DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2018)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LXXXV:3; :5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te. [Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].
Ps LXXXV:1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego. [Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te. [Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].
Oratio
Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos. [O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone].
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III:13-21
Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.
Omelia I
[Mons. Bonomelli, Nuovo saggio di omelie, vol. IV Torino, 1899 – Omelia VII].
“Io vi prego di non scoraggiarvi per le mie tribolazioni per voi, le quali formano la vostra, gloria. A tal fine io piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, dal quale viene ogni ordine di paternità in cielo ed in terra, affinché, secondo la ricchezza della sua gloria, vi conceda d’essere fortificati potentemente, per lo spirito suo, nell’uomo interiore, e che Cristo abiti nei vostri cuori per la fede, radicati e fondati nella carità; acciocché con tutti i Santi possiate comprendere qual sia la larghezza e la lunghezza, l’altezza e profondità; possiate cioè conoscere la carità di Cristo, la quale trascende ogni scienza, in modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A colui poi, il quale può fare tutto infinitamente al di là di quanto possiamo o domandiamo noi, a lui sia gloria nella Chiesa e in Gesù Cristo per tutte le generazioni del secolo dei secoli „ (Agli Efesini, c. III, vers. 13-21).
Paolo per tre anni dimorò in Efeso (dal 54 al 57), notissima città dell’Asia minore, e vi fondò una Chiesa fiorente, che più tardi fu governata dall’Apostolo S. Giovanni; poi andò a Gerusalemme, e di là, dopo la prigionia, che subì sotto Felice e poi sotto Porzio Festo, fu condotto a Roma, avendo Paolo, come cittadino romano, fatto appello al tribunale dell’imperatore che era Nerone. Giunse in Roma, e, come apprendiamo dagli Atti Apostolici (c. XXVIII, vers. ultimo), vi rimase due anni, dal 61 al 63, esercitando, come meglio poteva, il ministero apostolico con quanti se ne andavano a lui. Egli teneva la sua dimora, come vuole un’antica e venerabile tradizione, dove ora sorge la chiesa di S. Maria in vìa Lata, lungo il corso attuale, nel centro di Roma moderna. Da quella carcere, dove gli era lasciata molta libertà, scrisse parecchie lettere, che si dissero della Cattività, ed una di queste è la lettera agli Efesini, alla quale appartengono i nove versetti che vi sono riportati. – Questa lettera è una delle più difficili e per l’altezza delle cose che dice, ed anche perché lo stile è conciso e rotto: le frasi sono mezzo ebraiche, e i trapassi improvvisi e arditissimi. Non vi è cenno delle questioni giudaiche, come in quasi tutte le altre lettere; in quella vece mette in sull’avviso i Cristiani contro i pericoli della vana scienza filosofica, che doveva essere assai diffusa in Efeso. Ma poniamo mano al nostro commento. – Dopo avere annunziato ai suoi neofiti che la vocazione dei Gentili era stata affidata in speciale maniera a lui, Paolo, ultimo dei fedeli; e che egli aveva predicato il grande mistero di Cristo, e che nella Chiesa lo conobbero gli Angeli stessi, e che egli, Paolo, continuava con grande franchezza a proclamarlo anche in Roma, vide una difficoltà, uno scandalo non lieve, che doveva presentarsi a quei novelli Cristiani, la difficoltà cioè e lo scandalo del veder lui sbandeggiato, perseguitato e incarcerato pel Vangelo. Per togliere questo scandalo in Cristiani convertiti allora allora dal gentilesimo, scrive: ” Vi prego di non scoraggiarvi per le mie tribolazioni per voi. „ Figliuoli carissimi! così suonano le parole dell’Apostolo: Voi avete ricevuto da me il Vangelo di Gesù Cristo: voi mi accoglieste e mi tenete come suo apostolo: ma, vedendomi fatto segno a tante ire, sì fieramente bistrattato a Gerusalemme, e qui tenuto in carcere come un malfattore, io non vorrei che vi smarriste di animo e, sgomentati per sì ardue prove, volgeste le spalle alla fede, parendovi quasi impossibile che Iddio onnipotente lasci il suo Apostolo e la sua Chiesa in balia di tanti e sì feroci nemici. No, no, non scoraggiatevi, vedendo a quali distrette dolorose io sia ridotto per la vostra fede. “Peto ne deficiatis in tribulationibus meis pro vobis”. Anziché scoraggiarvi, avvilirvi e vergognarvi, vedendomi sì afflitto e vituperato, dovete andarne gloriosi e riempirvi di gioia: Quæ est gloria vestra. Quale altezza di concetti! Che sublimità di linguaggio! Lungi dal sentirvi umiliati, vedendo me; vostro maestro e padre, sì fieramente travagliato e divenuto quasi la spazzatura del mondo, dovete alzare la fronte ed esserne alteri. S. Paolo ripete in sé lo spettacolo dei suoi fratelli Apostoli, i quali pubblicamente flagellati in Gerusalemme, se ne partivano pieni di gioia, pensando ch’erano stati degni di patire per Gesù Cristo. – Non