DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (9)
DISCORSO IX.
[A. Carmignola: il Sacro Cuore di Gesù; S.E.I. Ed. Torino, 1930]
Il Sacro Cuore di Gesù modello di purità.
Nella divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, oltre al ricambiarlo di amore e al risarcirlo delle tante offese che riceve nel SS. Sacramento dell’Altare, devesi pure attendere ad imitarlo nelle sue speciali virtù. E le virtù speciali, che Gesù Cristo stesso ci propose a ricopiare in noi nel suo adorabile Cuore, sono la mansuetudine e l’umiltà. Ed oh! Quanto era importante che il divino Maestro ci proponesse l’imitazione di tali virtù a preferenza di tante altre. Tuttavia restando sempre ferma tutta la loro eccellenza e necessità, e pure riconoscendo che Gesù Cristo non ci disse esplicitamente di impararne altre dal suo Santissimo Cuore, è certo che ve n’è ancora qualcuna, che del suo Cuore non è meno caratteristica della mansuetudine e dell’umiltà, e nella quale, a voler essere suoi veri devoti, dobbiamo pure studiarci di imitarlo quanto più ci è possibile. Tale ad esempio è la santa purità. Ed in vero la purità per attestazione dello stesso Gesù Cristo è per eccellenza una virtù del cuore, avendoci egli insegnato che come dal cuore escono quei cattivi pensieri e quelle opere malvagie, che massimamente contrariano la santa purità, così è nel cuore, che risiede quella mondezza, che ci renderà beati nella visione di Dio. Sì, il cuore e la purità sono tra di loro in una così stretta e vicendevole dipendenza, che nell’uomo puro il cuore è di una delicatezza meravigliosa, e benché di carne vive di una vita quasi spirituale; laddove nell’uomo privo di purità il cuore si fa grossolano ed abbietto, e non batte più che per dare corso al sangue e segnare le ore di una vita inonorata. Gesù Cristo adunque è nel suo Cuore così delicato, così tenero, così sensibile e così santo, che mantenne l a più illibata mondezza, come è nel suo Cuore, che nutrì un sovrano amore per la santa purità, dal suo Cuore, che fece uscire quelle parole sublimi, che insieme col suo esempio crearono le immense generazioni di anime pure e caste, ed è al suo Cuore, che appressò ad attingervi inenarrabili delizie quei suoi amici, ch’Egli predilesse per ragione della loro purità. Per tanto nella divozione al Sacro Cuore di Gesù, a voler rendere il cuor nostro simile ad esso, non importerà sommamente che ci animiamo ad amare e praticare ancor noi una tanta virtù? Sì, senza dubbio. E ciò tanto più importa in quanto che anche oggidì questa virtù è vituperosamente oltraggiata. Ah purtroppo! dopo diciannove secoli di virtù e di perfezione cristiana la miseria più spaventosa dei nostri tempi si è la corruzione dei costumi, tanto che se anche ai tempi nostri vivesse quella fiera anima di Tacito, potrebbe pur con ragione ripetere quel suo famoso detto: Corrumpere et corrumpi sæculum vocatur: corrompere ed essere corrotti, questo si chiama il secolo. A riparare adunque un tanto disordine, e a impedirlo anzi tutto in noi, quanto ci sarà giovevole levare i nostri sguardi al Cuore Sacratissimo di Gesù, modello di purità! E questo faremo oggi; epperò, dopo di aver rilevata la bellezza della virtù della purità, considereremo come abbia amata e praticata la purità il Sacro Cuore di Gesù e con quali mezzi riusciremo ad amarla e praticarla anche noi.
