riprende negli Apostoli. Allorché preghiamo d’essere liberati dai mali del corpo, non ci facciano mai difetto la calma, la rassegnazione ai divini voleri e la figliale fiducia in Dio. “E alzatosi, Gesù comandò ai venti ed al mare e si fece grande bonaccia. „ Sembra evidente che Gesù volgesse la parola al vento ed al mare, anzi S. Luca dice che li rimproverò, e ciò in forma di comando assoluto, come Signore d’ogni cosa, e incontanente si quietò il vento, e il lago tornò tranquillo in guisa che apparve chiaramente tutto ciò essere stato effetto del volere di Gesù Cristo. Come allora pregato fece cessare la tempesta del lago, così anche al presente, pregato da noi, sperderà i venti e le burrasche, che travagliano la sua Chiesa e turbano le anime nostre, se ciò tornerà a bene di quella e di queste. Purtroppo, o fratelli, per molti si pecca in varie maniere per ciò che spetta il ricorrere a Dio nei bisogni. – Vi sono molti, che non si curano di ricorrere a Dio allorché i nemici spirituali li stringono e le passioni rompono a rivolta, o ricorrono fiaccamente. Questi cadranno, perché senza l’aiuto di Dio non possono far nulla, e l’aiuto Iddio ordinariamente non l’accorda a chi non lo prega. Allorché adunque la tentazione ci preme e ci incalza, leviamo la mente a Dio, imploriamo con fede viva il soccorso, ed il soccorso, non ne dubitate, verrà. Vi sono altri, che nelle pene della vita, nei travagli temporali, nelle infermità, nelle calamità pubbliche o private, corrono ai piedi degli altari, pregano, fanno pellegrinaggi, digiuni e pretendono in modo assoluto che Dio li esaudisca. Costoro confondono malamente le cose: allorché si tratta della salvezza dell’anima nostra, dei beni spirituali assolutamente necessari, anche la preghiera può e deve essere assoluta, perché Dio si è obbligato ad esaudirci. Non sia mai per altro che vogliamo imporre a Dio il tempo e il modo. Che se si tratta di beni temporali, la nostra preghiera vuol essere condizionata, perché potrebb’essere che ciò che per noi si domanda non piacesse a Dio e tornasse anche di danno al conseguimento della salvezza nostra. Stiamo in guardia contro tutti questi difetti, nei quali frequentemente si cade anche dai buoni. “Gli uomini poi ne stupivano, dicendo: Chi è costui, che il vento e il mare gli ubbidiscono? „ Questi uomini, che rimasero colmi di stupore alla vista di tanto miracolo, erano gli Apostoli e forse anche alcuni altri, che sopra altre piccole barche l’avevano seguito. Ed è bene a credere, che non solo stupissero del miracolo, ma vivamente ringraziassero Gesù d’averli scampati dalla morte e lo riconoscessero per l’aspettato Messia, per Salvatore del mondo e l’adorassero. Figliuoli carissimi! la gratitudine è un sacro dovere con gli uomini, allorché ci beneficano: quanto è più sacro con Dio ogni qualvolta ci benefica, e ci benefica sempre, ad ogni istante! La gratitudine dei benefici ricevuti è il miglior mezzo per ottenerne altri anche maggiori.
Credo …
Offertorium
Ps CXVII: 16; 17
Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]
Secreta
Concéde, quæsumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat. [O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]
Communio
Luc IV:22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]
Postcommunio
Orémus.
Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis. [I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]