ignoro, o carissimi, che oggidì, anche tra i buoni Cristiani, vi sono alcuni, i quali sembrano credere essere mutato il Vangelo e lo spirito del Cristiano. Costoro, vedendo il trionfo riportato da Cristo sul giudaismo e sul paganesimo, e il regno suo stabilito da un capo all’altro del mondo, praticamente mostrano di credere che ad essi, perché seguaci di Cristo e suoi ministri, non si debbano che onori, ossequi, grandezze, ricchezze e abbondanza d’ogni bene terreno e, se avviene il contrario, stupiscono, si lagnano, si scandalizzano, e non sanno rassegnarsi, e per poco sospettano che Gesù Cristo venga meno alle sue promesse. — Ma come? Dimenticano essi l’esempio di Gesù Cristo, morto in croce, degli Apostoli, che soffrirono ogni maniera di privazioni, di patimenti e i più atroci martiri, e di tutti i santi, che corsero la via battuta da Gesù Cristo e dagli Apostoli? Ma come? Dimenticano essi le parole di Gesù Cristo in cento luoghi del Vangelo ripetute: “Se han perseguitato me, voi pure perseguiteranno: — Se hanno chiamato Beelzebub il padre di famiglia, quanto più i suoi discepoli: — Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, pigli la sua croce e mi seguiti? „ Dimenticano essi la terribile sentenza di S. Paolo: ” Tutti quelli che vorranno vivere piamente con Gesù Cristo, soffriranno persecuzioni? „ Ma come? Costoro hanno forse la pretensione che Gesù sia venuto sulla terra per procurar loro una vita piena di agi, di onori, di piaceri, di glorie mondane? Allora il Vangelo sarebbe trasformato nella legge mosaica e distrutta la sostanza degli esempi e degli insegnamenti di Gesù Cristo, che venne per servire, e non per essere servito; che volle per sé le umiliazioni, la povertà e la morte di croce. — Bando adunque a costoro che vogliono pervertire il Vangelo di Cristo (ai Galati, I, 7) e avere sulla terra quella felicità che il divino Maestro ci promise soltanto in cielo: “Godete ed esultate allorché sarete vituperati e perseguitati, perché grande è il vostro premio nei cieli „ (Matt. V, 11, 12). Ci siamo alquanto dilungati dal nostro commento, ma tosto ci rimettiamo in via, ascoltando il grande Apostolo che protesta: “A questo fine io piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo. „ A questo fine, cioè perché voi non vi scoraggiate, vedendo le mie afflizioni, e piuttosto ve ne facciate un vanto, io mi prostro umilmente dinanzi alla maestà infinita di Dio, del Padre di Lui, che è il Signor nostro Gesù Cristo. E perché S. Paolo dice di prostrarci dinanzi al Padre, cioè alla prima Persona della santa Trinità? E non poteva dire che si prostrava dinanzi al Figlio, od allo Spirito Santo? Senza dubbio lo poteva dire egualmente, essendo le tre divine Persone perfettamente eguali ed inseparabili tra loro, e l’onore reso all’una è reso all’altra per la identità o medesimezza della natura; ma l’Apostolo volle nominare a preferenza il Padre, perché in ordine di origine è la prima, ed è la radice e la fonte del Figliuolo, e col Figliuolo è la radice e la fonte dello Spirito Santo, e perché, nominando il Padre, necessariamente si indicano anche il Figliuolo e lo Spirito Santo, che da entrambi procede. S. Paolo in ispirito si prostra dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo: l’idea di Padre desta subito nella mente fervidissima dell’Apostolo un’altra idea, gli spiega sotto gli occhi un vastissimo panorama, e non può non accennarlo e delinearlo almeno di volo. Quale? “Dal Padre viene ogni paternità in cielo ed in terra — Ex quo omnis paternitas in cœlis et in terra nominatur. „ Che vuol dir ciò? Come il Padre è principio senza principio per generazione del Figlio, e col Figlio è principio senza principio dello Spirito Santo per spirazione o amore, cosi da Lui, come da supremo ed eterno esemplare derivano tutti i principii delle cose create. Non disse, avverte S. Girolamo, ogni paternità è nata da Dio Padre, ma piglia nome, ossia è costituita da Lui sì in cielo come in terra. In cielo, fuori di Dio, non vi sono che Angeli e Santi, ne vi è generazione propriamente detta: ma le menti sì degli Angeli come dei Santi hanno ragione di principio relativamente al loro pensiero, alla loro scienza e al loro amore: in cielo gli Angeli appartenenti agli ordini superiori sono come princìpi di luce e amore relativamente a quelli degli ordini inferiori: sulla terra gli uomini, in quanto sono padri e danno la vita ai figliuoli, rispecchiano la infinita paternità di Dio Padre, onde in un senso verissimo quella paternità eterna ed infinita, che si compie nell’intimo della vita divina, si irradia per una meravigliosa e ineffabile somiglianza in tutte le creature ragionevoli ed irragionevoli del cielo e della terra: Ex quo omnis paternitas in cœlis et in terra nominatur. È un concetto d’una vastità, e sublimità degna del sommo Apostolo. Prostrato dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, fonte perenne d’ogni paternità celeste e terrestre, che fa esso S. Paolo? Chi si prostra dinanzi a Dio adora e prega, e S. Paolo adora e prega; prega “affinché secondo la