I. — Come in un quadro, ciò che dà maggior risalto ad una bella e chiara figura, sono le tinte oscure, che ne formano il fondo, così ciò che servirà a far meglio risplendere la bellezza della santa purità, si è il mettere innanzi qualche poco la bruttezza e la gravità dell’orrendo peccato, che la contraria. È bensì vero che l’apostolo Paolo vorrebbe, che tal peccato non si avesse neppure a nominare tra i Cristiani. Ma perché esso è pur troppo una delle cause principalissime, per cui l’inferno si riempie di dannati, mi si conceda di farne almeno qualche cenno fuggitivo. – Il santo Re Davide ha detto ripetutamente, che l’uomo che si abbandona alle sue brutali concupiscenze, ha misconosciuto la sua grande dignità, e si è fatto simile ai giumenti privi di ragione. Ed in vero, l’uomo solamente allora riconosce la dignità di sua natura e serba fede ad essa, quando vive conforme alla ragione, che è la divina scintilla, che lo differenzia dai bruti. Ma la ragione, come hanno riconosciuto gli stessi gentili, detta all’anima di comandare e al corpo di servire. Ora, che cosa fa colui che si abbandona al brutto peccato dell’impurità? Contro il dettame della ragione lascia, che signoreggi in lui la carne, e alla tirannia della carne fa servire qual misera schiava l’anima sua. Così adunque in quest’uomo infelice l’anima perde la corona e lo scettro, rinunzia ai suoi privilegi, scade dall’altezza, a cui fu da Dio sollevata, e scende nella più profonda abbiezione, nell’abbiezione del giumento: Homo cum in honore esset, non intellexit; comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus est illis. (Ps.. XLVIII) Difatti, ponendovi innanzi l’uomo impudico, in che altro, se non nelle forme, potrete scorgerlo diverso dagli animali più abbietti? Egli non ravvolge nella sua mente che pensieri immondi, nella sua immaginazione non si diletta che di voluttuosi fantasmi, e nel suo cuore non nutre che turpi affetti. – Anche al di fuori mostra l’orribile guasto dell’anima, giacche i suoi occhi spirano libidine, i suoi orecchi vanno in cerca di discorsi e di armonie sensuali, la sua lingua schizza il veleno dell’oscenità, il suo volto è inverecondo, il suo tratto licenzioso, e tutto il suo portamento pieno di petulanza. Preoccupato unicamente della sua passione, propriamente come il giumento, che spinto dall’invincibile istinto che lo domina, nel vedere da lungi ciò che può soddisfarlo, vi corre appresso e vi si precipita sopra, senza che nulla valga a rattenerlo, così l’impudico dominato dall’istinto brutale con un despotismo atroce ed ignobile, cui non ha più forza di resistere, perché troppo lo ha assecondato, corre appresso e si precipita con furore sopra tutto ciò, che gli promette un sensuale diletto. E per riuscire nell’intento di ottenerlo, che gl’importa, se padre, di trasandare l’educazione dei figli, se sposo, mancar fede ai sacri giuramenti, se figlio, di gettare il tempo, il denaro, la vita, e far la rovina e il disonore dei genitori. Oh se noi entrassimo in certe famiglie e domandassimo la cagione di tante discordie, di tanti disordini, di tanti patrimoni mandati a fondo, di tanta miseria, di tanti scandali, e persino di tante violenze e di tanti delitti, molte sarebbero costrette a risponderci che non ne fu altra, se non l’abbominevole vizio della disonestà. L’impudico adunque nelle sue tendenze, nelle sue voglie, ne’ suoi costumi si avvilisce veramente al punto da rendersi somigliante al bruto. Sì, dice S. Bernardo, se l’uomo pecca. di ambizione, pecca come l’angelo, commettendo una colpa affatto spirituale; se pecca d’avarizia, pecca quale uomo, perché questo disordine all’uomo soltanto conviene; ma se pecca di impurità, egli pecca da bruto, perché segue l’impulso di una passione, che predomina nei bruti, e che ai bruti lo assomiglia. – Ma vi ha di peggio ancora, perciocché se questo peccato si considera non solo