ricchezza della gloria sua, „ cioè in ragione della sua grazia esuberante e gloriosa, “Dio Padre vi conceda d’essere fortificati potentemente pel suo Spirito. „ In altri termini più conformi all’indole della lingua nostra, S. Paolo vuol dire: Il conoscimento, la vista delle mie afflizioni ed umiliazioni è per voi, o Efesini, una prova gravissima, argomento di scandalo; perciò prego Dio che nella abbondanza della sua grazia vi corrobori gagliardamente col suo Spirito, affinché sosteniate e vinciate la prova. — E questa forza corroboratrice non ha che far nulla con la forza materiale del corpo, delle braccia o dei muscoli, ma riguarda unicamente la mente e la volontà, affinché queste rimangano salde nelle verità ricevute, e nella vita conforme alle verità stesse. Un uomo può essere fortissimo quanto alle forze del corpo e debolissimo quanto a quelle dell’anima, e, per converso, fortissimo quanto alle forze dell’anima e debolissimo quanto a quelle del corpo. Una suora di carità, abbandona la famiglia, respinge nozze onoratissime, monta sopra un piroscafo, vive per anni ed anni sotto un clima micidiale, curando infermi ed ammaestrando orfanelli abbandonati, pronta, anzi desiderosa di morire per la fede sotto la scure del carnefice. Ecco una donna secondo il corpo debolissima, e secondo lo spirito fortissima. Un uomo, nel fiore degli anni, pieno di vita e di forza, non sa resistere alla seduzione d’una fanciulla, calpesta la fede coniugale, dà fondo al ricco patrimonio, corre dietro ad ogni passatempo, dimentico dei suoi figli: non sa sopportare una parola pungente, non può frenare la sua lingua e la sua gola; eccovi un uomo secondo il corpo robustissimo, debolissimo secondo lo spirito. Ah! è la forza dello spirito, dell’uomo interno, che forma i virtuosi e santi! l’altra che vale? Si può agguagliare, se volete, al bue, al leone, all’elefante, ma non aggiunge una linea alla sua dignità di uomo. – Un’altra cosa domanda a Dio Padre il nostro Apostolo per i suoi carissimi Efesini, ed è che “Cristo abiti per la fede nei loro cuori — “Christum per fidem habitare in cordibus vestris. „ Questa espressione ha bisogno d’essere chiarita. Allorché S. Paolo prega che Gesù Cristo abiti per la fede nel cuore dei suoi figliuoli, intende forse che vi abiti come quando lo riceviamo nella Ss. Eucaristia? Indubbiamente, no: questa è presenza sacramentale e reale. Come dunque si ha da intendere questo abitare di Gesù Cristo in noi per la fede? La parola fede in questo luogo significa le verità della fede insegnate da Cristo: allorché adunque le verità insegnate da Gesù Cristo informano la nostra mente, le teniamo salde e regolano la nostra condotta, Gesù Cristo istesso abita per esse in noi. Allorché il sole colla sua luce rischiara una cosa qualunque, non diciamo noi che vi è il sole? – Allorché un uomo professa la dottrina d’un filosofo qualunque, ponete di S. Tommaso, non siam noi soliti dire di quell’uomo, che porta in testa quel filosofo, che ha nella sua mente S. Tommaso? Non si legge di S. Cecilia, che essa portava il Vangelo in cuore, cioè teneva in cuore l’insegnamento del Vangelo? Vedete, o cari, dignità altissima del fedele Cristiano: egli, credendo fermamente la dottrina di Gesù Cristo, in un senso vero ha in sé Gesù Cristo stesso, da Lui è illuminato, guidato nei pensieri e negli affetti: Christum per fidem habitare in cordibus vestris. Né qui si arresta S. Paolo; egli prega Dio Padre, che fortifichi i suoi figli spirituali di Efeso, che Gesù per la fede abiti e regni nelle loro menti, e finalmente, “che siano radicati e fondati in carità. „ Altri, e voi lo sapete, o carissimi, può avere pura e netta la fede nella mente, ma non la carità, giacché purtroppo noi possiamo essere credenti, professare tutto il simbolo, e nelle opere essere difformi dalla fede. Quanti sono coloro che credono, ma non operano come credono, che hanno la fede senza le opere! Che vale la loro fede senza le opere, ossia senza la carità o l’amore di Dio, che ci muove ad attuare la fede nelle opere: Fides quæ per charitatem operatur? Nulla affatto, anzi serve a condanna. E per questo che S. Paolo prega Iddio affinché i suoi dilettissimi Efesini abbiano non solo Cristo in sé per la fede, ma altresì e sopratutto per la carità, anzi siano in essa bene radicati e fondati; solo per la carità, che si traduce nelle opere, Cristo abiterà perfettamente in essi, e la loro unione con Lui sarà perfetta. — Fate adunque, o cari, di possedere in voi Cristo non pure per la fede, ma anche per la carità: attenetevi al simbolo e osservate il decalogo, alla fede congiungete le opere, e sarete non solo uditori della legge, come scrive in altro luogo san Paolo, ma operatori della legge. Ciò facendo, avrete un altro vantaggio, e non piccolo, che S. Paolo annunzia con queste parole: ” Affinché con tutti i santi possiate comprendere qual sia la larghezza e la lunghezza, l’altezza e la profondità della carità di Cristo. „ Le quattro dimensioni dei corpi qui sono usate per esprimere tutta la sterminata grandezza della carità, che S. Paolo