nell’uomo come uomo, ma nel Cristiano come Cristiano, non si tarda a riconoscerlo quale orribile sacrilegio. L’apostolo S. Paolo nella sua prima lettera ai Corinti (VI, 15-20) bellamente ci insegna come il Cristiano per opera della grazia, che gli comunica il frutto della divina redenzione, si unisce tutto intero, anima e corpo, così intimamente al Verbo incarnato e al Divino Spirito, da diventare, non solo nell’anima, ma anche nel corpo, membro di Gesù Cristo e tempio dello Spirito Santo: « Oh! non. sapete, esclama egli rivolto a quei primitivi Cristiani, non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? … che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo? » E quello, che l’Apostolo insegna, è dai santi Padri così esplicitamente spiegato, che se non fosse ad esempio un S. Leone Papa quegli che ci dice, che il corpo del battezzato è diventato la carne del Crocifisso, noi peneremmo a prestarvi fede. Or dunque, se nell’uomo che vive fuori della vera religione il peccato dell’impurità è pur sempre una colpa, che tanto lo avvilisce, nel Cristiano, membro di Gesù Cristo e tempio dello Spirito Santo è per soprappiù una profanazione sacrilega del corpo stesso del divin Redentore e del Santuario della Divinità. Ed ora qual meraviglia, se un cristiano, che giunge a disonorare in questo modo il suo carattere, non tarda a perdere ogni avanzo di fede e a diventare, come ne insegnano le Sacre Scritture, miserabile apostata? L’uomo, che si abbandona al brutto vizio, rimane così presto acciecato di mente e indurito di cuore, che più non vede e non sente né il pregio dell’anima sua, né il tesoro della divina grazia, né l’importanza dell’eterna salute, né la bellezza della pietà, né la necessità della religione; abborre dalla preghiera, e lascia i Sacramenti, e schiva la chiesa, e diventa insomma quell’uomo « animale » di cui parla S. Paolo, che più nulla capisce, e più nulla gusta delle cose di Dio. E perché, nello sbramare le sue immonde voglie, non vorrebbe sentire alcun rimorso di coscienza, e ciò non può essere finché crede a Dio, alla sua legge, alla sua terribile giustizia, perciò comincia egli dal dubitare prima occultamente e poi manifestamente, e finisce per negare e Dio e Vangelo, e eternità, e cadere nella più spaventosa incredulità, Oh! l’incredulità è un guanciale assai comodo per la disonestà; e la storia è lì per provare, che la cagione più universale dell’apostasia dalla fede è l’apostasia dalla purità. Salomone non arse profani incensi alle false divinità, se non dopo aver ceduto alle lusinghe delle donne di Sidone e di Moab. Lutero, che strappò la Germania dal seno della Chiesa, prima di rapire a Gesù Cristo la greggia, gli aveva rapito una sposa. Un Arrigo VIII sterminò il Cattolicismo dalla terra dei Santi, dopo che si era abbandonato ad amori adulteri. E nella Francia si chiusero i sacri templi, si scannarono i sacerdoti, si abbatterono gli altari e si gettarono nel fango le sacre Pissidi, allora che si prese ad adorare la carne vivente d’una pubblica peccatrice. Ma anche oggidì, se tanti Cristiani vi hanno, massime tra la gioventù, che deridano la fede e la sprezzino, non è già, come si dice, che i ritrovati moderni non vadano con essa d’accordo, ma la realtà dolorosa è questa, che costoro son divenuti miseri schiavi della turpe passione e ne sono crudelmente signoreggiati. Tale adunque è l’enormità del brutto peccato, tali sono i suoi funestissimi effetti. Qual meraviglia pertanto se Iddio lo ha punito sempre anche in questa vita coi più terribili castighi ? Perciocché non è per questo peccato, che Egli mandò il diluvio sopra la terra, fece piover fuoco ed incenerire Sodoma e Gomorra? Non è per questo peccato, che sfasciò gli imperi più potenti e le nazioni più grandi? Non è per questo peccato, che tuttodì manda tra gli uomini le più spaventose calamità, le più tragiche morti, le più vergognose