vuole sia compresa o conosciuta dagli Efesini, come la comprendono, o, meglio, la conoscono i santi e gli Angeli in cielo. Questa carità trascende ogni scienza, dice l’Apostolo: Supereminentem scientiæ charitatem, vale a dire: Chi potrà mai adeguatamente comprendere la carità che condusse Cristo a patire e morire per noi? Ah! questa carità di Cristo sta al di sopra d’ogni scienza umana e celeste creata; essa non ha limiti né nella larghezza, perché tutti abbraccia gli uomini senza distinzione di schiatta, di stato e di condizione; né nella lunghezza dei tempi, perché tutti li contiene; né nell’altezza della perfezione, né nella profondità e nell’ardore con cui tutti stringe ed ama, in cielo ed in terra, uomini ed Angeli. S. Paolo, nel versetto che segue, chiude la enumerazione di quei beni che prega da Dio Padre ai suoi Efesini, condensandoli tutti in una forma di dire ebraica e che gli è famigliare: “Affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. „ Iddio è la pienezza d’ogni bene e d’ogni perfezione, come la fede e la stessa ragione ci insegnano; e quello che noi abbiamo o possiamo avere, tutto ci viene e possiamo ricevere dalla sua pienezza, come dice S. Giovanni: Et de plenitudine ejus nos omnes accepimus. Ebbene, continua S. Paolo, io prego Dio che voi tutti siate ripieni di quella sapienza, di quella carità, di tutte quelle virtù e perfezioni, delle quali Egli è fonte inesausta. È il voto dell’Apostolo per i suoi cari, che non potrebbe essere più magnifico. Che poteva egli desiderare loro e pregare di più grande, di più eccelso, di più perfetto che non sia racchiuso in questa sentenza, che si sente sgorgare dal cuore dell’Apostolo: “Che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio! „ – ” Sia gloria a Dio, „ aggiunge queste parole: “Nella Chiesa, e in Gesù Cristo, e in tutte le generazioni del secolo dei secoli. „ Tutte le creature sono somiglianti a specchi più o meno puliti e tersi: questi, ricevendo in sé la luce del sole, la riflettono, e, a nostro modo di dire, l’accrescono, e formano, in certo senso, la gloria del sole; cosi le creature sono immagini, specchi delle divine perfezioni, ciascuna secondo la sua natura, e perciò, senza aggiungere nulla esse medesime, la riverberano, e in qualche maniera si può dire che la fanno conoscere e la accrescono, aumentandone le imitazioni. Il perché rendono gloria a Dio, e tanto maggiore sarà questa gloria, quanto maggiore è l’eccellenza e la perfezione degli esseri che gliela rendono. Ciò posto, voi vedete, o cari, che la Chiesa è la creazione più stupenda, l’opera più perfetta che sia uscita dalle mani di Dio, che di gran lunga supera la creazione stessa dell’universo, perché questo è il regno della materia, dei corpi, quella è il regno degli spiriti, e perciò in essa deve risplendere la gloria di Dio sopra tutte le opere sue. Al di sopra della Chiesa vi è il suo Capo, l’uomo-Dio, Gesù Cristo, che in sé compendia tutte le perfezioni del cielo e della terra, il capolavoro della sua onnipotenza, della sua sapienza, della sua giustizia e della sua misericordia, e nel quale trova l’oggetto adeguato delle sue infinite compiacenze, e la sua gloria esterna tocca il suo supremo fastigio, a talché egli stesso nella sua onnipotenza non potrebbe concepirne o produrne uno maggiore. Ben a ragione pertanto S. Paolo, nel suo linguaggio pieno di verità e di poesia, grida: a Gloria a Dio nella Chiesa ed in Cristo, in tutte le generazioni del secolo dei secoli. „ Amen.
Graduale
Ps CI:16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]
V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. [Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]
Alleluja
Allelúja, allelúja
Ps 97:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV:1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisaeos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.
Omelia II
[Mons. G. Bonomelli, ut supra, omel. VIII]
“Accadde che Gesù, essendo entrato in giorno di sabato in casa d’uno dei principali farisei a desinare, essi lo tenevano d’occhio. Intanto un certo idropico gli stava innanzi. Allora Gesù, parlando ai legisti ed ai farisei , disse: È egli lecito guarire in giorno di sabato? Ed essi tacquero; ed egli, presolo, lo guarì e lo accommiatò. Poi. volgendosi a loro, disse: Chi di voi, se il bue od il giumento gli cadono in un fosso, non lo trae fuori subito anche nel giorno di sabato? Ed essi non potevano rispondere. Vedendo poi come coloro sceglievano i primi posti nei conviti, prese a dire una parabola, dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere al primo posto, non forse uno di te più ragguardevole sia invitato da lui, e venga quegli che ha invitato te e lui, e ti dica: Cedi il luogo a questo; e tu con rossore debba tenere l’ultimo posto. Ma quando sei invitato, va, mettiti all’ultimo posto, onde quegli che ti ha invitato, venga e ti dica: Amico, sali più in su; questo ti farà onore dinanzi ai convitati. Perché chiunque s’innalza, sarà abbassato: e chiunque si abbassa, sarà innalzato „ (S. Luca, XIV, 1-10).