malattie? Oh! se è vero che Iddio oltrecché con altri castighi, punisce ancora il peccatore col suo stesso peccato, in questo massimamente è dove si verifica terribilmente una tal legge. No, Iddio non lascia che l’uomo impudico faccia impunemente trionfare i suoi sensi deprimendo lo spirito. Il trionfo non è che apparente, perciocché in realtà è seguito dalla dissoluzione. E se domandassimo ai medici, che frequentano le case private e i pubblici ospedali, ben ci saprebbero dire, che la causa principalissima di tante schifose infermità e di tante morti sul fior dell’età si è pur troppo questo detestabile vizio. Ma basti ormai della bruttezza di questo peccato, e, sollevando ora a più elevati pensieri il nostro cuore, su questo oscuro fondo vediamo raggiare la figura bellissima della santa purità. Questa virtù è di tanta bellezza, che come il peccato d’impurità è chiamato senz’altro il brutto peccato, così essa è chiamata per eccellenza la bella virtù. I santi Padri nelle loro considerazioni ne furono talmente rapiti, che tutti andarono a gara per farne i più profondi elogi; e chi la chiamò radice della vera sapienza, chi ornamento e decoro della Chiesa, sposa di Cristo, chi virtù celeste ed angelica, chi regina di tutte le virtù, chi giglio candidissimo, chi preziosissima gemma, al cui splendore si eclissa quella d’ogni altra. E in tutte queste grandi espressioni non fecero altro che commentare la parola dello Spirito Santo, il quale disse, che per quanto si esalti la purità, non si arriverà mai ad esaltarla degnamente: Omnis ponderatio non est digna continentis animæ. (Eccl. XXVI, 20) I n questa virtù, secondo l’attestazione di S. Paolo, allorché ci dice essere di volontà di Dio, che ci facciamo santi, astenendoci da ogni immondezza (I IV, 4), sta la santificazione
delle anime nostre, giacché come si legge nel libro della Sapienza, la purità ci avvicina nel modo più prossimo a Dio: Incorruptio facit esse proximum Deo (VI, 20), ed è a questa virtù che fanno naturalmente corona tutte le altre virtù. L’umiltà, la modestia, il raccoglimento, il disprezzo del mondo, la povertà volontaria, l’abnegazione, l’obbedienza, la mortificazione, la vivezza della fede e della carità si raggruppano tutte intorno alla purità, perché colui che è puro, quanto toglie alla vita del senso altrettanto mette a profitto delle cristiane virtù, e può applicarsi con tutta ragione le parole dello Spirito Santo: E insieme con la purità vennero a me tutti gli altri beni: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa. (Sap. VII, 11). O purità, quanto sei bella, quanto sei splendida, quanto sei amabile! E poteva essere, che il Cuore Santissimo di Gesù Cristo non si mostrasse di te magnificamente adorno?
II — Ah! poiché Gesù Cristo venne sulla terra a curare le piaghe della inferma umanità, qual medico celeste, come dice S. Gregorio Magno, ai vizi nostri contrappose contrari medicanti, epperò alla turpe malattia dell’incontinenza oppose la bellissima virtù della purità. E ciò Egli fece massimamente per mezzo del suo Sacratissimo Cuore; giacché è nel suo Cuore, che ebbe palpiti di predilezione per la purità; è dal suo Cuore, che fece scaturire quelle sublimi parole, che ne mostrano tutto lo splendore; è nel suo Cuore, che la praticò nel modo più eccellente. Ed anzi tutto è nel suo Cuore che ebbe per la purità un amore di predilezione, facendosi in realtà, quale fu profeticamente chiamato, agnello che si pasce tra i gigli. Difatti il mistero della divina incarnazione si può per eccellenza chiamare un mistero di purità. Il verbo eterno volendo per la salute del genere umano prendere la nostra carne, avrebbe potuto crearsi in cielo un corpo perfetto e adorno di doti soprannaturali, quale quello di Adamo nello stato di innocenza. Ma invece volle discendere dal suo celeste regal trono e prendere un piccolo corpo nel seno di una donna. Or chi