Gesù aveva lasciata la Galilea per l’ultima volta, e volgeva i suoi passi verso Gerusalemme, per consumarvi il suo sacrificio. In Galilea gli avevano detto: “Partiti e vanne via, perché Erode ti vuole uccidere „ (Luca, c. XIII, 31) ; ed Egli, non per timore che ne avesse, ma per compiere i disegni della Provvidenza, prese la via di Gerusalemme, costeggiando, come è probabile, le rive del lago e poi del Giordano. In questo viaggio, che avvenne circa tre mesi prima della sua morte, è da porre il miracolo registrato da S. Luca. – Il Vangelo non dice il nome della città o borgata dove fu operato; ma ciò poco importa, perché noi dobbiamo essere solleciti di conoscere, più che i luoghi e i tempi, le cose che Gesù fece e disse, perché queste formano il nostro ammaestramento. – Il Vangelo, che vi ho recitato, si può dividere in due parti: nella prima si narra il miracolo dell’idropico; nella seconda si contiene una brevissima parabola, o, per parlare più esattamente, un documento morale semplicissimo, ma utilissimo. Non vi sia grave udire la spiegazione dell’uno e dell’altro. – Gesù abbandonava la sua cara Galilea, dove Erode lo minacciava di morte; si incamminava verso Gerusalemme, centro dei suoi nemici implacabili e luogo del suo terribile sacrificio: Egli sapeva tutto con quella chiarezza e certezza ch’era propria del Figliuolo di Dio. Nemici alle spalle, nemici di fronte, nemici ai suoi fianchi: alcuni discepoli che lo seguivano, un po’ di popolo che l’ascoltava; ma i ricchi, i dotti, i potenti, che non si curavano di Lui, che lo odiavano e perseguitavano. Dopo tre anni di fatiche, di miracoli, di predicazione, era ben scarso il frutto raccolto. Chiunque altro si sarebbe scoraggiato e datosi vinto dinanzi a tanti ostacoli e nemici sì ostinati, ma non Gesù; Egli soffre, geme, è vero, ma continua intrepido l’opera sua, e semina ancora sui suoi passi la parola di verità, e continua i miracoli della sua carità verso i sofferenti. Vediamolo. – “Avvenne che essendo Gesù entrato in giorno di sabato in casa d’uno dei principali farisei a desinare, essi lo tenevano d’occhio. „ I farisei erano i principali e più maligni nemici di Gesù Cristo, come apparisce da tutto il Vangelo; eppure spesso lo invitavano a mensa, ed Egli accettava sia per darci esempio di mansuetudine e carità verso dei malevoli, sia per istruirli e far entrare la luce della verità in quelle menti oscurate dalla superbia e dall’odio. Il giorno, nel quale ricevette l’invito, era un sabato, ed è notato dall’Eangelista per spiegare il fatto che avvenne e le parole di Cristo, e chi l’aveva invitato era uno dei principali farisei: principale per ricchezze, o per dignità, o per reputazione, o per altri titoli che non sappiamo. Dal tutto insieme si scorge che l’invito in sabato, e in quella casa, era un tranello ordito dai farisei. Il riposo prescritto dalla legge nel sabato era molto severo, ma i farisei, gli uomini della lettera, l’avevano spinto ad un rigorismo ridicolo ed insopportabile, e in altro luogo ne abbiamo fatto un cenno. Essi studiavano il modo di coglierlo in fallo, particolarmente quanto all’osservanza del sabato, forse perché legge notissima al popolo, e della quale esso era geloso, e perciò vindice severo. Che fecero? Ad un tratto gli misero dinanzi un povero idropico, o a bello studio fecero sì che si trovasse sui suoi passi allorché era per metter piede nella casa del fariseo, senza dirgli parola; ma doveva bene parlare l’infermo, se non con la lingua, certo con l’atteggiamento della persona e con il mostrare la dolorosa infermità ond’era afflitto. I farisei sapevano per prova che alla vista di quell’infelice, che con la voce e con gli atti chiedeva la guarigione, il cuore di Gesù si sarebbe impietosito e l’avrebbe risanato, ed essi avrebbero avuto buono in mano da accusarlo quale trasgressore della legge. Gesù adunque si vide innanzi il poverello, che implorava pietà: s’arrestò, ed i farisei s’arrestarono con Lui, tutto occhi ed orecchi per vedere ciò che farebbe ed udire ciò che direbbe e fargliene carico, s’era possibile: Et ipsi observabant eum. – Non possiamo difenderci da un sentimento di giustissimo sdegno contro codesti farisei, che coprivano i loro malvagi disegni e l’odio loro più cupo contro Gesù Cristo sotto le apparenze della stima e della benevolenza verso di Lui, fino ad invitarlo ad un banchetto. E queste arti ipocrite sono forse rare al giorno d’oggi? Quanti vi si dicono e professano amici, e abbondano con voi di complimenti ed inchini, e chiudono in cuore il dispetto e forse anche l’odio e, appena il possono, con la maldicenza e con la calunnia lacerano il vostro buon nome? Detestate e fuggite queste ipocrisie farisaiche. – D’altra parte come non ammirare la bontà e la generosità divina di Gesù Cristo, che leggeva ogni cosa in cuore a quei tristi, eppure accettava i loro inviti, sedeva alla loro mensa e ricambiava il loro odio con l’amore e con il far brillare agli occhi della loro mente la luce della verità? Imitiamo coi malevoli e con i nemici l’esempio di Gesù Cristo. – Appena Gesù si vide innanzi l’idropico, conobbe l’insidia e prese l’offensiva, rivolgendo bruscamente agli scribi e farisei una domanda, alla quale il buon senso, che vale più di tutte le leggi, non permetteva loro di dare una risposta: “È egli lecito, disse loro, guarire in giorno di sabato? „ Che potevano rispondere? Se rispondevano: ” Si, è lecito , „ cadeva a vuoto l’insidia tesa; se rispondevano: No, non è lecito, „ era tal rigorismo, che offendeva il buon senso ed equivaleva ad un atto di crudeltà verso il povero idropico, che domandava ed aspettava, vel dica Dio con quale ansia, la sua guarigione. Essi tacquero, non avendo né la modestia di riconoscere il loro torto, né la franchezza di combattere la verità e sostenere a viso scoperto la stoltissima interpretazione che davano alla legge mosaica. Tacquero, guardandosi gli uni gli altri, confusi, ma non vinti, e divorando in cuore il dispetto e l’onta della sconfitta. E qui ancora una volta voi toccate con mano a quale estremo di cecità possano giungere le passioni se non sono domate. Quei farisei non potevano non sentire tutta la forza e tutta la evidenza della verità, che Gesù faceva brillare ai loro occhi: la sentivano per modo che erano ridotti al silenzio. Eppure rimasero ostinati nel loro odio contro di Lui e nella stolta loro interpretazione sul riposo del sabato imposto dalla legge. Si rodevano dentro, ma non si arrendevano alla verità. Dilettissimi! Stiamo in guardia contro qualunque passione, perché se pieghiamo il collo sotto il suo giogo, non sappiamo dove ci trascinerà; essa a poco a poco calerà sugli occhi nostri un velo sì fitto, che non vedremo più nulla e potrà avvenire che per noi si dica verità l’errore e l’errore verità. Ne sono esempio i farisei. – Allora Gesù, “preso per mano quel meschinello idropico , lo guarì e lo accommiatò — Ipse vero apprehensum, sanavit eum et dimisit. „ Sembra che non dicesse pure una parola, ma col solo tocco della sua mano onnipotente, in un lampo lo risanasse, e per bel modo, indirizzandogli parole piene di “amorevolezza” lo rimandò, pensate voi, come lieto e beato della guarigione ottenuta. Io qui non spenderò parole a moraleggiare su questo miracolo dell’idropico risanato, come sogliono fare molto saviamente i Padri, e, sulle loro orme, gli interpreti. Essi (come S. Agostino) nell’idropico vedono raffigurato l’avaro. Come l’idropico, l’avaro si gonfia per le sue ricchezze; come l’idropico, ancorché gonfio ha sempre sete e non può estinguerla, e tutto converte, per il guasto degli umori, in acqua, così l’avaro, ancorché ricco e straricco, non dice mai basta, ma lavora e suda per accrescere le sue ricchezze, e tutto converte in oro, né mai se ne mostra sazio. Carissimi! che questa miserabile passione dell’avarizia, che questa sete vergognosa dell’oro non s’appicchi mai a nessuno di noi! Saremmo di peso e di vergogna a noi stessi, come lo è l’idropico, portando seco in ogni dove il suo male, che non può nascondere. – I farisei, quegli uomini del rigorismo, che alla vista del miracolo della guarigione istantanea, dovevano aprire gli occhi, arrendersi alla voce di Dio e della verità, e confessare il proprio torto e riconoscere in Gesù Cristo il vero interprete della legge, buttarglisi ai piedi, chiedergli perdono e credere in Lui, si chiusero ostinatamente nel loro superbo silenzio: At illi tacuerunt. Quando si considera questa condotta dei farisei in faccia alla verità più chiara e perfino in faccia al miracolo, si comprende di che cosa siano capaci gli uomini dominati dalle passioni, ed a quali eccessi e delitti possano essere trascinati. Tra le mille prove, questa non è certamente né l’ultima, né la meno grave. Si può vedere la verità, si può sentire la impossibilità di negarla, ma, se la passione comanda, si rifiuta l’assenso. Quale cecità! In giorno di sabato si poteva camminare, si poteva parlare, si potevano muovere le mani, e ciò facevano i farisei stessi. Che altro faceva Gesù che parlare e toccare l’idropico? E perché questo fatto da Gesù era violazione del sabato e non lo era fatto dai farisei? Chi può spiegare questo prodigio di contraddizione, di malignità? La passione dell’odio, la superbia. Gesù Cristo, vedendo il loro pensiero e la loro ostinazione, rivolse ancora la parola a loro, usando d’un argomento popolare e d’una evidenza invincìbile. “Chi di voi, disse, se il bue o il giumento gli cascano in un fosso, non ne lo trae subito, anche in giorno di sabato? „ L’argomento era terribile: Io, diceva Cristo, con una parola ho guarito questo idropico, e in cuor vostro mi credete violatore della legge, perché oggi è sabato: ma se in sabato il vostro bue o