sarà questa fortunatissima figliuola di Eva? Maria, la più pura fra tutte quante le umane creature. Ed in vero, poiché per illustrazione dello Spirito Santo, Ella conobbe la preziosità di questa splendida margarita, rinunziò ad ogni affetto terreno per conservarla immacolata nel suo cuore, e a tal fine, ancor tenera d’anni, nel tempio la consacrò interamente a Dio. E per tal modo si tenne ferma nel suo proposito, che, come osserva S. Girolamo, le parole dell’Arcangelo Gabriele, con le quali le si prometteva per figlio un Dio, non valsero a farla titubare un istante dal medesimo; e solamente «allora accetta l’altissima dignità di Madre di Dio. quando è fatta certa dall’Angelo, che resterà pur sempre purissima vergine. Oh purità incomparabile! Oh specchio vivissimo della stessa eterna purità! Ben a ragione la Chiesa la esalta in mille guise, ed esclama, che per questo appunto, per la sua grande purità Maria meritò di essere fatta Madre del Signore : Beata Maria tantæ exstitit puritatis, ut Mater Domini esse mereretur. (In off. purit. B. M. V.) Ma oltreché una madre, volendo Gesù Cristo avere quaggiù e per sé e per la Madre sua un custode, a chi mai diede questo gran previlegio, questa eccelsa dignità? A S. Giuseppe, il più puro fra gli uomini, perciocché come insegna S. Francesco di Sales, la purità dello Sposo di Maria e del custode di Gesù fu si grande da sorpassare quella di tutti gli Angeli, compresi pure quelli della più alta gerarchia. E così si elesse a precursore un altro angelo di purità, S. Giovanni Battista, anzi un martire di purità, giacché per questo propriamente egli dovette perdere la vita, per il grande amore, che portava alla purità, amore, che lo spronava fortemente a redarguire con la massima severità chi con tanta spudoratezza andava oltraggiando una tale virtù. – E tra gli Apostoli chi fu il prediletto di Gesù? S. Giovanni. E quante prove gli diede di sua predilezione! Oltre all’averlo voluto presente ai suoi più stupendi miracoli ed alla sua trasfigurazione sul Tabor, a lui concesse nell’ultima cena di posare la testa sopra del suo Sacratissimo Cuore e di sentirne con ineffabile delizia i palpiti affettuosi; a lui sul Calvario, dalla Croce dove pendeva agonizzante, affidò per Madre Maria; a lui concesse la vita più lunga che a tutti gli altri Apostoli, e lasciandolo morire di morte naturale, nel tempo stesso lo laureò della palma del martirio; a lui infine, ancor vivente quaggiù, aperse i cieli e ve lo rapì a contemplarne le bellezze, e fra le altre lo spettacolo, che presentano le anime pure nel seguire l’agnello ovunque si reca, e nel cantare un inno, che a nessun altro è concesso di cantare. E perché mai una predilezione sì grande? Tutti i Santi Padri lo dicono: per ragione della sua specialissima purità; giacché ritrovato puro e vergine quando il Signore lo chiamò all’apostolato, si mantenne in tutta la vita vergine e puro. – E che dire poi della singolare benevolenza che il Cuore di Gesù mostrava ai fanciulletti? Egli voleva, che a lui si lasciassero appressare perché, diceva, di essi è il regno dei cieli. E li stringeva teneramente al seno, e li accarezzava, e li benediceva con amore immenso, e ne prendeva le parti, minacciando terribili guai a chi li avesse posti sulla via del male. E tutto ciò non faceva Egli perché i fanciulletti sono anime pure? Ma oltre all’avere avuto per tal guisa nel suo Cuore un amore di predilezione alla santa purità, egli ne fece ancora uscir fuori quelle sublimi parole, che tutta ne mostrano l’eccellenza. Ed in vero nel celebre discorso delle otto beatitudini disse pure: Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio : Beati mundi corde, quoniam ipsi Deum videbunt; ( MATTH. V, 8). vale a dire non solo lo vedranno un giorno in paradiso, in premio della purità, ma lo vedranno ancor qui sulla terra per mezzo di una fede più viva, di una cognizione più