il vostro giumento cade in un fosso, voi non tardate un istante a trarlo di là, e non credete di violare la legge. Ditemi, il lavoro vostro è maggiore o minore del mio in guarire l’idropico? O forse, ai vostri occhi, il vostro bue e il vostro giumento è da più d’un uomo, tantoché per questo non sia lecito fare in sabato quello che voi fate per quei due animali? Quei dottori e scribi e farisei non potevano rispondergli parola, dice il Vangelo: Et non poterant ad hæc respondere illi. Ma si arresero essi alla verità? si confessarono nel torto? Era impossibile; il loro orgoglio non lo consentiva; tacquero, rodendosi dentro, perché impotenti a rispondere, e pensando a rifarsi altra volta della vergogna patita. Il racconto evangelico ci lascia supporre che il miracolo dell’idropico sia avvenuto, o fuori della casa, o certamente prima che gli invitati si mettessero a mensa: ma è cosa che poco importa notare. Gli invitati dovevano essere assai numerosi, dacché il padrone della casa era uno dei principali farisei, e l’occasione del convito era straordinaria. Pare che, entrando nella sala del convito, Gesù si accorgesse d’un certo studio che parecchi degli invitati ponevano in collocarsi ai primi posti: era una vanità puerile, che mostrava per altro quanto fosse profondo in loro il fasto della ambizione e la smania del sovrastare. Visto ciò, poiché tutti furono adagiati, e fors’anche verso la fine del convito, quando tutti aspettavano di udire la sua parola, Gesù prese a dire: “Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere al primo posto: non forse uno più riguardevole di te sia invitato da lui, e venga chi ha invitato te e colui, e ti dica: Cedi il luogo a questo, e allora tu con vergogna debba occupare l’ultimo posto. „ Intento di Gesù era d’insegnare a quei legisti e farisei vanitosi la modestia e l’umiltà, e attenendosi sempre alla sua maniera inarrivabile d’insegnamento, che è di vestire la verità con forme semplici e comunissime, trovandosi a mensa, piglia l’immagine dalla mensa stessa. Si osservava allora nei conviti quello che si osserva al presente, e che è voluto dalla natura delle convenienze sociali. I posti nei conviti sono differenti, e dal primo a mano a mano si discende all’ultimo, ed a ciascuno quello si assegna che risponde alla sua dignità o qualità personali. Ora ponete che uno entri nella sala del convito e vada difilato a mettersi al primo posto d’onore; ponete anche che il padrone di casa abbia invitato un personaggio assai più riguardevole di quello, e lo accompagni nella stessa sala. Che farà e dovrà egli fare? Se ne andrà dritto al primo posto d’onore, e garbatamente dirà al primo: Levati di li, e cedi il tuo posto a questo mio amico e signore. Non è vero che quel primo si sentirà salire una fiamma al volto, dovendo abbandonare quel posto d’onore e pigliarne uno inferiore? La sua vergogna è giusta pena dovuta alla sua ambizione. Metti che, per contrario, tu, entrando, abbi preso l’ultimo posto nel convito; viene il padrone, ti vede in quel luogo umile, inferiore a quello che ti si deve. Che farà egli? Senza dubbio verrà a te, ti piglierà per mano e ti dirà: “Amico mio, sali più su”; e ti sarà d’onore alla presenza di tutti i convitati: così n’avrai onore, giusta mercede dovuta alla tua modestia. Amiamo dunque la modestia, l’umiltà, il nascondimento, e ne avremo onore e gloria. – Ma qui odo taluni di voi farmi una difficoltà, che viene naturale dalle parole di Cristo, e dirmi: Che modestia ed umiltà è questa consigliataci da Cristo? Mettetevi all’ultimo posto perché vi sia dato il primo; nascondetevi per essere messi in luce maggiore; fingetevi umili per salire in superbia: non è questa vanità più che mondana e superbia sottilissima? Certamente sì, quando le parole di Cristo si intendessero a questo modo: Egli sarebbe stato davvero non maestro d’ umiltà, ma di superbia. Voi sapete ch’Egli talvolta ci propone di imitare anche i figli di questo secolo, i tristi, non nelle opere loro malvagie, ma nell’avvedutezza, di cui danno prova. Egli ci esorta ad imitare l’ingiusto fattore, che con la roba del padrone provvede ai propri futuri bisogni, ma certo non ci consiglia di rubare com’egli rubava: e ciò è tanto vero, che lo chiama “fattore ingiusto — villicus inìquìtatìs. „ Similmente in questo luogo Gesù non vuole che ci mettiamo all’ultimo posto per aver poi il primo posto e riceverne lode dagli uomini, che sarebbe più che biasimevole cosa: vuole soltanto insegnarci, che come gli uomini in terra osservano la modestia perché frutta loro ancora in terra stima ed onore, così preferiamo l’umiltà e l’ultimo posto, sicuri che non gli uomini, ma Iddio ce ne terrà conto e ce ne darà il premio in cielo. – Onde la sentenza di Cristo si può tradurre in questo linguaggio: Invitato ad un banchetto, non ti mettere al primo posto, ma all’ultimo, e questo non già per la vanità d’essere poi chiamato al primo, ma sì per sentimento di modestia; se per contrario ti metti al primo, potrebbe accadere di vederti poi rimandato all’ultimo. È questo l’esempio che ci diedero i santi tutti, che camminarono sulle orme di Gesù Cristo. Voi non ne trovate uno solo che non ponesse ogni studio in tenersi basso più assai che i mondani non ne pongano in salir alto e primeggiare. Chi non ricorda la magnifica descrizione che S. Girolamo ci lasciò di Paola ed Eustochio? Erano due ricchissime e nobilissime dame romane, che contavano tra i loro antenati una lunga serie di consoli, di senatori, di famosi conquistatori. Eppure quelle due dame, ammaestrate dall’esempio di Gesù Cristo, come se fossero state umili ancelle, uscite dal popolo più minuto, accendevano il fuoco, nettavano il pavimento, acconciavano le proprie e le altrui vesti, preparavano i cibi, servivano alla mensa e attendevano ogni giorno alle faccende domestiche, e sicuramente non per eccitare l’ammirazione ed averne lode di modeste ed umili, ma per profondo sentimento della propria bassezza e per piacere a Lui, che, essendo Dio, s’era fatto uomo e poverissimo tra gli uomini; che, essendo padrone d’ogni cosa, era venuto per servire, non per essere servito. Ecco la vera umiltà, insegnata con la parola e con l’opera da Gesù Cristo. Tutto l’insegnamento di Gesù Cristo in questo breve discorso, che l’Evangelista chiama parabola, si assomma in questa ammirabile sentenza: “Perché chiunque s’innalza, sarà abbassato, e chiunque si abbassa, sarà innalzato.„ È la grande legge moderatrice di tutte le creature, irragionevoli e ragionevoli, nell’ordine naturale e soprannaturale, e che l’Uomo-Dio volle osservata in se stesso. Volete., grida S. Agostino, che l’edificio per voi innalzato torreggi eccelso e sicuro? Scavate prima profonde le fondamenta. Volete che l’albero spinga in alto la sua cima, e possa sfidare il furore delle procelle? E mestieri che le radici si abbarbichino profondamente nella terra. Volete che un uomo, fornito di grandi doni di natura, guadagni i popoli e si acquisti le simpatie universali, e salga in gran potenza e fama? Deve mostrarsi modesto e vivere col popolo. Un monarca non è mai si grande come quando entra nei tuguri dei poveri, conforta gli afflitti e si avvicina al miserabile giaciglio d’un infelice percosso da morbo contagioso. Quando gli Angeli del cielo furono raffermati in grazia ed assicurarono a se stessi il possesso della gloria eterna? Quando curvarono la fronte e adorarono il loro Dio, riconoscendolo loro Signore anche nella natura umana da Lui assunta, e nella quale era ad essi inferiore. Quando Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, fu coronato di gloria, sali al più alto dei cieli, e vide piegarsi dinanzi a sé ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’abisso, ed ogni lingua sciolse un inno al suo nome, che è sopra ogni nome? Quando si fece obbediente, si abbassò fino alla morte, e alla morte di croce. E per contrario, quando l’edificio crollerà e cadrà al suolo, e l’albero sarà divelto dall’uragano? Quando il fondamento non sarà pari all’altezza e le radici non abbastanza profonde. Quando un potente, un genio, un monarca sarà mal veduto ed odiato dai popoli? Quando sarà superbo ed arrogante. Quando gli Angeli furono cacciati dal cielo? Quando nel loro orgoglio levarono la fronte contro il loro fattore, quasi fossero eguali a Lui. ” Queste parole: Chi si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà esaltato — sono la storia dell’umanità intera, e compendiano, scrive un valente oratore, la vita, l’essere stesso, la missione e l’opera tutta di Gesù Cristo sulla terra, lasciata in balia ai deliri dell’orgoglio. L’umiltà è la condizione assoluta per entrare nel suo regno. Chi si appoggia a se stesso, alla propria saggezza, alla propria virtù, alla propria forza, rimarrà nella sua miseria e precipiterà nel suo nulla. È la storia della umanità ribelle al suo Dio. Chi riconosce la propria miseria e il proprio nulla sarà sollevato da Dio stesso, ed avrà parte alla gloria inenarrabile della sua vita; è la storia degli umili incorporati a Cristo „ (Didon, Vita di Gesù Cristo, vol. 2, pag. 106).
Credo…
Offertorium
Orémus
Ps XXXIX:14; 39:15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice. [Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]
Secreta
Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes. [Puríficaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sí che meritiamo di esserne partecipi].
Communio
Ps LXX:16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me. [O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]
Postcommunio
Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium. [O Signore, Te ne preghiamo, purífica benigno le nostre ànime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].