profonda, di una contemplazione più alta. Altra volta parlando degli amatori di questa virtù, li paragonò agli Angeli, dicendo: Saranno come gli Angeli di Dio in cielo: Et erunt sicut Angeli Dei in cœlo, ( MATTH. XXII, 30) espressione questa, che fece così esclamare, tra gli altri, un S. Giovanni Grisostomo: O santa purità, quanto sei degna della stima degli uomini, tu che dell’uomo, polvere e cenere, fai uno spirito celeste! anzi un essere superiore agli spiriti celesti, perché gli Angeli sono puri per la loro natura, mentre negli uomini, oppressi dal peso del corpo, la purità è robustezza di virtù! Infine Gesù Cristo praticò Egli stesso la purità nel modo più eccellente. Difatti Egli permise, che nel deserto il demonio si facesse a tentarlo in varie guise, ma non già contro la purità. Durante la sua vita pubblica, lasciò che i suoi nemici lo chiamassero indemoniato, sovvertitore di popolo, amico dei peccatori, mangione e bevone, ma non permise mai, che gli facessero la minima accusa contro la purità. Il suo Cuore fu continuamente un santuario immacolato, e sebbene peccatrici spregiate vi trovassero rifugio nell’ora del pentimento, tuttavia neppure il sospetto in venti secoli di una posterità, intenta a ricercarne le colpe, ha osato di profanarne minimamente la purità. Or dunque, che altro mai poteva far Gesù Cristo a dimostrare la bellezza della purità, e l’amore singolarissimo, che nutrì nel Cuor suo per una tale virtù! E come poteva Egli con maggior efficacia spronare ancor noi alla pratica della stessa? Di certo adunque, se noi vogliamo essere veri devoti del Sacro Cuore di Gesù, se intendiamo di conformare il cuor nostro al suo, se desideriamo goderne ancor noi l’amore di predilezione, dobbiamo sul suo esempio amare e praticare una sì grande virtù: Qui diligit cor dia munditiam habebit amicum Regem. (Prov. XXII, 11) Ma poiché si tratta di una virtù, la quale valendo più d’ogni altra ad operare la nostra santità, è pure la più insidiata dal demonio, non basta perciò, o miei cari, che risolviamo in genere di praticarla, ma bisogna ancora che ci appigliamo in ispecie a quei mezzi, che valgono a tenerci lontani dai pericoli contro di essa, od a farceli superare.
III. — Questi mezzi si riducono a due principali: mortificazione e preghiera. È lo stesso Divin Maestro, che ce li ha insegnati. Mentre Egli sul Tabor si trasfigurava alla presenza dei suoi discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, alle falde del monte era stato condotto presso gli altri Apostoli un giovane indemoniato, perché lo liberassero; ma indarno. Buon per lui, che Gesù, cessata la trasfigurazione e disceso dal monte, comandò Egli al demonio di uscire da quell’ossesso, e tosto fu risanato. Allora gli Apostoli, avendo preso in disparte Gesù, interrogatolo perché non avevano potuto cacciare quel demonio, avendone pure cacciati altri, il divin Redentore rispose loro: Il demonio dell’impurità non può altrimenti esser vinto e sbandito, che con la mortificazione e colla preghiera: Hoc genus (demoniorum) non eiicitur nisi per orationem et ieiunium. (MATTH. XVII, 20). – Alla conservazione adunque della purità è indispensabile anzitutto la mortificazione. È bensì vero che il mondo a questa
parola inorridisce; ma dice chiaro l’apostolo Paolo, che coloro, che anziché appartenere al mondo vogliono appartenere a Cristo, crocifiggono la loro carne cou le sue concupiscenze: Qui sunt Christi, carnem suam crucifiocerunt cum vitiis et concupiscentiis, (Gal, V, 2 4 ) Mortifichiamoci adunque. Ed anzi tutto mortifichiamo i nostri occhi, evitando qualsiasi sguardo sopra oggetti e persone, che possano commovere i nostri sensi. Giobbe diceva di aver fatto un patto cogli occhi suoi di non pensare mai malamente: pepigi fœdus cum oculis meis, ne cogitarem quidem de virgine. (XXXI, 1) E perché mai ha fatto patto con gli occhi di non pensare? È forse con gli occhi che si pensa? No, certamente, ma sono gli occhi, che trasmettendo alla mente gli oggetti, che essi vedono, fanno dalla mente pensare agli stessi. Epperò se alla mente si trasmette la figura di persona o cosa che la colpisce malamente, come non vi penserà sopra? E pensandovi sopra, come non se ne accenderà di impura fiamma il cuore? Ecco perché uno sguardo bastò a far prevaricare Davide, l’uomo fatto secondo il cuor di Dio. Ma nel raccomandare la mortificazione degli occhi non si intende solo di raccomandarla per ciò che è vivo e reale, ma eziandio per ciò che può offendere l’occhio cristiano anche solo in figura. Epperciò via assolutamente dalle case nostre quei gessi, quelle statue, quelle immagini rappresentanti nudità scandalose; via quei giornali, quelle strenne, quei libri, ove le illustrazioni umoristiche non consistono in altro che in un intreccio di irreligione e di immoralità; e poiché per le strade e per le piazze non possiamo quasi più dare un passo senza temere che i nostri occhi siano contaminati da indecenti affissi, ritratti e figure, non fermiamo mai sopra di ciò il nostro sguardo, anzi volgiamolo prontamente altrove. Tutti poi, ma i giovani specialmente, mortifichino i loro occhi evitando col massimo impegno ogni cattiva lettura. Per certo non vi ha nulla, che maggiormente esalti la loro immaginazione, li allontani dalla pratica della pietà cristiana e li precipiti nella corruzione quanto la lettura di cattivi libri, la lettura dei romanzi. Lo stesso Gian Giacomo Rousseau, sebbene tristo, non esitò a sentenziare crudamente ogni fanciulla così: È ella casta? Dunque non ha letto romanzi. Donde ne segue qual legittima deduzione: È ella lettrice di romanzi? Dunque non è più casta. – In secondo luogo con la mortificazione degli occhi, esercitiamo la mortificazione della lingua. Corrumpunt bonos mores colloquia prava, (I Cor. XV, 33) diceva già S. Paolo. I cattivi discorsi corrompono i buoni costumi. E perciò evitiamo noi anzi tutto di parlare male e poi foggiamo come la peste quelle compagnie, ove si dicano parole indecente, si tengano cattivi discorsi; e, se ci troviamo in condizione di poterlo fare, intimiamo il silenzio a chi in nostra presenza osasse venir fuori con motti inverecondi. Così agivano i Santi, tanto che al loro avvicinarsi, le compagnie, a cui si presentavano, si ponevano tosto in guardia da ogni mala parola. Insieme con la lingua,, mortifichiamo ancora la nostra gola, guardandoci bene dalla crapula e dall’ubriachezza. È ciò che raccomandava lo stesso apostolo S. Paolo, il quale soggiungeva che nel vino sta la lussuria. Di fatti non è allora che si fanno più gagliarde le tentazioni del demonio? Non è allora che certi uomini sono più sboccati e senza più alcun ritegno e pudore si abbandonano a motti, a discorsi, ad atti di gravissimo scandalo? Mortifichiamo poi il senso del tatto, evitando ogni confidenza e famigliarità specialmente con persone di altro sesso, guai a colui, dice lo Spirito Santo, che si mette a trattare domesticamente con persona indebita; molti sono andati perciò in perdizione, (Eccl. IX, 11) Ed è pure perciò, che va alla perdizione tanta povera gioventù. Con pretesti più o meno speciosi si trovano insieme giovani e fanciulle, insieme a passeggio, insieme al divertimento, insieme alle conversazioni, insieme persino alle scuole, e come non brucerà la paglia unita al fuoco? Infine mortifichiamo il nostro cuore col tenerlo mondo da ogni cattivo affetto, mortifichiamo tutto il nostro corpo col fuggire l’ozio, padre di tutti i vizi, i balli, i teatri, i divertimenti mondani, dove la santa purità è del tutto conculcata. – Mortifichiamoci e siamo pronti a sottostare a qualsiasi sacrificio, piuttostoché venir meno nella pratica di una virtù così gradita al Cuore di Gesù Cristo. Così appunto fecero i Santi. Nei primi secoli della Chiesa eccoli sfidare impavidi tutte le insidie dei tiranni e soffrire piuttosto le tenaglie infuocate, gli uncini di ferro, i tori arroventati, i carboni accesi, lo strappo delle carni a brandelli, anziché offendere pur da lontano la santa virtù. Mirate in seguito nell’Africa, nell’Asia, nell’Europa, i deserti riempirsi di animi puri, che fuggono le insidie del mondo, e nella macerazione della carne, nelle veglie, nei digiuni, vanno assicurandosi contro i più tremendi assalti del demonio. Ecco un S. Antonio, che con la penitenza doma mille impuri fantasmi. Ecco un S. Benedetto, che piuttosto di restar vittima della tentazione si getta tra le spine ed in esse si ravvolge. Ecco un S. Bernardo, che per vincere il demonio dell’impurità nella stagione invernale si slancia in uno stagno di acqua ghiacciata; ecco un Casimiro di Polonia, che preferisce di morire al suggerimento di violare la purità per guarire da una malattia; ecco un S. Tommaso d’Aquino, un S. Filippo Neri, un S. Luigi Gonzaga, un S. Stanislao Kostka, un S. Francesco di Sales, una S. Chiara, una santa Caterina da Siena, una S . Rosa da Lima e mille altri, che nella costante mortificazione si mantennero veri Angeli di purità, anche in mezzo ai più gravi pericoli. Deh! Imitiamo i loro esempi. – Ma infine per essere puri bisogna pregare il Signore, che ci aiuti ad esserlo. Ben a ragione ha detto il Savio, Conoscendo di non poter essere puro senza l’aiuto di Dio, a Lui mi sono rivolto e l’ho pregato: quoniam scivi, quod aliter non possem esse continens… adii Dominum et deprecatus sum illum. (Sap. VIII, 21) Senza alcun dubbio la purità sta in noi in ragione del nostro spirito di preghiera. Pregando non ci mancherà la forza necessaria per resistere agli assalti anche più impetuosi, ma lasciando la preghiera si diventerà fiacchi e deboli e si cadrà facilmente al primo urto. Preghiamo adunque, massimamente in mezzo alle tentazioni, preghiamo la Regina delle anime pure, Maria, e preghiamo sopra tutto il Sacro Cuore di Gesù, con la preghiera più eccellente, più completa, più perfetta, vale a dire con la Santa Comunione, per cui quel Sacratissimo Cuore di Gesù, che è pregato, risiede realmente nel cuore dell’uomo pregante, e non tarda a produrre l’ammirabile effetto di calmare le prepotenti esigenze della carne e di accrescerne la purità; perciocché è la Comunione eucaristica per l’appunto, che nelle Sacre Scritture è chiamata il frumento degli eletti, e il vino, che produce le anime pure: frumentum electorum et vinum germinans virgines. (ZAC. I X , 11) Oh noi beati, se valendoci di questi mezzi, per amore ed imitazione del Sacro Cuore di Gesù, praticheremo la santa purità! Noi faremo per tal guisa quella generazione bella e splendida, nella quale il Cuore immacolato di Gesù troverà le sue compiacenze, e sulla quale spanderà mai sempre tutte le più elette benedizioni. Ma intanto gettandoci ai piedi del divin Redentore diciamogli col sentimento della più profonda confusione: O nostro caro Gesù, noi non osiamo alzare la fronte dinnanzi al vostro Cuore così puro ed immacolato. Il nostro volto è ricoperto di rossore per la rincresciosa memoria dei nostri peccati. Ah! che purtroppo vi abbiamo offeso in mille maniere! vi abbiamo offeso con cattive immaginazioni, con cattivi desideri, con cattive parole, con cattivi sguardi, con cattive azioni; vi abbiamo offeso con la mente, col cuore e col corpo. Oh quante volte avremmo meritato di essere da Voi puniti! Ma Voi, col Cuor vostro, pieno di misericordia, ci avete risparmiato. Deh! che non abusiamo più mai della vostra bontà! Che d’ora innanzi per amor vostro viviamo una vita tutta santa, tutta pura! che d’ora innanzi nella penitenza e nelle lagrime laviamo le nostre passate iniquità, perché ci sia dato, non ostante i peccati della passata vita, di potere un giorno mettere il piede in quel beato regno, dove non vi può entrare se non chi è mondo e senza macchia.